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Autore: Najara    09/12/2020    5 recensioni
“Mi sembra una pessima idea.”
“Uscire dal laboratorio a te sembra sempre una pessima idea.” La prese in giro Jack, mentre estraeva dal baule del suo Land Rover un’ascia.
“Va bene, ma rimane vero che decidere di tagliare un albero da soli è una pessima idea, perché non facciamo ciò che prevedeva il piano e andiamo al vivaio a sceglierne uno?”
“E dove sarebbe il divertimento?”
Una storia di Natale SuperCorp.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La rosa d’inverno

 

“Mi sembra una pessima idea.”

“Uscire dal laboratorio a te sembra sempre una pessima idea.” La prese in giro Jack, mentre estraeva dal baule del suo Land Rover un’ascia.

“Non hai mai maneggiato una di quelle, non voglio passare la giornata al pronto soccorso.” Continuò lei, infilando le mani nel giaccone e pentendosi di non aver preso un paio di guanti.

“Lena.” Jack si voltò a guardarla. “Vivi un po’!” La esortò.

Non aveva tutti i torti, dovette ammettere tra sé e sé Lena. L’amico aveva dovuto praticamente trascinarla fuori dal suo laboratorio a Metropolis, metterla su di un aereo e quella mattina sequestrarle il laptop solo per smettere di farla lavorare e permetterle di riposarsi e godersi le feste natalizie.

“Va bene, ma rimane vero che decidere di tagliare un albero da soli è una pessima idea, perché non facciamo ciò che prevedeva il piano e andiamo al vivaio a sceglierne uno?”

“E dove sarebbe il divertimento?” Chiese Jack, gli occhi che brillavano.

“Pessima idea…” Mormorò tra i denti, ma seguì l’uomo che avanzava nel mezzo metro di neve caduto nella notte.

“Dividiamoci, il primo che trova l’albero perfetto chiama l’altro!” Esclamò entusiasta Jack e Lena sospirò e decise che era meglio dargli corda, inoltrandosi nell’innevata foresta di pini e abeti.

Mentre i passi pesanti di Jack si allontanavano non poté fare a meno di apprezzare l’atmosfera. La neve ovattava ogni rumore e le fronde cariche di neve filtravano il sole creando un alone quasi magico. Sorrise all’idea, lei, Lena Luthor, scienziata fino al midollo si faceva incantare da una foresta. Suo fratello l’avrebbe presa in giro, se avesse saputo, ma suo fratello non era lì e lei si concesse, quasi in una forma di silenziosa sfida, di guardarsi attorno e ammirare quello splendore.

Sentì il fragore di una ramo che si liberava dalla neve e il gridolino di Jack.

“Tutto bene?” Urlò verso il ragazzo.

“Sì…” Arrivò la risposta strozzata. “Non sarà un po’ di neve a fermarmi!” Lena non poté fare a meno di sorridere. Jack non era di certo un rude uomo della montagna, ma sapeva essere perseverante.

Tornò a muoversi, girando attorno ai tronchi resinosi, respirando l’aria fresca e profumata della montagna. Sotto le fronde lo strato di neve era più sottile ed era più facile camminare, persino l’aria era più calda visto che i tronchi la riparavano dalla fredda brezza.

Un altro rumore proveniente dalla direzione di Jack la fece fermare.

“Jack?” Chiamò. Non avrebbero dovuto esserci particolari modi di farsi male, ma con quell’uomo non si poteva mai sapere, era riuscito a farsi male persino con un microscopio una volta!

“Tutto ok…” Rispose lui, dopo un attimo. “Temo di essere antipatico agli alberi, continua a cadermi neve sulla testa.” Il suo tono era quasi lamentoso.

Lena alzò la testa verso le fronde, osservando la neve, il bel tempo dopo la nevicata aveva portato con sé il gelo e la neve sembrava assolutamente incapace di cadere dai rami neanche se scossi, Jack doveva però essere particolarmente sfortunato.

“Vuoi che andiamo al vivaio?” Chiese, speranzosa. “Potremmo essere a casa in un’ora… bagno caldo, cioccolata…” Provò.

“Ancora dieci minuti.” Dichiarò poi l’uomo. “Poi mi arrendo.” Doveva aver ricevuto un bel po’ di neve sulla testa se si stava effettivamente già cambiando idea. Lena rise, poi alzò la testa e incontrò due occhi azzurri come il cielo in autunno e rimase immobile.

La ragazza davanti a lei, perché si trattava di una ragazza, la fissò con la bocca aperta e poi, semplicemente scomparve, come se fosse stato solo un riflesso o un miraggio.

Lena ruotò su se stessa poi tornò a guardare, fece due passi avanti e tornò a guardarsi attorno.

“C’è qualcuno?” Chiese, confusa.

“Lena?” Chiamò Jack. Lei lo ignorò, continuando a guardarsi attorno. Aveva visto una ragazza, era sicura… “Lena?” Chiamò di nuovo Jack. Lo sentiva che si dirigeva verso di lei, sbatté le palpebre confusa. “Tutto bene?” Chiese l’uomo sbucando da dietro un tronco.

“Sì…” Mormorò, poi si girò a guardarlo e non poté fare a meno di scoppiare a ridere. Era bagnato fradicio, gli abiti erano pieni di aghi di pino e sembrava avesse lottato con un orso, tanto era arruffato.

“Non pensavo la foresta potesse essere così combattiva, ma so quando dichiararmi sconfitto: andiamo al vivaio!” Disse l’uomo, sorridendo, poi le lanciò un’occhiataccia. “Vedo che tu, invece, alla foresta stai più simpatica.”

Lena sorrise.

“Forse è perché non ho un’ascia in mano.” Disse distrattamente, la mente che cercava di fissare un ricordo, cosa aveva visto? Era chiaro che non poteva esserci stata davvero una ragazza lì, in mezzo alla foresta e se anche ci fosse stata di certo non avrebbe potuto comparire e scomparire così velocemente…

“Andiamo.” La distolse dai suoi pensieri Jack.

“Sì.” Lena si voltò ancora una volta poi scosse la testa e seguì l’amico alla macchina.

 

Kara, nascosta tra i tronchi, di nuovo invisibile agli occhi umani, osservò la ragazza andare via assieme al suo amico portatore di ascia. Era rimasta senza fiato davanti a quegli occhi dai riflessi verdi e azzurri, come cristalli di neve posati su di una fronda colpita dal sole, come occhi che non poteva dimenticare.

La donna aveva potuto incrociare i suoi occhi, aveva potuto vederla!

 

Il vivaio si estendeva per un lungo tratto di strada, all’interno Lena poteva sentire e vedere numerosi gruppi intenti a scegliere l’albero giusto, ridendo e scherzando tra i verdi abeti.

“Buongiorno e benvenuti al vivaio Danvers.” Li salutò una ragazza dall’aria decisa nel vederli arrivare. Indossava l’uniforme della guardia forestale, ma era lì chiaramente in un’altra veste. Lanciò a Jack, che era riuscito a fare ben poco per migliorare il suo aspetto, uno sguardo perplesso, ma non disse nulla.

“Salve, vorremmo comprare un abete.” Disse l’uomo, apprezzando la discrezione della donna.

“Certo. Potete scegliere quello che volete, il prezzo varia a seconda della dimensione. Tutti i nostri abeti sono coltivati, nessuno è stato strappato alla foresta. Alla fine di Natale se riporterete qua il vostro albero vi sarà rimborsato il 50% del suo prezzo ed esso verrà piantato nella foresta.”

“Oh…” Esclamò stupito Jack.

“Iniziativa lodevole.” Commentò invece Lena, lanciando un’occhiata divertita a Jack che chiaramente iniziava a sentirsi in colpa per il suo tentativo fallito di tagliare un albero.

“Volete altre indicazioni?” Chiese lei. “Posso chiamare mia madre per farvi da guida o…”

“Ciao.” Una ragazza comparve davanti a loro, aveva un ampio sorriso, capelli biondi e occhi… Lena rimase immobilizzata sul posto mentre un deciso senso di déjà-vu la colpiva.

“Buongiorno.” Intervenne Jack lanciandole un’occhiata perplessa. Lena si riscosse.

“Sì, ehm… salve.”

“Posso aiutarvi? Mi piacerebbe aiutarvi?” Affermò la ragazza.

“Ehm… Kara, tu ti occupi degli abeti.” La donna lanciò alla ragazza un’occhiataccia. “Kara è solo un giardiniere, solo sicura che mia madre o Sam si sia liberata e…” La donna si alzò sulla punta dei piedi alla ricerca di una figura ancora immersa in una conversazione con dei clienti.

“Posso farlo io, posso accompagnare io…” Guardò verso di lei con occhi incuriositi.

“Lena.” Si ritrovò a dire.

“Lena.” Ripeté la ragazza, un ampio sorriso che le illuminava il volto.

“Ok.” Affermò Jack, lanciando uno sguardo a lei e poi alla giovane.

“Vieni.” Disse allora la giovane.

“Kara…”

“A dopo Alex.” La interruppe lei senza che il suo sorriso vacillasse.

Pochi istanti dopo Lena stava seguendo la donna tra il labirinto di piccoli abeti.

“Gli abeti sono alberi molto simpatici, amano essere decorati, ma bisogna fare attenzione a non spezzare i rami più piccoli e delicati.” Spiegava la donna, mentre camminava. “Non necessitano di tanta terra e neanche di tanta acqua, mi assicuro sempre che stiano super bene prima di darli in affidamento ad una famiglia.”

“Darli in affidamento?” Chiese Lena, perplessa e la donna si voltò a guardarla.

“Sì!” Esclamò sorridente. “Per Natale! Un albero vivo in ogni casa! Sono belli sempre, ma decorati sono bellissimi e loro sono felici. Le querce lo detesterebbero… mai decorare una quercia, sono così serie… ma gli abeti adorano le palline e le lucette.”

“Capisco…” Lena non poteva dirsi che meravigliata davanti a tanta esuberanza. Dare una personalità agli alberi era di certo un po’ folle, ma dopo tutto conosceva più di un uomo che dava personalità ad un’auto.

“Qual è il tuo albero preferito?” Le chiese poi la donna voltandosi di nuovo, questa volta fermandosi a guardarla dritto negli occhi.

“Non saprei…” Rispose lei, sorpresa, ma nella mente le apparve un faggio, il tronco argenteo e le foglie rosse d’autunno, come i capelli di sua madre… sbatté le palpebre sorpresa da quella vivida immagine.

“I faggi sono eleganti e molto belli. Ti si addicono.” Affermò la giovane e Lena si ritrovò ad arrossire, non aveva idea di come avesse fatto la ragazza a scegliere proprio l’albero a cui stava pensando, che fosse una qualche guru della botanica?

“Bene, credo che me ne andrò a vedere quelle piante lì.” Spezzò il momento Jack. “Mi sento di troppo.” Aggiunse con ironia.

Lena gli lanciò un’occhiataccia arrossendo ancora un po’ suo malgrado. Kara invece lo guardò allontanarsi, le mani suoi fianchi, un cipiglio battagliero sul volto.

“Non mi piacciono le asce.” Dichiarò.

Lena aprì la bocca per chiedere come facesse a sapere, poi si interruppe: davvero stava per chiedere ad una ragazza se venti minuti prima era nel bosco ad alcuni chilometri da lì?

La giovane riportò lo sguardo su di lei e sorrise.

“Dovrei scegliere l’abete e…”

“Oh, è lui a scegliere te.” Le assicurò la ragazza. “In realtà piaci a molti di loro, ma questo è naturale, pensano che tu sia gentile, ma ci vuole qualcosa di più per…” Corrugò la fronte. “Vieni.” Le disse e Lena, per qualche inspiegabile ragione, seguì quella strana e affascinante ragazza.

Dieci minuti dopo era davanti ad un sontuoso abete alto due metri e dalle fronde larghe e regolari.

“Lui.” Disse la giovane di nome Kara. Non aveva smesso di chiacchierare di alberi, radici, aria e neve, ma ora si era fermata di botto e le indicava sicura un abete.

È un po’ più grande di quello che avevamo previsto.” Affermò lei dubbiosa.

“Alex può portarlo a casa tua entro questa sera.”

Lena si avvicinò all’albero, era senza dubbio molto bello.

“Dammi la mano.” Le chiese Kara un sorriso sulle labbra. Lena esitò, poi estrasse la mano dalla giacca e la posò tra le dita sorprendentemente calde e asciutte della ragazza. “Ora chiudi gli occhi.”

“Non so quanto sia una buona idea…” Obbiettò lei.

“Non vuoi conoscere il tuo abete? Lui vuole conoscere te.” Assicurò la donna e lei si ritrovò a scuotere la testa e a sorridere allo stesso tempo. Era folle e assurdo, eppure quegli occhi azzurri… non riuscì a resistere e obbedì.

“Ora dimentica il rumore delle persone, ascolta solo la leggere brezza che accarezza le fronde, sentì il freddo pungente sulle tue guance e respira l’odore della resina…”

La voce della donna si era fatta leggera, quasi etera, immateriale, ma la sua mano era calda e rassicurante. Lena si lasciò andare e per un istante percepì una serena vitalità, una fresca forza, un’allegra sicurezza.

Riaprì gli occhi sorpresa.

“L’hai sentito?” Chiese Kara e lei si ritrovò ad annuire.

“Com’è possibile?”

“Sei speciale, lo sapevo.” Affermò la donna, felice. “L’ho visto nei tuoi bellissimi occhi verde-azzurri.”

Lena si ritrovò ad arrossire ancora una volta. Ci mancava solo più questa! Non poteva prendersi una cotta per una ragazza un po’ folle che lavorava in un vivaio! Tra due settimane sarebbe tornata a Metropolis, quindi, no, niente cotte natalizie, no, assolutamente no.

“Penso sia meglio che io vada.” Ritirò la mano e cercò di sorridere. “Grazie mille per… ehm… l’aiuto.”

“Ho detto qualcosa di sbagliato?” Le chiese la donna, sorpresa dalla sua reazione.

“No, no, no, ma devo andare, il mio amico è bagnato fradicio e non vorrei si ammalasse.”

“Oh… mi dispiace.”

“Non è certo colpa tua.” Assicurò lei, mentre si camminava all’indietro per allontanarsi dalla tentazione. Un errore, un altro quel giorno. Inciampò in qualcosa, probabilmente un attrezzo da giardinaggio e si ritrovò a cadere. Ma non cadde, ovviamente la sua neo-non-cotta possedeva riflessi eccezionali e la afferrò impedendole di rovinare tra gli abeti.

“Stai bene?” Le chiese il viso così vicino al suo da permetterle di sentire quanto fosse fresco il suo respiro e blu i suoi occhi.

“Disturbo?” Lena si separò dalla donna in fretta, questa volta decisamente violacea, nel sentire la voce ilare di Jack.

“Grazie.” Disse a Kara che la guardava perplessa poi si voltò verso Jack. “No, non disturbi, stavo arrivando. L’abete mi ha scel… ho scelto quell’abete lì.” Affermò decisa, maledicendosi per l’errore che fece brillare gli occhi dell’amico.

“Decisamente più grande di quanto avevamo pensato.” Commentò lui, ma nel vedere Kara portarsi le mani ai fianchi annuì deciso. “Mi piace, è perfetto, starà benissimo nel salone principale.”

Pagarono l’albero, il trasporto e l’installazione poi se ne andarono, Jack provò a punzecchiarla, ma lei non gli diede ulteriori soddisfazioni e rimase in silenzio fino a quando non rientrarono a casa e iniziò ad essere in pace con se stessa: aveva incontrato una ragazza interessante, particolarmente bella e ne era rimasta colpita, succedeva, non era grave. Comunque non l’avrebbe più rivista, si sarebbe goduta le vacanze e poi sarebbe tornata al suo laboratorio e al suo lavoro. Non doveva preoccuparsene.

Nel tardo pomeriggio stava sorseggiando una tazza di thè mentre leggeva seduta accanto al caminetto quando una domestica l’avvisò che era arrivato l’albero.

Posò il libro e si diresse alla porta dove l’aspettava Kara, un sorriso luminoso sulle labbra non appena la vide.

“Hai un giardino bellissimo!” Affermò nel vederla e lei si ritrovò ad arrossire per l’ennesima volta.

“Non è merito mio, ci sono i giardinieri e mia madre fa sì che sia tutto perfetto qua al maniero malgrado ci veniamo solo per le vacanze.”

“Kara, siamo qui per consegnare l’abete, non per disturbare i clienti!” La redarguì la figlia della proprietaria del vivaio, Alex, se Lena ricordava bene.

“Non mi sta disturbando.” Assicurò e ricevette un’occhiata dalla ragazza, mentre Kara le sorrideva.

“Te l’ho detto, Alex.”

“Va bene, dove lo mettiamo?” Tagliò corto la donna.

“Nel salone.” Lena guardò Kara che sbirciava dentro il maniero in pietra non troppo convinta e corrugò la fronte. “Se va bene… voglio dire, se non va bene possiamo piantarlo nel giardino, sono sicura che i giardinieri possano trovare un posto adeguato a…”

“Andrà benissimo.” Assicurò Alex anticipando la risposta di Kara. “Kara, aiutami.” Esigette poi e con sorprendente facilità le due donne trasportarono all’interno l’abete ora avvolto in una rete e con un sacco che copriva le radici.

Mentre sistemavano l’abete in un grande vaso e lo liberavano con delicatezza, Lena le osservò lavorare, o meglio osservò Kara. La donna era silenziosa e concentrata, era chiara la cura e la delicatezza che dedicava ad ogni rametto, ma era altrettanto chiaro il suo disagio.

Alex le lanciava spesso degli sguardi, ma non le disse niente.

Quando finirono e uscirono di nuovo all’aria aperta Kara ispirò l’aria con particolare soddisfazione. Lena avvolta in uno scialle le seguì.

Alex le strinse la mano poi si allontanò verso il camioncino su quale giacevano altri abeti pronti alla consegna.

Kara invece esitò accanto a lei.

“Grazie, per avermi portato l’abete.” Le disse allora.

“Prenditi cura di lui, è un po’ spaventato nel non essere con le radici connesse agli altri, i vasi sono… non sono la stessa cosa.”

“Certo, immagino.” Disse, anche se non riusciva ad immaginare.

“Se ci fosse bisogno di qualcosa, puoi chiamare Eliza, lei sa come farmi arrivare un messaggio.”

“Oh, ehm... Non credo che ci sarà bisogno di…” Iniziò a dire cercando di ricordare le mille buone ragioni per evitare di rivedere la ragazza.

“Se qualche aghetto cambiasse colore o se tu sentissi che lui si sente un po’ giù.” Dichiarò Kara. “Oppure se hai voglia di vedermi.” Aggiunse con un ampio sorriso e Lena arrossì. “A me piacerebbe vederti ancora.”

“Anche a me piacerebbe.” Si morse la lingua, ma ormai lo aveva detto e il sorriso di Kara la ricompensò.

“Kara!” La chiamò la donna già al volante.

“Devo andare.”

“Già.” Lena si strinse nelle spalle. Kara fece un passo indietro e poi un altro, sempre guardandola, poi sorrise e si voltò, salendo sul mezzo.

Lena le osservò andare via, poi si portò una mano alla fronte. Era un caso perso.

“Sei un caso perso!” Le urlò Jack dalla finestra, lei si voltò e rientrò in casa seguita dalla risata del suo migliore amico.

 

Per decorare l’albero lei e Jack ci misero tutto il seguente pomeriggio, ma il risultato era eccezionale. L’albero decorato con l’argento, il bianco e il blu era elegante e moderno e brillava nell’antica sala come un gioiello. Persino sua madre, quando arrivò due giorni dopo non poté trovare nulla che non andasse e lo premiò di un cenno d’assenso.

Un’intera settimana passò, delle due che si era concessa o meglio che Jack l’aveva obbligata a concedersi e lei non aveva ancora chiamato Kara. Più volte si era ritrovata con il numero del vivaio Danvers digitato sul cellulare, ma poi aveva rinunciato, il buon senso che aveva la meglio.

“Miss Lena, c’è qualcuno per lei, ha detto che la aspetta in giardino.” La avvisò la domestica, facendo sollevare un sopracciglio a sua madre. Guardò Jack che leggeva il giornale con aria così indifferente da urlare colpevole ed esitò. Poteva solo essere una persona.

“Le dico che siete impegnata?” Domandò la domestica, abituata a servire i Luthor con efficienza e discrezione.

“No!” Questa volta Lillian posò il cucchiaino e la fissò decisamente inquisitoria. “No.” Corresse lei il tono. “La stavo aspettando.” Si alzò evitando lo sguardo interrogativo della madre e raggiunse l’armadio con i soprabiti, infilando la prima giacca che trovò e uscendo poi nella fredda mattina d’inverno.

Come sospettava, poco dietro i cespugli sempreverdi, nascosti dalla neve, vi era una chioma bionda e, quando lei si fece avanti, due occhi azzurri si fissarono su di lei, allegri.

Eliza mi ha detto che hanno chiamato per dire che dovevo venire immediatamente.”

“Mi dispiace, Jack si è preso la libertà di chiamarti, non volevo disturbarti!”

Il sorriso sul volto della ragazza divenne perplesso.

“Non hai chiamato tu?” Chiese, sorpresa.

Lena sbatté le palpebre, improvvisamente insicura su quello che voleva o doveva dire. Alla fine scelse la verità.

“No, ma sono felice tu sia qua.” Ed era così vero che persino il freddo invernale non riusciva a stemperare il calore che provò nell’ammettere quella verità.

Un ampio sorriso illuminò il viso della giovane.

“Bene, voglio farti vedere una cosa.” Le disse, poi le tese la mano.

“Adesso?” Chiese lei, sorpresa.

“Sì.” Affermò senza esitazione la donna e Lena si ritrovò di nuovo nell’incapacità di resistere. Strinse la mano della donna e si lasciò trascinare nel giardino, lo percorse per quasi tutta la sua lunghezza, poi si fermò ed indicò un punto lontano, oltre il giardino, ai bordi della foresta.

“Lì.” Disse indicando con il dito.

“La foresta?” Chiese Lena, perplessa.

“Sì.” Kara la guardò poi vedendo che non capiva aggiunse. “Lì è il posto perfetto per il tuo abete di Natale. Sarà felice perché potrà stare con i suoi fratelli, ma potrà anche tenere un occhio su di te.” Rise. “Non che gli alberi abbiano gli occhi, ma hai capito.”

“Credo si possa fare, sono tutti terreni dei Luthor.” Acconsentì, la mano della ragazza teneva ancora stretta la sua e Lena ne era piuttosto distratta, Kara mosse le dita in un’inconscia carezza e lei rabbrividì.

“Stai bene? Hai freddo?” Le chiese allora la giovane voltandosi verso di lei, preoccupata.

“Sto bene.” Arrossì un poco e affondò il viso nel collo nella giacca. “Hai già fatto colazione? Posso offriti un thè o del caffè?” Chiese ricordando la buona educazione e cercando di distrarsi e distrarre lo sguardo della giovane.

Funzionò, Kara lanciò uno sguardo alla casa di pietra appena visibile tra gli alberi.

“Non mi piacciono tanto le case.” Ammise. “La pietra è così sorda e lontana, certe mie sorelle più pazienti sanno apprezzare la sua compagnia, ma io preferisco la terra e, ovviamente, gli alberi.” Ancora una volta la donna la sconcertava. “Però mi piacciono molto i biscotti.”

Lena rise e Kara la guardò meravigliata.

“Mi piace quando ridi.” Dichiarò candidamente.

Lena sospirò, non sarebbe riuscita a respingere quella donna.

“Kara non sono sicura questa sia una buona idea.” Ammise, piano. La donna corrugò la fronte.

“Non ti piaccio?” Le chiese e lei si ritrovò a scuotere la testa.

“Oh no, questo non è affatto il problema.”

“Bene.” Dichiarò Kara. “Perché tu mi piaci. Vieni, ti faccio vedere un’altra cosa.”

Non le lasciò neanche il tempo di assimilare il loro dialogo che già la condusse di nuovo tra le siepi e gli alberi del giardino. “Eccoci qua.” Le indicò un anonimo cespuglietto verde. “Sai di cosa si tratta?”

“No…” Ammise lei.

“Ottimo, allora sarà una sorpresa. Torna qua tra…” Inclinò la testa. “Dieci giorni.” Lena esitò, tra dieci giorni sarebbe stata a Metropolis. Aprì la bocca e poi la richiuse, esitò ancora un istante, ma Kara aspettava una risposta e lei si ritrovò ad annuire. “Vedrai, ti piaceranno.” I suoi occhi brillavano come se quelle anonime foglioline nascondessero un segreto. “Sono speciali.” Aggiunse.

Si salutarono poco dopo, Lena aveva provato almeno altre due volte a dire a Kara che presto sarebbe andata via, ma ogni volta che aveva incontrato gli occhi chiari e pieni di vita della ragazza si era ritrovata incapace di dirlo.

“Dunque, chi era il tuo misterioso ospite?” Le chiese Lillian quando lei rientrò, mezzo congelata nella sala da pranzo.

“Nessuno… una ragazza.” La donna alzò gli occhi su di lei.

“Ma certo che si tratta di una ragazza.” Affermò. Jack ridacchiò e la donna fece ruotare gli occhi. “Non dimenticare il pranzo al museo di domani mattina.”

Lena annuì, l’impegno dei Luthor con il museo locale era sempre stato costante negli anni e il pranzo della Vigilia di Natale era stato obbligatorio ogni volta che erano venuti al maniero per le vacanze, fin da quando ricordava.

“Molto bene.” Lillian si alzò, poi guardò Jack. “Ora me ne vado, così potrai farti raccontare tutto.” L’uomo rise e la donna se ne andò con la solita elegante compostezza, ma lanciò a lei un sorriso indulgente.

Jack, come sua madre aveva indovinato, le fece il terzo grado, ma lei gli diede ben poca soddisfazione, l’uomo però sembrò completamente soddisfatto del rossore che colorava le sue guance e del sorriso che le sfuggiva ad ogni sua menzione di Kara.

 

Il museo era di modeste dimensioni, ma aveva una sua eleganza e a Lena era sempre piaciuto, mentre varcava le porte assieme alla madre e ad un nutrito gruppo di concittadini parte del comitato che gestiva il museo, ricordò con affetto le numerose volte che vi era stata con suo padre, suo fratello e persino Lillian.

“Grazie alla vostra generosità abbiamo potuto mettere mano agli archivi comunali e abbiamo recuperato documenti di interesse e valore assolutamente inaspettato. Alcuni antichi acquarelli, un dipinto ad olio e una ricerca di botanica sono stati trovati seppelliti tra vecchie cartelle delle tasse. Presto potremmo esporli nella nuova ala.” Stava spiegando la direttrice, con evidente orgoglio. “Desiderate ammirarli?” Chiese lei. “La nostra curatrice sarebbe onorata di mostrarveli.” Lillian le sorrise.

“Sono sicura che Lena ne sarà estasiata.” Assicurò e lei, come era abituata a fare, annuì e sorrise, liberando la madre dall’incombenza e facendosi guidare verso una sala chiusa al pubblico.

La curatrice del museo era la stessa ragazza che aveva visto durante il weekend nel vivaio e si presentò come Samantha Arias. Le aprì la porta, poi aprì un armadio, indossò dei guanti bianchi ed estrasse una serie di acquarelli. Lena ne rimase subito affascinata, vi era in essi un’energia che non riusciva ad identificare, ma che in qualche modo riconosceva. I soggetti erano tutti simili, si trattava del bosco, paesaggi pieni di fronde estive, invernali, autunnali. Ve ne era un ampio numero, ma la donna gliene mostrò solo alcuni.

“Sorprendenti, non credete?” Le chiese Sam, notando con soddisfazione la sua ammirazione. “Sono stati dipinti a inizio ‘800.” Spiegò. “Questo dipinto ad olio ha la stessa datazione.” Spiegò mentre srotolava il dipinto non ancora incorniciato. “Il soggetto è chiaramente mitologico, una driade o meglio una amadriade che si nasconde nel suo albero.” Lena sbatté le palpebre. Il mitologico essere sorpreso mentre si fondeva con un albero era quasi indistinto, solo il suo sguardo era chiaro, uno sguardo di un limpido e vivo azzurro. Il suo cuore accelerò e lei si sentì sciocca nel ricordare altri occhi dello stesso sorprendente colore. “Quello che è curioso è l’evanescenza del disegno, in quell’epoca non era una tecnica adoperata, i dipinti non erano mai, volutamente, sfocati.”

“Una ninfa dei boschi?” Chiese Lena.

“Sì, conoscete di sicuro la leggenda locale.”

“No… non credo di conoscerla.” Ammise. La curatrice sembrava sorvegliare ogni sua espressione e ora sorrise.

“Si narra che la foresta attorno alla città sia protetta da una amadriade, pochi possono dire di averla vista, ma se si è in seria difficoltà allora si può ottenere un inaspettato aiuto dalla creatura. Cacciatori, boscaioli ed escursionisti nei decenni hanno giurato di essere stati aiutati da qualcosa nel bosco. Persino mia moglie anni fa…” La donna sorrise e agitò la mano. “Leggende.” Disse, ma i suoi occhi brillavano come se conoscesse un segreto. “Questo quadro ci assicura che questi racconti sono antichi almeno quanto la fondazione della nostra città.”

Sam arrotolò il dipinto ed estrasse l’ultimo pezzo, un libro di botanica arricchito da precise illustrazioni la cui mano sembrava essere la stessa che aveva dipinto gli acquarelli. Non vi erano però titoli o dati e il nome dell’autore rimaneva un mistero, spiegò con rammarico la curatrice del museo. Lena lasciò che la donna le illustrasse i passaggi più interessanti, scritti in latino, la mente che si rifiutava di ammettere quello che per un istante aveva pensato: quel mattino nel bosco aveva forse visto l’amadriade della leggenda?

Quando qualche ora dopo lasciò il museo, il pensiero assurdo era stato relegato in un angolino della sua mente e lei non aveva intenzione di aprire di nuovo quella scatolina. Era una donna di scienza e non aveva intenzione di cadere vittima di una leggenda per bambini e persona spaventate o ferite.

Mentre lei e sua madre attraversavano la piazza del paese per raggiungere la macchina che le aspettava Lena si sentì chiamare per nome, alzò la testa stupita e ritrovò Kara che agitava la mano felice, sospesa su di una gru.

Lillian lanciò uno sguardo alla ragazza che stava facendo dei grandi gesti per poter scendere e poi a lei.

“Ti concedo 5 minuti.” Dichiarò e poi si allontanò verso la macchina. Nel mentre Kara era riuscita a scendere e la raggiunse raggiante.

“Hai visto? Mi lasciano decorare l’albero!” Le disse non appena la raggiunse. Lena annuì lanciando un’occhiata al grande albero che dominava il centro della piazza e che era vivido nella sua memoria fin da quando era bambina.

“Ricordo di essermi nascosta dietro al suo tronco una volta, mia madre era furiosa.”

“Anche lui si ricorda di te.” Assicurò la donna e lei le annuì, ormai iniziava ad abituarsi a quel genere di affermazione. “Questa sera, accendiamo le lucette che sto mettendo adesso, credi di poter venire? Sarebbe bello essere assieme quando le accendono.”

Lena sorrise a quell’invito. La franchezza della ragazza era stata sconvolgente all’inizio, ma ora era semplicemente riposante. Ben diversa da quello a cui era abituata.

“Mi piacerebbe, sì.”

“Ottimo! Vedrai, riuscirò a sistemarle come si deve, anche se Winn si agita e dice che le metto storte. Quando io seguo quello che mi dice lui!”

Indicò l’albero e non il ragazzo con il naso all’insù, ma Lena non ci fece caso.

“Sono sicura che sarà perfetto.” Mormorò e lo sguardo della giovane tornò su di lei. I suoi occhi brillarono mentre la guardava. Mio dio quanto era bella.

“Ora devo andare.” Ammise a malincuore.

“Ma ci vediamo stasera.” Sembrò rassicurarsi e rassicurarla Kara.

“Sì.”

“Bene.” Sorrise di nuovo, poi si tese in avanti e, rapida, le lasciò un bacio sulla guancia. “A stasera.” Disse, agitò la mano e tornò al suo albero.

Lena riuscì a riscuotersi prima che sua madre obbligasse l’autista a venirla a cercare.

 

La piazza era piena di persone, era la sera del 24 dicembre e l’accensione dell’albero era sempre un evento alla quale la cittadina partecipava numerosa. Lena, un paio di guanti e una calda giacca, si guardava attorno alla ricerca di Kara.

“Ecco lì la tua spasimante.” Mormorò Jack indicando un punto tra la folla. Lena seguì la sua indicazione e trovò Alex al braccio della curatrice del museo, Sam, accanto a loro una bambina saltellava felice. Poco dietro una donna più anziana stava parlando con Kara. Il suo cuore accelerò e Kara ruotò lo sguardo incrociando il suo. Il sorriso che comparve sulle sue labbra valse più di mille saluti.

Prima che potesse muoversi la ragazza stava già fendendo la folla per raggiungerla.

“Sei qua!” Le disse, chiaramente sovraeccitata, prendendole le mani e stringendole.

“Avevate un appuntamento, no?” Chiese Jack, ma la sua ironia andò sprecato, perché nessuna delle due ragazze gli prestò attenzione. “Ricevuto, evaporo.” Affermò, divertito, e si diresse verso il pub che dava sulla piazza e che prometteva calore e bevande alcoliche.

“Alex dice sempre a me e Ruby di non mangiare troppo zucchero, ma stasera era distratta e ho mangiato un sacco di caramelle. Te lo dico, così se mi trovi strana sai perché.”

“Sei sempre strana, Kara.”

“Oh…”

È un complimento, sei strana in un modo affasciante.” Lena arrossì.

“Allora va bene!” Affermò però Kara sorridendo. “Vieni, presto accenderanno le lucine.” Le prese la mano e la condusse in fondo alla piazza, dove vi erano meno persone e l’albero poteva osservarsi in tutta la sua altezza.

Iniziò il conto alla rovescia e il sorriso di Kara si ampliò mentre trepidante aspettava il momento atteso. Le luci si accesero, ma gli occhi di Lena non si separarono dal volto di lei. Ok, la sua non-cotta era diventata una cotta.

Kara ruotò lo sguardo e incontrò i suoi occhi. Il suo sorriso si addolcì poi le tese la mano.

Lena la prese, il cuore che batteva veloce. La donna sorrise ancora, felice, poi la portò via. Corsero per le vie della cittadina, ridendo, lanciandosi palle di neve, prendendosi per mano, lasciandosi andare per poi riprendersi ancora. Puoi furono nella foresta, Kara la guidò lungo un sentiero, poi verso una casa. Vi erano addobbi natalizia e davanti parcheggiata la macchina di un agente forestale.

La casa era tutta in legno e Kara tolse le scarpe ancora prima di aprire la porta, entrando poi a piedi nudi, attirandola dentro la porta, poi contro di sé. Per la prima volta da quando la conosceva Lena la vide esitare. Il suo cuore batteva veloce, poteva sentirlo nel petto della giovane correre assieme al suo.

“Va tutto bene.” Mormorò piano, poi si spinse in avanti e sfiorò le labbra della giovane. Quando si tirò indietro negli occhi di lei vi era una profonda emozione, Lena si ritrovò a sorridere. Poi le loro labbra furono di nuovo unite.

Si baciarono ancora, mentre Kara la conduceva verso una porta. Lena si separò dalla giovane quando a differenza di ritrovarsi in una camera, come aveva immaginato, si ritrovò in una serra chiaramente posta dietro la casa. La struttura era fatta interamente di vetro e per terra vi era del morbido terriccio.

Kara si separò da lei e la guardò timida.

È il mio posto speciale.” Ammise. “Qua mi sento al sicuro come quando sono nella foresta.” Lena guardò le piante rigogliose e verdi che crescevano un po’ ovunque, l’ambiente era umido, ma non in modo sgradevole e vi era un intenso profumo di terra ed erba.

Kara aspettava la sua reazione e Lena non la fece attendere, con delicatezza la attirò a sé, poi le sorrise.

È importante questo posto per te?”

“Sì.”

“E mi hai portato qua.”

“Sì, perché sei importante.” Lena si morse il labbro, il cuore che riprendeva a battere veloce. Kara sembrò cogliere quel cambiamento in lei, perché le si avvicinò. Un istante e si stavano di nuovo baciando.

Lena sfilò i guanti per poi infilare le mani sotto la maglia e la maglietta, sull’addome della donna che sussultò appena, ma non si separò da lei.

“Ho le mani fredde?” Le chiese Lena, ridendo.

“No, ma non mi capita spesso di essere toccata in quel modo.” Kara arrossì un poco nel dirlo e Lena le accarezzò con delicatezza i fianchi, un dubbio che sorgeva nella sua mente.

“Kara… hai già fatto… questo, vero?”

“Baciare? Certo, bacio persone tutti i giorni! Sempre, da anni!” Allo sguardo di Kara arrossì ancora di più.

“Tutti i giorni?” La chiese lei e Kara sgranò gli occhi poi li scosse.

“No!” Assicurò e Lena rise. La ragazza si rilassò e sorrise, mentre le baciava il naso.

“Non abbiamo bisogno di andare di fretta.” Mormorò lei, trattenendo il suo desiderio.

“Ok.”

Lena passò la mano sul viso della giovane poi la baciò delicatamente.

“C’è tempo…” Mormorò piano sulle labbra della giovane, ma una piccola parte di lei le ricordò che non c’era tempo. Il suo posto era a Metropolis e quello di Kara… non ci voleva un genio per capire che amava troppo la foresta per cedere e seguirla in un posto di cemento. Scosse la testa, andiamo! Era sola una cotta natalizia, niente di più, o forse persino di meno, di una cotta estiva.

“Lena?” La chiamò Kara e lei si rese conto di come si fosse irrigidita. “Va tutto bene.” Annuì alla giovane che la baciò dolcemente.

“Domani vorrei portarti in un posto, vorrei che tu sappia tutto di me.”

“Va bene.”

 

“Allora?” Jack, mezzo ubriaco la guardava sorridente.

“Allora cosa?”

“Il tuo rossetto è sparito, hai le guance particolarmente rosse e dal modo in cui sorridi non credo ci sia molto spazio ai dubbi. Quello che ti chiedo è… allora??”

“Smettila!” Lena rise, al suo tono allusivo.

È Natale da almeno due ore.” Disse guardando l’orologio. “Mi devi un regalo.” Insistette.

“Ci siamo baciate.” Ammise Lena e lui annuì soddisfatto. “Domani mi porta in un posto.”

“Oh, è così che si dice?” La prese in giro lui e lei gli lanciò un guanto per poi salire in macchina e rifiutarsi di rispondere ad altre sue domande.

 

Il mattino dopo era il giorno di Natale. Come da tradizione al maniero il mattino fu speso ad aprire i regali, poi ci fu il pranzo a cui riuscì a partecipare persino Lex, arrivato in elicottero.

Lena però era distratta, sapeva che nel primo pomeriggio Kara sarebbe arrivata e l’avrebbe portata da qualche parte. Le indicazioni erano solo abiti comodi e caldi e scarpe adatte a camminare. La cosa non era molto confortante, ma se Kara ci teneva Lena avrebbe ottemperato.

Aveva appena finito di cambiarsi quando sopraggiunse Kara. Lena non aveva idea di come si spostasse visto che non arrivava mai in macchina quando era da sola, ma era un dettaglio su cui non rifletté troppo a lungo visto che la ragazza la baciò con trasporto non appena la vide.

“Sei pronta?” Le chiese poi, era agitata e Lena si chiese cosa mai volesse mostrarle.

“Sì.” Assicurò e la donna si morse il labbro, la baciò, la guardò a lungo negli occhi poi annuì.

“Ok.” Disse.

“Ok.” Confermò divertita Lena.

Due ore dopo stavano ancora camminando nella foresta e Lena iniziò a chiedersi se fosse stata una buona idea.

“Kara…”

“Siamo quasi arrivate.” Assicurò la donna che sembrava più vivace e frizzante che mai. Era come se la camminata le desse energie, mentre lei stava morendo nel camminare tra la neve e gli alberi.

“Eccoci!” Disse finalmente Kara e Lena tirò un sospiro di sollievo, lasciandosi cadere a terra per poi guardarsi attorno. Non vi era nulla di speciale in quel posto, non ai suoi occhi almeno. Era una radura, come decine che avevano attraversato, al cui centro vi era un albero, un abete, che a giudicare dal tronco doveva essere molto vecchio.

“Devo dirti una cosa.” Affermò allora Kara, sedendosi di fronte a lei. “Io non sono… umana.”

Lena sorrise.

“L’ho notato, hai camminato per due ore senza nessuno sforzo.”

“No, Lena, sono seria.” Sorrise alla giovane chiedendosi dove volesse arrivare con quello scherzo. “Nella foresta.” Prese però a dire lei. “Mi hai visto nella foresta e io ho visto te.”

Lena si raddrizzò, il sorriso che scompariva dal suo volto.

“Cosa stai dicendo, non…”

“Mi hai visto, nel bosco, mentre proteggevo gli alberi dall’ascia del tuo amico.”

“No…”

“Sì, Lena.”

“E cosa saresti, l’amadriade della leggenda?” Rise, ma Kara non la imitò.

“Ogni tanto dò una mano a coloro che sono in difficoltà nella mia foresta. Non voglio che nessuno si faccia del male.”

“Se questo è uno scherzo allora è un pessimo scherzo.” Il suo tono si era fatto duro e Kara annuì seria.

“Sapevo che avresti detto così, per questo ho dovuto portarti qua.”

“Non c’è nulla qua!”

“Qua è dove sono nata.” Il tono di Kara era calmo, in risposta a quello sempre più agitato di Lena.

“Andiamo, non…”

“Molti secoli or sono, portata dall’uomo bianco, assieme ai suoi credi e a suoi miti.”

Lena rimase in silenzio, gli occhi di Kara erano seri, e dentro di lei Lena sentiva che le sue parole erano vere, ma si rifiutò di cedere.

“Non può essere vero.” Mormorò.

Kara sorrise dolcemente.

“Puoi darmi la tua mano?” Chiese e stava chiedendo molto di più che la mano che aveva stretto molte volte in quei giorni, stava chiedendo la sua fiducia e il suo permesso.

Lena esitò, ma poi cedette e strinse le sue dita. Kara chiuse gli occhi e la radura davanti a lei cambiò. Ora l’albero era attorniato da fiori ed erbe verde. Lena si alzò in piedi, seguendo la donna all’interno della radura, improvvisamente l’aria attorno a lei fu calda, il profumo inebriante e Kara appariva eterea, completamente nuda, i capelli biondi che vibravano di energia e gli occhi azzurri che vivi sembravano brillare come zaffiri.

Era bellissima e decisamente non umana. Il dipinto che aveva visto nel museo le appariva ora una perfetta rappresentazione e una parte di lei fu gelosa: chi aveva potuto dipingere Kara in quel modo?

Com… com’è possibile?” Chiese e Kara sorrise.

“Puoi vedermi?” Domandò a sua volta, una lacrima che scivolava lungo la sua guancia. “Vedermi per davvero?”

“Tu sei… sei…”

“Sì.” Acconsentì Kara. “E tu puoi vedermi. Sono passati tanti anni, così tanti… pensavo di aver perso la possibilità di averti ancora con me, poi quel giorno nella foresta… eri lei ed eri tu e i nostri occhi si sono incontrati di nuovo.”

“Kara, non capisco cosa stai dicendo.” Ammise. Kara rise e Lena si ritrovò a perdersi in quel suono. Si avvicinò alla giovane e passò una mano sulle sue guance, eliminando le lacrime. “Baciami.” Chiese, cercando di ancorarsi alla realtà. Kara si piegò su di lei e fu di nuovo solo Kara, poi la baciò con sereno abbandono, con il riso sulle labbra e la gioia nel cuore.

Attorno a loro vi era la primavera e Lena si ritrovò distesa tra i fiori, nell’erba profumata, mentre Kara la spogliava lentamente dei suoi abiti, baciando la sua pelle chiara con delicata attenzione, togliendole il respiro quando finalmente i loro corpi si ritrovarono nudi uno contro l’altro.

Lena si lasciò andare e Kara la amò con tutta la sincerità e la passione di cui era capace.

 

Lena la mano sotto al mento guardava fuori dalla finestra mentre grandi fiocchi di neve cadevano dal cielo.

Il ricordo di quello che aveva provato nella radura solo il giorno prima era impresso indelebile nel suo cuore, nella sua mente e sul suo corpo, eppure faticava ancora a crederci. Aveva fatto l’amore con un essere centenario e fatato nel centro di una radura magica nel giorno di Natale?

Andiamo… era assurdo anche solo formulare il pensiero nella propria mente, figurarsi quanto sarebbe apparso ridicolo dirlo ad alta voce.

“Lena?” Chiese sua madre e lei si voltò a guardare Lillian quasi sorpresa di vederla lì, tanto lontano era la sua mente. “Stai bene?” Sua madre non chiedeva mai una cosa simile, Lena doveva davvero apparirle strana.

“Sì.” Si riscosse. “Pensavo a… non importa.”

La donna annuì. Un’altra persona avrebbe indagato oltre, ma Lillian non era un’altra persona. Il loro rapporto era stato difficile e teso per moltissimi anni, ma Lena sapeva che la donna nel suo modo molto particolare le voleva bene.

“Sto bene.” Assicurò. “Stavo solo pensando se non fosse il caso di rimanere qualche giorno in più…” La donna annuì piano. “Magari ancora una settimana.”

“Magari.” Acconsentì la donna. Non le ricordò i suoi doveri e per questo Lena le fu grata, ma sapeva che stava solo ingannando se stessa. Si era allontanata dal lavoro per quindici giorni e già erano troppi, aveva progetti, meeting, personale, mille cose da gestire, mille attività di cui rispondere. Da lei e dal suo lavoro dipendevano centinaia di persone e centinaia di progetti. Avrebbe potuto rubare una settimana per se stessa, ma cosa sarebbe cambiato?

Era di nuovo persa nei suoi pensieri e non sentì Lillian uscire dalla stanza.

 

La sera incontrò di nuovo Kara. La ragazza incarnava la gioia, fece l’amore con lei sfidando persino il suo fastidio per il maniero in pietra. Dormendo poi nel suo letto, una calda forma di calore che riusciva a scaldarle il cuore con un solo sorriso. Avrebbe dovuto dirle che partiva, che avevano solo tre giorni, ma non ci riuscì e non ci riuscì neanche il giorno dopo o quello dopo ancora, poi fu troppo tardi.

“Kara.” Disse, alla ragazza che le stava baciando con particolare fervore il collo.

Mmm…” Mugugnò Kara, senza smettere.

“Kara, devo dirti una cosa.”

“Ti amo.” Affermò allora Kara, alzando il volto e guardandola, un ampio sorriso sulle labbra. “Lo so, avrei dovuto aspettare, Alex mi ha detto di aspettare, mi ha detto di stare con i piedi per terra, eccetera, eccetera, ma io lo so, l’ho capito dal momento in cui ho incontrato i tuoi occhi.”

Il cuore di Lena aveva perso diversi colpi, ma ora stava sprofondando.

“Tra poche ore me ne vado. Torno a casa. A Metropolis.”

Kara la guardò per un lungo istante, poi annuì piano.

“Va bene… è giusto, è la tua vita, io…”

“Kara. Questo, noi… non posso, non possiamo stare assieme e vederci quelle due volte all’anno che potrò rubare per venire qua.”

Kara ora la guardava seria, quasi immobile nella luce del mattino.

“Posso venire con te.” Affermò con una serietà poco consona al suo carattere.

“No, tu appartieni a questo posto.”

“Posso, se tu lo vorrai io posso.”

“Vuoi vivere in un vaso? Vuoi rimanere prigioniera in una serra? Vuoi che costruisca per te un terrario?” Il suo tono era amaro, quasi arrabbiato. Kara si allontanò da lei.

“Perché sei arrabbiata con me?” Chiese.

“Perché!” Esclamò lei. Sì, aveva ragione, per qualche ragione ora era furiosa. Si alzò in piedi. “Non c’è futuro per noi. Non vi era un futuro quando credevo fossi solo una ragazza speciale, figurati ora che so che sei un essere immortale! Non ci sono possibilità. Questo è tutto.”

“No.” Kara la seguì, alzandosi anche lei. “Ho fatto questo errore una volta, non lo farò di nuovo.”

“Non so di cosa tu stia parlando.” Le rispose lei, senza quasi ascoltarla.

“Dimmi che non mi ami.” Le chiese però Kara, svuotandole la mente e accelerando il suo cuore. “Dimmi che non mi ami.” Chiese con severa fermezza. “Dimmi che non provi ciò che provo io.”

“Mi conosci appena, siamo appena più che… sono quanti giorni?”

“So tutto di te.”

“Non è vero.”

“So che ti amo, so che ti amerò per sempre, perché è già stato così e nessuno, mai, è riuscito…”

“La tua prova è che posso vedere cosa sei? A quanti ti sei mostrata? La leggenda esiste, no? Forse ti sbagli, forse…”

“Dimmi che non mi ami!”

“Non ti amo!” Urlò e Kara fece un passo indietro quasi come se lei l’avesse colpita fisicamente.

La giovane non disse niente, invece recuperò i suoi abiti e uscì dalla stanza, lasciandola sola.

Pochi istanti e piangeva. Sciocca, era stata così sciocca.

Fuori la neve cadeva, mentre il mattino lento cercava di farsi strada nel bianco mondo innevato.

 

Avrebbe festeggiato il capodanno a Metropolis, come da programma, Lillian e Jack, accanto a lei, chiacchieravano lanciandole solo qualche sguardo e dandole lo spazio di cui chiaramente aveva bisogno. Mentre attraversava la cittadina in macchina Lena lasciò la mente vagare cercando di concentrarsi su quello che avrebbe trovato a casa e non su quello che stava lasciando. All’improvviso la macchina si fermò. Lillian chiese cosa stesse succedendo, ma prima che l’autista potesse rispondere la portiera dal lato di Lena si spalancò e un’Alex furente la fissò.

“Va tutto bene.” Dichiarò lei all’autista che aveva già impugnato l’arma, poi uscì dall’auto e chiuse la porta alle sue spalle. “Qualsiasi cosa tu voglia dirmi: non sono affari tuoi.”

“Oh, lo sono eccome! Sono io che mi sono ritrovata con una driade in lacrime davanti alla porta! Sai cosa significa?”

“Amadriade.” La corresse lei, fingendo indifferenza, mentre il suo cuore si stringeva all’idea di una Kara piangente.

“Non fare la saputella con me! Kara ti ama! E quella sciocca ragazza dal cuore d’oro non ama a metà! Quando si dona è con tutta se stessa! Era pronta a…”

 “A rinunciare a quello che è? A cedere la sua natura per… me? Per una cotta di qualche giorno?”

Alex la fissò come se fosse completamente pazza.

“Rinunciare?” Le domandò. “All’immortalità?” Questa volta bisbigliò la parola, ma la sua furia non ne risultò sopita. “Non capisci? Non era una rinuncia, era una liberazione! Ha finalmente ritrovato la donna che cerca da secoli! L’amore della sua vita a portata di mano, con te potrebbe andare anche sulla Luna, su Marte e non sarebbe una rinuncia! Sarebbe un’avventura, una nuova vita!”

“Diventare mortale per…”

“Morire accanto alla donna che ama! Sì, sì! Tonta di una Luthor, il desiderio di ogni mortale e anche di questa particolare immortale. E tu stupida le spezzi il cuore solo perché credi, perché pensi di sapere cosa è giusto e bene non solo per te, ma anche per lei.”

“La conosco appena, come…”

“La conosci da ben prima di questo Natale!” Alex scosse la testa. “Mi dicevano che eri un genio, ormai ne dubito fortemente. Oddio, che cosa stai per farmi dire…” Scosse la testa ancora, le mani suoi fianchi, poi alzò la testa e puntò il dito contro. “Cosa ti dice quel dannato piccolo cuore che ti ritrovi nel petto?” Lena strinse le labbra. Il suo cuore non era affidabile in quella faccenda. “Molto bene, allora credi al tuo cervello. Vai al museo e chiedi a Sam di dirti cosa contiene il libro. Cosa non ti ha mostrato l’altro giorno.”

La donna la guardò per un lungo istante, poi si voltò e tornò in macchina, andando via. Lena risalì sulla sua auto e si sedette accanto a sua madre.

Doveva andarsene via di lì, al più presto. Eppure l’auto non si muoveva.

“Cosa stiamo aspettando?” Chiese ruotando lo sguardo su Lillian e Jack.

“Che tu vada al museo. Mi sembra ovvio.” Le disse la donna, sistemandosi meglio sul sedile dell’auto. “Ti concedo… 10 minuti.” Aggiunse poi e Jack la guardò annuendo, un sorriso sulle labbra.

Un istante dopo Lena stava correndo attraverso la piazza e poi dentro il museo.

“Devo…” Disse, ansando leggermente dopo la corsa.

“Vedere il libro. Sì. Ho sentito mia moglie urlare fin da qua.” Affermò Sam, un sorriso compassionevole sulle labbra. “Vieni.” Aggiunse e la condusse alla stanza in cui erano custoditi gli acquarelli, il dipinto e il libro. Sam le consegnò un paio di guanti, poi le chiese di trattare con cura il reperto e la lasciò sola. Sulla porta si voltò e le disse semplicemente di andare sulla lettera H.

Lena rimasta sola guardò il libro con un misto di paura e desiderio. Cosa poteva mai cambiare un testo di più di duecento anni prima? Che tipo di epifania si aspettavano da lei?

Lentamente sfogliò le pagine, gli acquarelli erano davvero belli, l’artista, chiunque fosse, era stato molto abile ed era stato un attento osservatore oltre che un capace esecutore. Mentre sfogliava si ritrovò alle erbe e piante sotto la lettera H. Erano solo cinque. L’ortensia, una pianta esotica, l’elleboro, l’ibisco… Lena si fermò e tornò indietro. L’elleboro.

Il disegno che lo rappresentava era preciso come gli altri e lei lo riconobbe, era la pianta che Kara le aveva chiesto di osservare, che le aveva indicato come speciale.

La scrittura era minuta, ma per qualche ragione era estremamente leggibile agli occhi di Lena, come se fosse la sua. Era un poco arrugginita con il latino, ma non così tanto da non capire cosa vi era scritto.

 

L’elleboro è noto anche come rosa di Natale o d’inverno

riesce a fiorire tra la neve in pieno dicembre,

per questo è simbolo di coraggio, forza e speranza.

Emblema del mio amore per lei che mai verrà meno.

 

Il suo cuore prese a battere veloce, mentre quella promessa risuonava dentro di lei, facendo eco al suo stesso sentimento. Posò il libro e afferrò gli acquarelli, Sam gliene aveva mostrati solo alcuni, ma erano molti di più. Li sfogliò con trepidazione, perché per qualche assurda ragione sapeva che tra di essi vi era la risposta… ed eccola. Lasciò cadere i fogli mentre i suoi occhi si specchiava nel volto di una donna, diversa da lei eppure così simile da togliere il respiro. L’autore, Kara, ormai era chiaro, aveva disegnato la donna che amava e la donna che amava due secoli dopo si stava guardando in quello stesso disegno.

Lena si portò la mano alla bocca incredula.

Era lei.

Erano i suoi occhi.

 

Quando uscì dalla stanza erano passati ben più di dieci minuti. Sam la guardò.

“Tua madre ha lasciato qua le tue valigie e mi ha chiesto di riferirti che il mondo può aspettare qualche giorno, persino per Lena Luthor.”

Le annuì, era ancora troppo sconvolta per parlare.

“Lena…” Le disse allora la ragazza con voce dolce. “Lo so che quello che hai scoperto è sconvolgente, ma Kara sta andando via.”

Quello la riscosse.

“Via?” Chiese.

“Sta andando alla sua radura, potrebbe non tornare per anni, forse per sempre.”

“No…” Si rifiutò di crede lei.

“Lena, ascoltami attentamente. Io non sono Alex, non ti spingerò a fare qualcosa che non vuoi o di cui non sei convinta. Se non sei pronta ad amare Kara nel modo totalizzante in cui lei ama te allora lasciala andare. Ha diritto al suo riposo, ha diritto all’oblio.”

Lena scosse la testa incapace di pensare, Sam sospirò, poi la lasciò andare via senza aggiungere altro.

Attraversò la strada e si fermò davanti al grande albero addobbato al centro della piazza.

“Oh, al diavolo!”

Lasciò cadere la valigia e si avvicinò al tronco, poi chiuse gli occhi e respirò profondamente. Solo la brezza tra le fronde, solo il profumo della resina, solo la possente e antica presenza davanti a lei.

E vide: secoli di vita, un solo istante, due donne che si guardavano, senza toccarsi, all’ora, ma con le mani intrecciate adesso, un istante prima. Annaspò mentre l’albero la lasciava andare, la mente confusa mentre il cuore le batteva veloce nel petto.

Quando poté camminare di nuovo stava correndo. Arrivò da Alex con il fiatone e bussò alla porta con violenza.

“Lena?” Chiese una voce alle sue spalle ed era una donna di una certa età, la stessa donna che aveva visto parlare con Kara la vigilia di Natale. Eliza Danvers.

“Devo trovare Kara.” Le disse tutto d’un fiato.

“Va bene.” Rispose semplicemente lei. Poi afferrò le chiavi di un pick-up e le fece cenno di salire. Guidò per almeno mezz’ora su una strada asfaltata, poi svoltò in un sentiero sterrato che si fece sempre più stretto e impervio. Alla fine si fermò.

“Non posso andare oltre. Lei ti ha portato al suo albero, dovresti saperci arrivare di nuovo… se lei ti vuole lì. Altrimenti potresti girare a vuoto per anni senza arrivarci mai.”

“Va bene.” La sua tensione doveva essere palese perché la donna le sorrise con dolcezza.

“La troverai.” La rassicurò. “Ora vai.”

Lena scese e iniziò a camminare. Il paesaggio le appariva famigliare, ma non era mai stata brava nell’escursionismo.

Camminò fino a quando il sole non iniziò a tramontare e infine lo vide, l’abete al centro della radura. Sopraffatta dal sollievo si lanciò verso di esso e si inginocchiò ai suoi piedi. Ma le sue ginocchia affondarono nella neve, non vi era nessuna magia in atto in quel luogo, era… silente, si rese conto con un sussulto. Kara era forse già addormentata?

“Kara…” Chiamò piano, ma la ragazza non si mostrò a lei. Lena pianse fino a quando il buio tra le fronde era oramai quasi totale. L’aveva persa, era stata così stupida e per questo l’aveva persa.

“Kara!” Urlò alla notte. “Maledizione Kara! Ti amo, va bene? Ti amo! E non so se è vero che ti ho amato in un’altra vita, non so neanche se esistono altre vite, ma so che ti amo ora e adesso! Ti prego esci da questo dannato albero o vado a prendere un’ascia!”

“Lena?” La voce giunse dalle sue spalle e Lena si alzò sorpresa.

“Kara?” Disse cercando di vedere la giovane nel fitto buio della notte.

“Non è gentile minacciare in quel modo il mio abete.”

Lena sbatté le palpebre, senza capire.

“Sei qua?” Le chiese.

“In realtà sono andata all’aeroporto e poi a casa tua, ma non c’eri. Eliza alla fine mi ha detto che ti aveva accompagnata fino a qua.”

“Perché non sei…” Le indicò l’albero, confusa.

“Ecco… volevo solo dormire dopo quello che mi hai detto.” Ammise la donna. “Volevo dimenticare e quando sono nell’albero, beh… è strano, buio, a volte freddo, ma posso dormire e dimenticare.”

“Ma…”

“Ero qua, pronta, quando ho ricordato il modo in cui ridi. Mi piace il modo in cui ridi e… non volevo dimenticarlo e poi la tua pelle, i tuoi capelli e… e il tuo respiro, l tuo sapore, il modo in cui la tua voce cambia quando…” Lena arrossì e alzò le mani intimandole di fermarsi. Kara arrossì a sua volta. “Non volevo dimenticarti.” Sintetizzò.

“Quindi non sei entrata nell’albero.”

“No, ho fatto quello che avrei dovuto fare due secoli fa. Ho rinunciato alla mia immortalità.”

“Hai… hai rinunciato per me?”

“No.” Kara scosse la testa. “No, ho pensato e ripensato e… l’ho fatto per me. Voglio una vita diversa, voglio vedere l’oceano, gli albero mi parlano dell’oceano, ma non l’ho mai visto, voglio vedere una grande città e volare, mi piacerebbe volare.”

Lena la fissò senza parole, poi sorrise e poco dopo rideva di cuore altre lacrime che scendevano lungo le sue guance.

Kara dapprima la guardò perplessa, poi sorrise lasciandosi contagiare dalla sua improvvisa ilarità.

“Ti amo.” Le disse, tra i singhiozzi Lena. “E se mai vorrai di me nella tua vita sono tua.”

Sul viso della giovane si aprì un ampio sorriso.

“Mi sembrava di averti sentito mentre lo urlavi a quel povero abete.”

“Sì?” Le chiese lei. Ora erano vicine, sopra le loro teste le stelle brillavano, riflettendosi sulla bianca neve.

“Prima però vorrò vedere un sacco di cose…” L’avvisò.

“Oh, lo immagino.” Lena sorrise, mentre le loro labbra si avvicinavano. Poi il suo sguardo si fece serio. “Potrai amare una semplice e sciocca umana?” Chiese.

“Potrò amare te, in ogni mia vita, con ogni mio respiro.” Assicurò Kara e poi la baciò.

 

Nel giardino dei Luthor un bocciolo di rosa d’inverno scelse quel momento per sbocciare.

 

  
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