Capitolo 43
Un amore mai dimenticato
“L’amore, come il desiderio, è ciò che rende viva la
vita.”
Massimo Recalcati
Immagine dal film “La conseguenza”
Distesa
sul fianco, dandogli le spalle, Sarah già dormiva e non la ridestò, né a lui
infastidì, la musica proveniente dal Campo Vecchio. Si sentiva leggero, come
non gli succedeva da tanto, troppo tempo e, con l’indice e il medio, partendo
dal fondoschiena, percorse delicatamente il suo corpo nudo, indugiando su ogni
segmento della colonna vertebrale, fino a raggiungere il collo e, da lì,
scivolare giù veloce per ripetere lo stesso viaggio.
«Dammi
una rosa da tener sul cuor, legala col filo dei tuoi capelli d’or.» Il
grammofono suonava la canzone “Lili Marleen” ed
Hermann ne ripeté le parole, sbagliandone ad alcune la pronuncia. «Forse
domani piangerai, ma dopo tu sorriderai. A chi, Lili Marleen?
A chi, Lili Marleen?» Come se fosse tornato
adolescente, lo animò un desiderio di giocosità, mentre, canticchiando a bassa
voce, le labbra si curvavano nel sorriso e le dita s’intrecciavano tra i lunghi
capelli neri.
Sarah
iniziò a stiracchiarsi sotto le lenzuola bianche e, emettendo un profondo
sospiro, da lui interpretato come un gemito sensuale, si volse, mostrandogli la
tenerezza di un sorriso assonnato. I suoi zigomi non erano più segnati dai
lividi.
Era
marzo. Fuori dal campo, alle prime carezze della primavera, gli alberi
rifiorivano e, in lontananza, si poteva addirittura scorgere il color oro delle
mimose. Una mattina quasi non cedette alla tentazione di raccoglierle per lei.
I
treni di deportazione partivano dalle stazioni ferroviarie di tutta l’Europa
diretti ai lager nazisti e molti, in Italia, eran
quelli che transitavano prima per Fossoli. La Wehrmacht aveva invaso
l’Ungheria, mentre le truppe sovietiche si apprestavano a liberare l’Ucraina.
Presto, la guerra avrebbe preso una piega sfavorevole per i tedeschi e questo,
in un primo momento, non sembrò interessargli, troppo preso dall’eccellere nel
proprio ruolo di comando e dal combattere i propri sentimenti.
Da
nemici, Sarah ed Hermann erano diventati amanti ed entrambi, rifiutando la
possibilità di completarsi l’un l’altro al di fuori di quella stanza, facevano
esperienza dell’amore che spezza, in un rapporto fatto di possesso e di
allontanamenti, di tormento per le loro differenze ideologiche e di esaltante
desiderio.
Il
primo «ti amo» arrivò nel mese delle rose. Anch’esse non disdegnarono di
sbocciare, donandosi alla vista degli abitanti di Fossoli.
Passato
per caso davanti alla propria camera, Hermann si era fermato sull’uscio a
guardare Sarah, mentre, dalla finestra, osservava il frenetico movimento che,
sempre, contraddistingueva il campo nei giorni precedenti alla partenza di un
convoglio. Da lontano, scorse di profilo la sua espressione rabbuiata e, non
sapendo ancora cosa fosse l’empatia, la interpretò come paura di essere
anch’ella deportata. Le si avvicinò con l’intenzione di rassicurarla e Sarah si
accorse della sua presenza dietro di sé solo quando l’avvolse nell’abbraccio.
Tra
le braccia, ne contenne il sussulto, poi il singhiozzo che le sciolse il nodo
di lacrime e, all’orecchio, le disse: “Non permetterò a nessuno di portarti via
da me. Tu sei mia.”
Le
parole sembrarono non aver sortito alcun effetto, giacché lei non smise di
piangere, anzi continuò più forte. Lentamente, la fece voltare, prendendola per
mano e, nel movimento, l’aria intorno a loro si riempì di melanconica
tenerezza.
Slancio
di braccia e impeto del cuore, la strinse forte al petto e le dichiarò i propri
sentimenti: “Perché ti amo.”
Il
pianto si quietò. A questo, le parole erano finalizzate, si giustificò con se stesso, invano, poiché la mattina seguente una rosa rossa
le lasciò sul comodino accanto al sacchetto di biscotti.
In
primavera, quando i nuovi documenti falsi validi per l’espatrio furono pronti,
i postumi della polmonite abbandonarono il suo corpo e, con essi, il
conseguente umore depresso. A maggio, Hermann avrebbe ricercato il suo amore,
iniziando dalla capitale italiana.
La
vasta rete di amici e conoscenze di suo padre arrivava fino al Vaticano e,
grazie all’aiuto di un esponente del clero cattolico anticomunista, dopo aver
trovato Sarah, sarebbe partito alla volta dell’Argentina, dove già lo attendeva
un lavoro come impiegato di banca e un piccolo appartamento pronto da abitare
con lei.
Hermann
aveva pianificato la loro nuova vita insieme, dando per scontato il consenso
dell’altra parte, sicuro che, a lui, fosse ancora legata dal vincolo di un
amore mai dimenticato.
Svegliata
dal rumoroso russare di Matteo, Sarah spalancò di colpo gli occhi,
indirizzandoli all’orologio sul comodino che segnava le sei e un quarto. Lui
doveva essersi ritirato da poco e subito profondamente addormentato, senza
neanche togliersi bene di dosso la puzza del pescato. A volte, le dava la
nausea l’odore della sua pelle.
Per
il primo Natale insieme, gli aveva regalato un profumo dalle note orientali
dell’ambra, la cui scelta, nell’elegante boutique del corso, era stata
condizionata dal risveglio dei ricordi. Un regalo che Matteo non aveva saputo
apprezzare, considerandolo uno spreco di soldi e rivelando di sé un lato
materialista.
Sarah
si mise a sedere e, nella penombra della stanza, gli rivolse uno sguardo
insofferente. Decise di lasciare il letto, prima che suonassero le campane
delle sette, per iniziare una nuova giornata e, trascinandosi le pantofole
bianche, raggiunse il comò. Sedette sulla poltroncina con il rivestimento in
velluto rosa e, guardando allo specchio il proprio volto segnato dalla
tristezza, tolse il primo bigodino.
Sempre,
al risveglio, si sentiva sull’orlo delle lacrime e, di mattina, si preparava,
svogliatamente, motivata soltanto dal dover presentarsi ben curata al lavoro e
dal far dispetto alla famiglia di Matteo, in particolare alla suocera che
criticava il suo indossare ogni domenica, per la messa e il pranzo da lei, un
abito diverso. Da lui, aveva smesso di aspettarsi complimenti, ricevendo come
forma di attenzione solo il biasimo per un’altra spesa inutile, superflua come
l’acquisto di un cappotto nuovo, rosso.
Per
colore e modello, esso era perfettamente identico a quello regalatole dai suoi
genitori, lo stesso che indossava al suo arrivo a Fossoli. Vedendolo esposto
nella vetrina, passando sul marciapiede opposto alla boutique, non aveva
esitato ad attraversare in fretta la strada e a chiedere il prezzo alla
negoziante, sospinta dal ricordo delle sensazioni provocatele dall’esser
guardata con anelito da due occhi verdi.
Almeno,
Matteo non le impediva di gestire la propria paga – cosa che, invece, accadeva
alla ragazza addetta al bancone dei dolci, il cui marito non le permetteva di
tenere in tasca neanche una lira – e, in fondo, a lui piaceva che gli amici lo
invidiassero per la sua bella ed elegante moglie.
Agli
occhi della gente, il cui chiacchiericcio si era spostato su Hannah e Davide,
apparivano come la coppia perfetta e nessuno poteva immaginare che, dietro
quell’ostentata felicità, si nascondesse il dramma della solitudine e
dell’insoddisfazione.
Un
figlio tardava ad arrivare e, tra i due, a desiderarlo di più era Matteo,
giacché, per Sarah, l’arrivo di un bambino – nonostante lo sognasse, fin da
quando ne aveva memoria – rappresentava, adesso, la perdita della propria
libertà. Non che lui si sforzasse più di tanto a farne uno, avendo imprigionato
la loro vita matrimoniale in meccanismi abitudinari e costretto, dopo la prima
settimana di nozze, la loro unione coniugale a un incontro prefissato per la
domenica mattina. Stessa ora, stesso repertorio.
Avevano
già cessato di esistere le danze al chiaro di luna attorno ai fuochi accesi in
spiaggia, il loro ridere dietro lo zucchero filato alle battute di Pulcinella,
le passeggiate al tramonto in riva al mare, i giri in barca, le fughe d’amore
nel loro nascondiglio tra gli scogli e sapeva che, con il ritorno della
stagione primaverile, ormai alle porte, non ci sarebbe stata alcuna rinascita.
Le
sembrava strano ricordare come si sentisse più viva, quand’era circondata
dall’ombra della morte che aleggiava sulle vite sospese degli abitanti di
Fossoli, più forte, quando Hermann la teneva nel limbo del suo amore, senza la
certezza di un futuro insieme.
Con
dita fiacche, tolse anche l’ultimo bigodino e, continuando a fissare la propria
immagine riflessa nello specchio, esplose in un pianto sommesso che Matteo,
immerso nel suo sonno, non avrebbe ascoltato.
E
le lacrime divennero quasi preghiera, mentre si domandava se le anime avessero
orecchi.
“E chi ama canta
tra le voci della vita.
L’acqua che si incontra col suo scialacquio.
Oppure è meglio non cantare,
muti se non è d’amore
e qualcuno deve farlo.
E sono io che ti canterò
e come in fuga nel tuo cuore andrò.”
Amedeo Minghi, Cantare è d’amore