Come closer
I want to lay my head down
Come closer, come closer
Trying not to remember our most precious of times
Remember winters cold and summers by my side
Please tell me I do leave a void of any kind
Winter shadow cools you
White before your eyes
Summer shadow soothes
Nothing on your mind
Winter shadow cools you white before your eyes
Summer shadow suits you… tonight!
(“Come closer” - Delain)
La Regina Judith era
morta dopo atroci sofferenze tanto che, verso la fine, era caduta preda di
deliri e allucinazioni spaventose. Probabilmente era la sua cattiva coscienza
che, finalmente, aveva dato segni di risveglio e le aveva fatto scontare tutto
ciò che meritava per quello che aveva inflitto a Aethelred, suo figlio. Nessuno
avrebbe pianto troppo a lungo la sua scomparsa, nemmeno Alfred che, dopo un
comprensibile e composto dolore, era ritornato ai suoi doveri verso la moglie e
verso il Wessex.
Insomma, la malvagia strega dell’Est era morta e non
avrebbe più fatto del male né a Aethelred né a nessun altro.
Nello stesso giorno
in cui si svolse il funerale della Regina, Torvi e Ubbe fecero ritorno
dall’incontro con i Danesi. I Re a capo degli eserciti si erano mostrati
disposti a stabilirsi pacificamente nelle terre concesse da Alfred, uno di loro
però si era detto contrario e aveva sfidato Ubbe a un duello all’ultimo sangue:
se avesse vinto il sovrano danese, ci sarebbe stata la battaglia; se avesse vinto
Ubbe, i Danesi avrebbero scelto la soluzione pacifica. Ubbe aveva avuto la
meglio e aveva ucciso il Re ostile, ma adesso era ferito gravemente e avrebbe
avuto bisogno di molti giorni di riposo e di cure.
Alfred diede subito
ordine di far portare Ubbe nelle sue stanze e di convocare i migliori medici
del Regno per guarirlo. Era felice che l’amico si fosse salvato e che fosse
anche riuscito a impedire un’altra sanguinosa battaglia ed ora avrebbe messo a
disposizione tutto ciò che aveva pur di ricompensarlo per ciò che era riuscito
a fare. Torvi e gli altri vichinghi, seppure preoccupati per le condizioni di
Ubbe, erano anche molto fieri di lui. Ubbe aveva dimostrato grande coraggio,
certo, ma anche saggezza ed era solo per suo merito se i minacciosi Danesi avevano
deciso di rinunciare alle razzie.
C’era da ricordare,
inoltre, che la partenza per Kattegat era stata rimandata proprio in previsione
di aspre battaglie contro le truppe danesi e, ora che questo rischio era stato
eliminato, restava solo da organizzare l’esercito vichingo con quelli degli
alleati, di Re Harald e i soldati messi a disposizione da Alfred e guidati da
Aethelred. Una volta guarito Ubbe, niente avrebbe più impedito a Bjorn e agli
altri di fare vela verso Kattegat e prepararsi a combattere e a scacciare Ivar.
La prospettiva di
partire entro poche settimane per Kattegat rendeva molto felice Hvitserk e
altrettanto ansioso Aethelred. Il Principe aveva deciso di non mostrare le sue
preoccupazioni per non ferire il giovane vichingo, ma non poteva impedirsi di
provarle. Così, quella notte, fece un sogno molto angoscioso…
Aethelred
era a Kattegat con gli altri vichinghi, ma non c’era nessuna battaglia in corso
e l’esercito sassone non si vedeva. Il Principe era solo in mezzo a quel popolo
straniero. Si guardava intorno smarrito, cercando Hvitserk o, almeno, Lagertha
o Ubbe o qualche altro volto amico, ma non vedeva nessuno. Anzi, gli sguardi
dei vichinghi che incrociava erano di ostilità e disprezzo.
Ad
un certo punto vedeva Hvitserk in lontananza, lo vedeva parlare e sorridere con
altri uomini e donne. Era tranquillo e allegro come al solito e non sembrava
preoccuparsi del fatto che lui non gli fosse accanto. Aethelred, turbato,
cercava di raggiungerlo, ma i vichinghi non si spostavano e gli sbarravano il
passo. Hvitserk, inoltre, sembrava allontanarsi sempre di più.
Aethelred,
disperato, lo chiamava con tutto il fiato che aveva in gola, ma il ragazzo non
sembrava sentirlo e continuava ad allontanarsi ridendo insieme ai suoi amici.
Il
Principe continuava a cercare di raggiungere Hvitserk, a chiamarlo, ma era
tutto inutile. Poi sentiva una mano sulla sua spalla e si voltava di scatto,
trovandosi di fronte Lagertha. La donna lo fissava a lungo con sguardo triste e
poi gli parlava.
“Aethelred,
tu hai già compiuto ciò per cui sei venuto” diceva Lagertha, mostrandosi
rammaricata. “Ci hai aiutati a riconquistare Kattegat e noi te ne saremo sempre
grati, ma non puoi rimanere con Hvitserk come vorresti. Non è questo il meglio
per lui. Hvitserk è un figlio di Ragnar Lothbrok e, come tale, dovrà scegliere
una moglie e fare dei figli che saranno i discendenti di Ragnar. So che tu lo
ami davvero ed è proprio per questo che devi fare ciò che è meglio per lui.”
Il sogno fu un vero e
proprio incubo per Aethelred, che si risvegliò di colpo e, per qualche attimo,
non si rese conto di dove si trovasse. Poi ricordò… e vide Hvitserk
addormentato serenamente al suo fianco.
Aethelred sentì il
cuore invaso da una pena immensa: era così tenero e bello Hvitserk
addormentato, proprio come un Principe delle leggende… come avrebbe potuto
vivere senza di lui ora che lo aveva incontrato e aveva conosciuto la felicità
di averlo accanto? Ma forse… se era per il suo bene…
Il giovane Principe
non riuscì a resistere, si avvicinò piano al volto di Hvitserk e lo baciò
lievemente sulle labbra socchiuse, non più che la carezza soffice di una piuma.
Hvitserk, però, era
abituato ormai da anni a dormire restando sempre all’erta, perciò si accorse del
bacio e iniziò a ricambiarlo, circondando la vita di Aethelred con le braccia e
attirandolo a sé. Quel bacio si fece più intimo, languido e prolungato,
l’abbraccio più intenso, i corpi si strinsero, si allacciarono, si unirono con
naturalezza, come se l’uno fosse il prolungamento dell’altro, infine si fusero
assieme e per lunghi momenti i due ragazzi divennero un unico essere, una sola
anima, un solo cuore.
Solo alla fine,
abbracciato a Hvitserk e con la testa abbandonata sulla spalla di lui, a
Aethelred tornò in mente il sogno e il motivo per il quale si era svegliato!
“Hvitserk, tu… sei
davvero sicuro che il mio posto sarà a Kattegat?” domandò allora, titubante.
“Io ne sono
sicurissimo” rispose il giovane vichingo, “mi sembra però che sia tu ad avere
continui dubbi sull’argomento.”
“Non è l’idea di
partire con te che mi spaventa, però mi chiedo… qui tu ti sei avvicinato tanto
a me perché eravamo entrambi soli, messi da parte dalle nostre famiglie, ci
sentivamo sottovalutati e esclusi e questo ci ha fatti sentire vicini” disse
Aethelred. “Ma cosa succederà a Kattegat? Là tu sarai uno dei figli di Ragnar Lothbrok
e sicuramente avrai un ruolo nel governo della città, invece io non sarò
nessuno e… se la tua gente non mi accettasse?”
“Dovranno farlo per
forza, visto che sarai il mio compagno” replicò semplicemente Hvitserk.
“Ma se mi
disprezzassero proprio per quello?” una nota di angoscia si insinuò nella voce
del Principe. “Come figlio di Ragnar tu potresti avere chiunque volessi,
Principesse di altri Regni, shieldmaiden intrepide
e valorose, potresti avere una famiglia e dei figli, dei discendenti.”
“E’ vero, un tempo
anch’io pensavo questo” ammise il vichingo, schietto e diretto come sempre. “Ma
poi mi sono reso conto che i miei veri desideri erano altri e che, per me, non
era così importante avere dei figli. In fondo, poi, ci penseranno Ubbe e Bjorn
a dare una discendenza a nostro padre.”
“Va bene” concordò
Aethelred, “ma se, allora, gli altri vichinghi pensassero che avresti dovuto
scegliere un compagno degno di te? Un guerriero norreno che fosse alla tua
altezza invece di un inutile ragazzo straniero, un Sassone, per giunta il
nipote dei sovrani che hanno ucciso
tuo padre?”
Hvitserk avvertì e
comprese il dolore che straziava il cuore del suo Principe; capì che, questa
volta, il giovane non aveva dubbi o preoccupazioni all’idea di seguirlo in una
terra lontana e sconosciuta, ma che si sentiva totalmente inadeguato. Una
tenerezza infinita lo invase, assieme all’amarezza, considerando che
l’insicurezza di Aethelred nasceva dal fatto che era cresciuto in una famiglia
che non lo amava, che sua madre lo aveva sempre fatto sentire inadatto e
inutile, che lo aveva convinto di non valere niente e di non meritare amore da
parte di nessuno.
Lo strinse forte a
sé, avvolgendolo in un abbraccio caldo e affettuoso e accarezzandogli i
capelli.
“Cosa ti hanno fatto,
povero Principe senza corona, per spingerti a ritenerti così imperfetto e
sbagliato?” mormorò, commosso. “Ma non devi più pensare ai pregiudizi sciocchi
e cattivi di tua madre, lei non c’è più e la tua insicurezza deve morire con
lei.”
Aethelred non
riusciva a rispondere, turbato e travolto dalla dolcezza del suo giovane
amante.
“A me non importa
niente di quello che una Regina fanatica ha pensato di te, quello che so è che
ti voglio al mio fianco e che, per me, sei la persona migliore che potessi
incontrare, quella che mi rende felice e che mi fa stare bene” continuò
Hvitserk, tra un bacio e l’altro. “Non mi ero mai sentito così prima e tutto il
resto non conta.”
“Non stavo pensando a
quello che mi ha sempre detto… la Regina” disse il Principe, rifiutando di
pronunciare la parola madre, del
tutto inadatta per una persona come lei. “Io… temo che saranno gli altri
vichinghi, i tuoi amici, la tua gente a ritenere che io sia un peso per te, che
un figlio di Ragnar avrebbe meritato molto di più.”
Hvitserk ridacchiò e
baciò ancora con tenerezza Aethelred.
“Beh, io sono uno dei figli di Ragnar e di certo non
quello che si fa notare di più, inoltre sono anche considerato un voltagabbana perché prima mi sono
schierato con Ivar contro gli altri miei fratelli e adesso combatterò contro
Ivar… Insomma, non credo proprio che a Kattegat abbiano una così alta opinione
di me!” disse, scherzoso. “E poi cosa sono queste sciocchezze sul meritare? Non c’è niente da meritare. Io
mi sono innamorato di te e basta, mi piaci per quello che sei e voglio stare
con te, al resto non ci penso. E non ci dovranno pensare nemmeno gli altri.”
Prese il volto di
Aethelred tra le mani e lo guardò fisso negli occhi.
“Chiunque a Kattegat
e in qualsiasi altro luogo dovrà accettarti perché sei il mio compagno, io ti
amo e ti voglio accanto a me” dichiarò, facendosi improvvisamente serio.
“Voglio stare con te per il resto della mia vita perché mi fai felice e voglio
che anche tu sia felice. Noi ci amiamo e l’amore non si merita, succede e
basta. Hai capito?”
“Sì” mormorò appena
Aethelred, confuso. Quello che Hvitserk gli aveva detto era meraviglioso e gli
riempiva il cuore, si sentiva infinitamente fortunato ad essere amato così e si
rendeva conto che quel ragazzo era davvero il raggio di sole della sua
esistenza.
In fondo al cuore, tuttavia,
pensava ancora di non essere degno di lui, ma decise di non parlarne più,
almeno finché non fosse stato necessario.
Hvitserk lo baciò
ancora a lungo, poi lo strinse a sé per addormentarsi allacciato al suo corpo.
Aethelred si
abbandonò tra le braccia del giovane vichingo, pensando che, comunque fosse
finita, per lui era già un’immensa fortuna averlo conosciuto, essere lì con
lui, poter vivere almeno per qualche tempo la gioia di essere il suo compagno.
Nessuno mai, in tutta la sua vita, lo aveva amato così, nessuno lo aveva mai
fatto sentire completo come si sentiva con Hvitserk. Non doveva tormentarsi con
preoccupazioni su ciò che sarebbe accaduto nel futuro, doveva godere di quella
felicità senza se e senza ma, vivere intensamente ogni attimo con Hvitserk.
E se, un giorno,
Hvitserk non lo avesse amato più, se avesse fatto altre scelte, lui le avrebbe
rispettate e lo avrebbe lasciato andare senza rimpianti, grato per la felicità
che gli aveva donato.
Quello che contava
era solo ed esclusivamente la felicità di Hvitserk.
FINE