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Autore: Semperinfelix    29/11/2020    3 recensioni
Alla vigilia di Natale, nel cuore della notte, appare a re Ferrante di Napoli l'ombra del padre defunto, la quale gli predice orribili sciagure se egli, andando contro sé stesso, non porrà fine alla vita della piccola nipote ora che è indifesa, prima che ella, divenuta adulta, sia causa della rovina del regno e della famiglia, determinando la fine degli Aragona.
Genere: Horror, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo, Rinascimento
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Napoli, Anno Domini 1479.

Molte cose nasconde Iddio che non hanno da essere né mai scoperte né mostrate, molte altre ne isvela Egli stesso, perché facciano da guida, eppur tanto lungamente s'affanna l'uomo nella sua stoltezza alla ricerca del male che il buon Padre suo gli ha evitato.

Era notte scura sopra le terre della bassa Esperia, e non tirava un alito di vento. Tutto taceva attorno alle case, fuorché il placido rumoreggiare dell'onde contro il lito del golfo, le quali mai interrompevano il proprio peregrinare. La volta celeste in alto, fuor dall'ampia finestra, formicolava di tante piccole stelle, bagliori lontani, indistinti, persi nel regno dei superni, cui all'uomo non è concesso vivendo anelare.

Così era bella, Napoli, all'occhio di colui che la possedeva, bella come il giorno in cui l'Onnipotente gliel'aveva messa fra le mani ancor giovani, ancor salde e forti. Adesso quelle mani, ingrassate e solcate di rughe, sostavano l'una sul piperno del davanzale, quieta, l'altra, errabonda dal fianco alla schiena, stringeva fra le dita la stoffa della propria berretta. Non brillavano più invero quelle stelle come una volta per lui, come quando il suo occhio un tempo acuto poteva mirare più in alto, esplorare più a fondo i segreti reconditi dell'opera divina.

« Senyor avi, che ci sta lassù? » la vocina sottile e delicata d'una bambinetta lo destò dai suoi ragionamenti, sicché il vecchio re Ferrante, voltatosi, sorrise. Nella stanzina, rasserenata dal calduccio della legna scoppiettante nel camino e dalle soffici coperte di lana, la sua amata nipote, la più piccola della nidiata, di quattro anni e poco più, se ne stava accucciata nel proprio lettuccio, lì a scrutarlo con quei suoi due occhioni da lupacchiotta, le graziose manine poggiate in grembo sopra il risvolto delle lenzuola.

Egli si tolse dunque dalla finestra e la raggiunse lì dove stava, sedendo accanto a lei sul bordo del letto. « Lì stanno le anime dei nostri defunti, al di là della volta stellata, alla destra di Dio Padre e degli angeli suoi, anche l'anima della tua ávia Isabella », cominciò a spiegarle pacatamente, carezzandole la piccola testa coperta dalla cuffia di seta.

« Ci stanno anche le anime di coloro che avete ammazzato lassù, senyor avi? »

Una domanda di una tale raccapriccianza, profferta con una simile tranquillità da una creatura così piccina, avrebbe dovuto forse impressionarlo, sconvolgerlo, quantomeno turbarlo, invece no, come fosse la cosa più naturale di questo mondo, il vecchio re, sorridendo, rispose: « no, Beatriz, ells están allá ». Tese adunque l'indice in direzione del pavimento di pietra, additandole l'inferno.

La bambina si sporse dal proprio lettuccio, occhieggiando curiosa in direzione del punto indicato. « Nelle prigioni? » domandò un poco perplessa. Conosceva bene quel che si celava sotto i propri piedi poiché suo nonno, le volte in cui ne faceva parola col castellano e coi funzionari, mentr'ella stava lì con lui a rallegrargli la giornata, non si curava giammai di allontanarla. Proprio lì, al di sotto della cappella Palatina, Ferrante riponeva i suoi più cari tesori: i corpi mummificati dei baroni che gli si erano rivoltati contro molti anni orsono e che egli, dopo averli sconfitti, da allora giammai aveva permesso che neppure da morti abbandonassero il luogo del loro castigo.

Ferrante sorrise nuovamente, non resistendo alla tentazione di battere l'indice sul quel suo graziosissimo nasino all'insù, in tutto e per tutto uguale a quello dell'amata figlia Eleonora. « Tu sai troppe cose, nieta mi », la rimproverò scherzosamente. « Là sono rimaste soltanto le loro spoglie mortali, le loro anime invece sono scese all'inferno coi dannati, immersi fra le fiamme e fra i ghiacci perenni, squartati dai demòni. Hanno ricevuto la giusta punizione per i loro tradimenti ».

La bambina corrucciò per un attimo le sopracciglia sottilissime, come pensierosa, e gonfiò le guanciotte tonde, in questo tratto così tanto simile ai suoi parenti di Aragona di Spagna. Alla fine, guardandolo con due occhioni dolci irresistibili, osò chiedergli: « posso venire con voi a vederli qualche volta? Oh, vi prego, senyor avi! Una volta soltanto, per piacere! »

L'entusiasmo inaudito con cui aveva formulato quella richiesta, ancora una volta, anziché interdirlo, lo lasciò piacevolmente meravigliato. Quella bambina che due anni addietro si era preso in casa, togliendola alla figlia Eleonora per allevarla come fosse propria, sempre di più ogni nuovo giorno lo rassomigliava, perfino nella fascinazione per l'orrido e per il macabro. Soltanto quella pudicizia innata, quella virtuosa disposizione d'animo che portava gli ambasciatori del padre ad attribuirle un atteggiamento a loro dire "materno", nonostante la tenerissima età, ecco, quella non poteva averla presa da lui, quella doveva per forza essere retaggio della sua religiosissima madre, e dell'ancor più religiosissima nonna prima di lei.

« E va bene, va bene, ti porterò! » le promise allora il nonno per racquetare il suo animo scalpitante. « Però adesso fai la brava e dormi, non far disperare la tua balia ». Era la vigilia di Natale, ed egli era venuto lì per darle la propria benedizione serale prima di tornare di là dalla moglie Giovanna, rimasta a prendersi cura della neonata da pochi mesi partorita.

Fece per alzarsi dal letto ma proprio allora udì, con vocina profondamente delusa, la nipote protestare: « e la storia che m'avevate promesso non me la contate più? » Si rimase allora e, sollevatole il visetto basso dal mento, la rassicurò dicendo: « posso mai dimenticarmene, nieta mi? Cosa vuoi che ti racconti? »

La bambina si batté l'indice sopra le labbruzze rubiconde, meditando fra sé per qualche istante, infine rispose: « oh, quella del toro(1)... no, no, del coccodrillo(2)! Oh, no! contatemi di quando avete battuto da solo Marino e i suoi...! »

« E Marino sia! » Ferrante le premette due dita sulla boccuccia prima che sproloquiasse in eterno, come pure, da taciturna quale alle volte era, sarebbe ben stata capace di fare. Le contò pertanto di Marino Marzano e del suo vile attentato, e di come egli, ancor nel fiore delle forze, avesse, da solo, scongiurato la morte, mettendo in fuga i tre vili attentatori che cercavano di fenderlo con daghe avvelenate.

Quando fu sazia e di parole e di storie, finalmente la bambina acconsentì a lasciarsi mettere a letto, prendendo il sonno. Ferrante la lasciò alle cure della balia Serena ed egli se ne tornò dalla moglie e dalla figliolina, prima di ritirarsi a sua volta per la notte.

O fragile Notte, o Notte che porti consiglio, con quanta facilità l'Erebo ti soggioga e scuote! Così tu sopra il re dormiente lasciasti calare le male ombre, così sopra di esso abbattersi la nera caligine infernale, colui che nacque dal primordiale disordine, allora che non v'era né misura né luogo ed il cielo privo di lumi nuotava inghiottito in un nero abisso.

Così riedette fra i vivi l'ombra funesta del padre, l'ombra di quel Magnanimo conquistatore che la terra ove giacque Partenope, ove trovò riposo dalle corporee ambasce il vate Virgilio, aveva acquistata al prezzo del sangue dei propri congiunti e d'innumerevoli fatiche e così, docile allieva, rimessa nelle mani del figlio e dei nipote. Quella terra, amata sposa, quella voleva preservare fin oltre la morte.

Tremò la stanza nella sua interezza, si scossero i tendaggi; la vampa nel camino si contorse impazzita, avvolgendo i bronzei alari, si spezzò, si divise, biforme, in due capi di diseguale misura: l'uno possente, fiero, insaziabile, l'altro sparuto, destinato ben tosto ad estinguersi, a soccombere sotto il peso gravoso del germano. Da fuori s'odiva il mare furibondo agitarsi, cozzare contro i saldi bastioni del maniero quasi volesse nella propria morsa distruggerli e sradicarli.

L'ombra sorta dalle fiamme s'allungò sopra le pareti di pietra, abnorme; si posò sulle palpebre del sovrano dormiente, quelle ridestò e costrinse, nolenti, a sollevarsi. Ecco gli occhi, pieni di terrore, posarsi sul volto del morto, riconoscere in esso quei tratti che tante volte lo specchio gli rimandava indietro, ecco la bocca, contratta, slanciarsi in un grido che trovò la morte ancor prima di nascere, soffocato dall'incipiente paralisi.

« Non temere, figlio mio, l'ombra di colui che t'ha generato », suonò la voce, ultraterrena, dello spettro informe. « Bada alle parole che t'offro, poco m'è concesso pria ch'io sia richiamato indietro. Contempla il regno che al costo d'ogni mia pena, col sangue del mio caro germano(3) io t'ho acquistato, contempla il frutto del nostro seminato. Non sia stato vano il nostro sacrifizio. La serpe c'hai accolto nel suo seno, infida, t'affogherà nel suo veleno. Non badare alla pietà omicida che t'inebetisce lo spirito, non sia la mala progenie cagione di fine per sé medesima, non sia l'inclita casa d'Aragona destinata ad estinguersi per le proprie mancanze. Giorno verrà che l'agnella insuperbitasi sbranerà il pastore. Atroci le zanne fenderanno la mano che assai lungamente la nutrì e carezzò, che la sostenne il dì ch'essa, nascendo, cascò dabbasso. Quel giorno l'agnella, conosciuta la propria vera natura, farassi feroce, non concederà scampo. Del gregge, perduto, si pasceranno i lupi rapaci, e l'agnella con essi, avanti che i lupi, conosciuto nuovamente il digiuno, nuovamente renderansi sazi. Siffatto destino s'abbatterà implacabile se il pastore non saprà farsi lupo anzi che l'agnella reggasi in su le zampe. Moia l'agnella, il pastore la occida. La mano che regge, pietosa, rilasci. Il sangue suo, immolato, ne sparmierà innumerevole altro, il gregge, riscosso, prospererà negli anni. Deponga adunque il tuo animo ogni clemenza, ogni pietà. Non è bene che sia la salvezza di una la morte di tanti ».

E gli mostrò la morte, la morte sua e di ogni altro, la morte del caro Ferrandino, suo nipote amato, fior di ragazzo, che dopo indomita difesa, allo stremo delle forze, era destinato a soccombere sotto il furore gallico. Vide Alfonso suo perire nell'ignavia, e Federico accettare l'infamia della sconfitta, senza neppure impugnar l'arma; la moglie e la figlia, derelitte, consumarsi nel vituperoso esilio. Tanti ne vide, di uomini, donne, bambini, il popolo suo, falcidiato e disperso, violato, percosso, il regno lasciato in balia delle onde, oltraggiato da un sovrano straniero, e poi da un altro, e da un altro ancora. Vide l'orrore, l'inferno emerso sulla terra; tremò nelle membra tutte, il sangue nelle vene aggelò, fermando il proprio corso, né ancor tuttavia gl'era concesso gridare, per quanto fiato disperatamente richiamasse indietro dall'alveo dei polmoni.

Così com'era venuta, l'ombra disparve. Furono sciolte le intangibili catene. Ferrante si riscosse tremante, diede voce infine a quell'urlo tanto a lungo interdetto. La camicia, madida di sudore, gli s'era incollata sul petto, entro cui il cuore batteva come sul punto di volerlo squarciare. « Pare! pare meu! » tentò di trattenerlo, allungando il braccio ver della fiamma, « pare meu, no te vayas! no! Todo pero esto no! esto no! No puedo! »

Conosceva il prezzo, il sangue, la vittima richiesta dal sacrificio, conosceva il nome di colei la cui vita non era bene giungesse al predestinato fine, e proprio siffatta conoscenza lo faceva impazzire. Quanto amava egli quella bambina, nessuno. Sua gioia, suo orgoglio, l'aveva raccolta uccelletto implume, rigettato dal nido, l'aveva pasciuta e protetta sotto la propria amorevole ala, l'aveva resa la forza e la speranza della propria vecchiaia, ed ora avrebbe dovuto ucciderla? Con quale coraggio?

Non rispose lo spettro, insensibile ai suoi richiami. Rispose invece la servitù la quale, allertata dalle grida, accorse presso il sovrano ad offrirgli soccorso. Egli, rassicuratala sul proprio benestare, la congedò tutta quanta. Tosto si cacciò adunque sopra le spalle tremebonde una turca di velluto pregiato, calzò le pantofole ai piedi e s'avviò per la propria strada.

Nella stanza della piccina tutto era pace e serenità, piccolo regno infantile immune da un mondo d'adulte pretese. Avrebbe egli dovuto turbare ora quella pace col sangue d'un innocente? E quanti ne sarebbero morti, innocenti come lei, s'egli avesse mancato di farlo? Quante madri e quanti padri avrebbero conosciuto quella stessa atroce sofferenza, s'egli l'avesse risparmiata a sé medesimo? Tutti, perfino i suoi altri figli e nipoti, perfino la sua piccola Giovannella ch'ora dormiva beata nella cuna, perfino lei sarebbe perita, s'egli avesse esitato? 

Come lo vide ch'entrava, lugubre in volto, subito la balia Serena si levò dal letto e, strettasi attorno alle spalle una mantella di lana, « don Ferrando », gli s'inchinò dinnanzi, « è accaduto qualcosa? » Mai prima d'ora era giunto il sovrano nel cuore della notte a turbare il riposo della nipote, mai una sua visita l'aveva atterrita sì tanto. 

Il sovrano le fece segno di tacere e di allontanarsi, ordine che la donna eseguì non senza qualche remora, non senza voltarsi più volte a scrutare con sguardo ansioso la bambina che dormiva al caldo delle coperte, quasi presentisse. Ferrante ripeté il comando una seconda ed una terza volta, né la donna poté oltre sottrarsi, bensì, a capo chino, lasciò infine la stanza.

Egli, dolente a morte, s'appresso al letto della bambina. La sua Beatrice restava immersa in un sonno profondo, stringendo al petto una delle pupattole ch'egli di recente le aveva donato; il suo tenero visetto, tondo e paffuto, appariva del tutto sereno, incorniciato dai bruni capelli sbuffanti dalla serica cuffietta che la rendevano così bella da parere ella stessa una bambola. Ah! Con quale ardimento compiere il disegno inumano? Macchiarsi di tale delitto? Questo era dunque il prezzo della salvezza? Sacrificare la sua ragione di vita istessa?

Con la mano tremante afferrò il guanciale sul quale poggiava ella il capo, lo strinse. Il movimento improvviso ridestò la bambina, la quale sollevò insonnolita le palpebre. « Senyor avi? » domandò smarrita, riconoscendo nell'ombra avanti a sé l'amatissima figura dell'avo, frattanto che col dorso della mano si stropicciava gli occhietti, « siete venuto a raccontarmi un'altra storia, senyor avi? »

Ferrante non rispose alcunché, nelle fattezze esteriori immobile, impassibile, proprio come una statua di marmo, ma dentro di sé profondamente distrutto, dovendo nascondere in petto un animo ormai in frantumi che minacciava d'abbattersi su di sé crollando. Beatrice però, l'unica al mondo che paresse non temere minimamente la sua vicinanza, afferrò con la propria manina la sua di molto più grande e lo tirò verso di sé, acciocché si sedesse accanto a lei in letto.

« Vi voglio tanto bene, senyor avi », proferì allora, accoccolandosi contro al suo petto, l'unico rifugio che nella propria fanciullezza sentisse veramente sicuro, « ma proprio tanto tanto... » Ferrante posò la propria mano sulla sua piccola testa, lasciandovi correre sopra le dita. Una lacrima, indesiderata, tracciò solchi giammai battuti sul suo volto segnato dagli anni.

Alla fine, commosso, cedette, la strinse a sé, ripromettendosi che l'avrebbe sempre protetta da ogni male, anche da sé medesimo se si fosse rivelato necessario. « Te ne voglio tanto anch'io, nieta mi... » le sussurrò, baciandola e ribaciandola più e più volte, « sei la cosa più cara che ho a questo mondo ».

E venne infine il giorno che la profezia, inascoltata, si compiva, che l'agnella, ormai adulta, veniva chiamata a tradire e uccidere, e poscia, compiuto il delitto, a morire ella stessa per mano inimica. Così perivano il regno e gli antichi congiunti, così periva ella che li aveva dimenticati. I Fati risparmiarono al vecchio, ormai spento, d'assistere alla caduta dell'uno e dell'altra. Così un amore sorto in un cuore nero e gelido era stato fonte d'una rovina senza eguali.

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Note al capitolo:

(1) Si racconta che Ferrante possedesse una forza sovrumana, tanto che una volta, mentre stavasi recando alla messa presso Santa Maria del Carmine, s'imbatté in un toro inferocito che seminava il terrore per il mercato, lo afferrò per le corna e lo rivoltò al suolo.
(2) Si racconta che sotto le acque di Castel Nuovo risiedesse un coccodrillo, giunto a Napoli dall'Egitto al seguito di certe navi mercantili, al quale la perversa regina Giovanna d'Angiò era solita dare in pasto i propri amanti. Dopo la morte della regina e l'ascesa al trono degli Aragona, ci si accorse che di tanto in tanto dalle prigioni sparivano inspiegabilmente prigionieri. Pertanto Ferrante mise delle guardie ad osservare e scoprì della presenza dell'enorme bestia, la quale si racconta altresì ch'egli abbia soppresso anni dopo soffocandola con una coscia di cavallo.
(3) L'infante Pietro d'Aragona, fratello minore di Alfonso il Magnanimo, morì durante l'assedio di Napoli del 1438, decapitato da un colpo di cannone. 

 

   
 
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