Storie originali > Generale
Ricorda la storia  |      
Autore: Manto    06/12/2020    2 recensioni
Storia di due anime, una fin troppo giovane e l'altra fatta di tenebre, e della realtà che nessuno, oltre a loro, riesce a vedere.
Attenzione: accenni di stalking e situazioni abusive.
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Tu Chiamalo Amore

 

 

In amore ci vuole energia: non è abbastanza forte, se non ti fa bollire il sangue.

 

«Dai, Federico, sei sempre così riservato! Avanti, di’ qualcosa!»
Sotto la sciarpa che lo copre fin quasi agli occhi, il respiro che non accenna a calmarsi, il volto di Matteo è ancora caldo per la furia che ha provato due ore prima, durante l’ennesima discussione con i genitori e tra i sospiri consueti, i mezzi sorrisi e l’adulta comprensione — ha diciott’anni ma è comunque un ragazzino, gli passerà in fretta —, la tendenza a liquidare in poco qualcosa che sta diventando complesso, confuso.
Fatta eccezione per il gruppo di universitari che sosta al centro della piazza, a pochi metri dalla panchina dove siede lui, il luogo è immerso in un silenzio irreale: è simile a un animale immobile, in attesa.
«No, questo non può essere vero!»
L’ennesima risata scuote il ragazzino, quindi lo spinge a osservare il quintetto di amici che ha l’abitudine di accamparsi lì: tanto sereni quanto lui pensieroso, così legati l’uno all’altro negli sguardi e nei gesti da tentare gli artigli dell’invidia.
Specialmente lui, il giovane pallido e dai lunghi capelli mori che attrae spesso la sua attenzione, a volte anche senza un apparente motivo; Federico, il bersaglio preferito dei compagni, con l’aria pacifica e le dita che sembrano perennemente intente a suonare un invisibile strumento.
Con un unico gesto potrebbe tentare le sirene stesse, o…

Al solito: se penso a lui, le parole cadono.
Il mondo non può scorgere l’ombra rassegnata che gli accarezza il volto, è un suo segreto; e sta per scattare in piedi, allontanarsi da lì da chi è per lui inavvicinabile, quando Federico si gira nella sua direzione e lo guarda dritto in viso, coprendo la distanza che li separa… sorridendo.

 

 

Il ragazzino arrossisce di colpo; Federico questo non lo può vedere, ma lo sa.
Il tramonto si allunga sui tetti e si snoda per le strade, inonda la piazza e illumina lo scricciolo dai timidi occhi chiari, ora abbassati al suolo, in un’immagine sospesa tra realtà e onirico; e il moro distoglie lo sguardo a fatica da quella visione simile a un dipinto, perché i compagni non sappiano.
Tuttavia, con la coda dell’occhio registra l’andarsene di Matteo e il balenare del sole sulla chioma ramata, un’onda che arriva fino al suo corpo e lo riscalda, pura musica.
«Io vado, ragazzi miei: tra un mese c’è Letteratura Romanza da sostenere, e sappiamo tutti che è un mattone.»
Le battute si sprecano, lui ride a ognuna di esse; ma la sera è ormai giunta, si deve preparare. La notte passa anche troppo veloce per i suoi gusti, e almeno qualche ora la dovrà pur dedicare allo studio…

 

 

 

 

In amore ci vuole coraggio: l’Occasione corre veloce, ride di chi è immobile.

 

«Ti chiami Matteo, vero? Ho saputo che sei uno dei ragazzi migliori del tuo liceo: i tuoi genitori sono molto orgogliosi di te.»
Il ragazzino esita un istante, quindi tenta un timido sorriso. Nel crepuscolo che si è preso la piazza, i begli occhi viola di Federico sono ricolmi di sfumature notturne, e davanti a quelli Matteo si sente distante da tutto e tutti; non è una brutta sensazione, ma quanto è lecita? «I miei non riescono proprio a tacere…», sussurra poi, facendo sorridere il moro. «Essere studiosi non è qualcosa di cui vergognarsi», risponde questi, «e poi, parlando con loro, ho scoperto che ti piace l’epica medievale.»
Il viso del giovane avvampa di una luce d’eccitazione, che confluisce nello sguardo e lo fa brillare. «Sì, assolutamente! Soprattutto il ciclo bretone e la figura di Parsifal… ma i libri in merito non sono facili da reperire, e conosco poco il francese, e—»
Federico fa una breve risata divertita, quindi lo ferma. «Visto che sei così appassionato, posso passarti i miei appunti di Letteratura Romanza e i libri del corso. Inoltre, alcune lezioni vengono tenute al pomeriggio e sono aperte a tutti… se vuoi venire ad ascoltare qualcosa, ti do gli orari.»
Il rosso respira forte, il sorriso ampio e il cuore che batte impazzito, e annuisce. «Sì, mi piacerebbe! So che l’università non è molto distante da dove abito…»
«Ti ci posso accompagnare in questi giorni. Tanto non è difficile incontrarsi, mi pare!»
Il ragazzino socchiude gli occhi, arrossisce appena. Dentro di sé piange e non sa il perché, ma si sente bene — veramente bene; è come prendere una boccata d’aria nuova, pura. «Ti ringrazio, sei molto gentile…»
«Figurati! Ho davanti a me un potenziale filologo, è giusto dargli i mezzi perché lo diventi.»
Una brezza leggera si leva a incontrare entrambi; e Matteo darebbe qualsiasi cosa per rimanere fermo in quell’istante per l’eternità, con lui. «Sì… hai ragione.»
Neanche nella migliore delle sue immaginazioni è mai giunto fino a lì.

 

 

«Come fai a sapere tutte queste cose, quando ieri eri solo al capitolo tre? A volte la tua testa mi fa paura!»
Federico accenna una smorfia che vorrebbe essere un sorriso, quindi beve un altro sorso d’alcol e schiocca la lingua. «Non ho perso tempo, semplice.»
Ha passato più di due ore insieme a Matteo, ad ascoltarlo parlare di trovatori, cavalieri e tenzoni, fonti da cui leggere le loro gesta; ha imparato una buona parte del programma d’esame grazie all’infervorato ragazzino e ha iniziato a conoscerlo, finalmente.
Tenero, dolce Matteo… ingenuo e pieno d’entusiasmo, bellissimo. Se durante la notte troverà un po’ di tempo, sicuramente riprenderà in mano il violino, pensando a lui.
«Comunque, Fede, stamattina ti ho sentito rientrare all’alba… dove sei stato?»
«Ma tu non ti fai mai gli affari tuoi?»
Tutto sfocia in una grande risata; ogni volta, Federico diventa più bravo a fingere e nascondere, e solamente la silente luna lo sa.

 

 

 

 

In amore ci vuole cura, mettersi al primo posto a vicenda.

 

«Che cosa ci facevi nella tempesta? Stavi cercando qualcosa?»
Il mare è lontano, ma sembra quasi che abbia abbandonato il suo posto e attraversato il cielo per rovesciarsi sui tetti della città; le strade odorano di salmastro e passi rapidi, eppure Federico è fradicio come se avesse passato ore sotto l’acquazzone, inzuppato fino al midollo.
«Vieni dentro», sussurra il ragazzino con premura, prendendo per mano l’altro e facendolo entrare in casa propria. È una fortuna che lo abbia notato mentre chiudeva le persiane, almeno gli ha potuto dare un riparo.
Federico non replica, infreddolito, e s’illumina quando Matteo lo porta in salotto, dove il camino abbraccia già alte fiamme.
Il rosso si gira a guardarlo con i suoi occhioni azzurri, quindi gli leva la giacca. «Rimani qui intanto che vado a cercarti qualcosa da farti indossare. Sei più alto di me e ti andrà tutto piccolo, però sarai al caldo.»
«Ti ringrazio, ma non c’era bisogno di farmi entrare…»
«Sì, così domattina ti trovavano annegato. Torno subito, tu rilassati.»
Per quanto salga le scale velocemente, Matteo sente le proprie gambe pesanti; il cuore gli risuona nelle orecchie, lo costringe un attimo a fermarsi sulla porta della propria camera e respirare forte.
In quel momento, dal salotto si leva un canto lieve, caldo: tra le altre cose, Federico sa cantare bene e accompagnarsi al ritmo della pioggia, smuovendo l’anima.

Forse è il fortunale a farmi provare tutto questo, pensa il rosso mentre appoggia la fronte contro l’uscio, per poi sorridere: tra le mani ha ancora la giacca del moro e nel notarlo la stringe a sé, se la porta al volto, o forse sarebbe accaduto comunque.

 

 

Federico guarda il fuoco e la sua bocca si atteggia in un ghigno, perché sa.
Non era certo che quegli aguzzini dei genitori di Matteo fossero fuori casa, ma spesso li ha visti rientrare tardi, quasi alle soglie della notte; non deve dubitare di sé.

Nessuno ad ascoltare, né che può vedere. Ma è troppo presto, non è il momento.
«Ecco qua.»
Federico annuisce con un cenno impercettibile, poi si volta verso il ragazzino con un’espressione calda e rassicurante, solo per lui.
Matteo ride nel vederlo, lo sguardo ancora più dolce del solito.
«Non mi fissare come se fossi un cagnolino abbandonato, ti si legge in faccia che lo stai pensando», mormora il moro mentre finge un’aria truce e gli si avvicina.
«Ma lo sembri», replica gioiosamente l’altro, porgendogli gli abiti che ha scelto.
Il ragazzo fa uno scatto in avanti, come se volesse mordere, strappando un grido di sorpresa al rosso; a questo punto, le risate diventano incontenibili e investono entrambi, piegandoli in due.
Decisamente, passare il tempo in quella casa è molto meglio che osservarla da fuori.

 

 

 

 

In amore ci vuole delicatezza, per colmare i vuoti dolcemente.

 

Il seminario sulla Chanson de Roland è durato un’ora più del previsto, ma Matteo non si è lamentato neppure una volta; e anche se si ritrova privo di energie, avendole tutte spese per imprimere le parole del professore su pagine e pagine, è felice.
Vedendolo esausto, Federico ha deciso di fare una sosta al proprio appartamento e farlo riposare; e da un tè caldo si è presto passati a una soffice coperta, e ora il sonno preme sugli occhi del rosso, sussurrando con voce soave.
Il moro lo fa stendere meglio sul divano e gli sistema i cuscini dietro la testa, lentamente gli passa una mano tra i capelli e lo accompagna nell’incoscienza; e Matteo obbedisce a quel tocco, lo accoglie come accetta tutto ciò che viene dal ragazzo che ama.
Si sente libero e protetto: tanto basta a renderlo completo.

 

 

Federico si siede sul pavimento, accanto al divano dove Matteo sta dormendo da minuti, e mentre ne ascolta il respiro regolare serra le mani a pugno. Le unghie affondano nel palmo e il dolore permette alla mente di calmarsi, evita che la voce esploda in una risata stridula; ne avrebbe il diritto, comunque.
Il ragazzo esita un istante, quindi apre una mano e l’alza per accarezzare una guancia del rosso, poi la stacca e gliela posa sul cuore. Al battito risponde il calore dei polpastrelli, i quali scivolano fino alle dita intrecciate dello scricciolo e le sfiorano.
Senza interrompere il sonno, Matteo le separa e di nuovo le riallaccia, questa volta trattenendo quelle di Federico; e una lacrima si libera dal controllo della coscienza. «Non voglio tornare a casa… non a casa.»
Allora, il moro comprende di essere entrato nella sua anima come il rosso gli ha riempito la propria: il tempo è giunto.
Fuori da lì, il cielo inizia a versare un pianto candido: sarà una splendida nevicata.

 

 

 

 

In amore ci vuole follia, per compiere ogni cosa.

 

La neve ha ripreso a cadere, imbiancando la realtà per il terzo giorno consecutivo; il mondo si agita sotto di essa, oppure vi si nasconde pacificamente.
Matteo fa qualche passo sul vialetto che collega la casa alle sue spalle al sentiero di campagna innanzi a sé; quindi si lascia cadere, abbandonandosi a un gelido abbraccio.
A mano a mano che i giorni passano e diventano settimane, i servizi al telegiornale si fanno più brevi e il cellulare squilla sempre meno; i messaggi scompaiono come stelle nell’alba, rassegnati all’assenza.
Tutto rimane sotto la superficie, coperto, segreto — e non può negarlo, gli piace.
Ha ottenuto quello che ha chiesto, in fondo.
«Ricordati di spogliarti prima di entrare, ho appena finito di pulire.»
Il rosso alza il capo e guarda Federico fermarsi vicino a lui, l’espressione che si divide tra severità e affettuosa comprensione, quindi annuisce e tende le braccia.
Il moro accoglie la silenziosa richiesta e lo solleva per stringerlo a sé, l’altro si rannicchia contro di lui: come durante i tanti pomeriggi passati ad ammirarlo e sognarlo da lontano, credendolo irraggiungibile — e, direbbero in molti, sarebbe stato meglio così —, chiude gli occhi e respira piano. L’inquietudine dei primi tempi si sta sciogliendo nel calore di giorni e notti passati fianco a fianco, nel prendersi cura a vicenda in mezzo al buio e alla colpa che rinasce a ogni bacio; e non ha più lacci a tenerlo avvinto, se non quelli che condivide con il ragazzo.
«Puoi stare fuori quanto vuoi, non c’è nessuno che ti possa vedere. Sei al sicuro.»

Con me sarai protetto: lontano da due irresponsabili che non ti hanno mai ascoltato né compreso per quello che sei, che ti opprimevano per donarti solo silenzio.
Qui, in questa casa che ho preparato per noi, dove ho speso infinite notti a pulire, ridipingere, sistemare, basteremo l’uno all’altro.
Per troppo tempo ti ho vegliato da lontano e ora è giunto il tempo di esserci sempre, perché nessuno ti starà accanto, rispetterà e amerà come lo faccio io.
Presto, vedrai, la voce della gente che chiami amica si arrenderà e ci lascerà vivere in pace, e saremo felici.

«Va bene… rimani qui, insieme a me?»
Federico sorride mentre socchiude gli occhi d’ametista, quindi gli bacia tutto il viso e alla fine si avventa sulle sue labbra come per strappargli l’anima; non appena il rosso ricambia, un’altra parte di sé smette di temere che se ne andrà, che mai capirà.
Nonostante gli ultimi residui della paura, Matteo sta iniziando a comprendere quanto sia stato salvato e perché lui abbia deciso di prendersi tutto quello che lo forma, dalla dolcezza fino all’insicurezza e l’innocenza, e tenerlo per sé; presto realizzerà appieno quanto lo abbia desiderato e chiamato, come si senta accettato solamente in sua presenza e libero da una realtà estraniante, soffocante.
Un rumore improvviso, rombante e fastidioso, spezza tali pensieri, immobilizzando entrambi e spingendoli a volgere lo sguardo allo stretto sentiero: una macchina si dirige verso la casa, sicura come se stesse dando loro la caccia.
Se non si nasconderanno in fretta verranno notati, e…
«Matteo, corri», fa per dire Federico; tuttavia, il ragazzino gli dà uno strattone e si libera dal suo abbraccio, per poi gettarglisi addosso e rotolare con lui nella bianca coltre: in breve, divengono irriconoscibili.
Non un grido lascia la gola di Matteo.
L’auto s’arresta all’imboccatura del vialetto e inizia la retromarcia; sosta per un attimo e sembra osservare i ragazzi battagliare a colpi di palle di neve, quindi si gira completamente e se ne va, dimentica di loro. Quando è abbastanza lontana, Federico si ferma, poi rivolge l’attenzione a Matteo, che ha ancorato al suolo con tutto il peso. «Perché?», sibila, gli occhi ridotti a una fessura e che esigono, implorano una risposta, «perché? Avresti potuto fuggire, chiedere aiuto. Non lo hai fatto…»
Il rosso tace e, mentre guarda una parte della maschera di Federico andare in frantumi e rivelarne il volto reale, intravede sé stesso e di nuovo comprende, accetta.

Ho scelto ogni cosa fin dall’inizio: mi hai rapito, ma io te l’ho permesso.
Essere umani è difficile… pensiamo in un modo, ma agiamo secondo diversa natura e, alla fine, ne siamo contenti: ci ritroviamo in quelle ombre che prima abbiamo evitato.
La paura ha avuto motivo di esistere fino a quando non mi sono conosciuto, ma ora?
Sei l’unico posto dove io possa stare.

«Tu chiamalo amore», sussurra allora, «come faccio io.»

 

 

 

 

 

 

ANGOLO DI MANTO

 

Non so bene cosa dire di questa storia, ma ci provo.
Inizialmente, questa doveva essere una sorta di “palestra” per una relazione che dovrò descrivere in una long; poi, le cose sono cambiate e i personaggi hanno deciso da sé dove andare e cosa fare.
Ovviamente, faccio a meno di dire che definire amore questo rapporto (e quindi tutte le introduzioni alle varie parti) è disturbante: non può essere considerato sano, visto che si fanno rimandi a stalking, controllo, abuso, rapimento, e diventa ancora peggiore quando la “vittima” dice di essere felice di tutto questo, che se lo è scelto, e di rivelarsi carnefice di sé stesso
tanto che, quando si prospetta una via di salvezza, la rifiuta e protegge il proprio rapitore: ne è davvero convinta, o è stata manipolata ancora? Si accenna alla presenza di genitori soffocanti e disattenti nei confronti del figlio, di solitudine… ma tutto ciò è abbastanza per arrivare a un simile punto e accettarlo?
Probabilmente, la storia non è ancora iniziata: questo è solo un trampolino di lancio per qualcosa di più, con l’esito che ognuno preferisce.
I nomi dei due personaggi hanno significato se messi in relazione all’altro: Matteo, infatti, significa “Dono di Dio”, mentre Federico “Potente nell’assicurare la pace”, così che come il primo è considerato un dono dal secondo, Federico regala la quiete a Matteo.
Vi lascio con un abbraccio virtuale,

 

Manto

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Manto