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Autore: _Trixie_    02/12/2020    6 recensioni
Ci sono storie che accadono a Natale e che sembrano essere state scritte dal destino in persona: il camino scoppiettante in una fredda sera di dicembre, il vischio appeso proprio sopra le loro due teste, la neve che cade al momento giusto...
E poi ci sono storie in cui il destino non sembra azzeccarci poi più di tanto e la colpa di tutto quanto non può che ricadere su una madre iperprotettiva e impicciona, un padre rassegnato all'inevitabile, una regina con un urgente bisogno di un'altra mela avvelenata e un'eroina che quella mela avvelenata la morderebbe volontariamente pur di sfuggire a tutto quanto.
O, forse, a volte il destino ha l'aspetto di un piccolo bambino che nella magia del Natale ci crede davvero.
[Calendario dell'avvento SQ, sì, pure questo dicembre ve lo sorbite
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- 2 -
 
 

 
Feeling Christmas all around
And I'm trying to play it cool
But it's hard to focus when I see you walking around the room
- Santa tell me, Ariana Grande
 
 

 
«No».
Emma alzò gli occhi al cielo. «Regina!»
«Signorina Swan» rispose il sindaco, le mani sui fianchi, un sopracciglio alzato.
Emma grugnì per l’esasperazione. «Non ha senso andare con tre macchine quando ne bastano due!» 
Regina fece per ribattere, quando Henry le interruppe, scendendo dal piano superiore. «State litigando?» domandò immediatamente alle sue madri, che si stavano guardando con ostilità all’ingresso.
«No!» risposero all’unisono.
Henry non ci credette nemmeno per un secondo.
«La signorina Swan non fa che dire sciocchezze. Come al solito» aggiunse Regina.
«Io?! C’è una sola persona irragionevole in questa stanza e sei tu!» protestò Emma.
Fuori, qualcuno suonò un clacson.
«Arriviamo!» urlò Emma, i nervi a fior di pelle.
Non erano ancora partiti per quel loro assurdo Natale in famiglia e già si era pentita di non aver finto un malore o qualcosa del genere. Il signor Gold, le aveva raccontato Henry, si era ferito un piede pur di non andare in guerra. Forse Emma aveva ancora tempo sufficiente per fare altrettanto. I gradini del patio del 108 di Mifflin Street erano particolarmente scivolosi in quel periodo dell’anno e non sarebbe nemmeno stato il suo primo scivolone a casa di Regina. Solo, questa volta, sarebbe rimasta a terra, fingendo un terribile, terribile dolore.
Che peccato, davvero.
«Non capisco perché dovrei essere costretta a trascorrere due ore in macchina con te!» sbottò Regina.
«Perché è sufficiente una sola auto per me, te ed Henry!» rispose Emma, quasi urlando. «Perché prendere il pick-up e il Maggiolino e la Mercedes?!»
«La mamma ha ragione» fece Henry.
«Visto?!» esclamarono entrambe le donne, ciascuna sicura che il figlio si stesse riferendo a lei.
Henry si schiarì la voce. «Giusto. Due mamme. Sì. Mmh, intendevo… Emma» disse infine.
«Visto?!» ripeté di nuovo Emma. Regina la guardò in cagnesco.
«D’accordo. Io e Henry ti aspettiamo in auto. Le chiavi per chiudere sono lì sopra» fece il sindaco, indicando il tavolino accanto all’ingresso.
Emma era confusa. «Cosa?» domandò. Ma nessuno le rispose, perché tanto Regina quanto Henry si erano già precipitati fuori, abbandonando Emma accanto alle valigie del sindaco.
«Non solo il tuo autista!» esclamò Emma, affacciandosi alla porta d’ingresso, in direzione di Regina che stava già salendo – con un’espressione di profondo disgusto in volto – dal lato passeggero del Maggiolino.
«Quindi prendiamo la Mercedes e guido io?»
«No!» urlò Emma.
Il rumore di un clacson, di nuovo, la fece sobbalzare. Emma alzò gli occhi e vide Snow nel pick-up, allungata verso il volante che le faceva segno di affrettarsi e David, alla guida, accanto a lei, con un’espressione rassegnata in volto.
Prendendo la valigia di Regina, che naturalmente aveva il peso di un intero armadio – probabilmente perché vi aveva fatto stare un intero armadio, Emma si diresse a passi pesanti al Maggiolino.
 
 
*
 
 
«Jingle bell, jingle bell, jingle bell rock!» cantò Emma o, meglio, urlò con quanto fiato avesse nei polmoni, accompagnata da Henry che, seduto sul sedile posteriore del Maggiolino, si era sistemato al centro in modo che la sua testa spuntasse tra quella delle sue madri.
Regina si passò una mano tra i capelli.
Dopo soli cinque minuti di viaggio, il sindaco era già convinta che fosse durato troppo.
 
 
*
 
 
Emma abbassò il volume della musica, le parole di It’s the most wonderful time of the year quasi inudibili a causa del poco rassicurante rumore del motore del Maggiolino. Dietro, la testa appoggiata al finestrino, Henry si era addormentato. Lanciando solo un breve sguardo di sfuggita a Regina, Emma notò la dolcezza sul volto del sindaco e non poté fare a meno di sorridere.
«Cosa?» domandò Regina, circospetta.
«Niente» rispose Emma, pur continuando a sorridere.
Regina studiò il profilo della signorina Swan per qualche secondo, i capelli biondi che cadevano in boccoli disordinati sulle sue spalle, le guance appena arrossate, lo sguardo fisso sulla strada, attento e vigile. Le braccia nascoste dal cappotto nero che, a causa del freddo, Emma era stata costretta a indossare invece di quella ridicola giacca rossa che il sindaco si era imposta di odiare, solo per partito preso. Le mani dalle dita lunghe, affusolate, con le nocche appena screpolate a causa del freddo del Maine strette intorno al volante.
Tenendo il busto voltato appena in direzione di Emma, la testa appoggiata al sedile, Regina ebbe appena il tempo di stupirsi della sonnolenza che la colse all’improvviso e che le fece chiudere gli occhi. E preferì non pensare, nemmeno per un istante, a quanto al sicuro si sentisse lì, in quella ridicola bara su due ruote, con Emma e Henry.
«And hearts will be glowing when loves one are near» furono le ultime note della canzone che Regina udì, prima di addormentarsi.  
 
 
*
 
 
Secondo il navigatore del proprio telefono, mancavano solo venti minuti all’arrivo. Frenando all’ennesimo semaforo rosso, Emma controllò nello specchietto retrovisore che il pick-up dei suoi genitori fosse ancora dietro al Maggiolino. Si erano fermati solo una volta, a metà tragitto, perché David potesse cedere la guida a Snow, che ora salutava Emma con entusiasmo. Accanto a lei, suo marito dormiva, la bocca spalancata e la braccia incrociate davanti al petto. E quante volte si era addormentata in quella stessa posizione, viaggiando su autobus o treni diretti a una città sconosciuta, in viaggi che sembravano sempre interminabili.
E Emma, inaspettatamente, si sentì… felice.
Non si era ancora del tutto abituata all’idea di avere una famiglia. Di avere dei genitori.
E, forse, una parte di lei non si sarebbe mai del tutto abituata. Una sorta di assicurazione emotiva. Mary Margaret e David avevano già rinunciato a lei una volta, no? Cosa impediva loro di farlo nuovamente? Certo, la loro non era stata una scelta facile, ma…
Ma avrebbero comunque potuto scegliere di tenerla con loro. La dannazione eterna accanto alle persone che ami non è forse preferibile ad essere… soli?
E lo sguardo di Emma cadde su Henry, ancora addormentato. Scosse la testa, poi slacciò la propria cintura di sicurezza. Facendo attenzione a non svegliare Regina, si sporse con il busto, per quanto poteva, tra i due sedili anteriori, nel tentativo di raggiungere con il braccio la piccola coperta che teneva dietro, sotto il sedile del passeggero. Secondo la sua esperienza, può sempre capitare di dover trascorrere una notte in auto, all’improvviso. Con attenzione, lo sceriffo coprì Henry.  
Tornata al suo posto, il semaforo ancora rosso, Emma si concesse di osservare Regina.
Un privilegio raro, di quei tempi.
Dopo il loro primo incontro – in quella sera d’autunno, quando Henry per la prima volta l’aveva portata a Storybrooke, l’aveva portata a casa, Emma aveva dovuto imparare a distogliere lo sguardo dal viso di Regina, nonostante non volesse. E per quanto si fosse sforzata, Emma, di reprimere quella sensazione che aveva dentro, quel desiderio, quella necessità che sentiva di contemplare Regina ancora e ancora, alla fine aveva dovuto rinunciare.
Con un sospiro, Emma si sfilò la sciarpa dal collo e la usò per coprire Regina, posandola con delicatezza sulle sue spalle, temendo di svegliarla.
Il semaforo diventò verde e Emma si vide costretta a spostare di nuovo l’attenzione sulla strada.
«I don’t want a lot for Christmas There is just one thing I need» attaccò in quel momento Mariah Carey alla radio.
 
 
*
 
 
Regina si trattenne dal rimproverare la signorina Swan per averla svegliata con tutto quel suo trafficare tra i sedili quando si accorse che Emma stava solo coprendo Henry perché non prendesse freddo.
Chiuse di nuovo gli occhi, sicura che lo sceriffo non si fosse resa conto che era sveglia, sperando di tornare ad addormentarsi immediatamente così da non dover affrontare quell’improvvisa tenerezza che il gesto di Emma aveva suscitato in lei.
Era per questo che Regina non voleva stare troppo vicino a Emma.
Per tutto quello che risvegliava in lei.
Ed era stata paura, all’inizio, paura che le portasse via il suo bambino.
E poi attrazione, perché Emma aveva quei luminosi occhi verdi che le ricordavano i boschi della sua infanzia e le cavalcate con Rocinante, quella felicità effimera che pure si ostinava a inseguire.
E poi rabbia. Rabbia per ciò che Emma era, senza nemmeno saperlo. La Salvatrice. La rovina di quel lieto fine che aveva conquistato sacrificando tutto il resto. Anche se Regina quella felicità sentiva di averla persa per sempre, nonostante gli occhi verdi di Henry – di Emma, le facessero credere che fosse lì, a un soffio di distanza.
E le cose non avevano fatto che peggiorare. La fine della Maledizione, il rapimento di Henry, Neverland… Emma aveva risvegliato più e più parti di lei che Regina credeva di aver sepolto per sempre. Con Daniel.
E Emma non aveva alcun diritto di-
Sentì il suo profumo, Regina, il profumo di Emma.
Terribilmente vicino.
Si irrigidì, rimase immobile, in attesa.
Una sensazione di torpore sulle spalle.
I muscoli di Regina si rilassarono.
Fu solo quando arrivarono alla baita che scoprì che Emma l’aveva coperta con la sua sciarpa rossa. Dopo essere scese dall’auto, gliela restituì senza una parola, guardando in quegli occhi verdi tanto simili quanto diversi da quelli di suo figlio. E di Snow.
Le loro dita si sfiorarono appena, poi si allontanarono, unite solo, per qualche secondo, da quella sciarpa rossa.
 
 

 
NdA

La canzone di oggi: Santa tell me, Ariana Grande. 
Grazie per aver letto! 
T. <3 

 
   
 
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