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Autore: _deleted    05/12/2020    7 recensioni
Laura è la giovane proprietaria di una fiorente piantagione in Louisiana.
Sorseggiando del tè all'arancia nel suo servizio preferito, s'imbatte in una scoperta che potrebbe stravolgere il suo mondo per sempre.
Il dono inconsueto che possiede potrebbe, questa volta, aiutarla a salvare più di una vita...
Questa storia partecipa al contest “Voglia di tè (II edizione)” indetto da elli2998 e Inchiostro_nel_Sangue sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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All’ombra delle querce, sotto il portico
 
 
È l’ora del tè. Verde, con scorze d’arancia appena tagliate, esattamente come l’avevo chiesto. Dalla teiera si sprigionano gli aromi invitanti della bevanda leggermente speziata. Amo tutto di questo momento: il ricciolo di vapore che sale dal bricco bollente in una serpentina sottile; il caldo languore del meriggio della mia piantagione in Louisiana; il fatto che Elpheba, la mia cameriera personale, abbia scelto il mio servizio da tè preferito. Di una cesellatura finissima in oro lungo i bordi e sul manico, e con motivi floreali di orchidee viola, una profusione di buganvillee e tralci di rose intrecciati sulla delicata porcellana bianca.

I miei schiavi vivono bene qui: li accudisco, non faccio loro mancare nulla. Ricevo tanti piccoli gesti di gratitudine e reverenza da parte di tutti loro. Eppure, sento sempre più proteste in merito alla schiavitù come pratica immorale: anche in provincia inizia a diffondersi lo scontento, insieme ai pamphlet e ai libelli satirici, che decantano la libertà come diritto naturale. Per tutti.

Sorrido amaramente davanti a tanta ingenuità e sorseggio il mio tè, sospirando di piacere. Gusto lo spicchio d’arancia che Elpheba mi ha lasciato, lo succhio con voluttà e lo abbandono al lato del piattino, poi attingo al vassoio color rosa pastello, in cui sfilano in bella mostra i biscotti alla panna e alla marmellata di ribes, somma specialità e vanto del mio cuoco caraibico, Ulisse.

La mia ospite, Kathrine, moglie del Governatore, socchiude gli occhi dall’estasi, pervasa dalla stessa meraviglia. Sta per assopirsi, cullata dal lontano ronzio delle api nel giardino. Se drizzo le orecchie, posso quasi avvertire il fruscio delle felci e lo sciabordio dei remi dei cacciatori di coccodrilli che risalgono il bayou.

“A volte t’invidio, Laura” dice la mia ospite, a sorpresa. “Hai questa tenuta incantevole, assolutamente superba! E puoi amministrarla come vuoi, ora che…”. Si accorge della gaffe e s’interrompe di colpo, poi si pulisce le labbra minute col tovagliolino di pizzo per nascondere l’imbarazzo.

“Ora che sono rimasta sola? Sì” concludo io per lei, senza offendermi.

La mia amica è una giovane sposa, un’avvenente ragazza scozzese appena ventenne: imparerà come ci si districa nei meandri della vita sociale nei gloriosi Stati del Sud. Mio marito è venuto a mancare qualche anno fa, lasciandomi vedova con due figli, Eleanor e Maxime, che ora hanno otto e cinque anni. Dalla mia florida maturità di trentaduenne, le rivolgo un sorriso comprensivo.

“Non volevo, perdonami” mormora lei, ansiosa.

“Piango ancora mio marito, è vero” riconosco, e per un attimo m’incupisco. Raddrizzo le spalle e bevo un altro sorso di tè per ritemprarmi. “Ma ho un’intera piantagione da mandare avanti, le piante da zucchero, gli allevamenti, i miei figli… il da fare non mi manca, ne sono soddisfatta.”

“E sei ancora giovane e bellissima, Laura! Non devi perdere la speranza di trovare qualcun altro. Qualcuno… che ti ami.”

Sorrido di nuovo, il suo candore è così spontaneo! Dev’essere un tratto distintivo delle nuove generazioni. Il mio non è stato affatto un matrimonio d’amore. Stéphane aveva vent’anni più di me e non era per nulla attraente, ma aveva un ottimo senso dell’umorismo e mi trattava con gentilezza e rispetto. Cosa si può volere di più da un’unione combinata?

Accetto di buon grado il complimento, invece. Nonostante le due gravidanze, la mia figura è rimasta snella, nonostante il seno prosperoso, e i miei capelli scuri e ondulati sono lunghissimi e folti come quelli di un’adolescente al suo primo ballo. Con la mia pelle olivastra e gli occhi luminosi, posso ancora permettermi d’indossare il bianco e d’inghirlandarmi di fiori ai ricevimenti eleganti. Sono consapevole di avere tanto da offrire alla mia terra dai tramonti color indaco e rosso fuoco,  dal profumo di lavanda e dalle ombrose querce secolari dalle radici aeree. Oltre a questo, sono anche un’ottima amministratrice e sorveglio attentamente l’educazione dei miei bambini, lasciandoli liberi di crescere e divertirsi, quando i loro obblighi lo consentono.

La tazzina trema nelle mie mani e rischio di rovesciarla. Sono arrivata al fondo e scorgo le foglie accartocciate. Involontariamente, rabbrividisco e mi faccio il segno della croce.

“Cosa c’è?” mi chiede Kathrine, prendendomi la mano con fare premuroso.

“Scoppierà una guerra” sussurro, senza smettere di tremare.

Riconosco i sintomi della premonizione: il sudore freddo, le vertigini, la nausea. Inconfondibili, come ogni volta. Presagi di morte e di sventura. Sapevo che sarei rimasta vedova giovane, sapevo che molti soldati che ho salutato ai miei splendidi ricevimenti, accesi di salute e belle speranze, non sarebbero mai più tornati. Lo sapevo.
 
“Una guerra?”

“Sì. Tra Nord e Sud” specifico, seguendo il sentiero spezzato tracciato dalle foglie.

I Nordisti vogliono distruggere la nostra civiltà e le nostre usanze, ci rimproverano di essere pigri, sognatori, cialtroni. Lo so, che vogliono appropriarsi della mia piantagione per sostituirla con le loro brutte industrie in nome del profitto, spogliandola di ogni bellezza. Gli schiavi sono solo un pretesto, anzi: per quanto mi riguarda, potrei anche liberarli subito.

Nasciamo tutti schiavi, lo disse qualche filosofo francese che i simpatizzanti del Nord citano sempre. Mio marito lo avrebbe saputo con precisione, lui ha studiato molto più di me. Mi sono state imposti una rigida educazione, poi un matrimonio, l’abbandono della mia casa paterna in Virginia, due gravidanze, il fardello di questa proprietà e, fin dalla nascita, la lama a doppio taglio della veggenza.

Non l’ho mai detto a nessuno, non voglio che circolino strane voci su di me e che mi prendano per una strega. Da bambina, mio padre mi fece un esorcismo perché mi liberassi di queste visioni che disturbavano il mio sonno e mandate, secondo lui, dal demonio.

Non ho idea di chi me le mandi, ma è una doppia sofferenza conoscere il futuro senza poter far nulla per cambiarlo, tranne bisbigliare enigmatici avvertimenti, far recapitare bigliettini anonimi o fingere dei piccoli incidenti per ritardare l’inevitabile. Quelle morti avverranno comunque, sono programmate. A volte sono stata io a far avverare le mie stesse premonizioni, in altri casi ho solo deviato il corso degli eventi per qualche giorno.

Questo dono è più una maledizione che altro. Assisterò impotente a un conflitto di ideali che sarà, in realtà, un gioco sanguinoso di natura politica ed economica, come tutte le guerre: massacri insensati che portano carestie, epidemie e distruzione generale.

Penso ai miei bambini, è soprattutto per loro che sono spaventata. Tuttavia, proverò a fare qualcosa. La mia casa potrà accogliere dei soldati; fin da ora libererò i miei schiavi e convincerò i proprietari locali a fare altrettanto. Non resterò con le mani in mano, devo almeno provarci. Lo devo alla mia terra e ai miei figli, non può mancarmi il coraggio in questo momento.

Guardo la mia compagna, pallida e preoccupata, e le stringo le mani. “Sì, presto ci sarà una guerra, e ho bisogno del tuo aiuto. Dell’aiuto di tutti.”
Proteggerò il mio angolo di mondo. A cominciare da qui, all’ombra delle querce, sotto il portico.
 
 
   
 
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