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Autore: Soul Mancini    04/12/2020    3 recensioni
[Scritta per il compleanno di Randy, mio adoratissimo OC ♥]
Mi grattai appena la testa e continuai a scrutarla, nella speranza di leggere qualche emozione sul suo viso. “In effetti è da un po’ che non la vedo… da quando avevo cinque anni. E mi piacerebbe visitare il Montana, visto che non ci sono mai stato. Potrei addirittura approfittarne quest’estate, non credi? Visto che ho litigato con Jia e tutte le mie amiche sono in vacanza…”
“Non se ne parla nemmeno. Perché invece non utilizzi queste settimane di noia per recuperare i debiti in matematica e biologia?”
Continuai a sorridere. “Sapevo che l’avresti detto.”
“Bene, e io spero che mi darai retta” aggiunse lei.
“Peccato che io abbia già promesso a nonna che tra una settimana sarò da lei” buttai fuori tutto d’un fiato, mantenendo il solito sorrisetto.
Mia madre sollevò il capo di scatto e mi trucidò con un’occhiata. “Cosa?!
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Ice'
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Disclaimer: alcuni personaggi che appariranno in questa storia sono comuni e/o APPARTENGONO alle serie di Kim WinterNight, Black Hole e Martin&Joe. Le trame dei nostri personaggi si intersecano, per questo motivo l’autrice originale MI HA AUTORIZZATO a utilizzare i suoi personaggi!
Beh, ma quassù non vi posso dire chi apparirà, altrimenti vi rovino la sorpresa XD
 
 
 
 
 
 
Forgotten Roots
 
 
 
 
Feci il mio ingresso in cucina, gettai un’occhiata allo schermo del televisore su cui – come al solito – scorrevano le scene di una serie tv crime, poi posai lo sguardo su mia madre che stazionava sul divano, un occhio rivolto alla tv e l’altro su una pila di documenti non meglio identificati.
Accennai un sorriso e mi piazzai davanti al ventilatore acceso, tirandomi indietro i capelli. Faceva davvero caldo.
“Non sarà mica arrivato il momento di tagliarli?” commentò mia madre, sfogliando alcuni fogli.
“Non esiste proprio” ribattei, attorcigliandomi attorno all’indice destro un boccolo ramato.
“Allontanati dal getto d’aria: non ti fa bene starci davanti se sei sudato” mi rimproverò, e le sopracciglia sottili le si aggrottarono.
Sbuffai e non mi mossi di un centimetro, continuando a fissarla con insistenza.
Forse avrei dovuto approfittare di quel momento di quiete; da lì a poco, lo sapevo, sarebbe scoppiato il putiferio.
Dopo circa un minuto, mia madre sospirò e sollevò gli occhi verdi e stanchi su di me. “Quel sorrisetto e quello sguardo fisso non mi piacciono. Cosa mi devi dire?”
Ecco. Ora non potevo più tirarmi indietro.

Stirai ancora di più le labbra, sperando di assumere un’espressione innocente e credibile. “Io? No, niente di che.” Lasciai trascorrere alcuni istanti di silenzio. “Sai, stamattina ho chiamato nonna Joanne per farle gli auguri di compleanno…”
“Ah sì? Come sta?” domandò lei distrattamente.
Non faceva certo i salti di gioia quando sentiva nominare la sua ex suocera o qualsiasi altro componente della famiglia di mio padre, ma non mi aveva mai impedito di mantenere i contatti.
“Tutto bene, era molto felice di sentirmi. Dice che in Montana non succede mai niente di bello o nuovo, soprattutto d’estate. E che le farebbe molto piacere rivedermi, dopo tutti questi anni.”
“Ah, bene.” Mamma si sistemò gli occhiali da vista sulla punta del naso con un gesto frettoloso e riprese a sfogliare il fascicolo che aveva in mano.
Mi grattai appena la testa e continuai a scrutarla, nella speranza di leggere qualche emozione sul suo viso. “In effetti è da un po’ che non la vedo… da quando avevo cinque anni. E mi piacerebbe visitare il Montana, visto che non ci sono mai stato. Potrei addirittura approfittarne quest’estate, non credi? Visto che ho litigato con Jia e tutte le mie amiche sono in vacanza…”
“Non se ne parla nemmeno. Perché invece non utilizzi queste settimane di noia per recuperare i debiti in matematica e biologia?”
Continuai a sorridere. “Sapevo che l’avresti detto.”
“Bene, e io spero che mi darai retta” aggiunse lei.
“Peccato che io abbia già promesso a nonna che tra una settimana sarò da lei” buttai fuori tutto d’un fiato, mantenendo il solito sorrisetto.
Mia madre sollevò il capo di scatto e mi trucidò con un’occhiata. “Cosa?!
“Ecco perché non te l’ho chiesto prima: sapevo che non mi avresti mai dato il permesso!” ammisi.
Lei si passò una mano sulla fronte, scompigliando quelle ciocche bionde che erano sfuggite alla coda di cavallo. “Prima o poi mi farai venire un esaurimento nervoso…”
“Dai, non è mica così grave!” cercai di stemperare l’atmosfera, tuffandomi sul divano accanto a lei. “Ormai gliel’ho promesso, povera nonna Joanne, si sente così sola e annoiata nel Montana, ci tiene così tanto a rivedermi…”
“E con le materie che devi recuperare come la mettiamo?”
“Porterò i libri con me!”
“E chi ci crede che studierai?”
Mi accostai a lei e poggiai la testa sulla sua spalla, regalandole un’occhiata supplicante. “Ti prego, mamma! Io sono l’unico che non va mai in vacanza da nessuna parte, è così noioso passare l’estate da solo!”
“Lo sai che in Montana ci vive anche tuo padre, vero?”
“E chi se ne importa? Tanto è probabile che nemmeno mi riconosca” minimizzai.
“Esiste un modo per dissuaderti?”
“Non credo proprio.”
Mia madre sospirò. “Sei un demonio, Randy…” disse in tono arrendevole.
Lanciai un grido e le saltai al collo, lasciandole un bacio sulla guancia e facendo cadere a terra i fogli che teneva poggiati sulle ginocchia. “Grazie, sei la mamma migliore del mondo!”
Lei mi spinse via, fingendosi infastidita, ma sorrideva sotto i baffi. “Non farmene pentire! Se non recuperi i debiti a scuola, dalla miglior mamma del mondo mi trasformerò nel peggiore dei tuoi incubi, quindi non abusare della mia bontà!”
“Non te ne pentirai” le assicurai, alzandomi dal divano e dirigendomi verso il frigo. Aprii lo sportellino dei freezer e vi frugai dentro, beandomi del fresco ristoratore che si sprigionava dall’elettrodomestico. “Ti va un gelato?”
 
 
Non appena scesi dal treno, tutte le mie speranze si infransero: avevo sperato che in Montana facesse meno caldo rispetto alla California, ma quell’anno pareva che l’estate non volesse darci tregua.
Sotto il sole cocente del pomeriggio, trascinavo il mio grande trolley con la mano sinistra mentre con la destra armeggiavo col mio cellulare, intenzionato a consultare il GPS per capire come arrivare a casa di mia nonna. Lei non aveva l’auto e non poteva venire a prendermi al momento del mio arrivo, così l’avevo rassicurata dicendole che non sarebbe stato poi così complicato arrivarci a piedi; del resto abitava in un piccolo paese, il tragitto non doveva essere tanto lungo.
Mentre passeggiavo per le stradine strette e dall’asfalto crepato, mi guardai attorno: non c’era poi tanto da osservare, se non i negozietti con le porte spalancate da cui si propagavano frammenti di conversazioni allegre, le abitazioni dallo stile antico baciate dal sole e la piazza principale piena di bambini e ragazzini impegnati nei loro giochi.
La casa di nonna Joanne era situata in una tranquilla e periferica zona residenziale: quando giunsi nel punto indicatomi dal navigatore del cellulare – sudato e col fiatone – mi trovai davanti a un basso cancelletto in ferro, oltre il quale si poteva scorgere un grande giardino stracolmo di vasi, arbusti e alberi rigogliosi; un vialetto conduceva all’ingresso della casa, che consisteva in un portoncino in legno scuro.
La tipica casa di una nonna. Non che io avessi tantissima esperienza sull’argomento, ma a giudicare da quello che avevo sempre visto in tv doveva essere così.
Non feci nemmeno in tempo a suonare il campanello che l’uscio si spalancò e una donna dai capelli grigi e il sorriso raggiante si precipitò all’esterno con l’entusiasmo e l’energia di una ragazzina, nonostante le rughe che le raggrinzivano la pelle chiara.
Dei capelli rossi che ricordavo dall’ultima volta che l’avevo vista non era rimasto niente, ma i suoi occhi nocciola brillavano come se non fosse invecchiata nemmeno di un giorno.
“Randy, nipotino mio! Stavo cominciando a preoccuparmi!”
Mi aprii in un enorme sorriso mentre nonna Joanne spalancava il cancello e mi stringeva in un caloroso abbraccio. Fui costretto a mollare la presa sul trolley, che cadde all’indietro sull’asfalto, ma nessuno ci fece veramente caso.
“Ehi, nonna!” la salutai io, sciogliendo l’abbraccio e guardandola dritto negli occhi.
“Quanto sei cresciuto! L’ho sempre saputo, da quando ti ho visto in fasce per la prima volta: saresti diventato uno schianto! Quanti anni hai adesso?” esclamò.
Mi chinai per raccogliere il mio bagaglio. “Ne devo compiere diciassette a dicembre. Ehi, ma quale schianto!”
“Ma certo che lo sei, come potevi uscire brutto con una nonna come me?” si posò una mano sul petto con fare tronfio e ridacchiò. “Ah già, diciassette anni… sei del ’97, dico bene? Perdonami, ma la matematica non è mai stata il mio forte: ci avrei messo mezza giornata a fare il calcolo.”
“Allora oltre alla bellezza mi hai trasmesso anche questo tratto” commentai, trascinando la valigia su per il gradino basso che delimitava il giardino.
Nonna Joanne, con un movimento fulmineo, afferrò la maniglia del trolley e lo sollevò di peso. “Lascia fare a me, lo porto direttamente in camera tua.”
Sgranai gli occhi, preoccupato. “Ma è pesantissimo, e tu sei anziana!”
Lei scoppiò a ridere. “Ho soltanto settantun anni, anziana non direi proprio. Su, vieni dentro: ho preparato la macedonia fresca!”
Ed effettivamente, mentre trasportava il trolley sul vialetto, non notai nessun segno troppo evidente di fatica sul suo viso.
Quella donna era una forza, sicuramente alla sua età sarei voluto essere come lei.
“Come mai dici che ti ho passato l’ignoranza per la matematica?” indagò una volta all’interno dell’abitazione.
L’ambiente era accogliente e assolutamente delizioso: le tende alle finestre lasciavano passare solo uno spiraglio di luce, l’aria condizionata era al massimo e i quadri alle pareti mostravano paesaggi di mare e romantici tramonti. I mobili – sia quelli dell’ingresso che quelli della zona giorno – erano in legno scuro; mi sorpresi nel notare che i soprammobili non consistevano nelle classiche cianfrusaglie dal dubbio gusto e centrini in pizzo, ma si trattava di oggetti esotici che parevano provenire da terre lontane e avevano tinte calde e allegre.
Pensai, anche se non ne avevo la certezza, che nonna Joanne avesse viaggiato tanto e gran parte delle chincaglierie esposte fossero souvenir delle sue avventure. Sicuramente, nel corso delle due settimane che avrei trascorso da lei, avrei avuto modo di chiederglielo.
“Beh, mi hanno lasciato il debito in due materie scientifiche quest’estate, quindi mi toccherà studiare per recuperare” spiegai, prendendo posto sul divano bordeaux.
Nonna Joanne posò sul tavolo un insalatiere in ceramica, poi si voltò a osservarmi, sconcertata. “Non gliel’hanno spiegato agli insegnanti che l’estate è fatta per riposarsi?”
Risi. “A quanto pare no.”
“E tu sei voluto venire qui per sfuggire a questa tortura, dico bene?”
Scossi il capo. “In realtà mi sono portato dietro i libri. Se non passo gli esami e dovrò ripetere l’anno, a mia madre verrà un infarto!”
“E a te non importa?” Nel frattempo versava due porzioni di macedonia colorata in due ciotoline in vetro.
Mi strinsi nelle spalle. “Mi dispiacerebbe dover cambiare classe, ma a parte questo non è che mi interessi poi tanto della scuola. Non so bene cosa farò da grande, ma sicuramente non avrà a che fare con lo studio!”
“Per esempio seguire le orme di Celia e diventare un pattinatore?” chiese ancora, accostandosi a me e porgendomi ciotola e cucchiaino, poi si sedette al mio fianco.
Anche la curiosità doveva essere una caratteristica di famiglia: nonna Joanne aveva il mio stesso modo di sommergere di domande chi aveva di fronte.
Scossi il capo mentre gustavo il primo boccone di frutta. “In realtà no. Cioè, a me piace pattinare, ma non sono così tanto preso come mamma o certi altri ragazzini che vengono agli allenamenti. Insomma, loro vogliono fare gli agonisti, mentre a me non va di impegnarmi; certe volte faccio degli spettacoli in giro per Los Angeles, soprattutto d’inverno, ma non partecipo ai tornei.”
Già, il pattinaggio su ghiaccio era l’ennesima attività in cui non mettevo veramente il cuore. Certe volte capivo mia madre e la sua disperazione nei miei confronti: non doveva essere facile per lei vedere che suo figlio, a quasi diciassette anni, non aveva alcuna aspirazione per il futuro.
Ma io che ci potevo fare?
“Tu non hai un sogno, Randy?”
Giocherellai con alcuni pezzetti di fragola e mela con la punta del cucchiaino. “Non saprei. Avere tanti amici e vivere in una casa vicino al mare, tutto qui.” Poi sollevai lo sguardo e la scrutai, un sorrisetto curioso sulle labbra. “E tu, nonna, ce l’hai un sogno?”
“Oh, io ne ho tantissimi! Mi piacerebbe innanzitutto visitare l’India, in cui non sono mai stata. E imparare a fare surf; magari una volta verrò da te in California e allora sarà la buona occasione per cimentarmi!”
Scoppiai a ridere. “Ma alla tua età non si può fare surf!”
“E chi l’ha detto? Non avrò più l’età solo quando sarò nella tomba!”
Continuai a ridacchiare e un rivolo di succo zuccherino della macedonia mi colò lungo il mento.
“E poi vorrei ridipingere le pareti esterne della casa di azzurro e diventare bisnonna” aggiunse con enfasi.
“Ah, non guardare me, non ho nessuna intenzione di figliare a breve!” mi tirai subito indietro con una risata.
Continuammo a chiacchierare e fare merenda finché, circa mezz’ora più tardi, il suono del campanello annunciò delle visite.
Rimasi seduto sul divano mentre nonna Joanne andava ad aprire. Sentii delle voci concitate nell’ingresso – un uomo, una bambina e mi parve di udire anche una donna – che non mi erano familiari; tuttavia, quando i nuovi arrivati fecero il loro ingresso nella zona giorno, mi fu tutto chiaro.
Un uomo sui quarant’anni, spaventosamente simile a me, teneva per mano una bambina che non doveva avere più di dieci anni; li seguiva una donna dall’età non meglio definita e l’aspetto curato in maniera maniacale.
Il cuore prese a martellarmi nel petto, ma mi sforzai per mostrarmi indifferente e presi a giocherellare con cucchiaino che ancora stringevo in mano.
Certo, sapevo che nell’arco di due settimane sarebbe potuto succedere, ma non potevo immaginare che quell’incontro sarebbe avvenuto così presto e senza alcun preavviso.
Non appena l’uomo posò lo sguardo su di me, gli occhi gli si appannarono di confusione e si grattò appena la testa, come se stesse cercando di ricordare qualcosa di estremamente lontano e sfocato.
Non avevo tutti i torti quando ho detto a mamma che non mi avrebbe riconosciuto.
“Ciao” salutai educatamente, allungandomi per poggiare la ciotola vuota sul tavolo.
“E tu chi sei?” sbottò la bambina, sgranando gli occhioni azzurri come quelli della donna che le stava alle spalle.
“Beh… diciamo che sono… tuo fratello, più o meno” cercai di spiegare, sorridendo appena.
“Ma… Randy, non ci posso credere!” esclamò quello che avrei dovuto chiamare padre.
Lo fissai dritto negli occhi – non avrei certo abbassato la testa di fronte a lui – e nelle sue iridi lessi sorpresa, un pizzico di nostalgia e… vergogna? Poteva essere?
No, improbabile. Non si era vergognato quando, dodici anni prima, aveva abbandonato me e mia madre sparendo nel nulla, dubitavo che potesse cominciare in quel momento.
Forse si sentiva a disagio per via della presenza della nuova famiglia che si era costruito nel frattempo, con una donna molto più bella di mia madre e una figlia molto più carina di me. O forse si vergognava di me, che ero l’esperimento uscito male, e adesso come poteva spiegare la mia esistenza a quell’angioletto dagli occhi blu e completamente agghindato di rosa?
Io sapevo poco e niente della nuova famiglia di Giles Baker, ma non ero certo che per contro loro sapessero qualcosa di me.
Sorrisi a quell’uomo con lo sguardo da eterno bambino. Dopotutto non ero neanche arrabbiato con lui, non lo ero mai stato; ero cresciuto felice e contento con mia madre, ogni giorno era uno spasso, e non avevo mai sentito la mancanza di un padre. Non avevo nulla da rimproverargli, se non che aveva fatto soffrire mamma.
“Credici, invece. Sono io!” Feci spallucce e, sforzandomi di risultare il più naturale possibile, mi alzai per stringere la mano alla donna che era rimasta sulla soglia, impalata e confusa. “Piacere, Randy Baker, il tuo… figliastro, in un certo senso. Sapevi della mia esistenza, sì?”
“Amanda” mormorò lei, ricambiando la stretta senza troppo entusiasmo. “Sì, certo che ne ero a conoscenza.”
Mi sentii tirare per il bordo della maglietta e fui costretto ad abbassare lo sguardo, trovando gli occhioni della bimba vestita di rosa che mi fissavano.
“Quindi tu sei l’altro figlio? Quello di prima?” chiese, un’espressione scettica dipinta sul visino delicato.
“June! Ma ti sembra il modo di attirare l’attenzione di una persona che hai appena conosciuto? Vieni qui, piccola peste, che te lo spiego io!” la richiamò all’attenzione nonna Joanne, sistemandosi sul divano e battendo con la mano sul posto vuoto accanto a lei.
Mi voltai a scrutarla e lessi le scuse nel suo sguardo. Probabilmente non sapeva nemmeno lei che avrebbe ricevuto quella visita dalla famiglia di mio padre, non aveva potuto avvertirmi in tempo.
O forse non l’aveva fatto semplicemente perché non immaginava che si sarebbe creata una situazione così imbarazzante.
Sorrisi bonariamente, come se avessi la situazione sotto controllo – nulla di più lontano dalla realtà. “Tranquilla nonna, non c’è problema. Posso spiegarglielo anch’io.”
Detto questo mi diressi verso il divano, seguito a ruota dalla mia sorellastra che prese posto tra me e nonna. Per fortuna il sofà era abbastanza grande da accoglierci tutti.
Gettai una veloce occhiata a mio padre e Amanda che parlottavano fittamente in un angolo della stanza, poi tornai a concentrarmi sulla bambina. “Ti chiami June, giusto?”
“Sì, e tu?”
“Io mi chiamo Randy e, come già avevi capito, sono il figlio che il tuo papà ha avuto prima di conoscere la tua mamma. Vivo in California, per questo non ci siamo mai visti” spiegai pazientemente.

June mi scrutò attentamente con un’espressione serissima in volto, come se mi stesse studiando nei minimi dettagli. Ebbi l’impressione che, oltre quel fiocco rosa tra i capelli e la maglietta ricoperta di cuoricini, si nascondesse un severo giudice.
Intanto nonna Joanne, notando che i toni tra suo figlio e la sua compagna si facevano più accesi, aveva lasciato il suo posto per unirsi alla loro conversazione.
Ero solo con June.
“Mmh… sei un tipo strano, sembri un po’ scemo” sentenziò infine lei.
Sorrisi, cercando di non prendermela troppo. “Me lo dicono in tanti.”
“E poi hai tutti i denti storti. Tua madre non te l’ha fatto mettere l’apparecchio? La mia mi ha detto che quando compirò undici anni, se i denti saranno storti, mi porterà dal dentista che me li aggiusterà!”
Bisognava ammettere che i signori Baker non avevano fatto un gran bel lavoro con l’educazione della figlia. Se io, alla sua età, mi fossi permesso di dire una cosa del genere, sicuramente non l’avrei passata liscia con mia madre.
“Ma i denti storti non sono una cosa così brutta. E poi per raddrizzarli ci vogliono tanti soldi, sai?” ribattei, tentando di mantenere un tono condiscendente.
June sorrise. “Ah, ma noi i soldi ce li abbiamo, non è un problema! A maggio, quando ho compiuto nove anni, i miei genitori mi hanno organizzato una festa bellissima con i giochi gonfiabili, i giocolieri quelli veri e le persone che truccano i bambini sulla faccia, e c’erano tutti i miei compagni di scuola. Ed è costato tantissimi soldi!”
Aggrottai la fronte, ripensando alle modeste festicciole che organizzavamo a casa quando ero piccolo e a cui si presentava solo una manciata di bambini, perché io ero sempre stato quello sfigato e il mio compleanno non interessava a nessuno. Poi ripercorsi mentalmente il mio ultimo compleanno: io, mamma e Jia eravamo andati al giapponese a strafogarci di sushi, poi avevo trascinato la mia migliore amica al cinema assieme ad alcune mie compagne di classe. Nulla di così esaltante.
Com’è che Giles Baker aveva tanti soldi da sperperare per la sua seconda figlia, mentre a me non aveva mai dato un centesimo?
“Randy? Oh! Mi stai ascoltando? L’hai capito quello che ti ho detto?” June mi strattonò per un braccio, riscuotendomi dai miei pensieri.
“Sì, ti stavo ascoltando. Ma fai piano, altrimenti mi strappi la maglietta.” Cominciavo a essere leggermente indisposto dall’atteggiamento di quella bambina.
In genere avevo molta più pazienza, ma nell’ultimo periodo stavo cominciando a essere insofferente a tutto – la lite con Jia ne era testimonianza, non avevamo mai trascorso così tanto tempo senza sentirci e parlare.
“E tu quanti anni hai, Randy?”
“Sedici.”
“E cosa fai, vai a scuola?”
“Sì, certo.”
“Io ho dei voti altissimi a scuola! La mia maestra dice che sono la più brava della classe dopo Sophie Landers, ma secondo me non è vero, perché Sophie in matematica ha un voto più basso del mio.”

Sospirai e mi alzai dal divano, passandomi una mano tra i capelli per portarli indietro. Improvvisamente, nonostante il condizionatore acceso, sentivo l’aria pesante e viziata.
“Dove vai?” domandò June.
“Fuori.”
“Ma fuori c’è caldo!”
“Ma io vivo a Los Angeles e sono abituato al caldo” inventai, dirigendomi verso la porta che dava sull’ingresso.

Fui quindi costretto a passare davanti a mio padre, che richiamò la mia attenzione sfiorandomi appena un braccio.
Sussultai e mi voltai a fissarlo.
Lui si schiarì la gola, in imbarazzo. “Come sta Celia?”
Questa era bella! Da quando si interessava di mia madre?
Sorrisi forzatamente. “Alla grande!” affermai, poi cercai lo sguardo di nonna Joanne. “Ti spiace se vado a fare una passeggiata?”
“Puoi fare tutto quello che vuoi” ribatté lei, ostentando entusiasmo, ma le era bastato incrociare i miei occhi per capire che qualcosa non andava.
Salutai frettolosamente e uscii, lasciandomi alle spalle quella gabbia di matti.
Forse anche quello – l’incoerenza, il distacco, la convinzione che fosse tutto un gioco, il poco impegno in ogni relazione e in ogni attività – era una caratteristica di famiglia. Mia nonna in primis dava l’impressione di non prendersi mai troppo sul serio, viveva con leggerezza e coltivava un sacco di speranze, spesso pure irrealistiche.
Poi c’era mio padre, che aveva sposato mia madre del tutto a caso, aveva fatto un figlio senza essere pronto. Poi ci aveva ripensato e aveva mollato tutto a Los Angeles per tornare in Montana e ricominciare da zero; non che nel frattempo avesse imparato a fare il genitore, bastava guardarlo negli occhi per capire che non era affatto cresciuto e non avrebbe mai imparato a prendersi le sue responsabilità.
E poi c’ero io, quel ragazzino che cadeva sempre dalle nuvole, che non aveva un obiettivo nella vita e che non era capace di odiare il prossimo – quindi non riusciva mai a difendersi. Ero come loro, come potevo criticarli?
E dopotutto non detestavo nemmeno mio padre, la sua nuova donna e la sua seconda figlia, anche se avrei dovuto. Non mi importava di niente.
Ero solo preoccupato per me, perché non volevo commettere i loro stessi errori.
 
 
Seduto su una panchina in ferro al margine della piazza, gustavo il mio gelato alla vaniglia e stracciatella mentre osservavo i ragazzini giocare tra loro, al centro del grande spiazzo. Il tardo pomeriggio aveva lasciato spazio a un po’ d’aria fresca e respirabile.
Dal chiosco dei gelati proveniva della musica, principalmente hit di quell’estate, che faceva da sottofondo alle grida e alle risate dei bambini.
Non c’erano tanti miei coetanei nei dintorni, solo un gruppetto di ragazzini sui quattordici anni radunato attorno a una panchina. Di tanto in tanto qualcuno di loro mi lanciava delle occhiate, sicuramente incuriositi dall’arrivo di un ragazzo che nessuno aveva mai visto prima da quelle parti. Doveva funzionare così nei piccoli paesi come quello.
In ogni caso nessuno aveva il coraggio di avvicinarsi a me: dovevo essere davvero inquietante e ridicolo, coi riccioli scompigliati, la maglietta verde acqua macchiata di gelato alla vaniglia – proprio come un bambino – e la faccia di uno che aveva appena affrontato un viaggio stancante ma non aveva ancora avuto modo di riposarsi.
E quella volta, a discapito della mia naturale propensione a fare amicizia, li ringraziai dal profondo del cuore per avermi lasciato in pace. Ci sarebbe stato tempo, più avanti, ma quel giorno non ne avevo tanta voglia.
Sbloccai lo schermo del mio cellulare, aprii la finestra delle chat e sospirai quando l’occhio mi cadde sulla conversazione con Jia, che non veniva aggiornata da due settimane. Mi dispiaceva tantissimo aver discusso con lei, non era mai successo prima di allora, ma certe volte sapeva davvero rendersi detestabile e nemmeno io riuscivo a far fronte alla sua chiusura e al suo carattere scorbutico.
Mi sarebbe piaciuto poter aprire quella conversazione e registrare un lungo vocale in cui le raccontavo ciò che mi era successo, come spesso succedeva tra noi. E invece ero completamente solo, e forse per la prima volta, senza nessun contatto e in un luogo che non conoscevo affatto, mi sentivo davvero perso.
Proprio io, che sapevo sempre come cavarmela e riuscivo a passare sopra a qualsiasi evento negativo. Proprio io, così solare e positivo.
Finii il mio cono gelato, mi alzai e ripresi la strada di casa; ormai si stava facendo tardi e non volevo che nonna Joanne si preoccupasse. Magari mio padre se n’era andato e non avrei nemmeno dovuto rivederlo.
Forse – riflettei mentre passeggiavo per le stradine illuminate dalla luce dorata del sole che si faceva sempre più basso – dovevo dar retta a mia madre: quelle settimane nel Montana potevano essere una buona occasione per mettermi sotto con lo studio senza nessuna distrazione.
Oppure no. Mi annoiavo solo a pensarci. Del resto mi ero recato lì per una vacanza, no?
Con un auricolare all’orecchio destro e canticchiando a mezza voce, arrivai davanti a casa di mia nonna, convinto di trovare il giardino deserto; invece vi scorsi proprio nonna Joanne, in compagnia di una ragazza dai capelli rosso fuoco che non avevo mai visto prima. Le due, armate di mollette e bacinella stracolma di vestiti, stavano stendendo il bucato su uno stendino posto nei pressi dell’ingresso.
Spinsi il cancelletto, che era soltanto accostato, ed entrai. Mi bastò solo un’altra occhiata alla sconosciuta per intuire che si trattava di un’altra parente: nonostante il colore di occhi e capelli fosse leggermente diverso, alcuni suoi tratti del viso la facevano somigliare a me e a nonna Joanne.
Lei intrappolò il mio sguardo, la curiosità a riempirle le iridi verdi, e piegò appena il capo di lato. “Tu dovresti essere Randy, giusto?”
Annuii e le sorrisi, sinceramente interessato. Non sapevo spiegare il motivo, ma da quando avevo visto quella ragazzina tutti i miei pensieri negativi si erano volatilizzati, lasciando posto a una bellissima sensazione di calore e curiosità. Era simpatica, lo percepivo sotto forma di sensazione, e la volevo conoscere.
Mi accostai a lei e nonna. “Sì, sono io.”
“Piacere, Beth, tua cugina. Abbi pazienza, non posso stringerti la mano” commentò, tenendo fermo sul filo dello stendino un asciugamano e contemporaneamente cercando di fissarlo con una molletta.
Mia… cugina?!
Risi. “Stringere la mano è un gesto da vecchi.”
“Allora non lo farò mai più” soggiunse nonna Joanne con un sorrisetto.

“Ma come facevi a sapere il mio nome?” chiesi a Beth, facendo caso solo allora al fatto che mi avesse riconosciuto come Randy.
Lei si strinse nelle spalle. “Da quando sono arrivata a casa sua, nonna non ha fatto che parlare del cugino venuto da Los Angeles. Io quasi non sapevo di avere un cugino!”
“Non è vero, qualche volta te ne ho parlato” obiettò nonna Joanne. “Se tu hai la memoria corta, tesoro mio, io non ci posso fare niente!”
“Ehi, non offendere le mie capacità mnemoniche!” finse di offendersi Beth, dandole di gomito e ridacchiando.
“Sì, certo… sentite, si è fatto tardi, è il caso che vada a preparare la cena” cambiò discorso nonna Joanne, stendendo l’ultimo canovaccio e afferrando la bacinella vuota. “Beth, resti anche tu?”
La ragazza si strinse nelle spalle. “Perché no? Posso darti una mano in cucina, se vuoi!”
La più anziana intanto aveva spalancato il portoncino. “Non se ne parla: tu e tuo cugino avete tanto da dirvi! Piuttosto, potresti chiedere anche a Ben se gli va di cenare qui?”
E chi era Ben, il fidanzato di Beth?
“Non credo che farebbe in tempo, oggi sta fuori fino a tardi.”
Nonna sollevò il pollice verso l’alto e sorrise. “Cena per tre allora!” affermò, scomparendo all’interno dell’abitazione.
“Chi è Ben?” domandai subito con curiosità.
“Mio fratello.” Beth prese posto sul bordo di un’aiuola e mi fece segno di imitarla.
Sgranai gli occhi. “Ho un altro cugino?”
“Sì, dell’89.”
Mi accomodai accanto a lei. “Quante cose mi sono perso stando a Los Angeles!”
Lei si illuminò. “Ah, ma sai che potremmo esserci incontrati un sacco di volte senza saperlo? Specialmente quand’ero piccola, andavano spesso in vacanza in California; Ben si è fatto anche un amico e spesso va a trovarlo! Abita in una cittadina proprio vicino a Los Angeles, di cui ora mi sfugge il nome…”

Sorrisi. “Dici sul serio? Che bello, le vacanze al mare con la famiglia… io e mia madre viaggiamo solo per accompagnare i suoi allievi ai campionati.”
“Campionati?”
“Ah, già! Mia madre è un’allenatrice di pattinaggio su ghiaccio, e a dire il vero anche io so pattinare, ma non lo faccio come agonista. Però, siccome una sua allieva gareggia ad alti livelli e mamma la deve accompagnare in quanto allenatrice, ne approfitto per viaggiare e perdere un sacco di giorni di scuola!”
Beth rise. “Beh, ma quando tua madre è via, non potresti…” Improvvisamente si bloccò e il suo sguardo limpido si rabbuiò.
“Restare con mio padre?” completai la frase al posto suo, accennando un sorriso. Probabilmente, essendo a conoscenza della mia situazione, non aveva voluto pronunciare quelle parole ad alta voce per non turbarmi. “Dovrei fare un viaggio piuttosto lungo per raggiungerlo ogni volta!”
“Scusa Randy, non volevo…”
Ma io ridacchiai e le diedi di gomito. “Ehi, è tutto a posto. Non mi disturba parlarne, davvero!”
Un po’ rivederlo mi aveva disturbato, in effetti…
Lei si passò una mano sulla fronte, portando indietro quelle ciocche scarlatte sfuggite alla disordinata crocchia che le raccoglieva i capelli. “Non ne so tanto in effetti, so solo che zio Giles ora vive qui e ha un’altra famiglia.”
“Già. E nel frattempo si è perso un figlio bello e simpatico come me!” scherzai, intenzionato a stemperare l’atmosfera.
“Ma dev’essere una caratteristica di famiglia, credo” affermò lei, voltandosi verso di me e scrutandomi con intensità.
“Cioè?” chiesi confuso.
“Anche mio padre, che poi sarebbe il fratello del tuo, si è dissolto nel niente quand’ero piccola.”
“Ma… un attimo, e le vacanze in California con la famiglia?
“Ah, ma io intendevo con Ben e le mie due mamme!”
Stavo capendo sempre meno.
Beth scoppiò a ridere. “Hai una faccia! Okay, forse è meglio se mi spiego. Dopo che mio padre se n’è andato, mamma si è trovata una compagna e si sono fidanzate; io e Ben siamo cresciuti con loro.”
Sbattei le palpebre un paio di volte, poi misi su un sorrisetto beffardo e piegai appena la testa di lato. “Io faccio fatica a reggerne una, di madre… figuriamoci due! Poveri voi!”
Lei ridacchiò e sollevò gli occhi al cielo. “Sei pessimo! Ma si vede lontano un miglio che sei cugino di me e Ben!”
“Sarei curioso di conoscere anche tuo fratello” ammisi.
“E lui sarà contentissimo di conoscere te. Non appena ha un po’ di tempo libero, potremmo passare una serata insieme… e poi lui ha la macchina, bisogna approfittarne!”
“Che fa, lavora?”
“Si sta addestrando per diventare poliziotto.”
“Caspita, sicuramente prima o poi finirà per arrestarmi!”
L’avviso di una notifica attirò la mia attenzione; mi accigliai e recuperai il cellulare dalla tasca dei bermuda. Strano, nessuno mi cercava mai a parte mia madre – che comunque preferiva telefonarmi.
Mi sorpresi di trovare un messaggio di Jia. Questo sì che era veramente strano! La mia amica era talmente orgogliosa che non mi sarei mai aspettato di vederla cedere per prima dopo una discussione.
Ma quando aprii la conversazione, mi fu tutto chiaro.
 
SEI ANDATO NELLO SCHIFOSISSIMO MONTANA SENZZA NEMMENO AVVISARMI?????
 
Scoppiai a ridere e lanciai un’occhiata fugace a Beth.
Mia cugina mi osservava con le sopracciglia leggermente aggrottate.
Mi ricomposi e cominciai a registrare un messaggio vocale: “Innanzitutto il Montana non è schifosissimo, ci sono delle persone davvero fantastiche qui. E poi che te ne importa? Non mi rivolgi la parola da due settimane e pensavi che ti avrei avvisato?”
Avevo cercato di mantenere un tono serio e addirittura minaccioso, ma la verità era che non ero più arrabbiato con lei. Anzi, mi mancava. Ma volevo che non lo capisse, che per una volta fosse lei a fare qualcosa per riavvicinarsi a me.
Inviai il vocale e incrociai nuovamente lo sguardo di Beth, che era letteralmente divorata dalla curiosità. Accidenti, quanto eravamo simili.
“È la mia migliore amica. Abbiamo litigato e non le ho detto che sarei venuto qui, ma appena l’ha scoperto ha dato di matto.”
Lei piegò il capo di lato. “È grave?”
Sospirai. “Jia è particolare, certe volte esplode e si comporta in maniera spregevole, ferisce gli altri senza rendersene conto. E anche quando se ne accorge, il suo orgoglio le impedisce di chiedere scusa.”
Una nuova notifica. Sbloccai lo schermo e lessi il nuovo messaggio di Jia.
 
Anche tu non mi rivolgi la parola da due settimane…
 
“Ma tu non sei arrabbiato con lei, vero?” indagò Beth.
Come faceva quella ragazzina a leggermi dentro? Ci eravamo appena conosciuti!
Beh, io ero sempre stato un libro aperto per chiunque…
Scossi il capo. “Non ci riesco a tenere il muso per troppo tempo.”
“Io e te siamo proprio cugini, Randy.”
“Ragazzi, è pronta la cena!” ci richiamò all’attenzione nonna Joanne, affacciandosi al portoncino.
“Arriviamo!” affermò Beth, mettendosi in piedi e stiracchiandosi.
Feci lo stesso e nel frattempo mi soffermai un attimo a osservarla, cosa che non avevo ancora fatto – non mi interessava mai l’aspetto delle persone quando mi ci dovevo approcciare.
Era una ragazza alta e slanciata, dalla pelle diafana e dal viso delicato ma incredibilmente espressivo. Indossava degli abiti semplici, che riflettevano la sua personalità: un paio di shorts in jeans e una t-shirt bianca con delle righine orizzontali blu.
“Randy?”
“Sì?”
“Hai una macchia bianca sulla maglietta.”
Abbassai istintivamente lo sguardo, anche se già sapevo di cosa stesse parlando. “Ah già, colpa del gelato che ho preso prima in piazza. Mi sono dimenticato di cambiarmi.”
“A proposito di piazza,” si illuminò, mentre si dirigeva verso l’entrata, “sai che stasera proprio nella piazza principale ci sarà il cinema all’aperto? Se ne hai voglia, possiamo passare a dare un’occhiata!”
“Davvero? Che film proiettano?” mi entusiasmai.
Beth si strinse nelle spalle. “Non lo so, proprio per questo voglio andarci!”
“E se fa schifo?”
“Troveremo un’alternativa!”
Sorrisi mentre la seguivo dentro casa di nonna Joanne, tuffandomi in mezzo al profumo di cibo buono e fatto da mani esperte.
Forse la mia vita era davvero un mezzo disastro, ma per una volta volevo mettere da parte tutto e godermi due settimane insieme a quella bizzarra famiglia che non avevo mai saputo di avere. Ci sarebbe stato tempo, più avanti, per porre rimedio a tutto quanto.
 
 
 
 
♥ ♥ ♥
 
 
AUGURI RANDYYYYY TESORINO MIO *_________*
Ragazzi, non credevo di riuscire a scrivere tanto per questo mio bimbo, eppure eccomi qui con una succosa shot in cui si scoprono tante belle cose su di lui – che troppo spesso rimane nell’ombra per via delle vicende di Jia!
Fatto importantissimo per chi segue anche le serie di Kim: AVETE VISTO LA PARENTELA??? Randy è il cugino di Ben&Beth!!!!!!! Io e Kim non vedevamo l’ora di rendervi partecipi di questa cosa che noi stesse abbiamo da poco “scoperto” sui nostri personaggi XD
Altro fatto importante: per quanta pazienza possa avere Randy, anche lui litiga con Jia – come non litigare con una come lei? Lo so, lo so: prima o poi scriverò una storia apposta per raccontare della loro prima grande discussione ^^
Sono consapevole del fatto che questa non è esattamente una storia allegra per celebrare un compleanno, ma è tutto ciò che mi è venuto in mente! Spero che Randy mi possa perdonare – ma sì, lo sa che lo amo tanto e sono certa che possa affrontare qualsiasi situazione, anche se lui si sottovaluta tanto, cucciolo mio T.T
Ultima precisazione: ci tengo a ricordare che il personaggio di Beth appartiene a Kim WinterNight! Spero, infatti, di averle reso giustizia e che la sua ideatrice non mi tolga il saluto XD avrei voluto darle più spazio e magari far apparire anche Ben, ma non volevo che questa storia diventasse un romanzo… e poi ci sono due settimane nel Montana da raccontare, no? KIM, DATTI DA FARE ANCHR TU U.U
Ancora TANTISSIMI AUGURI al mio tesorino Randy, colui che mi insegna a trovare sempre il lato bello di ogni cosa *______* e grazie a chiunque sia giunto fin qui!
Alla prossima!!! ♥
 
 
   
 
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