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Autore: Made of Snow and Dreams    03/12/2020    2 recensioni
Margareth è un soggetto nevrotico e mentalmente instabile, intenta a scrivere il romanzo della sua vita, 'L'intruso ', un home-invasion a tinte gotiche e horror. Quello che non sa, però, è che l'assassino è pronto ad invadere la sua sanità mentale per uscire dal libro, costringendola a fare i conti con il passato e a superare i suoi limiti.
Genere: Introspettivo, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Non-con
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Capitolo 1

 


Era una domenica estiva, afosa e bollente come solo le domeniche di agosto potevano essere. I fili d'erba che tappezzavano il prato, che fosse compreso o meno nella recinsione che cingeva la sua abitazione, erano ispidi e stopposi, inariditi dalla calura. I petali dei fiori avevano perduto il loro turgore e danzavano placidi nell'aria senza vento, docili e ossequiosi mentre quel piede inflessibile e crudele ne decretava la morte per calpestamento.

Non va bene, pensò, mentre la superficie dell'unghia capitolava sotto la macina inflessibile dei denti.

Il sole era intento ad ardere la terra, impedendole di produrre i frutti benedetti dal vento sfuggente; persino i tronchi nodosi e alteri dei pini parevano incurvarsi al tocco di quelle carezze infernali, incarnazioni naturali di gibbosità e dossi naturali appartenenti ad esseri umani dissolti in un passato remoto. Lei ne osservava i contorni, chetata e letargica sulla brandina posta al di sotto del portico, le dita filiformi e callose a bearsi del refrigerio offerto dal suo scotch. Le sue orecchie bramavano il silenzio diurno privato del chiccolare dei pettirossi e le notti quiete, deficienti del chiurlare dell'assiolo.

Sorrise compiaciuta, le labbra attente a non lasciar sfuggire la sigaretta fumante, ormai ridotta a un mozzicone che presto avrebbe raggiunto i suoi compagni nel piccolo cimitero in marmo striato. Si ricompose, la schiena raddrizzata in una serie di piccoli cigolii che la disturbarono, e osservò le sue unghie, ridotte a miserie parodie di come avrebbero dovuto presentarsi: decine di piccole pellicine ne coronavano il bordo e dolorose crepe percorrevano la matrice, arrivando fino alla lunula.

Margareth Brown si voltò verso il pesante finestrone che lasciava trapelare i raggi di un sole pallido e morente. L'orologio da parete alle sue spalle aveva continuato a scandire le sue battute frenetiche, disperate, prodotto di un momento di estatica ispirazione che aveva fecondato il giardino della sua fantasia – oramai - prosciugata. Sospirò incerta, le labbra inaridite a causa del fumo e gli occhi lontani, le pupille a riflettere la sagoma spigolosa e geometrica della sua Olivetti, la tastiera a ghignarle beffardamente, mostrandole i denti inchiostrati. Aveva ricevuto quella macchina da scrivere nel giorno del suo ventunesimo genetliaco.

Di Charlotte, così era stata ribattezzata, sapeva solo che era stata parcheggiata maldestramente nel negozio di un antiquario da un trentenne italo-americano, un certo signor White, dalle movenze sinuose eppure corrotte da un nervosismo di fondo che aveva reso impossibile alla cliente più abituale del commerciante, Lorna Gore, di affiancarlo. Quello stesso gentiluomo si era poi dileguato senza pretendere un compenso per quel gioiellino di tecnologia, ma il robivecchi dell'epoca ricordava ancora di aver intravisto dei ciuffi di peli rossicci ad impiastricciare la giacca del signor White, e che quest'ultimo ne aveva giustificato la presenza asserendo che fossero ' le prove d'amore della mia compagna di vita, Lizzie', la quale non tollerava la presenza di Charlotte in casa, appartenuta alla precedente fidanzata dell'uomo.
Casualità fu che nessuno reclamasse la vecchia macchina da scrivere, che attese pazientemente nel deposito del negozio come una presenza minacciosa e spettrale fino a quando i genitori di Margareth richiesero esplicitamente - al nipote del medesimo antiquario che ne aveva accettato la presenza - una macchina da scrivere preferibilmente antica come regalo per la loro figlia, aspirante scrittrice.

Stai per perdere un incisivo, mia cara. Accigliata, studiò la frattura che si era creata tra il tasto della C e il suo sostegno, tutta assorbita nel compito di non catalizzarne la caduta prematura.

Anche se dovessi rimanere sdentata come la proprietaria del Candy's Heaven... chissà come vanno i suoi appuntamenti per le carie...

Sorrise alla macchina da scrivere, immaginando che quell'ammasso meccanico di ferro e inchiostro godesse di quell'attimo di tenerezza, e percorse la curva morbida e voluttuosa che connetteva la tastiera al rullo. Poi, con uno scatto felino, si alzò: le sue gambe protestarono con uno scricchiolio che oscurò il cigolare della sedia fagocitata dai tarli, e lei maledì silenziosamente l'estrema magrezza che caratterizzava il suo corpo da trentenne. Era alta e dinoccolata, con arti nodosi simili ai rami di un albero, e un nido di morbidi fili biondo scuro le coronava un viso spigoloso ed enigmatico. Era priva di serpeggianti curve di seno o polpaccio – l'esatto contrario dell'adolescente giunonica che era stata una volta – e raramente si concedeva il piacere di ammirare il proprio riflesso nello specchio, avvolta in un vestito che tramutava le angolature in morbide rotondità.

Gli uomini non la degnavano mai di una seconda occhiata, e lei non aveva mai sperimentato la soddisfazione di percepire gli sguardi famelici di ragazzini e uomini fedigrafi trapassarle la schiena.

Solo uno mi ha degnato di quel tipo di attenzioni, solo una persona...

La sua bocca, ridotta a un sottile filo di carne, s'incurvò come se fosse stata disegnata da una matita su una maschera di cera. Era terribilmente ironico che suo fratello Christopher fosse stato l'unico a trovarla attraente in quel modo unico e perverso, tanti anni fa.

E chissà se mi trovasse bella ancora adesso.

Ripensò a quelle carezze malate. Christopher si era iscritto ad un gruppo di supporto per giovani alcolizzati dieci anni prima e adesso era perfettamente pulito. A quanto sosteneva la madre in Pennisylvania, il suo alito era limpido e cristallino e il suo volto non tradiva alcun segnale che fosse stato succube dell'alcool in giovane età, ed era stato proprio da sua madre che aveva saputo del matrimonio di Christ con una ragazzetta del Maine, Morgan Steele, e della nascita dei loro tre pargoli.
Ai suoi mestieri di figlia, sorella e scrittrice si era aggiunto anche quello della zia, nonostante lei non avesse mai visto – e non le interessasse neppure farlo – i suoi nipoti; era certa, nel suo intimo, che nei loro tratti fosse incastonato lo sguardo predatorio di Christ ventenne, Christ l'ubriacone, Christ l'avvoltoio; che ad una misera occhiata ai loro visi d'angelo sarebbe passata l'ombra funesta del peccato originale. Per questo motivo, Margareth si era sempre astenuta dal rispondere alle telefonate insistenti del fratello o alle richieste disperate della loro mamma che la implorava di dimenticare il passato, o addirittura di perdonarlo.

Il borborigma proveniente dal suo ventre scavato la convinse a scendere nel piano di sotto. In quel momento era passato mezzogiorno da un quarto d'ora, e nonostante il suo corpo fosse stato abituato nel tempo a prolungati digiuni e a policromatici rigurgiti autoindotti, aveva comunque i suoi limiti. L'ululato del vento che imperversava al di là delle mura domestiche fu accompagnato dal tippettare dei suoi passi leggeri mentre lei, silenziosa danzatrice, affidava a Charlotte la forma concreta dell'embrione che cresceva implacabile nella sua mente, L'intruso.



Nota dell'autrice:
La storia di Charlotte è un riferimento ad un'altra mia storia - anch'essa pubblicata su Efp - chiamata Lizzie. Vi invito a leggerla, se volete saperne di più sui 'dietro le quinte' de L'intruso.

Made of Snow and Dreams.

  
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