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Autore: Dromeosauro394    05/12/2020    2 recensioni
Tracsorso un anno da quando il cucciolo d'uomo Mowgli ha messo in fuga la tigre Shere Khan e poi ha seguito sognante una rgazzina nel villaggio degli uomini. La storia sembrava conclusa. Ma purtroppo il piccolo Mowgli fa fatica ad ambientarsi nel villaggio dove Messua e Kamya che lo hanno preso come figlio lo chiamano Nathoo. Solo Shanti, la bambina che lo aveva condotto gli è amica.
Anche gli amici di Mowgli rimasti nella giungla hanno dei problemi. Baloo non riesce a diemnticare il suo cucciolo. E sebbene Shere Khan non si veda da un anno, giungono rumori su una tigre rimasta zoppa per una bruciatura che si aggira per la giungla.
Un seguito al classico Disney che combina anche elementi dei libri di Kipling.
"Perché era dovuto finire in quel villaggio? Sarebbe potuto restare nella giungla ora che Shere Khan era scappato. Nessuno poteva capirlo. Neanche Shanti per quanto ci provasse poteva capire la vita che aveva nella giungla. Sospirò e alzò lo sguardo verso la finestra. Quanto avrebbe voluto poter stringere il pelo caldo di Baloo in quel momento. Chissà cosa stava facendo il suo papà orso in quel momento?"
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: AU, Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1 libro giungla 2 supercorretto

 

Il villaggio degli uomini cominciava a risvegliarsi. Tra le casupole risuonavano i rumori degli abitanti che si alzavano per cominciare le attività giornaliere. Varie sagome iniziavano ad affollare le strade, deserte solo un’ora prima. Chi per andare nei campi chi al mercato chi verso la città vicina.

Una figura più piccola delle altre tentava di farsi strada fra le persone reggendo sulla testa una brocca d’acqua. Gli adulti non facevano molto caso alla bambina che temeva di rovesciare il contenuto della brocca prima di raggiungere la casa della sua padrona. Passò davanti al piccolo tempio del bramino accanto all’albero di manghi. I canti mattutini dell’uomo di fede e l’odore di incenso l’avvolsero mentre si dirigeva verso la sua destinazione. La casa della sua padrona Messua era la più grande del villaggio perché suo marito Rama era l’uomo più ricco. La bambina entrò silenziosamente dalla porta di servizio e poggiò la brocca in cucina dove sua madre stava preparando la colazione. “Shanti sei tu?”, sentì la voce pacata di Messua chiamarla dalla sala. “Sì, sono io. Ho portato l’acqua” “Brava. Per favore va a svegliare Nathoo, io devo correre al tempio per la preghiera del mattino” “Si, signora”, rispose obbediente Shanti. Messua era una donna molto credente.

Si addentrò per i corridoi della casa appena in tempo per vedere Messua che usciva dalla porta principale. La donna indossava dei grossi cerchi di rame ai polsi e alle caviglie ed era avvolta in un  elegante velo rosso. Shanti osservò meravigliata gli arredi della casa e si diresse verso la stanza di Nathoo: il figlio di Messua e suo marito. Aprì leggermente la porta e sussurrò il suo nome. “Nathoo”. Nessuna risposta. “Nathoo è ora di alzarsi”. Non ottenendo ancora una risposta Shanti entrò nella camera. Davanti a lei c’era il letto imbottito di Nathoo, ma nessuna traccia di lui. Preoccupata guardò in giro per la stanza ma non lo trovò. “Nathoo! Nathoo dove sei?” Un ronfare sommesso le giunse da fuori la finestra. La ragazzina si sporse e vide Nathoo che dormiva pacificamente su un ramo dell’albero accanto alla casa. Il ragazzino indossava solo un paio di mutande rosse. Come aveva fatto a passare la notte lì fuori con quel freddo? E come poteva preferire un ramo duro col rischio continuo di cadere a un materasso pieno di piume? Shanti sospirò pensando alla sottile coperta stesa sul pavimento dove era costretta a passare le proprie notti. Non era la prima volta che lo trovava così. Per quanto la padrona Messua cercasse di convincere a Nathoo a dormire in casa il ragazzino sembrava soffrire le lenzuola come il letto di chiodi di un fachiro. Perciò spesso lo si ritrovava a dormire sull’albero. Per fortuna quel lato della casa dava sulla giungla e non c’era il rischio che il villaggio spettegolasse. Shanti si sporse e lo chiamò di nuovo: “Nathoo. Nathoo svegliati, devi alzarti”. Il ragazzino alzò la testa piena di folti capelli neri. Sbadigliò e si mise a sedere sul ramo. “Buongiorno Shanti” “Mia madre sta preparando la colazione. Sbrigati a scendere, prima che qualcuno ti veda, Nathoo”. Il ragazzino aggrottò la fronte a quel nome e si girò dandole le spalle. “Oh, dai Nathoo non stamattina, per favore scendi” “Scendo solo se mi chiami col mio vero nome” “Ma... Tua madre ha detto che non devo più chiamarti così. Anche se me lo chiedi” “E allora io non scenderò”, rispose perentorio lui incrociando le braccia. Shanti si morse il labbro esasperata ma alla fine lo disse: “Va bene. Mowgli puoi scendere dall’albero per favore?”. Mowgli si girò contento e scese giù dall’albero con l’agilità di una scimmia. Atterrò in ginocchio sul davanzale e Shanti si ritrasse. “Bene ora vieni in cucina”. Il ragazzino la seguì. L’ aveva seguita fino dal loro primo incontro quando aveva raccolto la brocca e le era venuto dietro dentro il villaggio.

Shanti aveva pensato che fosse un altro dei bambini del villaggio che si era addentrato avventuroso sul limitare della giungla, non poteva sapere che in realtà Mowgli veniva proprio da lì. Appena arrivati nel villaggio aveva provato a parlargli e lui non sapeva spiccicare una parola. Quando gli altri abitanti del villaggio si erano accorti del bambino sconosciuto, c’era stata una grande frenesia e tutti lo avevano accerchiato. Mowgli si era ritratto spaventato e aveva ringhiato. Buldeo il vecchio cacciatore del villaggio aveva detto che doveva essere un ragazzino allevato dai lupi, come se ne trovano a volte.  A dimostrazione della sua tesi indicò i segni di morsi e artigli sulla pelle nuda del bambino. Quando aveva provato a toccarlo Mowgli gli aveva assestato un pugno in pancia sorprendentemente forte per uno scricciolo tutto pelle e ossa. Era arrivato svelto il bramino del villaggio, un omone grasso e vestito di bianco. Davanti a quella situazione si era grattato la fronte punteggiata dalla pittura bianca e rossa, incapace di trovare una soluzione.  “Quel ragazzino non porterà altro che guai, probabilmente è maledetto”, aveva borbottato Buldeo piegato in due. Poi si era fatta strada tra la folla Messua. “Fermi non fategli del male. Nathoo, Nathoo sei tu?” “Messua sta attenta è un animaletto che morde”, si era lamentato Buldeo massaggiandosi lo stomaco. La donna invece si era fatta avanti lentamente e aveva preso il viso di Mowgli tra le mani. Lui era rimasto fermo immobile. Messua lo aveva guardato dritto negli occhi poi lo aveva abbracciato stretto. “Sì, sì, è Nathoo, il mio bambino. Quello che credevamo morto nella giungla. Adesso è grande, ma i suoi occhi sono gli stessi di quando lo cullavo in fasce. Oh, sia ringraziato il cielo. È miracolo”. Il bramino si era accarezzato la barba bianca e aveva confermato che doveva trattarsi di un miracolo degli dei. In quel momento era arrivato anche il marito di Messua e l’aveva trovata in lacrime che stringeva il bambino dall’espressione spiazzata. Il bramino gli aveva spiegato quale miracolo avessero concesso gli dei a lui e a sua moglie nel restituirgli il figlio e che sarebbe stato un buon gesto ringraziarli con una generosa offerta al tempio. Il padrone aveva acconsentito e aveva detto che avrebbe accolto Mowgli in casa sua, ma non sembrava avere lo stesso entusiasmo di Messua per il ritorno del figlio. Mentre Messua lo aveva trascinato via per un braccio sempre accarezzandolo e coprendolo di baci, Mowgli aveva lanciato a Shanti un ultimo sguardo di smarrimento. 

Era trascorso poco più di un anno da quella giornata, ma Mowgli ancora si sentiva perso come quel primo giorno. Piano piano aveva imparato a parlare. Avevano visto che ogniqualvolta ci stesse Shanti  faceva progressi più velocemente. Non appena ebbe abbastanza dimestichezza, aveva provato a dire che il suo vero nome era Mowgli e non Nathoo, ma il marito di Messua non voleva sentire ragioni e aveva tentato di convincerlo che si sarebbe abituato al nuovo nome e avrebbe presto dimenticato il vecchio nome da lupo.

Shanti rise al pensiero di tutte le cose del villaggio che aveva dovuto insegnarli. Quando gli aveva mostrato per la prima volta una padella era rimasto affascinato dal suo stesso riflesso e si era messo a fare boccacce strane. Gli aveva anche dovuto spiegare le regole del villaggio, di cui Mowgli era decisamente insofferente. Non capiva perché ci si dovesse lavare così spesso, quando nella giungla poteva farlo solo e se ne aveva voglia gettandosi nel fiume a nuotare e non in una piccola tinozza con il sapone che pizzicava gli occhi e aveva un saporaccio. Quando gli avevano fatto provare vestiti e turbante gli davano un prurito terribile e continuava a tentare di levarseli, che fosse o no in pubblico. Alla fine lo avevano lasciato solo con mutande avendo attenzione che le cambiasse però ogni giorno. Nel villaggio non si poteva cacciare o cogliere la frutta dagli alberi liberamente ma tutto quanto aveva un prezzo, che si pagava con una strana roba di cui tutti erano ossessionati: il denaro. In particolare, il marito di Messua che l’ospitava in casa aveva una grande passione per il denaro e ogni volta era sconvolto e amareggiato che Mowgli non ne comprendesse l’utilità. Aveva provato a insegnarli a fare di conto ma a Mowgli i numeri propio non gli entravano in testa, il pover’uomo si metteva le mani nei capelli davanti a quelle situazioni.

I due bambini finirono la colazione.  Mowgli poi la seguì mentre svolgeva le commissioni nel villaggio. Non gli era permesso uscire di casa da solo dopo alcuni incidenti che si erano verificati.

Ad un certo punto passando nella piazza del villaggio sotto il grande albero di fichi videro Buldeo il cacciatore che stava raccontando una delle sue storie a un gruppetto intorno a lui. Buldeo era considerato l’esperto del villaggio sulla giungla. Ogni volta che Mowgli ascoltava doveva mordersi la lingua per non ridere alle sciocchezze che diceva, quando invece gli altri ragazzi del villaggio pendevano dalle sue labbra. “È così, vi dico. La tigre che sta infestando i boschi vicino a Oodyepure è posseduta dal demone di un usuraio. Quando era in vita l’uomo zoppicava per questo ora la tigre zoppica, ma nonostante ciò riesce comunque a ammazzare il bestiame dei villaggi vicini. E qualche volta anche i mandriani”. Nella piccola folla le donne si coprirono la bocca con le mani e bimbi si nascosero nelle loro sottane mentre gli uomini si scambiavano commenti arcigni. “Questo succede agli uomini che hanno troppo denaro fra le mani quando devono reincarnarsi”, disse Buldeo sollevando lo sguardo mentre passava Mowgli, un velato commento al suo ricco padre adottivo. Il ragazzino a quel punto si fermò e guardò torvo il cacciatore. Una cosa era quando veniva additato lui da Buldeo, il capo cacciatore non amava essere smentito sui suoi racconti della giungla e la sua missione era diventata di denigrare il ragazzino in ogni modo, ma era tutt’altra questione se diceva qualcosa contro l’uomo che lo aveva accolto in casa. “Quelle che dici sono tutte stupidaggini”, alzò la voce Mowgli fermandosi in mezzo alla piazza. Shanti si fermò preoccupata. “Nathoo dai non badargli, gli dai più soddisfazione così”. Mowgli non la ascoltò e continuò: “La tigre di cui parla Buldeo non è affatto posseduta, si chiama Shere Khan e zoppica perché si è bruciata una zampa dopo che lo scacciata via io” “Tu? Hahaha”, rise Buldeo. Altre risate si aggiunsero dal gruppetto. “Un filo d’erba come te che sconfigge una tigre. Hahaha, certo che da quando hai imparato a parlare ne sai raccontare di frottole, eh Nathoo? Come quella volta che hai detto di aver cavalcato un orso”. Altre risate si sollevarono dai membri del villaggio. “È vero”, protestò Mowgli, “Baloo è mio amico e mi faceva cavalcare sul suo dorso”. Buldeo sghignazzò ancora: “Comunque se hai già sconfitto questa... Shere Khan, perché non la vai ad acchiappare di nuovo? Il governo di Oodyepure ha messo una taglia di cento rupie sulla testa della tigre” “Quasi, quasi lo farò”, rispose sprezzante Mowgli. “Tale padre tale figlio”, sogghignò il cacciatore, “Non appena si nominano le rupie andrebbero anche in bocca a una tigre. Haha”. Shanti cominciò a tirare Mowgli per un braccio. Il ragazzino si lasciava intortare facilmente da Buldeo o da chi lo prendeva in giro. “Andiamo Nathoo” “No, non me ne vado finché questo vecchio bugiardo non la smette di dire cattiverie su Kamya”. Shanti abbassò la voce: “Andiamo Na... Mowgli, vieni via. Così fai solo peggio. Per favore”. A sentirsi chiamare con il suo vero nome e guardando gli occhioni scuri di Shanti, Mowgli annuì e se ne andò. Rosso di rabbia si allontanò seguendo Shanti che lo teneva per mano. “Bravo Nathoo, dai retta alla tua amichetta shudra. Haha”, gridò da lontano Buldeo prima che scomparissero alla sua vista.

Ecco un’altra cosa che Mowgli non riusciva a concepire: il nome con cui Buldeo aveva chiamato Shanti, shudra. Gli shudra erano la casta dei servitori. A quanto pare nel villaggio degli uomini le persone erano divise in categorie quasi fossero delle specie di animali diverse. C’era la casta più alta, quella dei bramini, c’era la casta dei nobili e dei guerrieri,  kshatriya, quella degli allevatori di bestiame, dei mercanti e contabili, vaishya, a cui appartenevano Mowgli e la sua famiglia e poi c’era la casta dei servitori, gli shudra, a cui apparteneva la famiglia di Shanti. Infine c’erano i paria, gli intoccabili, che erano considerati al di fuori delle caste, in realtà erano considerati quasi al di fuori del genere umano. A loro spettavano tutti i lavori più umilianti e vivevano nella miseria. Una volta Mowgli era corso in soccorso di un vecchio intoccabile che doveva tirare fuori l’asino del suo padrone dal fango. Mowgli era riuscito a parlare con l’animale che non voleva saperne di muoversi e lo aveva fatto uscire dal pantano. Le urla che aveva lanciato il bramino quando lo aveva visto! Kamya si era arrabbiato moltissimo e a casa gli aveva fatto una ramanzina sul fatto che non si deve mai aiutare un intoccabile, le caste dovevano rimanere separate. Quando Mowgli aveva chiesto il perché, lui aveva borbottato irritato e gli aveva raccontato una storia confusa su come gli uomini fossero venuti fuori dal corpo di un gigante: i bramini bianchi dalla bocca per recitare le scritture, i kshatriya rossi dalle braccia forti per governare e uccidere i nemici, i vahsya gialli dalle cosce grasse per portare cibo e abbondanza e gli shudra neri dai piedi sporchi e puzzolenti per servire le caste superiori. Mowgli non riusciva a raccapezzarcisi. Come poteva una creatura come Shanti, bella, delicata e profumata come un fiore, essere fatta del materiale dei piedi di qualcuno? Ma lì al villaggio avevano un sacco di storie strane sugli dei che abitavano nel tempietto del bramino. Mowgli ogni volta confondeva i nomi e non capiva la devozione che le persone provavano per quegli strani esseri. Uno aveva addirittura la testa di un elefante e Mowgli aveva detto che assomigliava a Hati. Per poco il bramino non lo aveva preso a schiaffi. Shanti vide lo sguardo pensieroso di Mowgli. “Dai, non ci pensare. Buldeo se la prende con te perché tu sei l’unico che lo mette al suo posto in mezzo a questo branco di creduloni” “Non è solo lui. Perché qui nessuno crede a quello che dico? Io l’ho combattuta davvero Shere Khan e sono anche stato nel palazzo di re Luigi” “Beh, Nathoo ...” “Mowgli! Per favore almeno tu chiamami col mio vero nome”. Shanti si guardò intorno: “Mowgli, è solo che le storie che racconti sembrano un po’ assurde” “Ma almeno tu mi credi, vero?”. Shanti si morse il labbro: “Io ...beh, suppongo che ...”. Non aveva il coraggio di dirgli di no con quello sguardo bisognoso che le lanciava. “Si, io ...ti credo. Però è meglio che smetti di raccontarle certe storie altrimenti qui al villaggio non ti prenderanno mai sul serio. Dai, ora andiamo al mercato”. I due bambini passarono dal mercato per sbrigare le commissioni. Quando ebbero finito Mowgli si offrì di portare il cesto di Shanti al posto suo. Un paio di altri ragazzini del villaggio lo videro e cominciarono a deriderlo. “Ehi Nathoo. Porti ancora la spesa alla servetta? Haha”. Mowgli tentò di ignorarli. “Che fai non rispondi Nathoo? Ah, giusto il tuo vero nome è Mowgli, non è vero? E balli insieme alle scimmie. Hahaha”. I ragazzi si misero a grattarsi il capo e a saltellare come se fossero scimmiotti. A Mowgli formicolarono le braccia. Sapeva che se avesse voluto li avrebbe stesi come niente. Nella giungla era considerato debole e indifeso ma qui nel villaggio era forte come un uomo adulto. “Dai non starli a sentire”, gli disse Shanti. Alla voce di lei tutta la rabbia di Mowgli si dissipò. A parte Shanti non aveva fatto amicizia con altri bambini della sua età. Lo prendevano in giro quando non riusciva a pronunciare qualche parola o se non capiva le regole dei loro complicati giochi umani. E poi trovavano esilarante se riprendeva qualche movenza animalesca.

Buono buono tornò dietro Shanti nella grande casa. Non riusciva a capire come gli uomini potessero chiudersi volontariamente così in quelle gabbie di pietra dove non si respirava. Gli mancava correre e arrampicarsi libero nei grandi spazi della giungla. Una volta aveva avuto così nostalgia di Baloo e tutti i suoi amici che aveva cercato di tornarci. Non voleva scappare per sempre, voleva solo tornarci per una notte.  Così era sgattaiolato dall’albero fuori dalla finestra al di là del fiume di nuovo nei suoi luoghi familiari. Quando era tornato il mattino dopo Messua era in lacrime e Kamya furioso. Gli strillò quanto la giungla fosse pericolosa e di come poteva venir divorato dagli animali selvatici. A Mowgli veniva da ridere. Come poteva essere pericolosa la giungla? La sua casa. Ma quando aveva visto quanto stava male Messua non ci aveva più riprovato. Sentiva quanto la donna gli volesse bene. Tutte le volte che aveva combinato qualche pasticcio al villaggio lei lo aveva sempre difeso e perdonato. Ogni volta che il marito si arrabbiava con lui e gli strillava, lei invece lo abbracciava e continuava a dire che non era colpa sua doveva ancora riabituarsi a vivere tra gli uomini. Ogni notte si stendeva accanto al suo letto e gli accarezzava i capelli cantandogli dolci ninnenanne. Gli aveva raccontato di come lei e suo marito nel venire ad abitare in quel villaggio avessero attraversato la giungla sul fiume Waingunga e la corrente li aveva trascinati via e rovesciati. La sua culla era rimasta sulla canoa portata alla deriva. A nulla erano servite le ricerche fatte nei giorni successivi. Gli occhi della donna si riempivano di lacrime mentre raccontava quante notti aveva speso pregando perché il suo piccolo Nathoo tornasse da lei. Per anni si era aggrappata al pensiero che il figlioletto fosse sopravvissuto nonostante tutti nel villaggio, compreso il marito, le avessero detto di rassegnarsi e andare avanti con la sua vita. E dopo dieci anni quando ormai aveva abbandonato ogni speranza, lui era tornato da lei. Lo stringeva forte al petto e gli sussurrava che ora nessuno glielo avrebbe più portato via. Mowgli accettava imbarazzato tutte quelle attenzioni anche se non riusciva a ricambiare pienamente l’affetto che quella sconosciuta gli riversava addosso. Eppure sentiva che in lei c’era qualcosa di familiare, qualcosa nel suo odore lo faceva sentire protetto. Però ancora non riusciva a chiamarla madre come avrebbe fatto con mamma lupa, né poteva chiamare padre Kamya, né abbracciarlo come avrebbe fatto con Baloo e più di tutto non riusciva a digerire quel nuovo nome che gli avevano dato: Nathoo. Lui era Mowgli, Mowgli il lupetto della tribù dei Seonee, non Nathoo del villaggio degli uomini. Ma per il momento gli occhi di Shanti e l’abbraccio di Messua lo tenevano lì. E poi se i racconti di Buldeo erano veri, allora Shere Khan era ancora in giro da qualche parte nella giungla. Mowgli però non aveva paura, l’aveva scacciata via una volta e lo avrebbe rifatto. Anzi ora sapeva come fare il fuoco. Era rimasto stupito quando aveva visto Messua che lo usava con tranquillità per cucinare. Il fuoco era usato nei modi più disparati dagli umani, per cucinare, per illuminare e riscaldare la notte. Buldeo lo lo usava per accendersi la pipa, un altro costume che per Mowgli era assurdo.

Tornati a casa aiutò Shanti nelle faccende domestiche. Pulisci, lava, spazza, riordina, durante il giorno c’erano sempre mille cose da fare senza poter stare mai fermi. Sognava come nella giungla invece avrebbe potuto restarsene a riposare sotto un albero ingozzandosi di frutta fresca. Nel villaggio era un periodo di magra e frutta non se ne vedeva più. Shanti ne soffriva molto, i manghi erano il suo cibo preferito. Quando tornò Messua Mowgli le chiese se si avevano notizie di manghi arrivati da fuori il villaggio. Lo faceva più per Shanti che per lui ma la madre adottiva gli rispose dispiaciuta che ancora non c’erano. Mowgli vide la delusione negli occhi di Shanti a quella notizia. Improvvisamente gli venne un’idea. C’era un posto nel villaggio dove ancora c’erano dei manghi: l’albero del tempio del bramino. Già immaginava la faccia di Shanti se glieli avesse portati. Chissà quanto sarebbe stata felice! Nel pomeriggio finse di non sentirsi bene e chiese di andare a letto.  Messua così apprensiva lo lasciò andare subito. Non reggeva il pensiero che il figlio potesse ammalarsi. Come al solito si mise accanto al suo letto e gli canticchiò qualche litania mentre si addormentava. Quando pensò che si fosse addormentato lasciò la stanza. A quel punto Mowgli sgusciò silenzioso fuori dal letto e uscì dalla finestra. Si arrampicò facilmente sull’albero e poi passò su per i tetti del villaggio col passo lesto e felpato di una pantera. Fece attenzione che nessuno lo vedesse ma gli abitanti del villaggio erano talmente occupati nelle loro faccende importanti che non alzavano mai gli occhi al cielo.

Arrivò sul tetto a cupola del piccolo tempio e tese le orecchie. Sentì il mormorare preghiere sommesso del bramino. Perfetto, l’uomo era distratto e poteva agire indisturbato. In punta di piedi strisciò lungo il cornicione del tetto fino a dove si stendevano i rami carichi di manghi. Mowgli tese il braccio ma i frutti succosi erano di qualche centimetro al di fuori della sua portata e per quanti sforzi facesse non riusciva a raggiungerli. Prese un bel respiro e si calò a testa giù  piano, piano, reggendosi con le cosce intorno a una scultura del tetto. Nel suo campo visivo capovolto apparve lentamente l’interno del tempio e vide il bramino intento a canticchiare con voce stridula ad occhi chiusi. Cercando di non fare alcun rumore Mowgli allungò le braccia per cogliere i manghi. Ne riuscì a prendere ben cinque, voleva fare Shanti molto contenta. I frutti però erano difficili da tenere tutti insieme, perciò ne teneva quattro stretti al petto con entrambe le braccia e uno premuto sotto il mento. Ora la parte difficile sarebbe stata risalire con la sola forza delle gambe. Si sforzò contraendo i muscoli delle cosce ma non riusciva a risalire. Riprovò un’altra volta e la pietra vecchia dello spuntone al quale si era aggrappato scricchiolò. Sbarrò gli occhi temendo che il materiale cedesse e lui fosse colto dal prete con la refurtiva ancora in mano. Riprovò ancora e ci fu uno scricchiolio più forte. Il bramino aprì un attimo gli occhi e Mowgli trattene il respiro. L’uomo rimase col capo teso qualche secondo poi ricominciò con le preghiere. Mowgli fece un ultimo sforzo e si tirò su con i manghi. In ginocchio sul cornicione tirò un sospirò di sollievo ma questo fece scivolare il mango che aveva sotto il mento. Veloce si mosse e riuscì a riacchiapparlo con una mano. Il movimento improvviso però fece scricchiolare la pietra ancora di più. Intuendo che non poteva reggere il suo peso ancora per molto si rimise svelto in piedi tentando di non perdere nessun mango. Lo spuntone alla fine cedette e crollò nel cortile con un rumore di pietra spezzata. Il bramino trasalì a quel rumore e vide cos’era successo. Sbuffando si alzò e andò veloce verso i resti di mattoni. Alzò lo sguardo per vedere cosa aveva potuto causare quell’incidente ma vide solo il punto in cui il testo era franato, per il resto era deserto.

 Mowgli era scappato via veloce e se la rideva sotto i baffi. Ora Shanti sarebbe stata contentissima. Forse gli avrebbe anche dato un bacio. A quanto pare gli esseri umani facevano così quando erano innamorati. Glielo aveva detto Messua quando l’aveva vista farlo con suo marito. Erano dei baci sulle labbra, d’amore, non dei baci affettuosi come quelli che gli dava sempre Messua. Perso nelle sue fantasticherie amorose però il ragazzino non fece attenzione a una tegola incrinata. Con un capitombolo cadde giù dal tetto in testa a qualcuno. Sia il bambino che il malcapitato urlarono di dolore all’impatto col terreno. Mowgli si massaggiò dolorante la schiena e vide davanti a sé nientemeno che Buldeo che tentava di tirarsi su il turbante conficcato sopra gli occhi.  “Ahi. Mpfh. Chi c’è? Appena vedo chi sei giurò che ti appendo al muro insieme alle mie teste di cervo”. Mowgli trattene il respiro e cercò veloce di recuperare i manghi sparpagliati. Buldeo intanto si era alzato in piedi ma cercava ancora di liberarsi dal turbante. “Ohi, ohi, la testa. Chiunque sei, la pagherai cara”. Mowgli riacchiappò in fretta l’ultimo mango e passò veloce accanto a un Buldeo che tastava in giro come un ceco. Il movimento improvviso fece sussultare di sorpreso l’uomo che cadde di nuovo a terra. Questa volta però il turbante si sollevò e riuscì a vedere Mowgli che girava l’angolo, con le braccia piene di manghi. “Ah, sei tu Nathoo. Piccolo delinquente, lo sapevo che eri un bugiardo e un ladro. Ehi, prendetelo presto. Al ladro! Al ladro! Nathoo sta rubando i manghi del tempio”. Mowgli corse ancora più veloce ma le urla di Buldeo stavano attirando altre persone in quella strada. Non appena videro Mowgli con i manghi esclamarono oltraggiati e inorriditi. Era un sacrilegio rubare i manghi del tempio e non era la prima volta che il ragazzino lupo faceva una cosa del genere. Quel Nathoo era decisamente indisciplinato, tutta colpa di Messua e suo marito se veniva su così. Che qualcuno chiamasse il bramino per punire quella blasfemia. Mowgli si trovò circondato mentre gli urlavano contro. In quel momento Buldeo venne fuori da dietro il vicolo col turbante di traverso. “Eccoti qua piccolo mascalzone della giungla. Questa volta un bel paio di legnate non te le leva proprio nessuno”. Prese brusco Mowgli per un braccio facendogli cadere i manghi a terra. “Ora andiamo dal bramino e vediamo cosa avrà da dire su tutto questo” “Che sta succedendo qui?”, tuonò una voce tra la folla. Le persone fecero si spostarono e spuntò Kamya il marito di Messua.

L’uomo era vestito con una giacca corta di tessuto giallo con ghirigori ricamati sopra e un turbante di seta verde. Indossava delle scarpe dalla punta arricciata. Non molti  usavano le scarpe al villaggio, o meglio non molti potevano permettersele. Questo a Mowgli piaceva perché così non era costretto a indossarle pure lui. Quando Messua gliene aveva regalato un paio e lo aveva osservato sognate che le incalzava si era ritrovato barcollante come su dei trampoli. Kamya aggrottò le sopracciglia e richiese a gran voce: “Allora, si può sapere cosa sta succedendo qua?”. Buldeo sogghignò: “È tuo figlio Nathoo, Kamya. A quanto pare i manghi gli piacciono così tanto che ha deciso di prendere quelli del tempio”, indicò la prova del misfatto sparsa ai piedi di Mowgli. “Ma d’altro canto cosa ne può sapere un bambino cresciuto nella giungla su cosa siano il rispetto e la sacralità degli dei”. Kamya vide i manghi per terra e guardò torvo il ragazzino. “Mowgli. Ne avevamo già parlato su come funzionano le cose qui nel villaggio. Non puoi prendere quello che trovi come ti pare e piace come se fosse tuo. Qui ogni cosa si paga se si vuole averla. Hai capito? Quante volte te lo devo ripetere”. Mowgli tenne lo sguardo basso vergognandosi. “Mi hai sentito?” “Si, signore”, rispose debolmente. “Ora andiamo via. Appena siamo a casa riceverai una punizione che non te lo faccia dimenticare di nuovo” “Un momento”, disse Buldeo tenendo il braccio di Mowgli più stretto, “Come sappiamo che lo punirai tornato a casa? Quel cuore tenero di tua moglie lo accarezzerà e coccolerà come un cucciolo ferito invece di bastonarlo come merita. Io dico che qui va dato un esempio davanti a tutto il villaggio” “Tu invece lo mollerai subito. Non permetterò che Nathoo venga malmenato in pubblico come il figlio di un servo. Me ne occuperò io a casa mia” “Cosa sono tutte queste urla?”, la folla fece spazio al bramino che si reggeva ansimando al suo bastone. “Cosa c’è da litigare tanto nel nostro tranquillo villaggio? Oh, per Visnu, i miei manghi. Ecco cos’erano quei rumori di prima”. Buldeo sogghignò trionfante. “L’ho beccato con le mani nel sacco bramino Purun. Il ragazzo merita una punizione per aver offeso gli dei in questo modo”. Altre voci si unirono in favore di Buldeo. Il bramino scosse la testa sconsolato: “Oh, Nathoo, Nathoo. Credevo che ormai questi incidenti fossero finiti. Ragazzo non hai paura che Kali venga a cercarti la notte dopo che combini queste offese contro il tempio?” Mowgli sbuffò arrabbiato: “Che venga pure questa Kali. Le darò un pugno da stendere un orso” “Nathoo, basta ora”, gli strillò Kamya. Mowgli non resistette più: “Smettila di chiamarmi con quel nome. Smettetela tutti. Il mio nome non è Nathoo, è Mowgli. Mowgli! Mowgli!” “Non una parola di più”, lo zittì Kamya. L’uomo sbuffò irritato e tirò fuori la borsa. “Ecco bramino Purun”, diede varie monete d’argento al santone, “Queste dovrebbero ripagare più che profumatamente l’errore madornale di Nathoo. Perdonatelo vi prego. È solo un ragazzo che ancora non conosce bene le regole del villaggio, sono certo che non intendeva farlo con malizia. Mia moglie viene ogni giorno a pregare da voi e sarà molto delusa e dispiaciuta dal gesto di nostro figlio. Io stesso ne sono sorpreso e deluso e mi occuperò della sua punizione”. Il bramino guardò con occhi scintillanti le monete d’argento poi parlò con voce pacata: “Oh, Kamya sono certo che il piccolo Nathoo si deve essere confuso” “Bramino non potete–“,protestò Buldeo ma l’uomo di fede continuò, “Ciononostante il tempio non è un banco del mercato dove si può pagare per mangiarsi un mango. Oltretutto Nathoo nel compiere il furto ha rotto un pezzo del tetto. Una parte sacra di un edificio ben più vecchio sia di lui che di te che anche di me”, sporse avanti la mano già piena. Kamya digrignò i denti ma diede altre monete d’argento al prete. “Bene dunque dicevo... Nathoo deve pagare per il suo crimine, un pagamento non in denaro questa volta. Andrò a meditare sulla faccenda e stasera verrò a parlarne con te e Messua. Buona giornata Kamya” “Buona giornata anche a voi”, disse il mercante a denti stretti guardando male Mowgli. Buldeo lasciò soddisfatto la presa e il ragazzino seguì lemme lemme Kamya.

Tornando a casa Mowgli non parlò ne lo guardò negli occhi. Kamya camminava a grandi falcate e sbuffava come un rinoceronte. “Quando saremo a casa facciamo i conti. E non andare a nasconderti tra le gonne di tua madre. Quella povera donna... Come se non avesse già abbastanza preoccupazioni per te. Si può sapere cosa ti è passato per la testa? Perché hai dovuto fare un gesto del genere? Non ti sfamiamo già abbastanza? Perché sei dovuto andare a rubare i manghi del tempio?” Mowgli mormorò qualcosa a bassa voce. “Cosa hai detto?”, tuonò Kamya. “Li volevo dare a Shanti” “Che? La piccola shudra? Tutto questo per lei? Cosa... Mpfh, meglio che stai zitto sono già abbastanza infuriato”. Appena entrarono in casa, Messua corse in lacrime ad abbracciare Mowgli. “Oh, Nathoo, Nathoo. Per fortuna stai bene. Ero passata per vedere se stavi meglio e ho trovato il letto vuoto. Oh, per un attimo ho temuto che fossi tornato di nuovo nella giungla, invece sei qui con me e stai bene”. Mowgli sentì stringersi la gola. “Messua lascia subito il ragazzo. Se sapessi cosa ha fatto preferiresti fosse di nuovo nella giungla” “Cosa? Che ha fatto? Che è successo?” , disse lasciando Mowgli guardando il marito spaesata. “Ha rubato i manghi del tempio ecco cosa è successo”. Messua lanciò un gemito sconvolto: “Oh, Nathoo, Nathoo. Perché lo hai fatto? Lo so che me li chiedi da giorni i manghi ma bisogna avere pazienza se in questo periodo non ci sono. Oh, mio piccolo Nathoo perché lo hai fatto?”. Mowgli non riuscì a guardare Messua negli occhi e in quel momento vide Shanti e sua madre sulla soglia della porta della cucina. Alla vista della bambina ogni parola gli morì in gola. “Perché lo ha fatto non importa”, tagliò corto Kamya. “Stasera Nathoo andrà a letto senza cena e non provare a arrampicarti di nuovo fuori dalla finestra. Lo devo far tagliare quel maledetto albero” “Oh, Kamya non essere così duro. È un bravo bambino, ancora non ha capito bene come funzionano le cose. Sono certa che non l’ha fatto apposta” “Non lo difendere come fai sempre Messua. È colpa tua sé ancora non ha capito come ci si comporta in mezzo agli uomini e non come se fosse ancora tra gli animali della giungla” “Ma Kamya ...” “Niente ma. Stasera il bramino passerà a casa nostra per dirci quale punizione spetta a Nathoo, fino ad allora non voglio più rivedere la sua faccia da ladruncolo di manghi. Vai in camera tua!” Mowgli con lo sguardo basso si avviò verso camera sua. Lanciò un ultimo sguardo vergognoso a Shanti per poi scomparire nella stanza.

Si gettò sul letto sconsolato. Sentì le lacrime che cominciavano a uscirgli dagli occhi. Non ne combinava mai una giusta. Qui tutto quello che aveva imparato nella giungla si era rivelato inutile. Il cuore gli stringeva allo sguardo di dolore che gli aveva lanciato Messua. Perché era dovuto finire in quel villaggio? Sarebbe potuto restare nella giungla ora che Shere Khan era scappato. Poi però si ricordò dello sguardo di Shanti e ci ripensò. Ciononostante però si sentiva terribilmente solo lì. Nessuno poteva capirlo. Neanche Shanti per quanto ci provasse poteva capire la vita che aveva nella giungla. Sospirò e alzò lo sguardo verso la finestra. Quanto avrebbe voluto poter stringere il pelo caldo di Baloo in quel momento. Chissà cosa stava facendo il suo papà orso in quel momento? Di sicuro lo avrebbe trovato intento a ballare e cantare.

 

 

Nda

 

Il libro della giungla era uno dei cartoni che amavo di più da bambino. E ho amato anche i libri di Kipling da cui è stato tratto. Adoravo anche la serie a cartone dei cuccioli della giugnla. Dei nuovi liveaction della disney quello sul libro della giungla è l’unico che si salva secondo me. In compenso il cartone scadente “Il libro della giugnla 2” non mi è mai piaciuto. E riguardandolo in quarantena ho rivisto un sacco di cose che non mi convincevano. Così ho pensato di scrivere un seguito diverso per il classico disney. La cosa mia aveva preso molto e in due settimane avevo scritto tantissimo poi è andata nel dimenticatoio. Ci ho inserito dentro vari elementi dei libri di Kipling, il titolo viene dal secondo il libro, il capitolo “Giungla alla riscossa”. Buldeo, Purun e Messua erano presenti nel libro e anche Kamya che però non aveva nome (l’ho preso da uno dei bufali della mandria che conduce Mowgli. Anche nella trama ci saranno altre cose dei libri ma anche tante sorprese che riprendono più lo stile del cartone. Questa è la mia prima long ed è abbastanza sono arrivato a 40000 parole e ancora non è finita. Spero che cominciando a pubblicare capitoli mi sbrigo a finirla. Buona caccia a chi è stato così gentile da arrivare fino a qui!

   
 
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