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Autore: Khailea    30/11/2020    0 recensioni
ATTENZIONE QUESTA STORIA CONTIENE SPOILER, DA LEGGERSI PREFERIBILMENTE DOPO AVER COMPLETATO ALMENO UNA DELLE ROUTE DEI SEI PERSONAGGI
Storia del background del personaggio principale (MC), in questo caso mio OC: Agata
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Conte Lucio/Montag Morgasson, MC, Muriel, Nadia Satrinava
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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ATTENZIONE, QUESTA STORIA CONTINENE SPOILER, DA LEGGERSI PREFERIBILMENTE DOPO AVER COMPLETATO ALMENO UNA DELLE ROUTE DEI SEI PROTAGONISTI






Dall’inizio della pandemia che aveva messo in ginocchio Vesuvia, sono trascorsi appena quattro mesi e tredici giorni, ed ancora non c’è traccia di una cura. Apparentemente nessuno può dirsi al sicuro da questo terribile male, dai borghi più poveri alle case più ricche, tutti hanno vissuto da vicino la terribile esperienza che la peste rossa ha portato con sé. Certo, è possibile ritardarne gli effetti, ma solo se hai abbastanza denaro da permettertelo, e ben pochi ormai possono farlo, mentre i morti continuano ad aumentare sempre di più.
Non si sa quali siano le cause, se i ratti, l’acqua o qualche altro veicolo, ma sono ben noti i sintomi; si comincia con una forte tosse, accompagnata dalla perdita di sangue, il corpo si indebolisce mentre le vene s’ingrossano divenendo quali violacee, e l’iride si fa completamente rossa, come se dei vasi si fossero rotti, infine, la morte sopraggiunge. Fino ad ora nessuno è riuscito a sopravvivere, a prescindere dall’età e dalla posizione sociale. Proprio per questo motivo la gente è terrorizzata e cerca di fuggire il più lontano possibile.
Dall’inizio di tutto ciò le condizioni della città sono peggiorate drasticamente, anche se già prima erano alquanto precarie; l’economia è completamente crollata, chi già prima viveva in condizioni di miseria ora si trova completamente per strada, senza possibilità di poter lavorare e di guadagnare del denaro per le medicine. Non è nemmeno più possibile uscire di casa, e gli unici a vagare per le strade sono i carri che trasportano mucchi e mucchi di cadaveri.
Il loro numero è aumentato a tal punto da rendere necessario l’isolamento dei malati, e per questo è stata scelta la vicinissima isola Lazaret; ai primi segni della malattia le persone sono portate via dalle proprie case e tramite una barca vengono condotte lì a morire.
Per evitare l’ammucchiarsi di troppi corpi ed il rischio che le condizioni di contagio peggiorino si è predisposto addirittura un piccolo edificio per bruciare i cadaveri, anche se, naturalmente, visto andare sull’isola è un chiaro segno di morte tanta gente cerca di sfuggirle chiudendosi in vicoli o in case, ma in un modo o nell’altro vengono sempre portati via.
La sua ombra segue costantemente la città, ricordando a ciascuno che un giorno potrebbe dover raggiungerla.
Nonostante Vesuvia sia ormai diventata una città fantasma, proprio come c’era chi aveva scelto di fuggire, c’erano anche persone che avevano volontariamente scelto di rimanere; si parla di individui troppo legati alle loro case per lasciarle, o gente che non ha possibilità di andarsene, ma in particolar modo di valenti medici che hanno dedicato la propria vita alla scoperta della cura della peste rossa.
E’ proprio tra questi ultimi che si parla anche di Agata, una giovane donna di venti-tre, dal roseo viso morbido e gentile, in grado di regalare un po’ di pace a chiunque con i suoi grandi occhi marroni e la dolce voce, sempre pacata e mai sgarbata. I suoi capelli castani sono solitamente sempre legati in una coda di cavallo, che si lascia sfuggire solo la frangetta sul viso. Il suo corpo minuto non le riserva una particolar altezza, ma è morbido come i lineamenti del volto.
In verità però è solo da tre mesi che ha cominciato a ricoprire il ruolo di medico, in quanto durante la maggior parte della sua vita si è dedicata all’arte della magia e degli arcani.
Fino al compimento dei suoi diciannove anni ha vissuto viaggiando tra il nostro mondo e quello degli arcani, esseri dalle abilità superiori e dall’indomita magia, ciascuno dei quali ha sotto il suo controllo un regno dentro i quali la magia stessa delle persone si riflette sull’intero mondo. Lì Agata ha potuto accrescere le sue conoscenze, divenendo un’incredibile maga già in giovane età, la cui conoscenza non ha fatto altro che espandersi. Fu solo in seguito all’eredità inaspettata di una zia lontana che la ragazza si è stabilità permanentemente a Vesuvia.
L’eredità comprendeva una piccola somma in denaro ed un negozio di soli due piani, entrambi molto stretti; al primo si trova innanzitutto un lungo bancone, sopra al quale la ragazza aveva sistemato oltre alla cassa alcuni articoli di poco conto, utili solo per attirare l’attenzione con la vivace luce da loro emessa. Alle pareti invece si trovano scaffali su scaffali i cui contenuti variano da medicinali, pozioni e chincaglierie eccentriche. Un piccolo angolo sistemato dietro ad una tenda è però riservato alla lettura delle carte degli arcani, attraverso le quali gli arcani stessi possono comunicare con colui che le legge, se questo possiede abbastanza sapienza per ascoltarli.
Con il tempo le letture si sono fatte molto apprezzate, e lo spazio è stato abbellito con una splendida tovaglia violacea sistemata sopra al tavolo rotondo ed alcune particolari luci che pendono dal soffitto.
Per raggiungere il secondo piano è possibile utilizzare una scala semi nascosta dietro ad un’altra tenda, e di sopra lo spazio è stato diviso in tre stanze; la cucina, la camera da letto ed il bagno.
La camera da letto ha al suo interno un materasso sistemato per terra, con almeno sei o sette cuscini sopra, un armadio per sistemare i vestiti, uno specchio e numerosi scaffali sui quali spesso si trovano piccole piantine o gemme lucenti, il cui valore però è minimo.
Il bagno è invece la stanza più piccola in assoluto, con una vasca grande appena per una sola persona, un lavandino ed un gabinetto. In qualche modo la ragazza è comunque riuscita ad abbellirlo decorando le pareti, in particolare il punto vicino alla finestra che era pieno di catenelle e campanelli; da lì osservare il tramonto mentre si godeva l’acqua calda della vasca è sempre stato un piacere.
La cucina invece è un po’ più grande delle altre stanze, con persino una stufa, vari mobili con dei cassetti, un lavandino ed un tavolino dove poter mangiare.
Dopo essersi trasferita lì Agata ha riservato la stufa ad un piccolo amico trovato durante i suoi viaggi nei regni degli arcani; una piccola lucertola dal corpo dorato, in grado di produrre fiamme abbastanza calde da poter cucinare qualunque cosa.
Il segreto è chiederglielo gentilmente.
Nel corso del tempo ha apportato varie modifiche al negozio, ma l’insegna esterna raffigurante un pestello circondato da un serpente è sempre rimasta. Inoltre è stato proprio dopo aver ereditato quel luogo che la ragazza si è appassionata alle erbe curative, e poco dopo alla medicina.
Con le sue conoscenze e la possibilità di muoversi nei regni degli arcani, reperendo erbe quasi sconosciute, ha dato vita all’attività ereditata, espandendo il nome del negozio in tutta la città.
Con lo sviluppo della peste rossa si è però reso necessario un considerevole aumento del numero di medici e volontari, ed è stata fatta perciò richiesta a tutti coloro possedessero esperienze anche basilari di aiutare la causa.
Per il momento lei è ancora considerabile come apprendista di uno dei medici a palazzo, ma la sua forza di volontà ed il suo desiderio di aiutare il prossimo la stanno già portando lontano.
Nonostante questo gravoso incarico però il negozio non è rimasto abbandonato, soprattutto grazie al fatto lei non è l’unica a gestirlo.
Con la ragazza infatti vive il suo migliore amico, Asra, un individuo eccentrico e talvolta misterioso.
Rispetto ad Agata è molto più alto e snello, dalla pelle marrognola ed i morbidi capelli bianchi con cui la ragazza si diverte sempre a giocare. I suoi occhi violacei gli impediscono di nascondere le emozioni che prova, buone o cattive che siano, ma proprio per questo sono in grado di incantare molte persone.
Solitamente indossa una camicia bianca arrotolata alle maniche e sbottonata per rivelare il petto, alle spalle poi tiene uno scialle color magenta ed una sciarpa marrone.
Anche lui è un mago, interessato in particolare alla lettura delle carte. Agata lo ha incontrato circa cinque anni prima, durante una delle feste in maschera nel palazzo di Vesuvia; da sempre sono l’evento più atteso dai nobili della città, e soprattutto dal conte di Vesuvia che non bada mai a spese per rendere la festa di volta in volta sempre più sbalorditiva.
Al tempo erano ancora dei ragazzini ma nacque tra loro subito una fortissima intesa.
Nel corso degli anni Agata gli ha insegnato tutto ciò sapeva sulla magia e su come ampliarla, portandolo con sé anche nei suoi viaggi nei regni degli arcana. Questi si sono rivelati spesso pericolosi e non sono mancati scontri o ferite, ma niente ha mai impedito loro di tornare.
Quando la ragazza ereditò il negozio gli propose subito di vivere assieme, e naturalmente lui ha accettato di buon grado.
Rispetto al lei però, le cui responsabilità sono aumentate, ben presto il ragazzo ha iniziato a viaggiare sempre di più per i regni, anche da solo, portando però a casa nuove erbe e oggetti incredibili.
In questo modo contribuisce a mandare avanti il negozio, in particolar modo prendendosi cura della lettura dei tarocchi.
Non sono però in verità gli unici coinquilini del negozio, con loro ci sono anche i loro famigli, ovvero animali legati alla persona, che li seguono in ogni circostanza.
Il compagno di Asra si chiama Faust, una femmina di serpente dalle scaglie color lavanda e gli occhi rossi. E’ molto vivace ed affezionata anche ad Agata, con la quale certe volte rimane a casa mentre Asra è in viaggio.
Il famiglio della ragazza è invece un drago di komodo di nome Neem, dal nome di una pianta rara. Si tratta di un rettile di tre metri dalle scaglie grigie e la lunga lingua rosea, che nonostante le apparenze non ha mai fatto del male a nessuno, se non per necessità.
La loro amicizia è iniziata ben prima di conoscere Asra, quando ancora la ragazza era una bambina. Già da allora lei ed i suoi genitori, maghi e commercianti, si spostavano continuamente per ogni luogo, ma durante il loro viaggio nel deserto vicino a Vesuvia la piccola ha notato un piccolo uovo abbandonato nella sabbia.
Non appena l’ha raccolto questo si è schiuso, rivelando la creatura al suo interno. Da quel giorno non si sono più separati, ed i denti del famiglio, spesso rimpiazzati con dei nuovi, erano un ingrediente essenziale per alcune miscele curative.
La casa è senz’altro piccola, ma piena di serenità ed affetto.
Visto lo spazio Asra ed Agata sono stati costretti a dividere anche il letto, ma non è mai stato un problema per loro; l’amicizia che li legava impediva si creasse alcun genere di imbarazzo.
Negli ultimi tempi però con l’arrivo della peste rossa anche per loro la vita è diventata più difficile, soprattutto da quando Agata è diventata un medico al servizio del palazzo del conte. Di base Asra prova già una fortissima antipatia per quest’ultimo, ma è soprattutto il timore possa accadere qualcosa alla ragazza che lo spinge ogni giorno a tentare di convincerla a non andare, proprio come questa mattina.
Normalmente Asra è una persona molto affettuosa con lei, e non elemosina abbracci anche la notte, per questo spesso si svegliano in una posizione in cui lui la tiene per la vita.
E’ proprio così che sono in questo momento, con lei che tenta di alzarsi mentre lui sprofonda il viso nella sua pancia.
-Ancora cinque minuti…-
-Asra, devo andare.-
Accarezzandogli i capelli la ragazza cerca di convincerlo con gli occhi ancora chiusi dal sonno.
-Potresti restare, ci sono tante persone a palazzo.-
-Hanno bisogno di me.-
-Ma anche io ne ho bisogno.-
Protesta lui guardandola con fare supplichevole, suscitando una piccola risata. Faust e Neem nel frattempo dormono ancora, lei sulla testa di lui ed entrambi con le lingue di fuori.
-Coraggio, tornerò stasera.-
Alla fine la ragazza riesce, come ogni volta, a liberarsi dalla sua presa, anche se lui continua a fissarla dal letto, chiedendole implicitamente di tornare lì.
Dirigendosi verso l’armadio Agata prende tra le poche cose presenti la divisa da lavoro, un semplice abito nero composto da un bustino stretto provvisto di una cintura marrone piena di tasche, una gonna lunga fino alle ginocchia, dei guanti neri che arrivano fino alle spalle, e la maschera bianca usata dai dottori avente una forma a becco.
Copriva l’intero viso ed ha delle lenti rosse sugli occhi che li nascondono perfettamente. I becchi sono riempiti con delle erbe per evitare il contagio, ma non è garantito non accada loro nulla ed anzi sono stati molti i medici morti a causa della peste rossa.
Prima di cambiarsi però Agata si dirige verso il bagno, concedendosi una velocissima vasca prima di prepararsi. Una volta uscita dalla vasca anche Asra è già vestito.
-Sei sicura di voler andare? Potremmo partire per un altro viaggio assieme.-
Ormai sono mesi lui è l’unico ad andare nei regni degli arcani, ma lei scuote il capo come ogni volta glielo chiede.
-Devo restare qui.-
-Perché? Rischi solo di ammalarti, ed io non voglio ti accada qualcosa.-
Prendendole entrambe le mani Asra parla con tono supplichevole, ma Agata non può accontentarlo, anche se la fa soffrire vederlo così.
-Devo cercare di aiutare quanta più gente possibile. Forse presto troveremo la cura e se riuscissi a rallentare gli effetti della peste potrebbero sopravvivere.-
-Ma nessuno è ancora sopravvissuto…-
E’ vero, ma per quanto come affermazione sia molto forte Agata non può rinunciare all’idea che un giorno le cose cambino.
Abbracciandolo gli fa capire è il momento per lei di andare, e dirigendosi verso le scale si infila la maschera.
-Neem, è ora di andare.-
Anche gli animali e le piante vengono contagiati dalla peste, ed infatti questo ha compromesso sia l’allevamento che l’agricoltura, ma il drago di komodo non l’avrebbe mai abbandonata. Se non l’avesse vista una volta svegliatosi sarebbe subito uscito a cercarla.
-A presto Asra.-
Con quest’ultimo saluto la ragazza ed il suo famiglio procedono verso l’esterno, trovando come ormai ogni giorno la città semi-deserta; la sua desolazione impedisce perfino di godersi la bellezza del cielo, quasi come se questo fosse una beffa al danno che le persone stanno vivendo.
La meta della ragazza è al momento il castello del conte di Vesuvia, e per raggiungerla il modo più breve è attraversare il mercato. Normalmente questo sarebbe pieno di persone e dell’odore delle spezie dei mercanti, ma ormai di ciò è rimasto un vago sentore.
I negozi hanno tutti le serrante chiuse, e gli unici a trovarsi ancora fuori sono le colombe alla ricerca di qualche briciola di pane.
Fa quasi venire i brividi sentire i propri passi sui ciottoli del mercato, ed anche Neem percepisce la forte tensione della padrona. Questa però guardandolo da sotto la maschera gli accarezza con gentilezza la testa.
-Va tutto bene. Star dentro o fuori casa ormai non cambia molto dall’ammalarsi, quindi è importante che ci impegnato per trovare una cura il prima possibile.-
Il drago di komodo tira fuori la lingua in un gesto d’approvazione, seguendo la padrone con rapidi passi.
L’intera città seguendo un intricato sistema di canali è stata costruita su più livelli di terreno, ed il mercato si può dire è a circa metà tra quelli più alti, dove si trovano le zone più ricche o comunque più eleganti, e quelle più basse, ovvero i borghi dove la fame ha sempre attanagliato le persone. Per questo motivo si possono trovare varie strade e strette viuzze sia in salita che in discesa, ed una volta queste possedevano un fascino particolare tale da invogliare molti lettori di tarocchi a fermarsi nei dintorni.
Quasi ad Agata mancano quelle persone, anche se spesso si rivelano dei truffatori, per così dire. Le poche volte però si è fatta leggere le carte o la mano da loro è stato divertente.
Erano a questi ricordi che lei si aggrappava, per darsi la carica necessaria ad impegnarsi ancor di più nel suo lavoro, ed a contribuire nel riportare la felicità per quelle strade.
Ad un certo punto però con la coda dell’occhio nota una figura seduta in un angolo della strada, coperta da un rozzo panno grigio. Immediatamente le si avvicina, e la persona sotto d’esso sussulta; infondo i vestiti dei dottori sono tutt’altro che rassicuranti, ed averli vicini significa essere a stretto contatto con la peste rossa, e certamente nemmeno Neem è molto rassicurante.
Agata però non ha dubbi, già solo notando l’iride arrossata e le vene attorno al collo è certa la persona ha davanti sia già gravemente malata. Si tratta di un uomo che avrà pochi più anni di lei, e che nonostante questo è completamente pelle ed ossa.
La peste deperisce notevolmente il corpo, ma non è scontato pensare fosse in queste condizioni da molto più tempo.
Inginocchiandosi la ragazza mette mano ad una delle tasche della cintura, mostrando all’uomo una piccola boccetta e porgendogliela.
-E’ una medicina, ti aiuterà a lenire il dolore.-
Tremando l’uomo l’accetta, tossendo più volte e macchiando il panno di sangue. Non può dirgli avrebbe potuto guarire, e nemmeno che il dolore sarebbe cessato, però con quel piccolo gesto spera d’aver contribuito a qualcosa.
Senza aggiungere altro quindi si allontana, salutando con un solo gesto del capo, rimanendo in silenzio.
In circa un quarto d’ora la ragazza arriva fino ai cancelli del palazzo, situato nella parte più alta della città e distante dalle altre abitazioni. Inutile provare ad indovinare quante stanze ha, forse solo i domestici più esperti possono saperlo. Il gigantesco giardino che lo circonda è segnato in parte da un recinto di ferro nero, ma alle spalle del palazzo si apre un folto bosco e da lì segue la campagna.
Dopo il grande cancello segue una strada di ciottoli bianchi, che conduce ad una scalinata in marmo ed al portone d’ingresso principale. I muri sono prevalentemente bianchi, dai tetti dorati e le alte finestre lucenti.
E’ così in contrasto con la maggior parte del regno, segnato dalla povertà; questo luogo esprime sfarzo da ogni angolo.
Normalmente al cancello si trovano solo due guardie, ma per la sicurezza dei regnanti e dei nobili all’interno la sicurezza è stata aumentata, ed ogni tot metri si può trovare una robusta armatura pronta a bloccare chiunque voglia passare, ad eccezione dei medici naturalmente. Agata difatti viene subito lasciata passare, e raggiunge così il portone d’ingresso.
Dal salone principale si aprono immediatamente numerose vie, tre le quali almeno sette porte collegate a dei corridoi ed una prima rampa di scale che conduceva ad altre zone del palazzo. Le porte sotto d’essa portano a zone secondarie, mentre procedendo sulla scalinata ed oltrepassando l’arcata immediatamente seguente si entra nel corridoio principale, al quale sono connesse numerosissime vie e stanze. Arrivandovi infondo si giunge al salone normalmente usato per le grandi feste a palazzo, ma non è lì che Agata si dirige.
Prendendo un corridoio alla sua destra si sposta infatti verso una zona normalmente usata per incontri di piccoli gruppi di persone, formata da varie stanze scelte in base al tipo di ospiti con cui si dovrà discutere.
Senza entrare in nessuna di queste stanze però, e proseguendo lungo il corridoio, si arriva fino ad un ampio bancone bianco, situato ad appena un piano sopra il terreno ma che regala una meravigliosa vista del giardino del palazzo e dei suoi alberi.
Seduta davanti ad un piccolo tavolino di vimini si trova Nadia Satrinava, la contessa di Vesuvia; una donna molto alta, dalla carnagione scura ed i lunghi capelli viola che toccano quasi terra nonostante siano tenuti in una coda di cavallo. I suoi sottili occhi rossi sembrano appartenere ad un altro modo, esotico e magnifico quando sconosciuto e pericoloso. E’ vestita con un sottile abito color lillà dalla gonna celeste, finemente decorato con un bustino dorato, dal quale partono delle sottili fasce che coprendo il seno s’intrecciano al collo, lasciando così intravedere parte del nudo petto. Alle braccia ed alla schiena invece il tessuto è trasparente, con un leggero accenno di bianco che fa risaltare la pelle della donna.
Ai polsi ed alle dita indossa vari bracciali ed anelli doro, e dello stesso tipo sono anche gli sfarzosi orecchini ovali adornati da gocce di giada.
Al capo infine è cinta una sottile corona di perle, che lascia cadere sulla fronte un’unica gemma verde.
Da ormai sei anni è moglie del conte di Vesuvia, ma affermare tale matrimonio le abbia giovato è qualcosa di assai incerto. Nei primi anni la donna ha cercato di migliorare le condizioni della città, ma i risultati sono stati magri, soprattutto a causa dell’indolenza del marito.
La difficoltà nel fargli prendere qualsiasi decisione importante, le priorità nettamente contrastanti ed i loro caratteri così differenti hanno alla fine scoraggiato la donna a tal punto da far sembrare ogni intervento utile alla città praticamente impossibile da attuare, ed alla fine ha perfino rinunciato a provare.
Non c’è da stupirsi che il suo volto sia diventato ormai una maschera d’apatia.
-Oh, buongiorno Agata.-
Fino a non molto tempo fa la contessa non sapeva nemmeno della sua esistenza, ma è stato grazie ad Asra se le due si sono avvicinate.
Grazie a numerosi voci che hanno preso a circolare sul conto del mago l’interesse della donna nei suoi confronti è via via aumentato, visto ha sempre preferito aver vicino gente di cui si parlava per evitare d’averi come nemici, e dopo i primi incontri i due hanno scoperto una piacevole reciproca compagnia.
Da molti anni ormai il ragazzo frequenta il palazzo, anche se non assiduamente, e non appena Agata ha iniziato a lavorarvi come medico ha subito chiesto alla contessa di controllare stesse bene. Erano così cominciate alcune conversazioni tra loro, e proprio come è stato per Asra anche Agata è entrata nelle grazie della donna, ottenendo perfino il permesso di portare Neem con sè.
Ormai da mesi prima di procedere a lavorare la maga infatti la va ad incontrare non appena mette piede a palazzo, tenendole compagnia in quella che ha notato essere una vita piena di solitudine.
-Buongiorno contessa.-
-Ti prego, queste formalità sono ormai innecessarie.-
Anche quando sorride i suoi occhi rimangono vuoti.
-Come si sente stamattina? Ha dormito bene? Sente qualche tipo di affaticamento?-
Questi sono dei semplici controlli sullo stato di salute della donna, che scuote il capo appoggiando la testa su una mano.
-L’unico lato positivo di tutta questa situazione è che non sono costretta a dormire nella stessa camera di mio marito, anche se posso comunque evitarlo, ma almeno non devo sentirlo lamentarsene.-
Le frecciatine al conte non sono cosa rara nelle sue conversazioni, e così nemmeno gli sentimenti ormai traspare con chiarezza da lei; irritazione e risentimento.
Con garbo Agata si siede dall’altra parte del tavolino, con Neem che si sistema ai suoi piedi. Tra le due c’è una scacchiera sfatta, probabilmente la contessa per passare il tempo ha fatto qualche partita in solitaria.
-Vuole giocare?-
Chiese la maga sorridendole.
-Perché no. Sarà piacevole poter giocare con qualcuno che non mi farà vincere a prescindere.-
Nadia Satrinava è competitiva, non solo in simili giochi. Vincere le piace, ma non le piace quando non è meritato e senza riconoscimento. Agata è stata la prima da quando è arrivata a palazzo a giocare veramente contro di lei con l’intenzione di batterla, e nonostante le aspettative di tutte non le è stata tagliata la testa; infondo non stava giocando contro il conte.
-Oggi pomeriggio avrò un incontro con i cortigiani. Dovrebbe servire a migliorare le condizioni della città e ad aiutare il popolo, ma non ho dubbi saranno solo ore perse inutilmente tra le loro urla ed esigenze cupidigie.-
Effettivamente non erano mai stati d’aiuto al popolo; Vulgora, Volta, Valdemar, Vlastomil e Valerius. Ciascuno di loro ha influito sulle condizioni della città, spesso riducendola in peggio. Non sono stati scelti da Nadia però, bensì dal conte Lucio, e già questo può dir qualcosa sul loro conto.
Sono conosciuti per essere avidi ed egoisti, e certamente ben più di una persona li vorrebbe fuori dal palazzo, eppure da anni mantengono il loro ruolo, e non sembrano intenzionati a lasciarlo. In un certo senso più che il conte e la contessa sono loro a controllare Vesuvia, in quanto molte delle scelte prese dal conte sono suggerite dai cinque.
Tra loro e Nadia non scorre certo buon sangue per questo, ma neppure lei ha mai potuto far nulla. Ritrovandosi di fronte a così tanti ostacoli quasi non sorprende la sua rassegnazione.
-Come procedono le ricerche per la cura?-
Chiede ad un certo punto la contessa, mentre la partita è appena iniziata.
-Ancora non ci sono passi avanti. Abbiamo trovato alcuni sistemi per rallentarli, ma non danno altro che poche settimane in più.-
Non avrebbe senso nasconderglielo, per quanto stiano cercando di trovarla il prima possibile sembra ancora irraggiungibile.
-Capisco.-
Nemmeno notizie simili scuotono qualcosa in lei ormai. Purtroppo da molto tempo ha creato un muro attorno a sé, allontanando chiunque potesse avvicinarsi, forse nemmeno Asra è in grado di superarlo completamente.
La partita va avanti per svariati minuti, prima che la contessa si fermi intuendo la strategia dell’altra.
-Sei diventata brava in poco tempo. Quante partite avremo fatto da quando ci conosciamo?-
-Almeno una ventina.-
Infondo andandola a trovare ogni mattina non è raro abbia già sistemato la scacchiera, anche se non sempre è così.
-Devo dire la tua compagnia è molto piacevole, non si può dire lo stesso per molte persone a palazzo.-
Continua la donna muovendo uno dei pedoni.
-Anche io mi trovo a mio agio in vostra compagnia.-
Al contrario della contessa Agata non fa osservazioni suoi cortigiani, anche se li ha già incontrati tutti durante i mesi di lavoro. Normalmente preferisce dire in faccia alle persone ciò che pensa di loro, anche se sa bene non in tutti i casi conviene.
Vulgora è decisamente tra i più difficili da approcciare, il suo carattere aggressivo non vede altro che reazioni violente alle cose, e non si può nemmeno pensare d’intavolare una conversazione civile, vista la tendenza ad urlare costantemente. Subito dopo, secondo la visione di Agata, c’è Valerius, che nonostante sia decisamente più pacato nei modi il suo essere subdolo è pari all’aggressività di Vulgora. Nemmeno lui ha paura di dire agli altri ciò che pensa, ma è estremamente raro pronunci qualche complimento sincero, e se lo fa s’affretta immediatamente a mostrare un atteggiamento di superiorità. La prima volta l’ha incontrata si è limitato ad una smorfia di disappunto. Vlastomil è altrettanto difficile da approcciare, ma più per la sua completa adorazione per i vermi, che rendono ogni conversazione incentrata su di essi. Anche quando la ragazza ha provato a parlargli riguardo il numero di morti in crescita lui si è limitato a dire che questa situazione rischia solo di portare stress ai suoi “tesorini”, come li chiama lui. Volta invece è forse tra le più facili con cui parlare, anche se pare sia costantemente affamata, e questo la distrae molto. Al contrario degli altri però si potrebbe dire abbia un animo più…buono. Non dà l’aria di qualcuno che si sente Dio sceso in terra, non tratta con sufficienza le persone, ed a tratti è perfino dolce nei suoi modi quasi bambineschi. La sua fame eccessiva è l’unica nota sbieca nel suo carattere, a quanto pare a lei è stato affidato il compito di organizzare le scorte di viveri della città, ma una grandissima parte sembrano essere finite nella sua pancia. Per cercare di comprendere la sua situazione Agata l’ha perfino visitata, ma nulla sembra placare la sua fame, ed apparentemente non ha alcun virus o parassita in sé. E’ talmente ingenua poi che si lascia spesso e volentieri sfuggire alcuni dettagli importanti sul suo operato e quello degli altri, ma è evidente non faccia nulla con cattiveria.
Dei cortigiani rimane infine Valdemar, di cui è molto difficile dir qualcosa. E’ particolare, quasi inquietante. Sembra il suo unico interesse sia la scienza e l’analisi degli esseri viventi, anche se si concentra molto sui cadaveri. Dall’inizio della peste rossa si può dire sia l’unica persona il cui umore è migliorato. “E’ un periodo meraviglioso per la ricerca”, ripete spesso. Probabilmente non ha alcuna empatia per le famiglie che perdono i loro cari, e per i danni tutto ciò sta causando a Vesuvia. Purtroppo però i due si incontrano quasi ogni giorno, in quanto quasi tutti i medici della città nell’ultimo mese sono stati obbligati a lavorare al palazzo per trovare una cura, ed il motivo è semplice; il conte Lucio si è ammalato.
L’obbiettivo ultimo è quello quindi di salvargli la vita, o almeno questo è ciò è stato comunicato a tutti i medici ed infermieri. Fino a quel momento non aveva mai dato un netto impulso alla ricerca della cura, e per molte persone questa era la prova definitiva del suo egocentrismo.
Vlademar comunque è a capo dell’intero sistema di medici, e controlla ogni loro movimento, per questo motivo Agata deve sopportare di vedere la sua faccia ogni tot ore, e non è certo velata l’antipatia nei suoi confronti. “Sei troppo emotiva, questo è un danno per il tuo lavoro” è la frase che più le ha detto nei momenti in cui le serviva una pausa dopo la morte di un paziente.
E ciò non era un evento raro…
-Agata?-
Involontariamente la ragazza si era persa nei suoi pensieri per svariati minuti, perdendo la concentrazione sul gioco.
-Mi scusi.-
Immediatamente sposta una delle pedine, che viene mangiata dalla torre della contessa.
-Se ti distrai rischi di perdere.-
-Vero, e contro un avversario come voi non è proprio il caso.-
Un debole e stanco sorriso si crea sulle labbra della donna. Complimenti che fanno accenno alle sue capacità fanno sempre effetto, anche se minimo.
-Tu si che sai come lusingare una donna.- continua Nadia spostando un’altra pedina. -Ma questo non ti farà vincere.-
Agata cercò subito di rispondere alla sua mossa, ma nessuna poteva toglierla da quella situazione.
-Scacco.-
La vittoria va alla contessa, che rapidamente sistema i pezzi.
-Siamo a dieci vittorie contro otto per me.- afferma la contessa, la cui memoria è sorprendentemente buona.
-Forse la prossima volta arriverò a nove.-
Con un piccolo inchino Agata si allontana, lasciando la contessa sola e procedendo verso le segrete del palazzo. C’è un motivo ben preciso del perché ciascun medico di Vesuvia è costretto a recarsi fin lì, e va oltre il semplice fatto di mantenere quanta più distanza possibile da ogni altra persona. Il motivo, anzi, i motivi, vanno ricercati nel bisogno del conte Lucio di costringerli a lavorare quasi incessantemente per trovare una cura, tenendoli stretti in pugno in un luogo a lui facilmente accessibile e dove abbia la certezza d’avere tutto sotto controllo, e nel bisogno di Vlademar di non lasciarsi sfuggire nessuna delle sue cavie. Fin dal principio ha sempre messo in chiaro come ogni singola persona lì dentro, dottore o malato, non abbia altra rilevanza se non soddisfare la sua curiosità, il che significa anche implicitamente non ritiene nessuno di loro in grado di trovare una cura.
Non è certo semplice lavorare a fianco di una persona simile, il più delle volte anzi ti fa quasi desiderare di rinunciare, ma Agata ha sempre trovato conforto in Neem, che standole a fianco le da la forza di andare avanti.
Il passaggio per raggiungere le segrete usate dai medici si trova in un luogo particolare, di cui quasi nessuno è informato, ovvero la biblioteca al primo piano del palazzo. Ad una prima occhiata questa è assolutamente incantevole, con scaffali su scaffali pieni di libri, bianche colonne in marmo che sostengono un balconcino su cui si può camminare per raggiungere i libri posti vicino al soffitto, ed una splendida finestra a mosaico che lascia entrare una serena luce azzurra.
Tramite un meccanismo di leve azionato muovendo tre libri, uno rosso, uno nero ed uno dorato, la libreria su cui essi sono riposti scorre sul lato, rivelando così un basso tunnel illuminato solo da alcune sporadiche torce. Il passaggio è stretto e claustrofobico, ma nulla in confronto a ciò che si prova raggiungendo il fondo del tunnel.
Un imponente cancello di ferro nero sbarra la strada, lasciando soltanto intravedere la gabbia di metallo dall’altra parte, unico passaggio per scendere nelle segrete. Un’oscura luce rossa penetra tra le fessure, assieme ad un forte fetore di cadavere, impossibile da ignorare perfino con la maschera che Agata sta indossando.
Soltanto i medici dispongono di una copia della chiave che può aprire il cancello, facendo scattare l’intricato sistema di serrature che la blocca. Sopra la serratura si può leggere a chiare lettere un’incisione che perseguita la ragazza ogni volta vi si trova davanti:
“Mani insanguinate possono girare la chiave. Conosci il peso dei tuoi peccati, ed entra.”
Ogni volta che si avvicina a quel luogo è come se venisse circondata da un’aura di pestilenza e morte, e sa molto bene ormai che su quel lucchetto è stato posto un incantesimo che impedisce a chiunque di passare, a meno che non rispetti la sua richiesta.
I peccati di Agata…prima di allora le uniche cose le sarebbero venute in mente potevano essere alcuni furti con Asra per trovare qualcosa da mangiare, o poco più, ma da quando lavorava a palazzo il concetto di peccato è molto cambiato per lei. Tutte le persone che non ha potuto salvare, coloro che ha usato come esperimenti nel nome della scienza e per trovare una cura, cavie di orribili esperimenti e morti per fallimentari tentativi. Non importa quanto continuasse a ripetersi durante le notti insonni che era necessario, e nemmeno le sue lacrime ed i pianti disperati valevano qualcosa. Il sangue di decine e decine di persone è sulle sue mani, e non può farci assolutamente nulla. Quasi si da dell’ipocrita quando rimprovera Vlademar dei suoi comportamenti, ma la differenza fondamentale tra i due è che lei non ne prova affatto piacere.
Con un debole sospiro gira la chiave nella serratura, accarezzando la testa di Neem mentre il cancello si apre.
La gabbia dall’altra parte è grande a malapena per far passare una persona, ma in qualche modo lei e Neem riescono a starci, e tirando una leva azionano il macabro ascensore che li fa sprofondare sempre più in basso. L’atmosfera peggiora di metro in metro, fino al punto di dare la nausea, quando si arriva sul fondo.
La gabbia si apre su un nuovo corridoio, completamente dritto ma pieno di porte ai lati, dentro cui ciascuna si trovano dei malati della peste che vengono usati per fare esperimenti al fine di trovare una cura. Le condizioni in cui sono tenuti però sono inadeguate alla loro situazione, a malapena vengono nutriti e dormono su della paglia malmessa sul pavimento. Le loro urla strazianti spingono Agata quasi a strapparsi le orecchie dal senso di colpa che prova ogni volta vi passa davanti. Sta facendo tutto questo per aiutarli, per sperare in un domani con una cura, ma non è una giustificazione sufficiente, eppure va avanti.
Tra di loro si trovano anche alcuni medici ed infermieri che durante le ricerche si sono ammalati, e che ora rischiano di morire da un momento all’altro.
La stanza che si apre infondo al corridoio è ancor più grottesca però; nonostante le notevoli dimensioni, i muri in pietra scura senza alcuna decorazione, ma con solo alcuni scaffali pieni di vasi in cui sono stati sistemati alcuni organi e attrezzi, danno l’idea di uno spazio estremamente ristretto, ma ciò viene smentito non appena si posa lo sguardo sugli innumerevoli tavolini sistemati in vari punti sul pavimento. Ciascuno di loro dispone di cinghie e robusti legacci per bloccare le persone sopra di essi, in modo non possano interferire con le operazioni e le analisi dei corpi. Purtroppo spesso si opera più sui vivi che sui morti, e si è smesso con il tempo di togliere il sangue da essi.
Non c’è traccia di nessun cadavere, ma un forte fetore arriva da un pozzo situato in un angolo. E’ lì che vengono buttati tutti i corpi, e nonostante la ragazza non vi abbia mai guardato all’interno è sicura ci sia qualcosa che li mangia ogni volta. Lungo la parete a sinistra dell’entrata ci sono però numerose porte, che danno su dei piccoli e stretti stanzini usati dai medici quando rimangono lì per più giorni a studiare i corpi dei malati. Le loro condizioni però non sono certo migliori di quelle dei pazienti, l’unica differenza è che se vogliono possono andarsene. Alcune di esse hanno però delle scrivanie e degli scaffali, pieni di appunti e libri di medicina tramite cui si cerca disperatamente di trovare una cura per la peste rossa.
Visto però il numero di persone già legati ai tavoli, è evidente non si ha avuto molto successo fino ad ora.
Il conte tuttavia non sa quasi nulla di ciò accade in quel luogo, l’unico suo pensiero è che riescano in qualche modo a salvargli la vita. Da un lato si può pensare che mantenersi volontariamente all’oscuro di ogni dettaglio possa essere una scelta completamente irresponsabile, ma Agata non può comunque fare a meno di credere sia dettata prevalentemente dal terrore.
Di fronte alla morte le persone possono fare cose disperate…
Al momento, l’unica persona oltre ad Agata è il dottor Julian Devorak, un uomo alto e snello, dai capelli ramati capelli ricci e dagli occhi grigi, perennemente stanchi e semichiusi, con ombre violacee attorno a loro. Il suo colorito pallido è messo tremendamente in risalto dall’abito scuro che indossa, ma è palese non sia il suo normale colorito, e che dipenda molto dalla stanchezza e dall’affaticamento dei suoi studi.
-Julian…-
Agata gli è stata affidata come assistente, e da svariate settimane lavorano assieme ogni giorno. Si può dire ormai lei gli si sia affezionata abbastanza da preoccuparsi della sua salute, nonostante sia perfettamente conscia del suo carattere autodistruttivo. Anche Asra lo conosce, e quando visita il palazzo di tanto in tanto parlano, ma non approva lei gli stia troppo vicino, si preoccupa il suo modo di fare possa in qualche modo nuocerle. E’ scelta però della ragazza con chi parlare o meno, e lei non ha mai ignorato il dottore, che al momento non la sente nemmeno, troppo concentrato dell’osservare due campioni di sangue estratti da delle sanguisughe; uno contenente sangue malato e l’altro sano.
-Julian.-
Con più fermezza la ragazza gli si avvicina, attirando finalmente la sua attenzione.
-Oh, Agata. Ti prego di perdonarmi, non ti ho sentita arrivare. Sii e prendimi altri campioni di sanguisughe dalla mia stanza.-
Ormai è così che chiama una delle camere messe a disposizione dei medici. Teoricamente dovrebbe condividerla anche con altri, ma essendo l’unico che non lascia quasi mai quel luogo gli altri gliel’hanno ceduto volentieri del tutto.
-Hai dormito un po’?-
Chiede la ragazza avviandosi verso lo stanzino; questo è ancor più claustrofobico rispetto agli altri, a causa degli infiniti fogli appesi al muro, con appunti di ogni tipo e scritti in modo quasi illeggibile, che rendono le pareti in qualche modo ancor più strette. L’uomo aveva trasportato all’interno una piccola libreria, piena di barattoli con numerose specie di sanguisughe.
Normalmente, quando non lascia che i fallimenti delle ricerche lo schiaccino, il dottore è un uomo perbene, sempre pronto a raccontare qualche incredibile storia sui suoi viaggi, e durante una conversazione notturna, quando Agata era rimasta fino a tardi per aiutare nelle ricerche, Julian le spiegò di come una sua conoscenza gli insegnò tutto ciò che sapeva sulla medicina, e di come da allora in numerosissimi casi ha realizzato come il sangue, e l’aiuto delle sanguisughe, possano essere fondamentali nel salvare la vita di una persona. Proprio per questo i suoi studi si concentrano su questi punti, ma non ha ancora avuto nessun buon risultato, se non qualche perdita per dissanguamento. Ultimamente questi fallimenti lo stanno trascinando in una spirale di autocommiserazione nella quale si rifiuta perfino di mangiare e di dormire; la cura è l’unica cosa importante.
Nonostante Agata non sia sicura dell’utilizzo delle sanguisughe non gli ha mai remato contro troppo a lungo, anche perché di rimando l’uomo fa lo stesso nei confronti della sua magia. Ciò che non può essere spiegato con la scienza è illogico, e visto non riesce a capirne il funzionamento non crede nelle sue potenzialità. Quando lei tenta di usare delle pozioni per far sopravvivere un malato lui le scambia per degli infusi medicinali, ma la sostiene sempre quando la persona muore, incitandola a non arrendersi.
Pensare a prescindere qualcosa non potrà mai funzionare contro la peste rossa è il modo più facile per farsi sfuggire la cura, quindi è meglio tenere tutte le porte aperte.
-Non mi hai risposto.-
Continua lei tornando nella stanza con alcune boccettine contenenti gli animali. Anche Neem li guarda scettico, ma si limita a tirar fuori la lingua un paio di volte.
-Perché so la risposta non ti piacerebbe, e non voglio darti alcun fastidio.-
Sospirando la ragazza lo raggiunge, prendendo una delle siringhe già sistemate sul tavolo. Conosce la procedura, si fa estrarre del sangue dal corpo di una persona dalla sanguisuga, ed in seguito con una siringa si prende da essa il sangue per analizzarlo.
A giudicare però dalle varie boccette già presenti era stata una lunga notte per il dottore.
-Ancora nessun risultato…-
Sospirando affaticato l’uomo poggia la testa sul tavolo, stringendo gli occhi come se in questo modo potesse svegliarsi da un incubo.
-Un giorno ce la faremo.-
Agata gli accarezza la schiena cercando di confrontarlo come lui fa con lei, e riesce ad ottenere un piccolo sorriso.
-Saranno giorni bui per Vlademar allora.-
Assieme cercano di ridere un po’, fino a quando la ragazza non si allontana dal tavolo.
-Vuoi un caffè? Almeno non crollerai sul tavolo.-
-O su di te ahah…grazie, mi farebbe piacere.-
Tra le varie cose che Agata ha portato nello stanzino di Julian, oltre ad alcuni suoi appunti, è una caffettiera ed un mini-fornello che, nei suoi viaggi, grazie alla magia ha sempre funzionato a meraviglia. L’odore di caffè perlomeno tenta di combattere contro quello di morte sparso per tutta la stanza, ma è difficile goderselo quando si forma un cupo silenzio che lascia spazio ai mugolii doloranti delle persone nelle celle.
Stare lì troppo a lungo rischia sempre di farla impazzire.
-Ecco qua.-
Con un sorriso non appena è pronto porta una tazza a Julian, che finalmente si siede in una posizione meno ricurva, dando un po’ di respiro alla sua povera schiena.
-Grazie Agata. Come ti trovi con la maschera?-
-Mi sto abituando, ho seguito il tuo consiglio di metterci oltre alle erbe medicinali un fiore che mi piace.-
-Ooh e cosa hai scelto?-
-Margherite.-
Ammette la ragazza con un piccolo sorriso, nelle segrete se vogliono possono rimuovere la maschera, anche se molti preferiscono tenerla costantemente, ma entrambi al momento sono senza, visto non c’è nessun altro.
-Delicato.-
Osserva Julian, che invece usa l’aconito.
-Si usa anche per le camomille. Forse ti farebbe bene per dormire.-
Lo schernisce un po’ la ragazza, mentre sorseggiano il loro caffè. Lo sguardo di Julian però si fa cupo.
-Non posso dormire…più tempo perdiamo e più persone muoiono.-
Agata lo capisce bene, ma sa quanto queste parole siano più dannose per lui che per altri. Accarezzando la testa di Neem tenta di dargli conforto.
-Non possiamo però lasciarci morire dalla stanchezza. Siamo esseri umani.-
-Ma è una nostra responsabilità. La città è già sull’orlo del collasso, se non troviamo una cura non ci sarà più nessuno da salvare.-
Nuovamente l’ombra della paura si accanisce sulle spalle dell’uomo, che abbandonando la tazza e quei pochi minuti di riposo torna a concentrarsi sulle sanguisughe. Sospirando Agata non può che far altrettanto, aiutandolo come meglio può. Il difficile arriva quando gli esperimenti passano dagli animali agli umani, le cui urla strazianti li perseguiteranno ogni notte della loro vita. Il numero di medici via via aumenta, e così anche quello delle persone bloccate sui tavoli. Presto arriva anche Vlademar, che passa immediatamente da una persona all’altra, riservando per ciascuna un esperimento diverso, ripetendo solamente “molto interessante” di volta in volta.
Dopo quasi dieci ore di lavoro le spalle della ragazza iniziano ad essere doloranti, la schiena spezzata a metà e gli occhi a bruciale, per non parlare dei segni della maschera che le lacerano la pelle, visto con l’arrivo di più persone l’ha rimessa. Neem ha sempre cercato di starle vicino, rintanandosi nella stanza di Julian solo quando lo spazio è diventato troppo ridotto per non essere d’intralcio, ma come sono venuti, la maggior parte dei medici se ne va, e l’unico a non essersi mai allontanato è come sempre il dottor Devorak.
L’uomo è appoggiato ora con entrambe le mani ad un tavolo dove giace il corpo di un bambino che avrà avuto al massimo otto anni; purtroppo non è riuscito a sopravvivere a lungo. Ogni giorno la morte passa davanti ai loro occhi, ma non è qualcosa al quale ci si può abituare. Si è costretti a diventare più forti, ma ci sono momenti in cui si raggiunge il limite.
-Julian, posso fare qualcosa?-
Chiede Agata avvicinandosi preoccupata, ma l’uomo sul momento non risponde, sibilando dopo quasi cinque minuti di silenzio.
-Devo trovare quella stramaledetta cura…-
Purtroppo non c’è nulla che possa fare per aiutarlo, ma lei tenta comunque di stargli vicino, appoggiando la testa sulla sua schiena ricurva per fargli capire che è lì con lui.
Dopo mezz’ora Julian sembra essersi ripreso.
-Si sta facendo tardi per te, è meglio tu vada a riposare.-
Dice l’uomo accarezzandola la testa con gentilezza.
-Tu dormirai un po’?-
-Quei dieci minuti strettamente indispensabili al mio corpo. Ripartiti nell’arco di altre dieci ore.-
Nonostante il tono giocoso lei sa bene non sta scherzando, o almeno che è più probabile faccia così piuttosto che concedersi una notte di sonno, ma non può far molto altro se non sospirare stanca sfregandosi gli occhi doloranti.
-Domani ti porterò qualcosa da mangiare. Non vorrei sparissi.-
Risponde infine sfiorandogli i fianchi, e prendendole la mano l’uomo imita un bacio da sopra il guanto sporco di sangue.
-Come farei senza di te.-
-Saresti qualche chilo in meno e qualche occhiaia in più.-
Con questo ultimo scambio di sorrisi tra i due la ragazza e Neem si allontanano dalla stanza, procedendo verso la gabbia e risalendo lungo il tunnel.
-Come ti senti Neem?-
Chiede la ragazza coccolando un po’ il suo amico, che risponde con un basso rantolio sereno.
-Mi dispiace tu debba stare lì in mezzo, ma durerà ancora per poco.-
Forse in certi momenti il suo ottimismo era esagerato, ma lasciarsi andare alla paura sarebbe stato ancora peggio.
-Ti chiedo però di resistere ancora qualche ora. Come sai il nostro lavoro a palazzo non è ancora finito.-
Il drago di komodo annuisce tirando fuori la lingua un paio di volte, come se l’idea non gli dispiacesse affatto, ma in fin dei conti è anche perché la prossima persona incontreranno è qualcuno gli sta piuttosto simpatico. Prima però si recano rapidamente nelle cucine, prendendo un po’ di frutta, dell’acqua e del pane, procedendo poi per un lungo tratto del palazzo, cercando di non perdersi per i corridoi ed arrivando fino alle prigioni. Nessuno comunque interferì con i suoi spostamenti, visto dall’inizio della peste rossa il numero di soldati si era ridotto, e concentrato prevalentemente all’esterno per assicurarsi nessun malato sfuggisse al Lazaret.
Le prigioni del palazzo non sono molto intricate, consistono solamente in appena quattro corridoi dotate di piccole celle. I muri sono interamente in pietra, ed a causa dell’umidità la muffa è cresciuta praticamente in ogni angolo. Trovandosi ad un livello inferiore a quello del terreno non ci sono nemmeno delle finestre a dare sull’esterno, e l’assenza di soldati rende completamente inutile il pensiero di accendere le poche torce si trovano vicino alle gabbie, quindi le prigioni si trovano in una perenne condizione di oscurità.
Non che ci siano molti prigionieri da controllare, anzi per la verità solamente uno.
-Buonasera…-
I passi di Agata e di Neem rimbombano nello spazio chiuso, senza ricevere alcuna risposta. La ragazza ad un certo punto si ferma davanti ad una delle celle, trovandovi seduto in un angolo un’imponente figura nascosta sotto un panno nero.
-Ciao…come ti senti oggi?-
Ancora una volta nessuna risposta.
-Ti ho portato qualcosa da mangiare.-
Mostrando il fagottino che Agata ha portato con sé cerca di farsi notare, ma è ancora tutto inutile, la persona dall’altra parte non sembra intenzionata ad avvicinarsi.
-Vattene.-
La voce roca voce è particolarmente secca, chiaro segno che il suo proprietario non beve da molto tempo, quando però Agata appoggia il cibo e l’acqua a terra ancora non si muove. Un paio di occhi verdi però sbucano dal panno quando Neem sfrega gli artigli contro le sbarre. E’ stato difficile per Agata da credere all’inizio, ma la persona con cui Agata sta parlando è il flagello del sud, il miglior gladiatore del conte Lucio.
Alcune volte la ragazza ha assistito ai suoi combattimenti nel Colosseo, costruito al centro della città e divenuto suo cuore pulsante con l’arrivo del gladiatore e con l’aumento di spettacoli, ma ben presto quegli spettacoli di morte l’hanno allontanata, anche se la fame dell’uomo è conosciuta in tutta Vesuvia.
Nessuno è mai riuscito a batterlo, e nessuno è sopravvissuto.
Dalla corporatura alta e muscolosa, i lunghi capelli neri gli coprono spesso gli occhi, e così anche le cicatrici e le ferire sul suo corpo; già solo il suo aspetto incute timore in chiunque sia nei dintorni, eppure Neem sembra trovarsi molto bene in sua compagnia, e ciò ha fatto capire alla ragazza c’è più di quel che sembra in lui. Normalmente i gladiatori vivono nelle stanze costruite all’interno del Colosseo, o almeno questo è ciò ha sentito Agata da alcune voci, ma dopo l’inizio della pandemia il conte per evitare di perdere il suo lottatore migliore l’ha rinchiuso a palazzo, privandolo di ogni tipo di libertà, ma tenendolo in qualche modo al sicuro. La ragazza ha saputo della sua presenza nelle prigioni da alcuni domestici incaricati di portargli il cibo, e visto il suo ruolo da dottore non ha voluto ignorare una persona che forse aveva bisogno di aiuto.
I tentativi di parlargli nelle ultime settimane però sono stati inutili.
-Come ti senti? Hai forse qualche dolore?-
-Vattene via.-
Almeno le sue risposte le lasciavano intendere non stesse male. L’isolamento forzato dal resto della popolazione in fin dei conti poteva averlo aiuto nell’evitare d’ammalarsi.
-Devo prima sapere come stai.-
Insistette la ragazza sedendosi a terra.
-Non sono malato, quindi vattene.-
Ad occhio e croce effettivamente non presenta alcun sintomo, ma questo non significa certo voglia lasciarlo solo così presto.
-Asra ti saluta.-
Finalmente una reazione da parte del colosso, un sussulto più che altro, ma è già qualcosa. A quanto pare lui ed il ragazzo si conoscono da moltissimi anni, ma dalle poche cose Asra le ha detto su di lui, non è qualcuno incline a far amicizia, anzi quando ancora poteva passava la maggior parte del suo tempo in luoghi isolati, coltivando esclusivamente l’amicizia con Asra. Per questo motivo quest’ultimo, rispettando la privacy dell’amico, non le ha mai detto niente se non che andava a trovare un amico. Ora che però il flagello è imprigionato Agata è l’unico strumento dei due per comunicare.
-Sta…bene?-
E qui si può notare un’altra nota del vero carattere dell’uomo, che porta la ragazza a sorridere, anche se cerca di nasconderglielo per non infastidirlo.
-Certo. Non si è ammalato, anche se tutta questa situazione lo sta provando parecchio…sta pensando di andarsene da Vesuvia per un po’, per evitare la peste rossa. Tornerebbe una volta scongiurata la pandemia.-
-E dove andrebbe?-
Chiede l’uomo cercando di non mostrarsi troppo insistente, e di parlare comunque il meno possibile. Purtroppo nemmeno lei sa rispondergli, anche se Asra insiste sempre di più nel fuggire insieme. Lei però non può andarsene ed abbandonare tutta quella povera gente, quindi non ha mai fatto domande sull’ipotetica destinazione o su altro.
In verità, ha paura che se lo facesse potrebbe accettare.
-Non lo so. Forse nel reame della magia. O nel deserto qua vicino.-
-Mh…-
Le risposte non sembrano rassicurarlo, e presto l’uomo torna a fissare il muro.
-Vuoi che gli dica qualcosa?-
-No.-
Probabilmente sarà l’ultima cosa che le dirà, ma infondo può capirlo.
-Immagino di non starti molto simpatica…infondo potrei aiutarti ad uscire, ma non lo faccio.-
In verità ritiene sarebbe un grosso errore, visto lo trova più al sicuro lì rispetto ad altre persone. Però può facilmente immaginare quanto sia frustrante e difficile venir trattato come un prigioniero.
-Della mia simpatia non te ne fai niente, ed io della tua.-
-Effettivamente è vero…-
Neem tira fuori la lingua un paio di volte, muovendo la coda sbattendola sul pavimento, forse allo scopo di difendere la sua amica. L’uomo lo guarda quindi per qualche minuto, alzandosi con grande sorpresa della ragazza e raccogliendo qualcosa da terra. Più si avvicina alle sbarre più sembra minaccioso, vista la sua stanza, ma quando si inginocchia ed apre la mano davanti a Neem, appare incredibilmente docile.
Nel palmo ha un mucchietto di scarafaggi morti, che il drago di komodo immediatamente mangia felicemente. Sorridendo la ragazza lo guarda, senza avvicinarsi.
-Grazie.-
E’ ancora quasi completamente buio, ma potrebbe giurare d’aver intravisto un’espressione imbarazzata da sotto il cappuccio. Con uno sbuffo il flagello prende il fagotto, muovendosi subito dall’altra parte della stanza, dandole la schiena. Questo chiude del tutto la conversazione, ma va bene così. Alzandosi la ragazza si allontana con Neem, salutando un’ultima volta l’uomo.
-A domani allora.-
Procedendo con calma lungo il corridoio, la ragazza torna in superficie, anche se ormai perfino dall’interno del palazzo si intuisce fuori sia già calata da tempo la notte. Dalle numerose ed alte finestre si intravedono solo le sagome nere degli alberi, mentre le punte delle case sono troppo lontane per distinguerne i dettagli in quel momento. Torce e candelabri però, una volta accesi, regalano un’atmosfera molto cheta, che rende piacevole camminare per le varie stanze, perfino quando queste sono vuote e si sente solo il ticchettio dei propri passi. Purtroppo il luogo in cui deve recarsi ora la ragazza è forse ancor più desolato del precedente, nonostante sia in cima ad una delle torri più importanti; per la precisione dell’ala del castello del conte Lucio.
I suoi ritratti, presenti anche in altre parti del castello, qui sembrano raddoppiare, ed a sua volta lo sfarzo e l’eccesso aumentano. Non c’è quasi un solo oggetto che non sia laccato d’oro, e tutto ciò lascia intendere volontariamente e spavaldamente la ricchezza posseduta dal conte, ma nonostante ciò ogni volta che la ragazza cammina per quei lussuosi corridoi sente attorno a sé un aura di solitudine. Forse dipende principalmente dalla totale assenza di persone, perfino di guardie e domestici, nell’intera ala ed anzi perfino prima, ma non può esserne certa. Una volta arrivata davanti al grande portone di legno della camera da letto del conte, la ragazza si ferma per bussare ed avvertire così della sua presenza.
L’interno della stanza non tradisce le aspettative, il pavimento in legno scuro ha un largo tappeto color porpora, abbellito con dei ricami gialli e dall’aspetto estremamente costoso e raffinato. Lungo i muri rossi sono presenti quadri del conte ritratto in scene di battaglia, uno in particolare, nel quale si trova di profilo con un elegante abito rosso e la spada posta sul teschio di un animale, è molto più grande degli altri, ed è probabilmente il preferito dell’uomo. Alla sinistra della ragazza è presente un’alta finestrella, dalla quale tuttavia si vede solamente il cielo notturno e pochi alberi in lontananza. La luce soffusa di alcune candele poste sopra ad un mobile permette di guardarsi attorno senza problemi, evitando d’affaticare gli occhi stanchi della ragazza che ancora indossa la propria maschera; sente con chiarezza i pesanti segni che questa le ha lasciato sul viso, ma tenerla è parte del suo lavoro.
Il mobile più grande comunque è certamente il letto a baldacchino, quasi a quattro piazze e con morbide coperte di seta rossa. Qui, appoggiato su numerosi cuscini di piume, riposa il conte di Vesuvia, o almeno ciò che rimane di lui. Paragonandolo ai ritratti è quasi difficile pensare siano la stessa persona, ed anzi le fa quasi dispiacere. I suoi capelli dorati sono completamente spettinati, ed hanno perso da molte settimane la lucentezza che li contraddistingueva. Il petto muscoloso è divenuto ormai scheletrico, ed è semplice notarlo dalla camicia bianca lasciata sbottonata, nel tentativo forse di respirare meglio e contenere il sudore sta imperlando il suo corpo, le braccia poi sono divenute quasi come dei fragili rami, spezzabili al primo soffio di vento. Il viso è poi contratto in una smorfia dolorante, non più nel ghigno allegro e sfacciato che lo contraddistingueva durante le sue rinomate feste. Un’ispida barbetta bionda sta iniziando a far capolino sul mento, rendendo l’uomo ancor più sciatto. Al momento non ha nemmeno la protesi d’oro al braccio sinistro, perso in battaglia anni prima di diventar conte. Il corpo dell’uomo è privo di qualsiasi energia, ma il dettaglio più nefasto sono i suoi occhi, dall’iride rosso sangue, le cui pupille sono talmente piccole da non notarsi nemmeno mentre tiene gli occhi socchiusi, circondate da delle pesantissime occhiaie.
Non si sa come, ma anche lui nella ricchezza del suo palazzo si è ammalato, e lentamente il suo corpo sta morendo; è per questo che Agata si trova in quella stanza, per assisterlo durante quelle difficili ore e per ritardare quanto più possibile la malattia.
-Ah! Finalmente qualcuno si è deciso a venire a trovare il loro amato conte Lucio! Chi è? I cortigiani? Nadia? Sentivi troppo la mia mancanza?-
Nonostante il tentativo di imporsi un modo di fare sprezzante la voce dell’uomo, roca e bassa, lascia facilmente intendere la fragilità delle sue condizioni. La ragazza non è molto distante da lui, ma non sembra comunque riuscire a vederla bene, solo quando fa qualche passo verso il letto nei suoi occhi compare un velo di delusione.
-Oh, sei di nuovo tu…-
Sorridendo appena Agata non si sente offesa dalla sua reazione, è da poco topo ha iniziato a lavorare a palazzo che è stata incaricata di prendersi cura di lui ogni notte, sia con le sue abilità mediche che magiche. Fino ad ora però nessuno è venuto a vedere come stava, e le poche volte in cui la ragazza tentava di informare la contessa questa la liquidava rendendo palese quanto poco la cosa le importasse. Naturalmente si può intuire il perché, l’uomo non è mai stato un santo, e nemmeno è in grado di svolgere un buon lavoro come conte visto Vesuvia dal suo arrivo è solo peggiorata, ma alla ragazza sembra quasi troppo che un uomo si ritrovi da solo perfino nel suo letto di morte, perché è quello il punto, anche con l’aiuto di tutta la sua magia e le medicine di cui sono a conoscenza il conte è destinato a morire.
-Buonasera, come si sente?-
Chiede la ragazza mentre sposta una sedia vicino al letto, prendendo un panno per aiutarlo con il sudore. Neem nel frattempo, senza nemmeno pensarci, sale sul letto e si appallottola ai piedi dell’uomo, concedendosi un piccolo pisolino. Le prime volte al conte non aveva fatto molto piacere questo suo modo di fare, ed aveva ordinato ad Agata di spostarlo minacciandola altrimenti li avrebbe fatti impiccare entrambi, ma dopo nemmeno una settimana si è arreso, lasciandolo fare. Una volta le ha perfino confessato, in un momento in cui la malattia lo ha portato a delirare, che gli faceva quasi piacere sentirlo lì, perché da quando si è ammalato non è potuto stare nemmeno in compagnia dei suoi amati cani, e se chiude gli occhi quando Neem è lì un po’ glieli ricorda. Sono stati questi piccoli dettagli di lui a far pensare alla ragazza sia più solo e vulnerabile di quanto voglia far credere, costantemente alla ricerca dell’amore e dell’approvazione altrui, credendo che il denaro, il potere e la paura basti ad ottenerli. Non è pietà quella che ha suscitato in lei, ma forte dispiacere ed empatia.
-Hai una domanda migliore?-
Chiede intanto l’uomo sdraiandosi completamente sui cuscini, e mettendo una mano sul viso dolorante. Agata intanto inizia a tamponargli le braccia ed il petto, sentendo che ad ogni tocco l’uomo trema come se lo stesse toccando con delle lame roventi.
-Guardami…-
Alzando la mano dal viso il conte indica il grande ritratto dall’altra parte della stanza. Spesso si ferma a fissarlo, ed un forte dolore compare nei suoi occhi quando si rende conto dei cambiamenti subiti dal suo corpo.
-Ero bellissimo…ed ora non sono un mostro.-
-Lei non è un mostro.-
Risponde subito la ragazza lanciandogli un’occhiataccia; già non le piace quando Julian cade in discorsi auto-dispregiativi, e se non permette a lui di farlo non lo permette a nessun’altro.
-Sono bruttissimo. Debole, malato e fragile!-
Continua comunque l’uomo sofferente, svegliando Neem che tira fuori la lingua protestando.
-Ma è ancora qui. Sta lottando contro la malattia e potrà tornare come prima un giorno. Non deve arrendersi.-
-Non mi sto arrendendo, sto dicendo solo le cose come stanno.-
-No, sta facendo il melodrammatico. Posso solo immaginare quanto stia soffrendo in questo momento, ma sono qui apposta per alleviare quanto più dolore possibile. Non ci si metta anche lei definendosi brutto o un mostro, perché non è nessuna delle due cose.-
Risponde seriamente la ragazza, passandogli il panno sulla fronte. L’uomo nel frattempo ha messo il broncio, ed Agata è certa che sia molto tentata di minacciarla per averli dato contro, però la sua risposta è diversa.
-Quindi…non mi trovi brutto.-
Lei non riesce a trattenere una piccola risata a quella domanda, ma risponde comunque sinceramente.
-No, anche da malato rimane un bell’uomo.-
La risposta sembra compiacerlo molto, visto sta addirittura sorridendo, ma la sua espressione cambia molto rapidamente, tornando sconsolata.
-Nessuno mi sta venendo a trovare…nemmeno tu verresti qui se non fossi costretta.-
Le sue parole sono quasi un sussurro, mentre con la mano senza accorgersene accarezza la coda di Neem, che la muove per dargli modo di raggiungerlo più facilmente. Tra i due cala un breve silenzio.
-…questo non è vero.-
-Mh?-
-Verrei comunque, anche se non fosse un mio compito. Ci tengo.-
La risposta sembra davvero colpirlo, dal modo in cui la sta guardando sembra quasi non riesca a crederci.
-Grazie…-
Anche stavolta è quasi come se sussurri, ma Agata lo sente benissimo, e sorride mentre lo aiuta a prendere alcune medicine.
-Vedrà che un giorno le cose andranno meglio.-
 
 
 
 
 
Passate le tre del mattino finalmente anche il lavoro di Agata termina, e con la stessa calma con la quale è arrivata la ragazza si dirige verso casa, incontrando sporadicamente altri malati e carri trasportanti cadaveri. L’unico suo pensiero è quello di tornare a casa, e di stendersi sul letto per riposare mentre Asra dorme già da ore, ma purtroppo non è esattamente la scena che si trova davanti aperta la porta del negozio.
-Agata! Dobbiamo andarcene, ora!-
Asra si muove per la stanza ad un ritmo frenetico, afferrando quanti più oggetti possibili ed infilandoli in un grosso baule nero. Non è la prima volta affrontano questo discorso, ma la ragazza non l’ha mai visto così agitato; perfino Faust è in un angolo a fissarlo preoccupata.
-Asra calmati! Siedi, parliamone per favore.-
-No! Basta parlare! Ti ho assecondata per troppo tempo, lasciandoti andare in quel maledetto castello a rischiare la tua vita. Adesso noi ce ne andiamo, e non torniamo più fino a quando questa cosa non sarà finita, e forse nemmeno allora!-
Qualcosa l’ha turbato profondamente, non la guarda nemmeno, cerca solo di spingerla fuori dal negozio il prima possibile, ma lei non glielo permette.
-Asra sai che non posso farlo!-
-Puoi! Ma non vuoi, ecco cosa! Ne ho abbastanza delle tue idiozie, non lo capisci che ti faranno morire?!-
-C’è gente che muore, non puoi chiamare i miei ideali idiozie.-
Agata cerca di mantenere un tono calmo, ma è molto difficile quando si sente insultata dal suo migliore amico. Perfino Neem ne è infastidito, nonostante stia cercando di rassicurare Faust.
-Allora sei idiota tu! Questa città ormai è morta, ci trascinerà con lei se rimaniamo!-
-Ci sono persone che hanno bisogno di aiuto, hanno bisogno che rimaniamo per aiutarle.-
-Io ho bisogno che tu la smetta di pensare solo agli altri, e che inizi a pensare un po’ a te! O almeno pensa a me, non te ne importa nulla di me? O preferisci una città che non ci ha mai dato altro che dolore?-
-Non è vero, Vesuvia ci ha dato una casa, degli amici, che in questo momento potrebbero essere ammalati. Asra ti prego…-
-No! Io cerco di proteggerti, ma tu sei talmente stupida, ingenua e cocciuta da non ascoltarmi! Oggi ho visto il nostro vicino morirmi davanti agli occhi, urlando dal dolore e vomitando sangue! Credi che voglia finire così? Credi che voglia vederti ridurre così?-
Ecco perché è così spaventato, una scena simile terrorizzerebbe chiunque, ma Agata vede cose simili ogni giorno e proprio per questo sa che deve restare dove si trova.
-No Asra, non voglio che tu muoia, e non voglio nemmeno morire io. Però non possiamo abbandonare quelle persone, dobbiamo…-
-Preferisci abbandonare me invece allora!-
Sbraita ad un certo punto il ragazzo, rosso di rabbia.
-Ma cosa stai dicendo! Stai delirando Asra, devi calmarti!-
-Non sono mai stato più lucido, se deliravo era quando ti davo corda per rimanere qui, sperando un giorno avresti aperto gli occhi! Ma ora capisco che è tutto inutile, tu vuoi restare, vuoi morire, e allora muori!-
A questo punto non sta facendo altro che urlarle in faccia, e la rabbia con cui l’attacca le impedisce di mantenere la calma.
-Bene! Vuoi andartene? Vattene allora! Sei solo un codardo!-
-E tu una stupida! Questa è l’ultima notte che passo qui, ora decidi Agata, o me o questa città! Ma ti assicuro che se non verrai con me non mi rivedrai mai più.-
Con un sibilo detto tra i denti stretti il ragazzo aspetta una sua risposta, mentre con un sussulto di dolore la ragazza cerca di trattenere le lacrime.
-Asra, ti prego…non puoi dire sul serio.-
-No? Allora guardami.-
Afferrando sgraziatamente Faust il ragazzo spalanca la porta, uscendo trascinando il bagaglio sotto una forte pioggia appena nata. Nemmeno questo però serve a calmarlo, ed urlando incurante di tutto la fissa per strada.
-E’ l’ultima possibilità che ti do Agata. Vieni via adesso con me, o dimostra quanto poco io conti nella tua vita, e resta.-
E’ un ricatto vile e crudele, che quasi la spinge ad uscire, ma lei rimane sulla porta fissandolo in silenzio mentre calde lacrime si mischiano alle gocce di pioggia.
Questo al ragazzo basta come risposta.
-Bene! Allora muori! Non tornerò per te, non mi importa che cosa ti accadrà! Non tornerò mai più!-
Voltandosi Asra si allontana incurante della pioggia, camminando senza mai voltarsi indietro, fino a quando non svanisce tra le ombre della notte, lasciando la ragazza sola.
Per qualche minuto ha cercato di convincersi sarebbe tornato, che erano solo parole dettate dalla rabbia e dalla paura, ma più il tempo passava e più i minuti diventavano ore, più la consapevolezza di ciò era successa crollava su di lei come un macigno, fino a che, alle prime luci dell’alba, Agata non fu più in grado di controllare il proprio pianto, ed abbandonandosi a terra cercò conforto in Neem.
Da lì i giorni si sono rapidamente susseguiti mentre la ragazza ha diviso le sue giornate nello svolgimento dei compiti a palazzo e nell’attesa che il suo amico tornasse, ma non ha avuto importanza quanto tempo aspettasse davanti alla finestra o quanto avesse pianto la notte, lui non è più tornato, e peggio le sue parole si sono avverate.
Un mese dopo Agata si è svegliata nel cuore della notte con una forte tosse, scoprendo con orrore del sangue sulle sue mani e nel letto. Correndo verso lo specchio nel bagno i suoi timori si sono poi avverati; i contorni dell’iride hanno cominciato ad arrossarsi, fino a quando nel giro di pochi giorni il bianco non è sparito del tutto. I sintomi della peste rossa sono rapidamente peggiorati, prendendo il sopravvento sul suo corpo. Incapace quasi di camminare, di respirare e perfino di vedere, l’unico appoggio nei momenti di puro dolore è stato Neem, che non ha mai abbandonato la ragazza nemmeno quando questa è stata portata via a Lazaret. Lì la realtà si è rivelata addirittura peggiore delle storie trapelate dai gondolieri.
Non appena la barca di Agata è attraccata alla spiaggia decine di persone, più scheletri ormai che altro, hanno cercato di raggiungerla e di aggrapparvisi per salire, ma sono stati subito ricacciati ed abbandonati tra spasmi e rantoli di dolore. Già solo dalla spiaggia in cui i due si trovavano potevano sentire un chiaro fetore provenire dalla boscaglia vicina, e quando la fame li spinse a muoversi trovarono soltanto una capanna di mattoni da cui usciva un gran fumo misto a fiamme affamate. Ben presto la ragazza capì erano lì che i cadaveri venivano bruciati, dopo esser stati ammucchiati in uno stanzino, e guardandosi attorno, vedendo corpi in putrefazioni e persone ridotte a stenti la paura prese presto il sopravvento.
Nessuno lì li avrebbe aiutati, a malapena veniva portato loro qualcosa da mangiare, e nel giro di una settimana Agata era già ridotta pelle ed ossa. Neem cercava d’aiutarla come poteva, ma aveva rischiato più volte d’esser attaccato dagli altri malati, disperati ed alla ricerca di qualcosa da mangiare; coloro che erano stati più portati all’estremo si diedero perfino al cannibalismo.
Durante altri tre giorni la ragazza passò tutto il suo tempo alla spiaggia, urlando disperata che qualcuno l’aiutasse, mentre le forze necessarie a creare una magia che lenisse il dolore erano svanite, costringendola a viverlo nel modo peggiore possibile. Gli ultimi minuti furono per lei attimi di pura agonia, durante i quali non riusciva più a percepire nemmeno Neem, accovacciatosi accanto a lei e lasciandosi stringere dalla ragazza, che tuttavia non sentiva altro che il vuoto. Quando il respiro iniziò a farsi più debole, il battito a rallentare ed il dolore a svanire, fu anche per lui il momento di lasciarsi morire.
I loro destini erano stati legati in vita, e lo sarebbero rimasti anche nella morte.
Dei loro corpi alla fine non rimase altro che cenere nella sabbia.






Piccola nota: la mancanza di Portia è voluta in quanto dettagli della sua storia non coincidevano temporalmente con la mia
   
 
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