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Autore: Mahlerlucia    03/12/2020    2 recensioni
Ci sono ferite che non guariscono, quelle ferite che ad ogni pretesto ricominciano a sanguinare.
(Oriana Fallaci)
[Bokuto x Akaashi || BokuAka]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto, Tenma Udai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Anime/Manga: Haikyuu!!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale
Rating: giallo
Avvertimenti: Missing moment, Spoiler!, Tematiche delicate
Personaggi: Bokuto Koutarou, Akaashi Keiji
Pairing: #BokuAka
Tipo di coppia: Shonen-ai

 
 
 
 Blu
 
 
 
Qualche settimana prima

 
Lo studio della dottoressa Masaki era situato al primo piano di una ridente palazzina del centro di Shibuya. Un’ottima collocazione considerando la vicinanza alla stazione e l’ampio giardino che impediva al traffico d’interferire più del dovuto nel corso delle sedute.
Keiji ricordava alla perfezione quella sorta di perdita di contatto con la realtà che lo investì la prima volta che varcò la porta a spinta che separava le apparenze della quotidianità dall’adrenalina che avrebbe concesso alle sue emozioni di trovare una via di fuga da ciascuno dei suoi dilemmi esistenziali. L’abitudine allo sport e alle corse contro il tempo non avrebbero dovuto consentire alle sue gambe di tremare a quel modo mentre risaliva i pochi gradini che ancora lo dividevano dal luogo in cui sperava di poter dar vita a un svolta definitiva.
La giovane segretaria aveva richiamato la sua attenzione per confermargli nominativo e orario dell’appuntamento prefissato. Parlò in maniera piuttosto meccanica e ligia, ma riuscì a ponderare il tutto grazie ad un luminoso sorriso con il quale voleva implicitamente incoraggiare le persone che si trovava davanti rispetto a ciò che li attendeva di lì a breve.
 
“Siamo a sua completa disposizione per qualsiasi esigenza.”
 
Ma quali sono davvero le mie esigenze?
Un uomo con un opuscolo alla mano uscì dalla stanza opposta del corridoio. Si rivolse alla giovane dipendente con un sorriso forzato e ammiccante, forse oltre quello che il suo ruolo imponeva in quello specifico contesto. Akaashi non ci mise poi molto a comprendere che altri non era che il neuropsichiatra che lavorava a stretto contatto con colei che sarebbe diventata la sua nuova “ancora di salvezza”, salvo imprevisti a carattere strettamente introspettivo.
Nel momento in cui si accorse della sua presenza, lo psichiatra restò sbigottito. Sembrò quasi che qualcuno lo avesse messo a nudo in una situazione non di certo considerabile come consona al ruolo. Tentò di liquidare rapidamente la questione con un cortese cenno del capo, per poi decidere di dirigersi verso il punto esatto da cui era arrivato, senza nemmeno prendersi la briga di congedarsi educatamente dalla ragazza che lo osservava con fare incredulo.
È tanto ingenua da non comprendere? Per gli dèi... quell’uomo è tale e quale a... ah! Lasciamo perdere. Non voglio proprio pensare a lui in questo momento.
 
“Akaashi... Keiji?”
 
Masaki Umeko, psicoterapeuta sistemico-relazionale, fece il suo trionfale ingresso alle sue spalle, cogliendolo talmente di sorpresa da indurlo al sobbalzo. Non ricordava di essere stato chiamato con tanta ufficialità dai tempi in cui si era ritrovato in completa tensione all’interno di un’altra sala d’aspetto, poco prima di poter svolgere un colloquio lavorativo. 
Keiji si voltò d’impeto, cercando di sostenere lo sguardo severo di quella donna, ma non senza un’evidente fatica. Congiunse le mani all’altezza del ventre e s’inchinò appena, in segno di riconoscenza anticipata. D’altronde, sapeva bene che non sarebbe stato facile per nessuno dover sopportare le paturnie e gli adombramenti di un ragazzo di poco più che vent’anni che, in apparenza, non mostrava nulla di particolarmente diverso dai suoi coetanei.
 
“Buon pomeriggio, dottoressa Masaki. Sono lieto di fare la sua conoscenza.”
 
La terapeuta sorrise dolcemente a quel giovane inviatogli dal medico di base, nonché amico di vecchia data del suo ex marito. Allungò una mano verso quel fisico che accennava a una condizione di lieve sottopeso, con ogni probabilità dovuto al troppo stress di cui gli aveva lungamente parlato il suo collega nel corso di una recente videocall. Le occhiaie evidenti e l’agitazione perpetuata a partire dalla sua improvvisa reazione al suo arrivo furono altri segnali tangibili di un periodo che di certo non rientrava tra i migliori da dover annoverare all’interno della sua ancor giovanissima vita.
Akaashi esitò giusto un paio di secondi, prima di decidersi a ricambiare quel gesto di cortesia messo in atto dalla persona che da lì in avanti gli avrebbe dedicato tempo, conoscenze e attenzione. Del resto, sapeva bene che, seppur in maniera informale, aveva iniziato a tracciare il suo quadro anamnestico ancor prima di aver pronunciato il suo nome. Ogni dettaglio era oro colato per poter comprendere cosa si potesse mai celare dietro le difficoltà e i disagi avvertiti dai pazienti, compreso tutto ciò che poteva essere appreso mediante il linguaggio corporeo, l’espressività e gli inevitabili silenzio di rito.
Il palmo era caldo, accogliente... una forma di contatto umano che non era stato più capace di avvertire da quando Kōtarō era partito per Ōsaka. La stretta fu decisa, ma per nulla invasiva.
Quella donna apparve ancor meno prolissa di quanto non lo fosse già lui, seppur i suoi grandi occhi castani furono in grado di comunicare empatia sin dal primo sguardo. Keiji non sapeva nulla di lei, se non alcune informazioni facilmente reperibili dal web e riguardanti principalmente la formazione accademica e la carriera professionale conseguita negli corso degli anni.
 
La poltrona su cui fu invitato a sedersi non era particolarmente spaziosa, ma lui riuscì  ad occuparne ugualmente meno dalla sua metà. Più che seduto, parve essersi appena appoggiato, tenendo le ginocchia strette e protese in avanti, pronto a scattare in piedi per fuggire via da un momento all’altro. Le mani giunte a loro volta sulle gambe e lo sguardo perennemente rivolto verso punti indefiniti della parete retrostante, non facevano altro che avvalorare ancor di più la prima acerba impressione che la dottoressa Masaki aveva avuto: Keiji avvertiva un disperato bisogno di dar voce a quelle inquietudini che stavano portando la sua insicurezza a livelli che rasentavano la patologia ansiogena. L’attacco di panico di cui i suoi cari erano stati testimoni doveva essere stato solamente l’apice estremo di una lunga serie di disturbi legati all’ansia che lo avevano colpito negli ultimi anni; forse già a partire dalla prima adolescenza.
 
“Signor Akaashi...”
 
Keiji sbarrò gli occhi in una maniera tale da porre un freno al primo quesito della specialista. Nonostante i quasi trent’anni d’esperienza nel campo e i numerosi – e disparati – casi che aveva preso in carico, non aveva mai trovato un sistema universale per potersi approcciare a dovere ai pazienti in fase di assessment, nonostante avesse sempre cercato di soppesare il tutto in base all’età e ai bisogni della persona. La professione imponeva di dare del lei a tutti i maggiorenni, compresi i più giovani. Ma spesso erano proprio questi ultimi a chiedere di essere chiamati tranquillamente per nome, al pari di figli che avevano deciso di lasciare la propria famiglia fuori da quel microcosmo.
La pronuncia era stata impeccabile, per cui non avrebbe potuto appellarsi nemmeno alla mancanza di una vocale come aveva fatto anni prima con un ben più ingenuo Bokuto. Ma non avrebbe mai potuto reggere intere sedute venendo interpellato con quell’appellativo algido e facilmente riconducibile a una delle sue pene più grandi, se non la più atroce in assoluto.
Ripensò istintivamente a tutte le volte in cui era solo in casa, intento a studiare o a rivedere gli schemi di gioco per il giorno seguente, in vista dei successivi avversari da affrontare; capitava che il telefono suonasse senza che ci fosse possibilità di ignorarlo. Nemmeno il tempo di pigiare il tasto verde del cordless che dall’altra parte voci esigenti e frettolose cominciavano a chiedere del “Signor Akaashi”; era costretto a segnare meticolosamente messaggi che avrebbe dovuto riportare al diretto interessato, salvo poi scoprire – sistematicamente – che tutte le questioni erano già state risolte. Suo padre non aveva mai voluto parlare di lavoro in sua presenza, ma senza prendersi mai la briga di dargli uno straccio di motivazione.
 
Preferì non dire nulla, per non urtare la sensibilità di una professionista che stava semplicemente seguendo una prassi o un qualche articolo del proprio codice deontologico. Sì, a tempo perso si sarebbe documentato anche a tal proposito.
 
“... si metta pure a suo agio. Possiamo partire liberamente da quello che preferisce.”
 
Al cospetto di cotanta libertà d’espressione Keiji soleva chiudersi ancor di più in sé stesso, evitando di addentrarsi in territori per lui sconosciuti e, soprattutto, infausti. Ciò che gli era sempre servito per andare avanti dando un senso logico a tutto ciò che lo circondava era l’assoluta necessità di confini oltre i quali difficilmente osava addentrarsi. Ma era perfettamente conscio del fatto che era stato proprio l’eccessivo rispetto per quelle barriere ad avergli causato quel frangente di vuoto assoluto che lo aveva poi obbligato a chiedere aiuto.
 
“Ha avuto difficoltà a raggiungere questo luogo?”
 
La domanda lo sorprese nella sua apparente innocenza, seppur non fosse stata buttata nella mischia senza un evidente motivo di fondo. Con ogni probabilità, dalla sua risposta la terapista avrebbe raccolto un numero sufficiente di dati da poter stilare un provvisorio quadro della situazione, arrivando persino a catalogarlo all’interno di uno di quei codici numerici che rappresentavano i principali disturbi psichici presenti nei manuali clinici
Le mie parole avranno un senso? Il pensiero seguirà un filo logico? E le pause? Il tono utilizzato? Ogni dettaglio verrà squadrato a dovere!
Perché diamine sono venuto sin qui?
 
Dischiuse le labbra nel tentativo di rispondere, ma si limitò a muovere il capo da destra verso sinistra, per poi ripetere il movimento nel senso opposto. La perdita del senso dell’orientamento non rientrava tra i possibili sintomi recidivi dovuti al suo recente exploit emotivo, così come la perdita di concentrazione... per quanto fosse stato costretto al riposo forzato da diverse settimane.
 
“Ho preferito muovermi con i mezzi. Di tanto in tanto le mie mani tremano ancora e... non sarei stato in grado di controllare il volante e tutto il resto.”
 
La terapeuta inclinò leggermente il capo mostrando un sorriso pregno d’insolita tenerezza. Nell’ultimo periodo un buon sessanta percento dei suoi pazienti era costituito da donne di mezza età in crisi coniugale o implicitamente pentite di aver sempre messo la carriera davanti al desiderio di maternità. Tematiche che la toccavano, che inevitabilmente le ricordavano il suo ruolo di donna, madre ed ex moglie. Argomenti che spesso le lasciavano sufficiente spazio per raccontare tutto ciò che avrebbe escogitato lei stessa, se solo avesse avuto quel pizzico di coraggio in più; sì, quello stesso coraggio che in quel momento poteva scorgere nitidamente nelle incantevoli iridi verdi di quel ragazzo piegato da mancanze affettive che, con ogni probabilità, avevano avuto origine molti anni prima all’interno del nucleo familiare d’origine.
Il nido dentro il quale si è costretti a passare dallo stadio larvale a quello di splendida e delicata farfalla non sempre si mostra all’altezza della tempra e del disincanto di chi la popola per una semplice questione di sangue.
 
“Cosa intendi quando dici ‘tutto il resto’? Semplicemente cambio e freno a mano?”
 
“In realtà includerei anche frizione, acceleratore e... freno vero e proprio.”
 
Umeko colse il peso di quella piccola titubanza che si era frapposta tra le due opposte metafore automobilistiche. In un certo qual modo, Akaashi voleva mettere le mani avanti per evitare di toccare fin dalla prima seduta quei punti più dolenti che avrebbero meritato il loro tempo e la loro adeguata e cospicua rielaborazione. D’altra parte, non allontanò dai suoi pensieri terapeutici quel sottile messaggio che il ragazzo le aveva messo sul piatto con un discreto anticipo. Era talmente evidente ciò che la specialista vi aveva appreso, da indurlo a sorvolare circa ulteriori dettagli relativi al breve e insignificante tragitto che aveva percorso per poter giungere a lei.
La mancanza di ulteriori quesiti in tal senso non lo stupì più del dovuto.
Chissà se anche una terapeuta sistemico-relazionale si appella al magico potere del “trasfert” quando conquista da principio la grazia di un nuovo paziente... Mmm, sapevo di dovermi documentare meglio!
 
La mente di Akaashi divagava tra una considerazione silente e l’altra, in attesa che la sua interlocutrice potesse dargli ulteriori input per portare avanti quel reciproco scambio di solitudini che stentava a decollare, principalmente a causa delle sue infrangibili remore.
 
“Allora Keiji, dimmi. Preferisci che ti chiami per nome, non è così?”
 
L’ex setter della Fukurōdani si limitò ad annuire, mostrando una nuova luce all’interno di quegl’occhi che finalmente cominciarono a mostrare quel filtro insindacabile che stava ad indicare quanto fosse arrivato a sentirsi compreso e accolto. Sensazione più unica che rara negli ultimi tempi, specie quando Kōtarō era costretto a lunghe trasferte sportive.
Sollevò il busto in una posizione più corretta e rilassata, arrivando persino a considerare lo schienale della sua poltrona imbottita. Era curioso di sapere se dare del tu a un paziente avrebbe comportato dei problemi, ma decise di non azzardare quella sua ingenuità sino al raggiungimento di un maggior livello di assonanza reciproca.
Inutile negare che le premesse erano state ottime.
 
“Cosa fai di bello nella vita?”
 
Come se non si fosse già adeguatamente informata.
Pensò a come ponderare la risposta senza cadere fin da subito nella trappola del burnout da dover sviscerare a tutti i costi. Già, perché prima di cadere nel precipizio più buio vi era stata una rapida salita che gli aveva addirittura concesso il conseguimento di piccoli traguardi da non sottovalutare.
I primi tre volumi dell’opera su carta di Udai avevano avuto un discreto successo di pubblico, tanto da indurre il loro caporedattore a proseguire a tutto spiano con la pubblicazione di un sequel che doveva essere “assolutamente all’altezza dei primi capitoli”, per citare le sue testuali parole. E fu proprio da quel momento che le scadenze di consegna divennero sempre più irrevocabili e stringenti, portando in pochi mesi entrambe le parti in causa allo sfinimento. Fortunatamente Tenma non era arrivato sino a suoi medesimi estremi. La forza di resistenza sembrava essere stata rodata a dovere nel corso di quei pochi anni di esperienza in più che gli competevano.
 
“So-sono un editore. Edito manga per un amico. Lavoriamo allo stesso progetto da qualche mese.”
 
“A che genere di manga vi state dedicando?”
 
L’utilizzo del verbo alla seconda persona plurale aveva lasciato sottendere a un sagace Keiji che la dottoressa aveva percepito quella nota melensa nel tono della sua voce nell’attimo in cui si riferì al suo collega con il termine “amico”, come se avesse voluto far intendere che i muri delle gerarchie di ruolo erano già stati surclassati da tempo nell’ambiente presso cui lavorava, seppur fosse ancora largamente considerato come uno degli ultimi arrivati.  
 
Horror. Udai-san ama il genere, per quanto stia già pensando ad un futuro dedicato agli Spokon.”
 
“Quale dei due generi prediligi?”
 
Spokon, senza ombra di dubbio.”
 
La terapeuta marcò velocemente qualcosa sul suo taccuino, per poi riporlo sul bracciolo della sua poltrona, senza minimamente curarsi di richiuderlo. Forse la scelta non era stata completamente dettata dal caso.
Tornò a cercare l’attenzione nello sguardo di quel giovanissimo editore che le era parso molto più vigile e loquace rispetto a quanto avesse inizialmente ipotizzato, specie dopo il resoconto del suo medico di fiducia. Non era così semplice riprendersi da un attacco di panico, ma fare buon viso a cattivo gioco all’interno dello spazio vitale di una strizzacervelli non era di certo impresa da poco, specie nel pieno di una ripesa che si prospettava tutt’altro che rapida; come d’altronde era giusto che fosse.
 
“Pratichi sport?”
 
“Al momento no. Fino a qualche mese fa riuscivo ad andare di tanto in tanto in palestra ma... beh, ecco... quando frequentavo il liceo giocavo a pallavolo.”
 
Il piccolo bloc-notes fu preso ancora una volta in considerazione al fine di spuntare distrattamente un paio di voci. Il viso della donna assunse un’espressione maggiormente concentrata e coinvolta verso tutto ciò che quel ragazzo stava riportando alla luce direttamente dal suo animo ferito. L’agonismo, dunque, aveva avuto le sue remote basi anche in ambito sociale ed educativo, il ché rendeva il fardello da trattenere dentro al cuore ancor più insolente.
 
“E dimmi...  ti piaceva giocare a pallavolo?”
 
Domanda più complessa non poteva essergli rivolta. Se gli piaceva giocare a pallavolo? Lui adora la pallavolo dal momento esatto in cui Bokuto gli aveva palesato apertamente la sua visione di quel meraviglioso sport che sino ad allora aveva potuto considerare solamente dal punto di vista tattico; o, tutt’al più, al pari di un diversivo per poter passare qualche ora in più lontano dal costante clima teso che si respirava all’interno della sua famiglia.
Ma come avrebbe mai potuto spiegarle che per lui la pallavolo esisteva solo se poteva condividere tutte le emozioni che ne derivavano assieme a Bokuto? In che modo avrebbe potuto raccontargli di quell’ultimo anno vissuto da solitario protagonista assoluto senza rischiare di cadere nello sconforto più totale?
Sarebbe risultato praticamente impossibile.
 
“Ho sempre amato la pallavolo.”
 
Non ebbe la forza di alzare lo sguardo per incrociare gli occhi attenti di colei che, senza ombra di dubbio, vi aveva già scorto un alone di generalizzazione dietro al quale avrebbe voluto al più presto tagliare il discorso.
Ma fu subito chiaro che non era propriamente la pallavolo l’oggetto del suo amore profondo. Beninteso, sotto quella dichiarazione di facciata vi era un involucro che aveva impiegato anni per potersi aprire, per poter dispiegare le proprie ragioni in un contesto socio-culturale che sicuramente restava ancora saldamente ancorato a usanze centenarie e a desideri patriarcali che non avrebbero previsto altro che la designazione di futuri eredi a cui lasciare un cognome ritenuto più o meno prestigioso.
 Keiji trattenne un lembo dei suoi pantaloni scuri, cercando di non dare a vedere quell’attimo di nervosismo con il quale cercava di defilare le proprio “menzogne”. Certo, definirle in questa maniera poteva sembrare alquanto esagerato; ma sapeva bene di non poter uscire da quella stanza come se nulla fosse accaduto se non prima di chiarire per filo e per segno quello che si celava dietro l’amore provato per uno sport diverso da tutti gli altri.
 
La dottoressa Masaki avviò la sua personale indagine emotiva cercando di sondare il terreno nella maniera più efficacie e soave possibile. Un passo più lungo della gamba in ambito conoscitivo poteva comportare in men che non si dica la perdita di quel legame empatico che poteva già essersi instaurato con il paziente.
E questo sembrava essere proprio il caso.
 
“Vogliamo iniziare parlando proprio di questo?”
 
 
***
 
 
Novembre
 
 
“Sono sicura che sai alla perfezione cosa sto per domandarti...”

Il giovane editore si accomodò sulla sua scomoda poltrona per l’ennesima seduta, seppur doveva ammettere che riusciva a muoversi in quell’ambiente clinico con maggior disinvoltura. Sistemò il suo piccolo zaino nero sulle ginocchia e lo aprì. Consegnò il quadernino direttamente nelle mani della terapeuta, lasciandola libera di constatare che qualche insignificante scarabocchio era comunque stato realizzato.
La sensazione di averla fatta franca non gli stava dando tregua dalla sera precedente, facendolo sentire al pari di uno studente che per la prima volta nel corso della sua intera carriera scolastica osava presentarsi al cospetto dell’insegnante più esigente senza aver nemmeno aperto il libro. La situazione era stata ulteriormente aggravata da una consapevolezza che avrebbe potuto far drizzare i capelli persino ad un’anima distratta come quella di Ayame.

Umeko mise da parte il suo taccuino per dedicarsi all’analisi di ciò che pensava di poter finalmente leggere su quelle pagine dall’aria ancora piuttosto adolescenziale. L’agenda lavorativa che spesso condivideva con Udai era decisamente più professionale, ma le motivazioni non avrebbero retto la questione.
Aggrottò appena la fronte nel momento stesso in cui i suoi occhi caddero sui quei due piccoli gufi uniti al punto tale da dare l’immediata impressione di non poter assolutamente fare a meno l’uno dell’altro. Sorrise appena, sfogliando le ancor intonse pagine successive. Non si stupì affatto quando arrivò a constatare che non era stato aggiunto altro, se non un ghirigoro dall’aspetto nebuloso a circondare la data della precedente seduta.
Akaashi Keiji stava chiedendo a modo suo – e insistentemente! – di essere accudito e sostenuto, contenuto e accolto, come probabilmente non lo era mai stato prima d’incontrare il suo attuale compagno. Attuale e unico.

“Questo disegno rappresenta il tuo amore per la pallavolo?”

Il ragazzo alzò il capo e sorrise. Annuì con fare deciso prima di sollevare il busto sino ad arrivare allo schienale.
Doveva pur mettersi a suo agio se l’intenzione era davvero quella di aprire ancora un pezzettino del suo cuore in favore di quella donna di cui aveva imparato piano piano a fidarsi.
O meglio, a favore totalmente suo. 
 
 
 
 
… Non serve a niente di particolare
Solo tornare a pensare che tutto è bello e speciale
Non si dice mai, ma voglio impegnarmi
Salvare un pezzo di cuore
Io non vivo senza sogni e tu sai che è così
E perdonami se sono forte, sì
E se poi sono anche fragile...










 

Angolo dell’autrice


Ringrazio in anticipo tutti coloro che avranno voglia di leggere e recensire questa mia mini-long! :)

Capitolo 2: Blu.
Questo capitolo è diviso in due parti distinte dai soliti asterischi.
Nella prima parte abbiamo un lungo flashback che ci riporta al primo incontro in seduta che Akaashi fece con la dott.ssa Masaki Umeko, psicologa e psicoterapeuta (che sono due cose diverse!). Mi sono soffermata molto sui dettagli e sulle sensazioni dei due protagonisti, cercando di mettere sul piatto entrambi i punti di vista per avere un quadro più completo della situazione.
Nella seconda parte torniamo a seguire la sequenza temporale che avevamo lasciato in sospeso al termine del precedente capitolo, ritrovandoci ancora una volta nello studio professionale della dott.ssa Masaki, con un pizzico di “fiducia” in più.
Ho volutamente deciso di usare due font diversi (ma non troppo) per differenziare le due parti.
Chiedo venia per l’utilizzo un po’ troppo “tecnico” di alcuni termini a carattere psicologico, ma essendo del mestiere forse mi sono fatta prendere un po’ la mano. E onestamente... non me ne pento! ;)

Ne approfitto per ricordavi che il 5 dicembre sarà il compleanno di Keiji-kun! **
Potrei tornare con una flashina o una breve one-shot a parte per l’occasione (tempo permettendo)!

Il titolo generale della mini-long riprende quello della nota canzone di Elisa ‘Anche fragile’ (della quale riporto la seconda parte della prima strofa al termine del capitolo).
Il testo è scritto in terza persona e al tempo passato.

Grazie a tutti coloro che passeranno di qua!

Al prossimo capitolo,

Mahlerlucia



 
 
 

 
 
   
 
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