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Autore: TigerEyes    08/12/2020    13 recensioni
Studenti di giorno, apprendisti agenti segreti di notte, l'uno all'insaputa dell'altra.
Cosa accadrà quando scopriranno le rispettive doppie vite?
Sulla falsariga di Mr & Mrs Smith, penso l'abbiate già intuito...
Capitolo 9 online!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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II

IL MATRIMONIO




Akane stava tornando a casa insieme al padre senza capacitarsi di come la situazione fosse precipitata a tal punto.
Fino a due ore prima era ancora fidanzata per modo di dire, adesso si ritrovava a un passo dal matrimonio prima ancora di conseguire il diploma. La cosa peggiore, però, non era quella. Ciò che la faceva star male era qualcosa che lei non aveva fatto: non aveva provato a opporsi con convinzione. Non aveva insistito, non aveva alzato la voce, non aveva incrociato le braccia al petto pronunciando un categorico ‘no’. Aveva ceduto quasi subito, un po’ perché il padre aveva furbescamente coinvolto Kasumi davanti alla cui dolcezza le sue difese si sgretolavano e un po’ perché…
Diede un calcio a un sassolino che rotolò via.
Meglio non indagare sul secondo motivo, ma concentrarsi sul fatto che se anche il signor Genma aveva parlato dello stesso argomento con Ranma, c’era la concreta possibilità che lui, invece, lungi dal cedere ai ricatti, si fosse rifiutato senza se e senza ma di sposarla.
Akane fermò il proprio incedere.
Kamisama…
Era così concentrata sulla sua debolezza nei confronti della propria famiglia, che non si era soffermata a pensare a come Ranma avrebbe reagito a una simile notizia. Di certo l’aveva insultata, se lo figurava col ghigno ironico da schiaffi che sfoggiava ogni qualvolta si preparava a denigrarla, lo conosceva fin troppo bene, ma alla fine… aveva acconsentito? O aveva rifiutato?
E cos’era peggio?
Riprese a camminare quando il padre la chiamò chiedendole di non restare indietro.
Se avesse scoperto che Ranma si era opposto con fermezza mentre lei aveva capitolato, sarebbe sprofondata in una voragine per la vergogna. Ma se il signor Genma lo avesse convinto, significava che loro si sarebbero dovuti sposare davvero e allora di vergogna avrebbe rischiato di morire. Proprio lei, che a differenza delle sue coetanee veniva pagata per compiere missioni che le avrebbero spaventate o fatte arrossire.
“Anche voi di ritorno?”.
Akane alzò il viso alla voce del signor Genma e per prima cosa vide il volto ombroso di Ranma, che fissava l’asfalto neanche il padre gli avesse chiesto di restare donna per tutta la vita. Appena il fidanzato sollevò a sua volta lo sguardo e incrociò il proprio avvampando fino alle orecchie, lei distolse il suo non meno imbarazzata.
“Ci siamo trattenuti da Kasumi più di quanto pensassimo, ma alla fine è stato… proficuo. E voi? Tutto bene?”, chiese suo padre civettuolo.
“A meraviglia!”, rispose giulivo il signor Genma. “Ci facciamo un tè, amico mio? Abbiamo molto di cui discutere!”.
“Prego, dopo di te!”, lo invitò il padre con gesto plateale della mano e Genma lo precedette nel vialetto di casa, lasciandola lì impalata in mezzo alla strada a guardarsi i piedi.
Akane lanciò a Ranma un’occhiata fuggevole, il tempo per notare che era tornato a guardare per terra grattandosi la nuca nel chiaro tentativo di trovare disperatamente qualcosa da dire.
“Tuo padre ti ha…”, dissero all’unisono lanciandosi una sbirciata a vicenda, solo per tornare a guardarsi le scarpe. “Cosa hai rispos…”, s’interruppero sbuffando nel medesimo istante.
“Prima tu”, le disse Ranma.
“No, prima tu”, ribatté Akane.
“Senti, perché non… non ne parliamo in palestra?”.
“Sì, forse è meglio”, concesse entrando in casa quasi di corsa, il cuore che riempiva la testa coi suoi battiti forsennati, ma una volta nel dojo non ebbe il coraggio di voltarsi.
“Va bene, senti, diciamolo insieme”, propose fissando con caparbietà l’altarino di famiglia.
“D’accordo, ma almeno guardami”.
Titubante, Akane si voltò, trovando interessanti il pavimento, le pareti, il soffitto, tutto tranne lui.
Stava tremando. Perché stava tremando? Di cosa aveva paura? Alla fine non era meglio se Ranma si fosse rifiutato di sposarla? Lei sarebbe stata finalmente libera, no?
“Sì!”, sbottarono nello stesso istante, per poi scrutarsi increduli.
“Hai acconsentito?”, si chiesero sbigottiti a vicenda, per poi portarsi lei le mani a coprirsi la bocca, lui tra i capelli mentre le dava le spalle.
“T-tu perché l’hai fatto, Akane?”.
Lei chiuse gli occhi, dandogli le spalle a sua volta.
“Papà ha detto che non posso portare avanti la palestra da sola, che tu sei necessario, perché lui ha troppi malanni per continuare a condurla”.
“Ma tu… tu ti sei opposta?”, chiese esitante senza osare guardarla.
“Certo che l’ho fatto, mi sembra ovvio!”, rispose alzando la voce. “E allora lui me l’ha ordinato: ha detto che non avrei ereditato la palestra se non ti avessi sposato!”.
Lo osservò di sottecchi, pentendosi immediatamente di aver lasciato correre la lingua: mai gli aveva visto uno sguardo così triste da che lo conosceva, tutto il suo viso sembrava sfigurato dalla delusione. Ma fu solo un attimo, perché l’istante successivo sfoggiò un ghigno ironico.
“Beh, c’hai provato, come ho fatto io”.
“Quindi… quindi anche tu ti sei opposto?”.
“Certo che l’ho fatto, figurati”, rispose lui facendo spallucce, “ma papà è stato molto chiaro: se non ti sposo, finiremo a vivere di nuovo per strada, quindi non ho scelta”.
Non piangere.
“Massì, certo, è ovvio…”.
Qualunque cosa, ma non piangere.
“Avremmo dovuto opporci fermamente due anni fa”, constatò amaro Ranma.
“Due e mezzo”, precisò lei senza riuscire a impedirselo.
“Quello che è, comunque adesso è tardi: sono convinti che i nostri litigi siano la dimostrazione che andiamo d’accordo, pensa te… Il fatto è che io non credevo che il nostro fidanzamento fosse una cosa seria, pensavo sarebbe rimasta una fantasia dei nostri padri e che noi, una volta cresciuti, avremmo potuto imporci per poter essere liberi di decidere senza costrizioni”.
“Ho fatto il tuo stesso ragionamento, cosa credi? ‘Non potranno obbligarmi quando sarò maggiorenne, basterà aspettare i ventun’anni’! Invece ci hanno battuti sul tempo…”.
“Già, ci hanno fregato per bene”, ammise Ranma. “Noi non li abbiamo mai presi sul serio, invece nelle loro teste erano serissimi e adesso ci tocca fare questo passo. Va bene, ascolta”, le disse prendendo un bel respiro come a farsi coraggio. “Innanzitutto, se ci sposiamo, siamo obbligati a… a…?”, deglutì, ma sembrava più sul punto di strozzarsi da quanto era paonazzo. “Insomma hai capito!”.
Akane ebbe la certezza che la propria faccia fosse virata verso il lava acceso.
“E io che ne so! Fo-forse sì, altrimenti il matrimonio non sarebbe valido, ma-ma possiamo anche solo far credere di… di… di…”, s’inceppò scuotendo la mano.
“Aver consumato?”.
“Sì, ecco!”, sbottò lei senza il fegato di guardarlo in faccia.
“Va bene, questo è risolto, ma dovremmo cercare di andare maggiormente d’accordo, così che i nostri genitori credano alla nostra bugia”.
“Concordo, che altro proponi?”, lo incalzò per non pensare.
“Di divorziare raggiunta la maggiore età”.
Si girò così di scatto che temette di spezzarsi il collo.
“Pensaci, Akane: se non siamo riusciti ad andare d’accordo in due anni…”.
“Due-e-mezzo”, puntualizzò lei con un sospiro.
“Quello-che-è”, rispose lui facendole il verso. “Se non ci siamo riusciti finora, non credo ci riusciremo nei prossimi tre anni, non credi? Mi hai appena ripreso per una sciocchezza e già sono esasperato, guardami!”.
Lei invece si voltò indignata a fissare la parete di fianco.
“Mio padre si dispererà”.
“Se ne farà una ragione, soprattutto se non ci sarà alcun erede in arrivo”.
“Anche questo è vero”, gli concesse.
“Allora… affare fatto?”, le chiese Ranma tendendole una mano.
“Affare fatto”, la strinse lei con un sospiro pesante. “Ora scusa, ma vado in camera mia a fare i compiti”.
Lo piantò là allontanandosi a passo sempre più svelto fino a correre su per le scale, chiudersi in camera e buttarsi sul letto a piangere.
C’era qualcosa di peggio del rifiuto che, in realtà, era ciò che più aveva temuto: Ranma che acconsentiva a sposarla solo per convenienza. Sapere che lei o un’altra, alla fine, non avrebbe fatto differenza. Anzi, se avesse potuto, era certa che Ranma avrebbe scelto una delle altre. Una che non lo insultava, non lo picchiava e non lo avvelenava.
Affondò la faccia nel cuscino cercando di soffocare i singhiozzi.
Sapeva che avrebbe fatto male. Ma non fino a quel punto.


La lasciò andar via col cuore pesante, incredulo davanti alle proposte che lui stesso aveva avanzato, pur di salvare la faccia. Ma non davanti alla sua reazione. Cos’altro avrebbe dovuto aspettarsi del resto da Akane, dopo tutti gli insulti, i litigi, le umiliazioni, le prese in giro che le aveva rifilato? Che lei potesse sul serio am… ammm… no, figurarsi.
“Avete parlato?”, esordì suo padre arrivandogli alle spalle.
“Sì”, sospirò lui seccato.
“E allora?”.
“Allora, cosa? Ci siamo arresi ai vostri ricatti, non era quello che volevate?”.
“Ma quali ricatti! Se davvero non vi sopportavate, avreste opposto un netto rifiuto entrambi! Suvvia, figliolo, lei ti piace, tu piaci a lei, vedrete che andrà tutto a meraviglia la prima notte di nozze!”, rise sguaiatamente mettendogli una mano sulla spalla. “Già vi immagino seduti l’uno accanto all’altra a osservare la neve che cade da un onsen in mezzo ai monti, le vostre mani che si sfiorano mentre prendete dei dolci da un piattino, il bocciolo di un fiore che cade…”.
Adesso lo ammazzo, lui e le sue fantasie da manga!
“Quasi dimenticavo! La Tigre Nera ti ha reclutato ufficialmente fra i suoi agenti, sei un membro effettivo dell’organizzazione, adesso”.
Ranma frenò il calcio con cui stava per mandare in orbita suo padre.
“L’unica buona notizia della giornata”, commentò mesto.
“Oh no, ne ho un’altra!”.
“Sicuro che non devo sedermi per terra?”.
“Non fare lo scemo, riguarda il vostro matrimonio”.
“Mi siedo per terra”, disse affranto.
“Ma smettila! Soun e io abbiamo deciso che si terrà in una località segreta in un giorno a sorpresa, quindi tenetevi pronti!”.
“Aspetta… cosa? Che storia è questa?! Neanche il tempo di abituarsi all’idea, ci date?”.
“È per evitare che le tue spasimanti rovinino tutto. Quindi mi pare ovvio che tu e Akane dovrete tenere segrete le nozze ai vostri amici, nessuno dovrà saperlo sino a cose fatte”.
“Ma… ma… e per gli abiti? Gli anelli?”.
“Oh, non temere, abbiamo già contattato Nabiki, penserà a tutto lei: noleggio degli abiti tradizionali, cerimonia in un tempio shintoista, anelli d’argento…”.
“Abbiamo davvero abbastanza soldi?”.
“Grazie alla tua ultima impresa, sì. A proposito, hai saputo? Mentre tu mandavi a monte il matrimonio di Miyakoji Satsuki, la sera stessa sono andate a monte anche le nozze di Daimonji Sentaro, non è strano?”.
Ranma increspò la fronte, perplesso.
“In effetti sì…”.
“Comunque anche Soun ha racimolato qualcosa, così abbiamo yen a sufficienza anche per un piccolo rinfresco”.
“Dì la verità: state organizzando tutto in fretta e furia perché temete che ci ripensiamo”.
“Ehm… sì, anche! Ma soprattutto per battere sul tempo ogni possibile congiunzione astrale sfavorevole”.
“Cioè?”.
“La sfiga. Ci aleggia sempre intorno come un tanfo, a noi Saotome, dev’essere una maledizione, o una tara ereditaria…”.
“La mia unica ‘sfiga’ è stata avere te come padre!”, urlò calciandolo via così forte attraverso il tetto che Genma divenne un puntino luminoso nello spazio siderale.
No, la vera ‘sfiga’ era un’altra: sposare la donna che am… amav… ed essere respinto. O di finire come suo padre a volare alla stessa altezza di un aereo passeggeri, se l’avesse sfiorata anche solo per sbaglio.
Così vicina eppure così lontana.
Che situazione assurda.


- § -


Ukyo Kuonji non era il tipo che si arrendeva, soprattutto quando aveva il forte sentore che tra Ranma e Akane le cose fossero precipitate. E il motivo non poteva essere altro che la pessima cucina della fidanzata ufficiale.
Costretta a tenere un profilo basso dopo la ramanzina di Soun Tendo, Ukyo aveva aspettato nell’ombra l’evolversi della situazione, sicura che se le cose stavano andando male fra quei due, col tempo sarebbero andate anche peggio. Si era imposta di osservare da lontano e pazientare. Ed era stata ripagata: se fino a poco tempo prima Ranma e Akane si rivolgevano a mala pena la parola e solo per insultarsi, da un paio di giorni non si guardavano neanche. Certo, sembravano più imbarazzati che arrabbiati e non poteva più nemmeno corrompere Nabiki per sapere cosa fosse accaduto, ma che importava? Era la sua occasione, finalmente.
Quando suonò la campanella della pausa pranzo, fu col batticuore che dopo tanto tempo tentò di attrarre Ranma coi suoi okonomiyaki espressi tirando fuori dal nulla una piastra portatile e tutti gli ingredienti, sicura che il profumo invitante lo avrebbe fatto abboccare all’amo – chissà quanta fame doveva aver patito per colpa di Akane, sembrava così sciupato! Invece, con sua somma sorpresa e disappunto, non la degnò nemmeno di un’occhiata distratta. Stava anzi contando addirittura gli spiccioli, mentre si dirigeva verso il corridoio, per andare a comprarsi evidentemente un panino. E dire che poteva sfamarlo lei e gratis! Era uno scherzo?
“Ranchan!”, lo chiamò sopra le teste dei suoi compagni di classe accalcati attorno a lei. “Vuoi provare una nuova ricetta? L’ho pensata apposta per te!”.
Lui si voltò a guardarla, ma non come avrebbe fatto un ragazzo affamato che non osava sperare in un pasto a scrocco. No, la guardava con indifferenza. Ma il peggio fu che subito dopo cercò Akane con lo sguardo. Akane che, invece, stava fissando proprio lei. Un brivido prese la rincorsa giù per la schiena davanti a quello sguardo gelido, del tutto identico a quello che la minore delle Tendo le aveva riservato quando era stata posseduta dalla bambola maledetta in quel ryokan del cavolo in mezzo alle montagne. Solo che all’epoca non era la vera Akane che aveva affrontato. Adesso invece era lei in persona che le stava lanciando un avvertimento: Ranma è mio, non ti azzardare mai più.
Ukyo sbatté le ciglia allibita diverse volte di fronte a quella presa di posizione, prima di accorgersi che Ranma se n’era andato e che lei stava bruciando l’impasto.
Ranma che la ignorava… Akane che la ‘minacciava’…
Ma che stava succedendo?!


Ranma si sedette sotto un albero a riflettere sul fatto che avrebbe dovuto comportarsi come sempre, come nulla fosse, coi suoi amici e con le altre presunte fidanzate, ma non ci riusciva. Il fidanzamento era diventato di colpo una cosa seria, da un momento all’altro poteva ritrovarsi sposato e far finta di niente per lui era inconcepibile. Come lo era continuare a prendersi gioco delle sue spasimanti. Un vero uomo avrebbe parlato con ognuna di loro, senza lasciarsi impietosire, minacciare, ricattare o ingannare. Ma sia a lui che ad Akane era stato proibito di far parola del matrimonio con chiunque e poteva capirne le motivazioni. Eppure, da quando aveva realizzato che Akane sarebbe diventata sua moglie per davvero, era come se le altre “fidanzate” non esistessero più. Gli era passato persino l’appetito… a lui! E peggio che mai, non riusciva nemmeno più a guardarla, dall’imbarazzo. Ma poi, perché avrebbe dovuto essere imbarazzato? Non sarebbe accaduto nulla fra loro, no? Avevano un accordo! Eppure l’atteggiamento di Akane era strano: nemmeno lei osava guardarlo in faccia, ma non gli era sfuggito il modo in cui lei guardava le altre. Era diventata tutt’a un tratto guardinga, sembrava un cane da difesa pronto a mordere. Soprattutto, a mordere Ukyo. Se al posto della sua amica d’infanzia ci fosse stata Shan Pu, ci avrebbe scommesso la pelliccia di suo padre che la gattina rosa si sarebbe ritrovata completamente tosata.
“Ehilà, tesoruccio!”.
Ranma chiuse gli occhi con un sospiro, maledicendo i kami, Buddha, Amateratsu, altre divinità assortite e se stesso per non essersi seduto su un ramo in mezzo alle fronde, così da essere invisibile al mondo.
“Non mi interessa/sono occupato/lasciami in pace”, rispose lui in automatico alzandosi in piedi senza degnarla di uno sguardo.
“Ma ti ho portato il pranzo!”, insistette Shan Pu parandoglisi davanti col suo abitino corto e succinto nonostante il freddo, un sorriso da un orecchio all’altro e un porta vivande da cui proveniva un aroma delizioso. “Una bella ciotola di ramen con…”.
“Ho detto che non mi interessa, sei sorda?!”, l’aggredì lui che, incredibilmente, non se ne pentì subito dopo.
La cinesina, sorpresa, sbatté più volte le folte ciglia.
“Stai male, per caso? Forse Akane ti ha intossicato e hai ancora lo stomaco sottosopra?”.
Ranma strinse le dita a pugno.
“Fossi in te, eviterei di offenderla, d’ora in poi. E per quanto mi riguarda, sai che ti dico? Mai stato meglio!”, le disse un istante prima di saltare via per raggiungere il tetto della scuola.


Shan Pu, bisnipote di Ke Lun della tribù delle Amazzoni, non era il tipo che si arrendeva. Soprattutto se l’uomo destinato a sposarla faceva il difficile: volente o nolente prima o poi sarebbero convolati a nozze, ma era più divertente se lui opponeva resistenza, la annoiavano quelli che si prostravano ai suoi piedi, come quel papero cecato di Mu Si. Stavolta, però, qualcosa nell’atteggiamento di Ranma l’aveva lasciata basita: per quanto fosse di malumore, non disdegnava mai un pasto gratis, anche se fosse stato già satollo. Cos’aveva combinato stavolta Akane per farlo irritare a tal punto? Forse era venuto il momento di ‘scambiare un’opinione’ con quella imbranata per farle capire una volta per tutte che era ora di togliersi di mezzo e lasciar libero Ranma: non avrebbe mai permesso al suo futuro marito di sposare un’altra, ma sopra ogni cosa, di sposare un’inetta come Akane che lo avrebbe reso solo un infelice.
Pestò un piede per terra per quell’occasione mancata e con un sospiro seccato fece dietro front per tornare alla sua bicicletta. Saltò il muro di cinta della scuola e atterrò sull’asfalto, ben attenta a non rovesciare il brodo ancora caldo del ramen: se faceva in tempo a tornare al Nekohanten prima della chiusura, la nonna avrebbe potuto rivenderlo a un clie…
Ma che è successo alla mia bicicletta?!
Shan Pu rimase inorridita a fissare il palo della luce dall’altra parte della strada, ‘abbracciato’ da un telaio così contorto che le due ruote erano una sovrapposta all’altra. Quella meno deformata stava perfino girando a vuoto, segno che il vandalo aveva operato indisturbato fino a pochi secondi prima.
Ma chi… chi poteva aver fatto una cosa simile? E perché?!


Akane si lavò le mani sotto il getto di acqua fredda del lavandino all’aperto, si rassettò la gonna della divisa scolastica e si ravvivò la frangia, pronta a rientrare in classe, quando un sibilo in avvicinamento la indusse a voltarsi e ad afferrare al volto la freccia che stava per scagliarsi giusto contro la fontanella alle sue spalle. Arrotolato attorno all’asticella, un foglietto bianco. Come accidenti era venuto in mente alla Fenice Bianca di contattarla in quel modo? Chiunque avrebbe potuto notare una cosa del genere in pieno giorno nel giardino della scuola! Ma a ben vedere la pausa pranzo era terminata e in giro non c’era quasi più nessuno. Doveva sbrigarsi.
Aprì il foglietto, ritrovandosi davanti a righe e righe di simboli colorati. Le ci volle qualche minuto per decifrare i nuovi ordini e alla fine non poté fare a meno di alzare gli occhi al cielo, incredula. C’era una sola persona che avrebbe potuto commissionare alla sua organizzazione la distruzione di una serra di gigli bianchi: quell’avanzo di manicomio della Rosa Nera. Ora capiva perché la missione era letteralmente piombata dal cielo in barba alla prudenza: quel fine settimana si sarebbe tenuta un’esposizione floreale all’Ebisu Garden Place.
Come se lei non avesse già abbastanza grattacapi. Ma se la Fenice Bianca ordinava, lei doveva obbedire. E ora che ci pensava, magari la stessa Asuka dai gigli bianchi aveva commissionato alla Fenice di distruggere la serra di rose nere di Kodachi! Sarebbe stato davvero uno spasso se le due nemiche si fossero sabotate a vicenda rivolgendosi senza saperlo alla medesima organizzazione...


- § -


Quando suonò il campanello del gigantesco portale d’accesso, Ranma non aveva dubbi che sarebbe stato quel monumentale idiota di Kuno in persona a dargli il benvenuto, per cui quella missione, in teoria, sarebbe stata una passeggiata, a patto di agire in fretta e non essere beccato dalla sorella non meno pazzoide proprio sul più bello.
“Mia adorata ragazza con il codino!”, tossì una voce dall’interfono, proprio sotto la videocamera. “Sei proprio tu! Oh, mio profumato fiore di gelsomino, ti sono mancato?”.
Coraggio, Ranma, puoi farcela.
Inclinò la testa di lato, come a poggiare la guancia sulle mani giunte, e sfoggiò un sorriso da far invidia a uno spot sui dentifrici.
“Non immagini quanto, mio adorato senpai! Ho saputo che sei stato poco bene e ho pensato di venirti a trovare! Mi fai entrare?”.
“Oh mia adorata, mi piacerebbe, ma non vorrei passarti il mio raffreddore! Capisco che sia dura per te, ma è meglio non vederci, per il momento!”.
Ma porc…
“Oh no, senpai adorato, non dirmi così! Non posso resistere un minuto di più, senza di te! Ti prego, fammi entrare! Non m’importa d’ammalarmi, il nostro amore è più forte di qualsiasi avversità!”, piagnucolò disperata portandosi un fazzoletto ad asciugare una lacrima immaginaria.
Datemi un Oscar, ora!
“Oh, mio candido giglio! Come posso resisterti un secondo di più? Vieni fra le mie braccia!”, strepitò spalancandogli le porte della sua megavilla e precipitandosi lui stesso, mani protese e mocciolo al naso, verso un Ranma più disgustato che mai.
Senpai caro!”, cinguettò Ranma fermando l’impeto del suo spasimante con un piede sprofondato nella faccia, mentre il Tuono Blu del Furinkan tentava ancora disperatamente di raggiungerla con le dita che si aprivano e si chiudevano frenetiche agguantando, però, solo l’aria. “Non è il caso di contatti ravvicinati, non vorrai davvero passarmi il raffreddore! Limitiamoci a camminare fianco a fianco”.
“Hai ragione, mio bocciolo di rosa!”, si riprese lui alla consueta velocità supersonica per tornare uno statuario strafigo. Ma sempre col mocciolo al naso. “Prego, accomodati nella mia umile dimora e fammi compagnia per un tè”.
“Molto volentieri, senpai! Oh, perché mentre fai preparare il tè, non mi mostri la serra di rose nere di tua sorella?”.
“Che insolita curiosità, la tua! Come mai desideri vederla? E comunque è nei recessi del sottosuolo, sorvegliata da serpenti velenosi… mamba neri, per l’esattezza”.
Non so davvero chi sia più sciroccato dei due, certe volte…
“Oh, ti prego, ti prego, ti prego, sono troppo curiosa!”, disse saltellandogli attorno e sfarfallando le ciglia.
“Oh, come posso negarti qualcosa, mia tenera margheritina? Vieni, prendiamo l’ascensore”.
Quando le porte si riaprirono al piano meno cinque, Ranma aveva ancora un pugno calcato in un occhio del senpai, che proprio non riusciva a tenere le mani a posto.
“Che serra immensa…”, commentò Ranma meditabondo avvicinandosi al vetro: all’interno di quella specie di hangar sotterraneo, però, le serpi che strisciavano sul pavimento e sui tavoli sembravano più numerose delle piantine innaffiate da una pioggerella fine spruzzata dall’alto.
“Immagino che la cisterna sia proprio qui accanto”, ipotizzò Ranma fingendo indifferenza.
“Oh certo, è dietro quella porta in fondo al corridoio”, indicò il senpai alla sua sinistra.
“Grazie”, disse Ranma colpendogli con un dito teso un punto sul collo. Il Tuono Blu scivolò a terra svenuto e Ranma corse verso la porta, ma solo una volta là davanti si accorse che era blindata e che era necessaria un’impronta digitale per aprirla. Imprecando, trascinò il senpai fin lì e premette sopra lo scanner prima gli indici, poi i pollici, ma senza cavare un ragno dal buco. Non c’era che un modo per entrare.
Ranma prese a calci lo scanner fino a romperlo e sradicarlo dalla parete, la porta si aprì e mentre l’allarme suonava lui entrò, salì la scaletta fino in cima alla cisterna, aprì la botola e vi gettò dentro venti grosse pastiglie che, a contatto con l’acqua, iniziarono subito a dissolversi con un gran sfrigolio.
Percorse quindi a ritroso il corridoio fermandosi giusto un istante davanti al vetro ad ammirare soddisfatto il suo capolavoro: l’acqua spruzzata dai tubi attaccati al soffitto divenne improvvisamente una candida tintura che scoloriva poco a poco le rose.
Missione compiuta.


- § -


Akane stava cercando di concentrarsi sulle vicende della Seconda Guerra Mondiale, quando qualcuno bussò alla porta facendola sussultare. Il cuore ebbe un’impennata all’idea che Ranma volesse parlare con lei o avesse bisogno di qualcosa e con cautela si voltò, indecisa se farlo entrare o meno.
“S-sì?”, deglutì.
“Sono tuo padre, puoi scendere nella sala da pranzo? Dobbiamo parlare”.
Perché non farlo nella sua stanza, come qualche giorno prima?
“Va bene, arrivo subito!”.
Aveva il sentore che sarebbero stati presenti anche Ranma e il signor Genma e se era vero, significava una cosa sola: i loro genitori avevano deciso la data del matrimonio.
Si fece coraggio e scese dabbasso, trovando gli altri tre inquilini della casa seduti attorno al tavolo come aveva temuto: Genma accanto a suo padre e Ranma di fronte a loro, lo sguardo rivolto al giardino.
“Prego, figliola, siediti”, le fece cenno il padre con la mano.
Akane prese posto accanto a Ranma, più rigida di un manico di scopa, le mani ad artigliare la gonna.
“Bene ragazzi”, esordì il signor Genma, “siamo felici di annunciarvi che Nabiki ha trovato una splendida località dove celebrare le vostre nozze e ha inviato sia a noi che a Kasumi e suo marito i biglietti dei treni. Ci aspetta all’Odakyu Hotel sul Lago Ashi, quindi andate a fare i bagagli perché partiremo domattina molto presto: occorreranno non meno di tre ore per arrivare a destinazione, con tutti i cambi di treno che dovremmo fare”.
“Domattina?!”, la precedette un Ranma allibito. “Ma sei impazzito? Come pretendi che possiamo essere pronti in così poco tempo?!”.
Akane intuì che Ranma non stava parlando della preparazione del viaggio, ma dell’accettazione l’uno dell’altra come marito e moglie, benché non potesse dar torto ai loro genitori: se fosse dipeso da loro due, non sarebbero mai stati pronti, probabilmente. Lei di sicuro avrebbe negato perfino sotto tortura che in realtà di Ranma era in… inn…
“Se ti ordinassi di partire seduta stante per una sessione d’allenamento in mezzo ai monti saresti già con lo zaino in spalla e un piede fuori dalla porta!”.
“È diverso!”, azzardò Ranma battendo un pugno sul tavolo.
“Per niente!”, urlò di rimando Genma alzandosi in piedi e afferrando Ranma per il colletto della casacca. “Tu adesso fili subito in camera nostra a preparare l’occorrente per il viaggio!”.
“Anche tu, Akane”, le disse il padre a occhi chiusi e braccia conserte. Il messaggio era chiaro: è un ordine e non si discute.
Lei si voltò verso Ranma, che si era alzato a sua volta in piedi per contrastare suo padre e si era fermato per scrutarla interrogativo: perché non ti opponi anche tu?, le stavano chiedendo i suoi occhi.
“Devo preparare una valigia grande? O va bene una piccola?”, chiese con un sospiro al genitore.
“Una piccola va benissimo”, le sorrise il padre compiaciuto.
“Akane…”, mormorò Ranma lasciando andare il signor Genma.
“Bene, allora vado”, disse lei accomiatandosi e dirigendosi verso le scale.


Prima che Akane potesse mettere piede sull’ultimo gradino, Ranma le afferrò un polso e la trattenne. Lei, stranamente, non cercò di liberarsi dalla sua presa, ma neppure si voltò.
“P-perché non ti sei rifiutata? Lo sai anche tu che è ancora troppo presto, sono passati solo pochi giorni da quando…”.
“Cosa cambia, Ranma?”, gli chiese con una voce carica di stanchezza. “Abbiamo un accordo, no? Cosa cambia, quindi, se ci sposiamo domani o tra un mese? Tanto non mi toccheresti comunque nemmeno con un dito, giusto?”, gli chiese con un tono ora vibrante di rabbia.
“Certo che no, mi pare ovvio”, la schernì, “chi mai vorrebbe tocc…”.
“Allora smettila di pestare i piedi come un bambino, per una volta!”, si lamentò divincolandosi per correre via.
Niente, non riusciva davvero a capirla. Forse era troppo complicata o lui troppo semplice, ma Akane sarebbe rimasta sempre un mistero: aveva un talento naturale per fraintendere spesso e volentieri quasi tutto ciò che lui faceva o diceva, ma ce l’aveva anche per far sì che gli altri non avessero la più pallida idea di ciò che lei pensava veramente. Eppure, nonostante tutto, in cuor suo sapeva che non la sposava perché gliel’aveva ordinato quel padre disgraziato. No, lo faceva perché la voleva, non aveva più dubbi, ormai. Voleva che Akane fosse sua moglie, voleva condividere la sua vita con lei. Doveva solo trovare il fegato, una volta sposati, di confessarle ciò che provava.
Se non la smetto di insultarla, però, non crederà mai alle mie parole, penserà che voglia burlarmi di lei ancora una volta e finirebbe davvero per odiarmi.
Non l’aveva mai rispettata come fidanzata, era venuto il momento che iniziasse a rispettarla come moglie, se non voleva che al compimento dei ventun’anni Akane chiedesse sul serio il divorzio.
E se dopo averle confessato i miei sentimenti scoprissi che lei non mi ricambia?
Era un’eventualità terrificante che aveva sempre evitato di prendere in considerazione, aggrappandosi alle innumerevoli manifestazioni di gelosia di cui Akane aveva fatto mostra nel corso di quei due anni. Da un po’ di tempo però aveva l’impressione che si fosse stancata di averlo intorno...
No, quel matrimonio era forse l’ultima occasione che aveva per far sì che Akane iniziasse a guardarlo in modo diverso, a sorridergli, non poteva sprecarla.


- § -


Il viaggio in treno era stato sfiancante, nonostante l’avesse trascorso a cercare di dormire per recuperare il sonno perso. Fatica sprecata, perché l’idea che di lì a poche ore sarebbe diventata la moglie di Ranma le aveva messo una tale agitazione addosso, che il petto era diventato un tamburo su cui il cuore scandiva senza pietà i minuti che mancavano al passo fatidico. E lei oscillava tra la veglia, la sudarella, il desiderio di vomitare, la testa che scoppiava, le lacrime che ogni tanto facevano capolino e le risatine nevrotiche. Solo la compagnia rassicurante di Kasumi e il panorama autunnale del lago, una volta giunti a destinazione, mitigarono un poco la sua tensione, ma non ebbe il tempo di ammirare il paesaggio, perché fu dirottata dalla sua famiglia fino al piccolo hotel prenotato da Nabiki proprio in riva al lago medesimo. Ed era anche carino e accogliente, non una bettola come si era aspettata, conoscendo la tirchieria della sorella.
“Benarrivati!”, li accolse Nabiki comodamente seduta nella hall. “Fatto buon viaggio?”.
“Buongiorno, sorellina!”, la salutò Kasumi andandole incontro. “Come stai? Hai visto che bella giornata? Hai avuto proprio un’ottima idea, il lago è splendido!”.
“E non l’hai ancora visto al tramonto… Akane, cos’è quella faccia? Su, muoviti, devi iniziare a prepararti!”.
“Di già?!”.
“Non cominciare a fare storie! Il sole cala presto in questo periodo dell’anno e il tempismo è tutto, andiamo in camera, che abbiamo parecchio lavoro da fare”.
Akane si volse per la prima volta a guardare Ranma, che aveva volutamente ignorato per tutto il viaggio. Stava parlando col dottor Tofu, o meglio, il dottor Tofu gli aveva poggiato una mano su una spalla e sorrideva, cercando forse di rassicurarlo, mentre Ranma aveva lo sguardo perso nel vuoto. Ma proprio in quell’istante si voltò di scatto verso di lei e Akane si rese conto che l’avrebbe rivisto solo di lì a qualche ora con un abito nuziale addosso. Per poco le gambe, già tremolanti, non cedettero.
“Ma ti vuoi muovere?!”, la incitò Nabiki afferrandola per un braccio e trascinandola verso le scale. Da quel momento la sorella non la smise più di parlare, dicendole di scordarsi la tradizionale ‘cerimonia davanti agli dèi’ officiata per Kasumi e Tofu: visto che Akane non aveva avuto il tempo di fare delle prove, Nabiki si era messa d’accordo col sacerdote scintoista del tempio più vicino per un rito abbreviato. Akane, quindi, non doveva preoccuparsi di nulla, Nabiki sarebbe stata sempre al suo fianco per guidarla e in pochi minuti sarebbe tutto finito, neanche il suo matrimonio fosse un intervento in day hospital per rimuovere un neo.
Poi Akane posò gli occhi sullo shiromuku appeso al porta-kimono nella stanza più grande dell’hotel e davanti a tutto quel tripudio di bianco si portò le mani al viso scoppiando in un pianto dirotto.
“Akane, che ti succede?”, le chiese preoccupata Kasumi abbracciandola.
“Non posso! Non posso sposarlo!”.
“Ecco, ci mancava la crisi dell’ultimo minuto…”, commentò irritata Nabiki. “E adesso che ti prende? Che storia è questa?”.
“La mia vita è una menzogna, che razza di moglie sarei? E… e poi… e poi lui non mi ama!”.
Kasumi la strinse a sé ancora più forte carezzandole con dolcezza i capelli, mentre Nabiki alzava gli occhi al cielo e scuoteva la testa.
“Sorellina, guardami”, le disse Kasumi prendendole il viso fra le mani con un sorriso comprensivo. “Ti fidi di me?”.


- § -


L’attesa lo stava uccidendo. L’attesa e quel kimono formale, per lui così insolito e scomodo, senza contare che gli sembrava di vestire i panni di Tatewaki Kuno, conciato a quel modo.
Cercò di concentrarsi sulla superficie placida del lago, sul torii che s’innalzava imponente dall’acqua proprio alla fine del sentiero proteso oltre la riva, sul sole che calava dietro le colline tingendo d’arancio le fronde degli alberi.


Hakone-Jinjya-Heiwa-no-Torii


“Eccola!”, annunciò suo padre esultante.
Il cuore mancò un battito, come se avesse fatto uno zompo dal petto per risalire su fino in gola.
Ranma si volse lentamente verso un’Akane che incedeva accompagnata dal padre, il capo coperto dal wataboushi fino al naso. Null’altro vedeva all’infuori della bocca dipinta di rosso, finché lei non alzò il volto e gli piantò addosso i suoi occhi ambrati.
Il mondo se ne andò all’istante alla malora.
Gli alberi, il sentiero di pietre, Soun Tendo, le sorelle, il cielo, gli uccelli, tutto.
Non esisteva più niente.
Niente all’infuori di lei avvolta nel kimono da sposa, del suo petto che si alzava e si abbassava sempre più velocemente man mano che avanzava incerta, delle sue labbra tremolanti come se avesse voluto dire qualcosa ma fosse rimasta senza voce.
Nulla all’infuori del sole che tramontava nei suoi occhi, quando infine lo raggiunse. E per tutti i kami, era… emozionata? Trepidante? O solo nervosa? Possibile che stesse provando ciò che provava lui? Non riusciva a capirlo, non capiva più niente, non ascoltava più nemmeno la voce del sacerdote, compì ogni gesto del rituale come un burattino, bevve tre volte il saké dalla stessa coppa di Akane come se avesse sempre bevuto alcolici in vita sua, le infilò un anello al dito e lei fece lo stesso con lui, ma ci fece caso a mala pena perché non riusciva a staccarle gli occhi di dosso e a non pensare quanto splendida fosse, ma soprattutto che adesso la donna che am… sì, ma che diamine, l’amava! Che adesso la donna che lui amava era appena diventata sua moglie!
No, aspetta… come sua moglie? Che stava dicendo il sacerdote? Dovevano pronunciare un giuramento?
Allora era vero… era tutto vero…
Lui si era appena sposato con Akane.
Con. Akane.
Erano sposati sul serio.
E lei stava accennando un sorriso radioso, più abbagliante della luce riflessa sull’acqua. Ciò che lui aveva sempre desiderato vedere. Ma allora era… felice?! Oppure fingeva?
Per tutti i kami…
Avevano fatto un patto, solo che… sarebbe riuscito a rispettarlo?
…e adesso?







Eccoci di nuovo qui e come sempre ringrazio la mia beta Moira per la revisione! La location che ho scelto per il matrimonio esiste davvero, si trova presso Hakone, nota per i numerosi onsen, ma non mancano nemmeno i templi shintoisti, tra cui il Tempio delle Sette Divinità della Fortuna (sic!) – proprio accanto all’Odakyu Hotel – di cui l’Hakone Jinjya Heiwa-no-Torii in foto dovrebbe far parte.
Per quanto riguarda gli abiti da cerimonia, ecco come erano vestiti Ranma e Akane:

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Alla prossima! ^^

   
 
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