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Autore: OmegaHolmes    30/11/2020    2 recensioni
-Sai Steve, è la Vigilia di Natale, non ti farebbe male fare una pausa…- disse il Sergente Barnes, con lo sguardo rivolto ancora all’orizzonte della città Britannica.
-I Nazisti e l’Hydra non si fermano nemmeno di fronte al Natale, Bucky.-
Il moro sbuffò, alzando le spalle -E quindi nemmeno il “grande Captain America”?- gli
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James ’Bucky’ Barnes, Steve Rogers
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vigilia di Natale, Anno 1944.

Una neve lieve era iniziata a cadere sulle strade di Londra, donando al paesaggio un aspetto candido, tanto da sembrare che la guerra non ci fosse mai stata.
Bucky Barnes, sopirò, mentre l’ osservava con aria trasognante, dalla finestra del quartiere Generale  degli Howling Commandos, dove Steve Rogers continuava imperterrito lo studio tattico delle proprie cartine, per la prossima missione sulle Alpi.
<< Sai Steve, è la Vigilia di Natale, non ti farebbe male fare una pausa… >> disse il Sergente Barnes, con lo sguardo rivolto ancora all’orizzonte della città Britannica.
<< I Nazisti e l’Hydra non si fermano nemmeno di fronte al Natale, Bucky. >>
Il moro sbuffò, alzando le spalle << E quindi nemmeno il “grande Captain America”? >> gli fece eco, voltandosi a guardarlo, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni.
<< Esattamente. Non dobbiamo perdere tempo, né tanto meno farci cogliere impreparati. >> asserì con il suo tipico tono grave il biondo.
<< Oh, andiamo amico! Non passiamo un Natale insieme da almeno 3 anni! Perché non divertirci stasera? C’è proprio una festa qua di fronte, guarda >> sorrise sghembo << E’ pieno di bellissime ragazze! >
<< Va pure, vedo che sei stanco. Ti farebbe bene prendere un po’ d’aria, ma…sai che i balli non fanno per me. >>

Il Sergente sospirò nuovamente, alzando le mani al cielo << Va bene, Capitano, come vuoi… ma se cambi idea, saprai dove trovarmi! >> e così dicendo si infilò il cappotto ed uscì, lasciando il giovane Rogers alle sue carte, senza che distogliesse mai lo sguardo da esse, nemmeno per uno sguardo sfuggente all’amico.
Come la porta si chiuse alle sue spalle, il volto sempre solare del moro, si fece pensieroso. Aveva sperato in cuor suo di riuscire a convincere il Capitano a seguirlo, ma ormai non aveva più alcun ascendente su di lui.
Sceso in strada, si fermò per alzare lo sguardo verso la finestra del loro ufficio; sperava di poterlo intravedere, magari che lo salutasse o gli scambiasse un sorriso, come quando erano ragazzi e passava a chiamarlo sotto casa per andare a giocare a pallone in strada. Nulla, nessun Steve Rogers ad aspettarlo.
Improvvisamente la voglia di far festa, svanì, lasciando posto all’imminente desiderio di affondare i pensieri nell’alcool, il suo compagno ormai più fedele dall’inizio della guerra.
Seguì la fiumana di soldati e ragazze che si addentravano nella Sala da ballo, tra risa, urla e vociare, Bucky si sentì incredibilmente fuori luogo; passò tra di loro, come un fantasma, senza che nemmeno una ragazza si voltasse a degnarlo di uno sguardo.
L’ampia Sala da ballo era colma di luci, dei colori sgargianti dei vestiti delle ragazze e di musica Swing tonante, ma al giovane Sergente pareva di stare ad un funerale. Strizzò lo sguardo, per cercare il bancone degli alcolici, poco lontano dall’entrata. “Forse avrei dovuto stare davvero in ufficio con Steve.” Pensò, mentre si lasciava cadere su uno degli alti sgabelli del Bar.
Fu così, che nel giro di un’ora, ingurgitò così tanto alcool, da non percepire più alcun muscolo del corpo. La musica gli pulsava dolorante sulle tempie, mentre ogni riso di ragazza gli pareva una pugnalata in mezzo alla fronte.
Fissava la folla attraverso lo specchio dietro al bancone, provando sentimenti contrastanti, tra malinconia, rabbia, tristezza, orgoglio e…
D’un tratto la calca si azzittì, voltandosi a guardare l’entrata, tra bisbigli e sorpresa.
<< E’ lui’! >> sussurravano le ragazze, tra di loro, arrossendo e sporgendosi sulle punte per vederlo meglio.
<< Guarda che muscoli! >> affermavano i ragazzi, tirandosi buffetti e spintoni a vicenda, increduli di un essere così titanico.
Bucky chiuse gli occhi, sospirando. Non gli serviva voltarsi, né guardare nello specchio in questo caso, sapeva già chi aveva creato tanto sgomento a differenza di lui, il che lo riempiva di orgoglio da un lato, perché aveva conosciuto quell’abile guerriero prima di loro e tristezza dall’altro, dato che sapeva già che non gli sarebbe andato incontro, perché un’altra presenza al suo fianco lo aveva attirato, ovvero l’Agente Peggy Carter. Con eleganza entrarono sulla pista, iniziando a ballare tra le altre coppie.
Lo stomaco del sergente iniziò a bruciare così forte, che per poco pensò che gli si potesse spaccare.
Ammirava l’agente Carter, era una donna di incredibile forza e bellezza, ma gli aveva portato via la cosa a lui più cara, amando Steve, come tutti ormai al mondo, per quello che era diventato, non per quello che era sempre stato.
Dov’era Peggy quando la madre di Steve era morta?
 Dov’era quando continuavano a rifiutare l’arruolamento di Steve, perché troppo fragile?
Lui era l’unico ad avergli sempre voluto bene, nonostante la sua fisicità, perché aveva sempre guardato oltre, come ancora adesso i suoi occhi lo vedevano sempre allo stesso modo.

<< Non ti pare di star bevendo un po’ troppo? >> lo canzonò una voce così famigliare da farlo fremere appena.
<< Che importanza ha quanto io stia bevendo? >> rispose scontroso, tirando giù l’ennesimo bicchiere, tutto d’un sorso.
<< Ehi amico… >> disse il biondo, poggiando delicatamente una mano sulla sua spalla << Credevo che volessi festeggiare e ballare un po’, sono venuto qui per te. .>>
<< Stronzate… >> sbiascicò, destabilizzando il giovane Rogers per il linguaggio << Tu sei venuto qui perché te l’ha chiesto lei.  >> nel mentre indicò con il bicchiere Peggy tra la folla.
<< Okay, amico… Ora basta, andiamo, hai bevuto troppo. >> continuò severamente Steve, cercando di farlo alzare.
<< Lasssciami… >> si ribellò il moro, spingendolo appena << Tu non sei mio padre… e non so nemmeno più se sono tuo amico… >>

Quelle parole affondarono nel petto di Steve come un coltello affilato, facendogli fare un passo indietro, mentre i suoi occhi affogavano in quelli arrossati e colmi di lacrime dell’amico.
<< S-si può sapere che ti prende, Bucky? >>
<< Lasciami in pace… Buona Vigilia, Sssteve. Divertiti.. >> ma mentre cercò di alzarsi, cadde a terra, troppo sbronzo per riuscire a camminare decentemente.
L’accaduto destò la folla, che si voltò ad osservare il gran tonfo << Non è successo niente, tranquilli! Tornate a ballare! >> rassicurò Captain America, raccogliendo l’amico a terra, portandolo fuori sotto il braccio del moro.

L’aria fredda parve ravvivare il volto esangue di Bucky, che subito finì con il vomitare dietro un cespuglio ai bordi dell’ampia scalinata.
<< Ehi amico, che ti prende? >> gli domandò preoccupato il biondo, che lo reggeva, aiutandolo a sedersi sulla gradinata ghiacciata.
<< Sono stanco, Steve… >> sussurrò con gli occhi colmi di lacrime << Sono stanco di portare questa maschera… >>
<< Di-di cosa stai parlando? Lo sai che con me puoi parlare di tutto… >>
<< Sì, lo so… ma ora non lo so pù… >>
<< Bucky…? Tu sei arrabbiato con me, non è vero? >>
Il  moro si morse il labbro inferiore, voltando lo sguardo dalla parte opposta, cercando di soffocare le lacrime pizzicanti.
<< Bucky, ti prego… >> lo pregò il biondo, stringendo maggiormente la presa intorno alla sua vita.
Il sergente ebbe un tuffo al cuore nel percepire più vicino il corpo del suo amico, così caldo e così forte. In realtà gli piaceva che Steve fosse diventato così, perché lo faceva sentire protetto e piccolo allo stesso tempo. Gli scalini ghiacciati gli facevano tremare nervosamente le gambe, mentre il suo braccio restava avvinghiato alle spalle larghe dell’amico. Ci vollero alcuni istanti prima che il moro riuscisse a trovare il coraggio di parlare, continuando a torturare le labbra rosse per il freddo.
<< Io non sono arrabbiato…con te… io- >> abbassò lo sguardo verso le proprie scarpe << Io sono arrabbiato con me stesso, perché… sono geloso. >>
<< Tu sei geloso? Di me? Bucky, stai scherzando? >> sorrise appena Steve, cercando di sdrammatizzare.
<< M-ma non geloso perché sei Captain America…i-io sono geloso delle persone che t-ti…ti adorano, capisci? >>
<< Devi cercare di essere un po’ più chiaro, Buck >>
Un lungo sospiro uscì dalle labbra tremanti del moro, mentre Steve lo stringeva più forte, in segno di supporto. Alzò gli occhi al cielo, Bucky, come se quel gesto potesse evitare alle lacrime di cadere, mentre si leccava le labbra secche e fiammanti  dal troppo alcool.
<< Un tempo, io ero l’unico che-…che ti adorava. Eravamo solo io e te e… io ti… io ti ho sempre voluto bene per ciò che eri, come---come ora… >> fece una lunga pausa, per poi continuare << Invece, tutte- tutte quelle persone, loro ti adorano ora…O-ora che sei famoso, che sei—bellissimo… >> deglutì, cercando di evitare che il biondo potesse notare il rossore del suo viso nel pronunciare quella parola.
<< I-io continuo a vedere in te quel ragazzo mingherlino di Brooklyn, mentre loro… loro ti usano solo… Sono un idiota, lo so. >>
Steve Rogers aveva ascoltato quelle parole con la più profonda commozione, mentre il cuore gli batteva forte, come non gli batteva da anni. Aveva sempre visto Bucky come una figura paterna e ora i ruoli si erano invertiti, ma era ciò per cui aveva lottato una vita intera, cercando di diventare all’altezza del suo amico.
<< Sì, Bucky… sei proprio un idiota. >> sorrise, tirando su dal naso.
Solo all’ora il sergente trovò il coraggio di voltarsi e guardarlo negli occhi, mostrandogli tutta la sua disperazione e la profondità dei suoi sentimenti, accennando un sorriso amaro, di quelli suoi tipici così dolci e tristi che avevano sempre commosso Steve.
<< Ora facciamo così… >> disse il Capitano << Ora ti accompagno in camera tua e ti dai una sistemata e ne parliamo su un divano caldo, che ne dici? >>
<< Buttiamo i cuscini a terra? >> sorrise il moro.
<< Perché no, nessuno ce lo impedisce. Forza Sergente, andiamo! >>
 
 
Le camere dei militari erano tutte uguali, spoglie e semplici, ma comunque confortevoli dopo aver dormito a terra per anni. Steve l’aveva accompagnato sotto braccio per tutto il tragitto, rischiando qualche capitombolo giù dalle scale di tanto in tanto.
Quando finalmente erano entrati, Bucky si era lasciato cadere a peso morto sul letto, mugolando un costante << Mi gira la testa .>>
Il biondo, prontamente aveva messo a scaldare dell’acqua calda sul fornelletto, per poi andarsi a sedere di fianco all’amico << Sei tutto sporco di vomito, Buck, forse sarebbe meglio darti una rinfrescata. >>
Il moro non rispose, così che Steve iniziò a cercare degli abiti puliti tra i vari cassetti, fino a quando le sue mani non si imbatterono in una piccola scatola di metallo, un po’ arrugginita. Con sguardo curioso, analizzò il contenitore, mentre un lieve moto di gelosia gli pizzicò il petto, possibile che Bucky avesse una ragazza e lì vi conservasse le lettere?
Si voltò e notò che l’amico continuava a stare coricato, respirando lentamente, fissando il soffitto con occhi assenti. Decise allora di aprirla, cercando di non farsi vedere;  quando ne vide il contenuto ebbe un brivido che lo percorse per tutta la schiena.
Al suo interno vi trovò tutti i biglietti del cinema degli spettacoli che erano andati a vedere insieme, le foto della loro estate al lago, le lettere, i biglietti con gli insulti che si scambiavano per divertimento e poi… l’orologio del padre di Bucky, che gli aveva lasciato in eredità, con all’interno una delle foto dei giornali che ritraevano Steve e Bucky, fianco a fianco, dopo la liberazione del 107° reggimento.
Solo allora Steve comprese il vero senso delle parole dell’amico, poco prima.
<< Buck… >> sussurrò con voce tremante, voltandosi << Tu... hai ancora tutto questo di… noi? >>
Il sergente non alzò nemmeno il capo per osservarlo, perché aveva già capito cosa intendeva e semplicemente rispose << Perché io ti amo, Steve… >>.
Gli occhi del biondo si fecero lucidi, appoggiandosi con una mano alla credenza, perché percepiva le gambe cedergli, come una ragazzina alla sua prima cotta.
Improvvisamente rivisse tutti quegli anni da adolescente in cui aveva sempre soffocato i suoi sentimenti per l’amico, rivide il sorriso di Bucky sotto al cappello da militare, mentre mangiavano un gelato insieme prima della partenza, rivide le loro lotte al lago, le loro notti insonni sui cuscini a raccontarsi storie fantastiche, ma soprattutto riprovò l’enorme gelosia nei confronti di tutte quelle ragazze bellissime che potevano baciarlo, davanti ai suoi occhi, mentre lui si malediva per provare qualcosa di così sbagliato.
Quando si riprese, con passo incerto, andò verso il letto, si coricò al fianco dell’amico e gli voltò il viso, per guardarlo nei grandi occhi blu << Dillo di nuovo… >>
Bucky lo osservò, erano state poche le volte in cui i loro volti erano stati così vicini da poter contare il numero esatto di ciglia che cingevano gli occhi color ghiaccio del Capitano.
<< Io ti amo, Steve… >> mormorò appena, con la stessa voce di un bimbo sperduto.
Un sorriso raggiante si spalancò sul volto del biondo, mentre una piccola lacrima scivolò sul suo zigomo marmoreo << Sai una cosa? Ti amo anche io, Bucky. >>
Gli occhi blu cobalto del moro si spalancarono, mentre un sorriso ingenuo gli sfuggì << Mi-mi stai prendendo in giro… >>
<< No, Buck, ti ho sempre amato, da quando ho 16 anni… >>
Con fatica il sergente si tirò sui gomiti, ridendo di gioia, continuando a fissarlo con aria incredula << Non-non hai idea, quanto-- >>
<< Anche io, ma credo tu debba farti prima una doccia, Sergente. >>
Con un balzo il moro si tirò in piedi, prese un cambio e corse in bagno, con un energia che non credeva di poter posseder ancora.
 
 
Il campanile suonava l’una di notte, quando la festa di fronte terminò, eppure per la strada una canzone continuava a riecheggiare lontana, dalla voce gracchiante di un grammofono, anche se nessuno con esattezza sapeva dire da dove arrivasse.
Nella penombra della stanza, Bucky Barnes e Steve Rogers, ballavano un lento, uno avvolto nelle braccia dell’altro e anche quando la musica terminò, i loro corpi continuarono a dondolare sulle anche, affondando i volti uno nelle spalle dell’altro.
Fu Bucky a fermarsi, per poter alzare lo sguardo verso gli occhi dell’amico, come incantato. Il più alto percepì un tumulto nello stomaco e senza capire come, chiuse gli occhi affondò le proprie labbra in quelle cremisi e carnose del moro, che si aggrappò con forza alle spalle forti dell’altro.
Quello fu il primo, di altri baci, di altre promesse, di altri momenti speciali.
Quello fu l’ultimo Natale che Steve Rogers e Bucky Barnes passarono insieme.
  
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