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Autore: Tenar80    04/12/2020    2 recensioni
Ten è, almeno in apparenza, un giovane professore universitario. Victoria è, almeno all'apparenza, la pupilla di un generale. Entrambi indossano una maschera da cui dipende molto più della propria vita. Forse è questo ad attrarli così tanto l'uno verso l'altra...
Dal testo: "La semplicità con cui mentiva impensieriva un poco Ten, ma lui stesso lo faceva, ogni volta che gli chiedevano del suo passato. Questo come lo poneva nei confronti di una ragazza che aveva la stessa propensione alla dissimulazione? La sua era necessità, Victoria sembrava piuttosto divertirsi. Questo escludeva che fosse necessità?"
Questa fic è autoconclusiva, ma fa parte della serie steampunk "L'assedio degli angeli – preludi"
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'assedio degli angeli – preludi'
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Nei giorni seguenti, Ten si scoprì a pensare molti più spesso a Victoria piuttosto che al cuore di Alto Angelo prigioniero nel vetro e conservato chissà dove come reliquia sacra. In entrambi i casi l'ubicazione rimaneva misteriosa e risultavano pertanto irraggiungibili. Ten non aveva idea di dove vivesse Victoria, né quale fosse la sua misteriosa occupazione. Peggio di tutto, rimaneva la sensazione di aver buttato via per eccessivo scrupolo un momento unico, che mai si sarebbe ripetuto. Cosa sarebbe accaduto davvero all’ombra di quelle piante, dove nessun occhio umano li avrebbe potuti scorgere, se lui non si fosse tirato indietro? Si era presentata un’opportunità così terribile? La verità era che, oltre tutte le considerazioni morali, aveva avuto paura. Paura di un corpo che reagiva in modo diverso, di sensazioni impreviste, di qualcosa che rischiava di cambiarlo nel profondo. Quel mondo era pericoloso. Ora lo capiva. Comprendeva molto meglio coloro che lo odiavano e volevano distruggerlo, piuttosto che essere consapevoli in ogni istante dell’esistenza di un luogo in cui persino gli angeli erano tanto vulnerabili.

 

    Il rientro da San Nicolao era stato malinconico. Avevano cercato di fare conversazione leggera. C’erano riusciti, a tratti. C’erano state delle risa. Ma ciò che si era infranto non poteva più tornare integro. C’era stata la sensazione, a tratti, mentre il profilo della città si avvicinava, con le sue ciminiere e, in cima alla collina, il palazzo imperiale, di riportare un prigioniero evaso. Quando Victoria pensava che Ten non la stesse guardando la sua espressione aveva una nota di desolazione che di nuovo aveva portato il giovane a domandarsi se non vivesse reclusa.

    – Dove ti accompagno? – aveva chiesto.

    Lei aveva dato l’indirizzo di villa Morozov, in uno dei sobborghi più eleganti. Ten non poteva pensare che la donna austera che l’aveva invitata a suonare al suo fianco in una festa esclusiva ora la chiudesse in cantina o qualcosa del genere.

    – Va tutto bene? – aveva chiesto.

    – Sì, davvero. È stata una bellissima giornata.

    Gli aveva posato un bacio leggero sulla guancia, come si fa per ringraziare un parente anziano per un bel regalo. Una volta scesa dal calesse, si era voltata a salutarlo con la mano levata. Sorrideva, ma aveva sempre qualcosa di triste nello sguardo. O, forse, era Ten che lo immaginava.

 

    Aveva avuto tempo, dopo, per pensare se fosse il caso di contattarla. Poteva scriverle a casa Morozov, o mandarle dei fiori. Dei cioccolatini forse era meglio di no, tutto considerato. Per fare cosa? Ricordare un bacio che non avrebbero dovuto scambiarsi? Una relazione che non poteva nascere? Non potevano negare l’evidenza. Non era stata innocente la gita, né disinteressata l’amicizia. La cosa migliore per entrambi era dimenticare e andare avanti. Victoria non avrebbe certo faticato a far innamorare di sé un partito migliore. Provò a immaginarla accanto a una culla, intenta a ricamare, a sorridere a un ipotetico marito che tornava a casa, a figurarsela felice. Gli venne in mente soltanto lo sguardo assetato con cui guardava il cielo terso, come volesse abbeverarsi di un paesaggio che le era negato. E poi le sue labbra morbide intorno al suo indice. La mani, davvero, non avrebbero mai dovuto esistere.

    Concentrarsi sulle lezioni da tenere e le ricerche da effettuare era complicato. Aveva voluto conoscere gli uomini, mescolarsi a loro, arrivare a capirne i pensieri. L’obiettivo era stato raggiunto, fin troppo. Lui conosceva la verità, sapeva dove portava quella strada. Ogni volta che incrociava lo sguardo con quello di uno schiavo impuro si domandava se fosse a sua volta figlio di due impuri, selezionato magari per l’estetica o la resistenza, come un cavallo o un cane, o il figlio di un uomo sparito senza una spiegazione.

    Il lavoro teneva a bada i pensieri, come sempre. Così Ten si trovò, senza volerlo davvero, a tenere lezioni in cui sfuggiva lo sguardo degli studenti, limitandosi a leggere i propri appunti.

    Era esattamente quello che stava facendo dodici giorni dopo quel decadì, quando si accorse, all’inizio in modo vago, poi più chiaro del disagio che serpeggiava tra gli studenti presenti in aula. Cauto, alzò lo sguardo per indagare e, sulle prime non vide nulla. La sua materia «Storia dei rapporti con gli angeli» era inserita in numerosi piani di studi, anche se per tutti quanti era secondaria. Quindi Ten era abituato ad avere davanti decine di aspiranti letterati, storici e artisti piuttosto annoiati, ben diversi dai pochi, malmessi, ma ricettivi e provocatori studenti del dopolavoro operaio. Adesso, però, i giovani seduti sui banchi disposti a semicerchio sembravano attenti, solo non a lui. Cercando con scarso successo di non darlo a vedere continuavano a occhieggiare una figura seduta in ultima fila con un cappello calato sul capo. Il problema era che sia il cappello che il cappotto erano parte di un’uniforme militare che sembrava in tutto e per tutto quella di un ufficiale. Peggio, il nero e oro erano appannaggio di un unico corpo militare, le Ali Nere, gli uccisori d’angeli.

    Ten sentì il suo cuore accelerare, mentre, non voluta, si palesava alla sua mente l’immagine della lancia forgiata dai demoni, in grado di uccidere anche un Alto Angelo e che, stando alle sue informazioni, era costudita dalle Ali Nere. Possibile che lo avessero individuato e identificato come un nemico? Proprio lui tra tutti gli angeli che, in forma umana, si aggiravano per l’impero? Chi poteva averlo riconosciuto e tradito? Non un altro angelo. Un demone? Il fratello/sorella?

    Si costrinse a respirare.

    L’uomo si limitava a starsene seduto in fondo, con il cappello calato sul capo. Lui era un esperto d’angeli, aveva parlato con Victoria, che viveva o frequentava casa Morozov. E il generale Morozov era il comandante in capo delle Ali Nere. Magari qualcosa di ciò che aveva detto era stato riferito al generale, che aveva mandato qualcuno ad assistere alla sua lezione. Nei suoi piani, un contatto con le Ali Nere, quando si fosse sentito sicuro, era auspicabile. Quando si fosse sentito sicuro… 

    Si obbligò a riprendere il filo del discorso. Nessuno dei suoi studenti osò fare domande. In generale, nell’impero i militari facevano paura. Le Ali Nere erano considerati eroi, lo erano a tutti gli effetti, ogni anno alcuni di loro morivano per limitare i danni che gli angeli estremisti cercavano di fare al mondo umano. Ma i militari erano anche coloro che sedavano le rivolte, si facevano pochi scrupoli a sparare sulla folla, sia che protestassero operai per salari più dignitosi, o per i diritti degli impuri o fossero donne arrabbiate per i diritti di cui nell’ultimo decennio erano state private. Se poi qualcuno osava una parola di troppo contro il governo, veniva gentilmente accompagnato verso una carrozza o un’auto a vapore da un militare in uniforme e di lui non si sapeva più nulla. Aveva fatto qualcosa che potesse spingere a un simile trattamento? Non gli pareva e di certo le Ali Nere erano troppo preziose per impiegarle in un banale arresto.

    Arrivare alla fine della lezione fu un sollievo.

    Gli studenti si affrettarono a uscire, vociando appena. L’ufficiale non si mosse. Ten, come sempre, impiegò un certo tempo a recuperare i propri libri e gli appunti su veline che aveva proiettato sulla parete grazie alla lanterna magica. L’ufficiale continuava a non muoversi. Dall’ombra del cappello, i suoi occhi da rapace non perdevano neppure uno dei suoi movimenti. Un’ulteriore ipotesi si palesò alla mente di Ten. Victoria, pupilla di Morozov, era la promessa di un ufficiale delle Ali Nere e lui stava per essere sfidato a duello. Prospettiva interessante su un piano intellettuale, devastante su quello personale.

    Non gli restò che tentare di guadagnare l’uscita. 

    L’ufficiale si alzò in piedi, sempre con il cappello a ombreggiargli il viso, rivelando di avere lunghi capelli chiari che portava sciolti ma infilati all’interno del cappotto. I capelli lunghi erano un vezzo delle Ali Nere, anche se avevano lo scopo pratico di nascondere l’impianto alla base della nuca che permetteva al dispositivo con le ali d’angelo di connettersi al loro corpo. La tonalità era la stessa di quella di Victoria. Un fratello, quindi?

    Il militare lo attendeva accanto all’uscita, non c’era modo di evitarlo. Ormai la sala era vuota, ad eccezione di loro due. 

    Finalmente, alzò il viso, permettendo a Ten di vederlo. A contrasto con il nero dell’uniforme, il volto era ancora più pallido. Le labbra rosate, non valorizzate dal trucco, erano più sottili di quanto gli fossero parse e l’espressione era più dura e affilata. Ma gli occhi azzurri di Victoria lo guardavano con calma attenzione, studiandone la reazione.

    – Professore Kuroha, dobbiamo parlare – disse, con voce appena più roca di quanto ricordasse. – Ti devo una spiegazione.

    – Sì – fu tutto quello che Ten riuscì ad articolare.

 

    Con quel senso di irrealtà che è tipico dei sogni, Ten si trovò a seguire Victoria per le vie del quartiere universitario.

    Victoria?

    Era la persona con cui aveva condiviso la gita a San Nicolao in Fonte. Sulla mano, ormai priva di bende, era evidente il segno di un’ustione che andava guarendo. Il modo in cui si muoveva, in cui guardava con decisione davanti a sé erano tipicamente maschili. Il cappotto dell’uniforme cadeva elegante sul corpo snello e il viso… Così, senza trucco, aveva una bellezza androgina a cui non si poteva attribuire un genere con precisione. Possibile che il colonnello Soilbeir, poiché ora che ne riconosceva il grado e i lunghi capelli per cui era famoso non poteva sbagliarsi sulla sua identità, si divertisse a travestirsi da donna con la complicità della moglie del proprio generale? No, non era possibile, certo… E allora?

    Victoria, o il colonnello, entrò con decisione in un pub, ritrovo esclusivamente maschile. Dallo sguardo che si scambiò con l’oste era evidentemente un cliente abituale.

    – Ho bisogno di riservatezza, Ben – disse infatti all’uomo dietro al bancone. – Posso prendere la saletta?

    – Fate come se foste a casa vostra, colonnello. Cosa vi porto?

    – Una birra scura. Ten?

    – Per me una chiara – boccheggiò il professore.

    Ten fu guidato con la sicurezza di chi conosce bene il posto in una saletta laterale che conteneva solo un tavolo, addossato su un lato a un divanetto. Ten scelse il divano e il suo interlocutore si sistemò, rigido e marziale, sulla sedia davanti a lui. Immediatamente, sopraggiunse Ben con i due boccali di birra.

    – Ecco – li servì.

    – Grazie – replicò il colonnello, estraendo il portamonete per pagare.

    – Non c’è bisogno, con tutto quello che rischiate per la nostra sicurezza.

    – Basta con questa storia. Io ho il mio lavoro, tu il tuo, entrambi ci sudiamo i nostri guadagni – replicò il militare, continuando una conversazione precedente e mettendo il dovuto nelle mani dell’oste.

    Un istante dopo erano soli.

    Ten vide l’espressione indecifrabile della persona che aveva davanti frantumarsi all’istante, lasciando trasparire d’un colpo Victoria. Una Victoria imbarazzata e incerta, che si stringeva le mani l’una con l’altra sul tavolo.

    – Ecco, questa sono io – si limitò a dire, afferrando il proprio boccale.

    – Questa…?

    – Victoria Soilbeir, colonnello delle Ali Nere – disse. – Io… Non ti ho mentito su nulla. Solo che… Come vedi è un po’ complicato.

    – Non capisco – disse Ten, sincero.

    Alle donne era vietata la carriera militare. Il colonnello Soilbeir si concedeva pochissime uscite pubbliche, quasi solo la parata della Festa delle Forze Armate, il dieci di Nevoso, ma si sapeva che ricopriva il proprio ruolo da quasi dieci anni e Victoria non poteva aveva più di venticinque anni. Guardò la propria birra, accigliato. 

    – Sai come si diventa un membro delle Ali Nere? – chiese Victoria, con un tono dolce.

    Lo guardava con la testa leggermente inclinata, come aveva fatto durante la gita. Come se lo volesse studiare da un’angolatura differente.

    – Ci sono dei test fisici a cui vengono sottoposti i bambini – rispose Ten, come se fosse una sorta di esame. – I migliori arrivano al quartier generale. Solo pochissimi, però, riescono a tollerare l’impianto e la connessione con le ali degli angeli.

    – Pochissimi, sì… Ora immagina una bambina di dieci anni cresciuta in un istituto religioso per orfani. Non un posto tutto preghiere e silenzio, al contrario, piuttosto grida di bambini lasciati giocare liberi nei prati. Lei era la più scatenata e indisciplinata di tutta la banda. Per niente portata per il ricamo e le altre attività femminili, ma in grado di avere la meglio anche su cinque bambini insieme… Io non so perché fu fatta partecipare alle prove, anche se allora non erano vietate espressamente alle femmine. A volte mi chiedo se quelle donne non avessero scelto di votarsi a Dio perché quello era un modo per essere libere, senza un uomo che dicesse loro ogni giorno cosa fare… La bambina, quindi, risultò la migliore del distretto e fu mandata al quartier generale delle Ali Nere… Lì, senza sapere che era una femmina, fu sottoposta alla prima prova: farle bere del sangue d’angelo per vedere se il suo corpo era compatibile. Il bambino prima di me cadde in preda alle convulsioni e gli si scatenò una febbre celebrale. Io trovai il sangue salato e sgradevole, ma nulla di più.

    – E quindi decisero di non rinunciare a un candidato idoneo – mormorò Ten, che iniziava a capire.

    Victoria annuì. Prima di proseguire bevve un lungo sorso di birra.

    – Sono pochissimi coloro che riescono a sopportare le Grandi Ali, le uniche ali di generale angelico in nostro possesso. È bene che ci siano sempre almeno due persone addestrate a farlo pronte all’azione. Tra i cadetti solo io riuscii a sopportare la connessione. Pochi giorni dopo, da un parlamento all’oscuro di questo fatto, fu emanata la legge che vieta alle donne la carriera militare. Che cosa era giusto fare a quel punto?

    Ten scosse il capo…

    – Questo accadeva… Dieci anni fa, più o meno?

    – Sì. Neppure un anno dopo sono andata per la prima volta in battaglia con le Grandi Ali.

    – Com’è possibile che nessuno sappia niente? Che la notizia non si uscita?

    Victoria si passò una mano tra i capelli.

    – Le Ali Nere sono un gruppo ristretto che si basa sulla fiducia. Là fuori, di fronte ad angeli che ci uccidono con lo sguardo, ognuno di noi affida la vita agli altri. Non puoi neanche pensare di tradire chi tiene la tua vita in mano.

    Poi scosse il capo.

    – Non è così semplice, in realtà – aggiunse. – Questo è vero per quei soldati che si sono addestrati con me o che erano già nel corpo mentre mi addestravo. Per i più giovani… La mia identità è diventato una sorta di segreto iniziatico che viene loro rivelato dopo la prima connessione riuscita. E non penso che mi considerino davvero una persona. Sono una sorta di mostro leggendario. Un esemplare unico che risponde a regole proprie. Se anche qualcuno ha raccontato in giro che sono una donna, non è stato creduto.

    – Devi essere molto sola – disse Ten.

    Lui la conosceva la solitudine. Nascondere la propria essenza, lasciando che la maschera entrasse ogni giorno più in profondità, fino a mescolarsi e a sostituirsi con la propria identità. Victoria però scosse il capo.

    – Non per i motivi più ovvi – disse, senza guardarlo. – Dei dieci ragazzi giunti con me dopo quella prima selezione rimaniamo in tre. E io inizio a non sopportare più di seppellire degli amici. Arriva un momento in cui le morti sono semplicemente troppe e non importa neppure più che siano uomini o angeli. È una guerra che non possiamo vincere. Siamo piloni di difesa costantemente erosi… Diventa troppo. Per molto tempo non ho avuto alternativa. Ma adesso il mio secondo è in grado di sostituirmi in battaglia e c’è un ragazzino in addestramento che è già riuscito a sopportare la connessione con le Grandi Ali… Per la prima volta ho l’opportunità di fuggire, almeno per un poco, solo che non so come fare.

    Ecco di nuovo quell’espressione malinconica, quella spasmodica ricerca di un cielo in cui volare. Ten pensò alla sicurezza che aveva dimostrato quella mattina, muovendosi per la città e all’improvvisa timidezza della ragazza che aveva portato con sé in calesse.

    – Ti muovi sempre vestita da uomo? – chiese.

    – Quasi sempre – nel pronunciare quelle parole Victoria arrossì un poco, come se fosse un indicibile segreto. – Io dò ordini ed esigo l’obbedienza. Come faccio a chiedere il permesso, anche solo con lo sguardo, per fare tutto? Tollerare di non entrare nei locali che frequentano i miei compagni d’arme? Essere esclusa dalle loro feste? Io non sono una ragazza che si traveste da uomo. Io sono un ufficiale delle Ali Nere, addestrata fin da quando avevo undici anni. Non mi travesto da colonnello. Io sono un colonnello. Non so neppure come pensi una donna della mia età.

    Sì, considerò Ten. Era Victoria, la Victoria della festa, la maschera. Ripensò alla donna che inveiva contro i tacchi e non si rendeva conto di apparire strana con un bicchiere di cognac in mano che, invece, sarebbe stato offerto con premura a un ufficiale.

    – Ora che ho più libertà, Delia insiste perché prenda almeno in considerazione ciò che il mondo ha da offrire a una donna – continuò Victoria. – Non pensavo ci fosse nulla di interessante per me, forse sbagliavo.

    Aveva pronunciato le ultime parole guardando il boccale, con una sorta di indecisione nella voce.

    Ten si tirò giù gli occhiali per pulirne le lenti. Un gesto automatico di autodifesa. Rendeva il mondo circostante sfocato, irreale e gli dava la sensazione di non essere davvero lì.

    – Non importa chi tu sia, cosa tu faccia. Quello che è accaduto quel giorno è stato comunque un errore – mormorò all’immagine sfocata di Victoria. – Io voglio… Ti vorrei vedere sorridere, ancora e ancora. Ma sono uno straniero e un giorno dovrò tornare a casa. Non posseggo niente qui, non ho nulla da offrire a una ragazza dell’impero.

    Rifiutare Victoria era un delitto. Il suo corpo, quello strano corpo che non era né una maschera né una menzogna, solo la versione autentica di se stesso il quel mondo, anelava in ogni sua cellula di sfiorarla di nuovo, di esserne sfiorato. Di scoprire cosa sarebbe accaduto se l’avesse lasciata fare, quando si era portata la sua mano alle labbra. Ci si perdeva, in quel mondo, risucchiati da sensazioni sconosciute fuori dal proprio controllo. Per la prima volta, Ten pensò che forse ne valeva la pena.

    – Lo so – replicò lei, neutra. – E io non posso essere altri che il colonnello Soilbeir, almeno fino a che Jude non terminerà l’addestramento. Ci vorrà almeno un anno.

    Si guardò la ferita in via di guarigione sulla mano.

    – Sei mesi fa non mi sarei fatta colpire – disse. – Il mio corpo è ancora agile e svelto, ma non come quando avevo diciott’anni. Tra un anno potrei essere morta. Direi che qualsiasi progetto a lungo termine è fuori luogo.

    Ten sentì qualcosa a livello del petto. Stringersi il cuore. Era quella l’espressione usata dagli uomini. Il dolore interno che lo colse al pensiero che Victoria poteva morire, uccisa da un angelo. Lei non sapeva nulla delle fazioni degli angeli, delle prove a cui venivano sottoposti i giovani per essere ammesse in alcuni circoli. Lei sapeva solo che gli occhi degli angeli potevano colpire il suo mondo, portandovi distruzione. Si connetteva a delle ali smembrate di un Alto Angelo di cui non sapeva nulla, mescolando il proprio sangue al suo, entrava in un mondo che le era alieno e ogni volta rischiava la vita. Il colonnello Soilbeir era famoso anche dall’altra parte. Combatteva, si diceva, come un angelo. Sembrava conoscesse per istinto le loro tattiche. Col proprio imperfetto corpo umano aveva sconfitto a duello un Alto Angelo. Era qualcuno che tutti temevano. E ora era lì, con le mani che tremavano appena, gli occhi azzurri che non osavano guardare i suoi. E ogni volta che entrava nel suo mondo per combattere poteva morire. Era più di un pensiero, adesso. Era una consapevolezza. Ten pensò che forse sarebbe svenuto.

    – Tutto bene? – gli chiese Victoria, incerta.

    – Non posso sopportare l’idea che tu muoia – boccheggiò lui.

    – Anch’io preferirei evitare, tutto sommato – Victoria provò un mezzo sorriso.

    – Non credo di riuscire a vederti allontanare da questo locale e a dimenticarti.

    La prospettiva della sua morte lo inchiodava alla sincerità.

    – Io penso che tu sia la prima persona che mi veda nella mia interezza – mormorò lei, piano, come se cercasse le parole. – Non una sorta di divina donna guerriera o uno strano essere ibrido, che puoi desiderare come donna e trattare come un uomo, o una giovane strana che non si comporta nel modo giusto. Forse è perché sei straniero, ma ai tuoi occhi mi sembra di essere solo Victoria, qualsiasi cosa io sia.

    – Quindi, che opzioni ci restano?

    Victoria si strinse nelle spalle, poi si passò la lingua sulle labbra, come se esitasse.

    – Mi sembra ovvio che non possiamo legarci l’uno all’altra come normalmente farebbero un uomo e una donna della nostra età e della nostra condizione sociale… Come farebbero a Ji’Quin due due persone che volessero frequentarsi senza impegnarsi, senza prevaricarsi a vicenda?

    Ten prese un respiro per contemplare l’ipotesi che Victoria le prospettava. Era una follia.

    – Suppongo che a questo punto dovrei invitarti a vedere un libro nel mio appartamento.

    In qualche modo le sue labbra avevano agito per lui.

    Gli occhi di Victoria cambiarono quasi tonalità, di nuovo brillanti come luce riflessa da un torrente.

    – Sarebbe perfetto – sussurrò.

    No, non lo era. In tutto il mondo, Victoria era l’unica che potesse ucciderlo. Era costretto a mentirle. Nel migliore dei casi, sarebbe sparito dalla sua vita senza spiegazioni

    Forse era proprio perché non era perfetto, perché ogni felicità era già destina a finire e lui aveva il privilegio di saperlo, che quel momento era così prezioso.




Eccoci qui, alla fine di questo secondo racconto.
Vorrei ringraziare di cuore chi è arrivato fin qui, chi ha messo tra i seguito, i ricordati o addirittura i preferiti, chi ha semplicemente letto, dando un senso al mio scrivere. Un grazie speciale a Siyla che mi ha seguito fin qui.
Spero davvero che non vogliate abbandonarmi in questo viaggio. Il prossimo racconto lascerà da parte le atmosfere più romantiche per introdurre un nuovo personaggio, decisamente più ringhioso, e portarci per la prima volta nella dimensione angelica.
A presto, duenque, spero.

 

   
 
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