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Autore: _Polx_    10/12/2020    2 recensioni
In battaglia si sparge sangue e sudore. In battaglia si troncano vite, tanto quanto se ne salvano, anche a prezzo della propria. E talvolta, può accadere che in seguito a un evento tanto crudele, due anime, ferite nel corpo e nello spirito, riescano a riavvicinarsi.
Genere: Drammatico, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Appena lei accennò a voltarsi per andare, Rester prese saldamente la sua mano e la fermò: “resta” le disse soltanto.
Lei sospirò. Lo guardò con rammarico, tristezza e compassione: “perché mi vuoi qui?”.
Lui non rispose. Probabilmente non sapeva che risponderle.
Soraia azzardò un sorriso garbato, seppur screziato da un’ombra di furbizia: “da molto sono in collera con te e ora se possibile lo sono ancor di più, poiché hai rischiato di perdere la vita salvando la mia e tale è un peso di cui la mia coscienza non desidera gravarsi”.
“Avevo un debito nei tuoi confronti e questo era il massimo che io potessi fare per ripagarlo”.
“L’hai più che ripagato”.
“Pure, io sento … vedo nei tuoi occhi che ancora non ho scalfito la barriera che è tra noi. Che ancora non ho il tuo perdono”.
 Di nuovo Soraia sospirò, stavolta più gravemente, quasi le causasse dolore: “parte di me te lo ha concesso, Rester, senza scotto e senza indugio, ma parte di me non riesce a dimenticare ciò che è stato, sebbene io stessa lo desideri con tutto il cuore. E molto, al di là di quella porta, me lo impedisce a sua volta. Ciò che è fatto è fatto: nulla lo cancellerà o permetterà ad altri di obliarne il ricordo. Ciò che sono diventata agli occhi di molti non passerà. E io questo …” strinse le labbra, scuotendo appena il capo “io questo non riesco a perdonarlo. Mai vi riuscirò. Mai lo farò”.
Un macigno calò sul petto di lui, più penoso della ferita di lancia ancora aperta nella sua carne. Tuttavia comprese – questo lui si disse – poiché Soraia era nel giusto e sempre lo era stata. Né mai lui avrebbe dovuto ambire a possederla, non nel corpo, bensì nel cuore: folle era stato il pensiero, ancor prima di averla tradita, di averla offesa e umiliata. Ora lei gli era accanto, bella come una dama dei tempi antichi, indomita come i draghi che un tempo servivano la sua casata, ferita come una fiera che, pur sanguinante, artiglia e morde e non perisce.
In quell’istante gli occhi di Rester si fecero grevi, ma lui non permise a Soraia di vederlo. Abbassò lo sguardo, la sua mano allentò la presa su quella di lei e il sospiro che sibilò tra i suoi denti lasciò intendere che più non desiderasse insistere.
“Giuro che  mai altro male ti sarà arrecato a causa mia e spero che un giorno tu possa obliare quello che a causa mia già hai patito”.
Vedendolo cedere al silenzio, Soraia pensò che fosse tempo di andare, ma appena tentò di liberare la propria mano dalla stretta di lui, questa si rinsaldò e Rester non le permise di dipartirsi.
“Che sia un addio, se desideri, ma questo io voglio che tu sappia” disse e la sua voce assunse un tono di inquieta solennità, come se con tutto sé stesso bramasse di confidarle quel suo taciuto pensiero ma, al contempo, ciò gli costasse grande fatica e forza d’animo “non mi occorre il tuo perdono per provare gioia poiché tu sei salva e da me sei venuta nonostante l’acredine che io stesso ho causato tra noi. E mille volte ancora metterei a repentaglio la mia vita per la tua, fino a perderla, perché ti amo, come mai ho amato e come mai amerò, e non v’è vergogna, rancore o stoltezza che possa cambiare questo” prese un profondo respiro e finalmente i suoi occhi si alzarono fino a trovare quelli di lei “né mai potrò smettere di amarti, dovessi trascorre altri duecento anni di solitudine su questa terra”.
Provò dolore, scorgendo lo sguardo di Soraia tanto fiero e impassibile, e vi fu un lungo silenzio prima che lei si persuadesse a parlare. In principio Rester ne ebbe timore, poiché la sua voce era ferma e grave e pareva esservi tanta collera quanto spregio a inasprire le sue parole: “sei uno stolto, o avresti ormai compreso che tutto l’amore che dichiari di provare per me, io provo per te”.
“Dunque resta!” con tale impeto da tendere i punti delle proprie ferite lui si sollevò a sedere nel proprio letto e non badò al dolore bruciante, né alla vista che per un solo istante gli si oscurò del tutto, né alla fitta che trafisse le sue tempie “resta con me, oggi e ogni altro giorno a venire, finché ne verranno”.
Con tale forza ormai Rester stringeva la mano di Soraia da privarla d’ogni sensibilità, ma lei non se ne indispettì. Per la prima volta mostrò incertezza. Chinò il capo e dopo lungo ponderare – o così a lui parve – gli sedette accanto: “se v’è sincerità nelle tue parole, io resterò” disse e se Rester non s’abbandonò alla più fragorosa delle risate di gioia, fu solo perché tale era il suo sbigottimento da ammutolirlo.
La fissò per molti istanti, smarrito, forse temendo di star sognando e nulla più. Pure, lei ancora sedeva al suo fianco, ricambiando il suo sguardo, attendendo. Cosa attendesse Rester non sapeva dire e parte di lui non osava rompere il silenzio, poiché temeva ciò che ne sarebbe seguito. Parte di lui, però, la desiderava, come uno stelo d’erba desidera il sole, e infine, pur ancora attanagliato dall’incertezza, prese il viso di lei tra le proprie mani e la baciò, con nerbo e vigore.
Tuttavia, sapeva che non gli sarebbe bastato. Non dopo tanti mesi di affanno, tormentato dalla paura sempre più concreta di averla perduta. La sua stretta si fece ancor più risoluta, le sue mani vagarono indiscrete, ma quando comprese di non essere padrone del proprio desiderio, di osare più di quanto non fosse assennato, più di quanto non fosse in suo diritto, si fermò, poiché non voleva abusare del perdono di Soraia. Non voleva allontanarla da sé ancora una volta.
Perciò così rimase, impietrito, e non seppe comprendere lo sguardo di lei, poiché pareva altrettanto terrificato, preda di sentimenti discordanti, bramosi quanto lo erano i suoi, ma pregni di dubbio e timore.
Lei si oppose, come lui aveva paventato. Pure, le obiezioni che gli rivolse non furono quelle che si aspettava: “Rester, fermati. Le tue ferite …”.
“Non mi interessa” e se tale era il solo cruccio a causarle titubazione, dunque lui più non si sarebbe contenuto. Né lei si sottrasse, nonostante il sospetto, nonostante la sfiducia che ancora bisbigliava in ogni suo pensiero, poiché così aveva scelto. Se ancora una volta lui si fosse dimostrato indegno della sua benevolenza, dunque Soraia avrebbe ottenuto riprova della propria ingenuità e nessun’altro avrebbe accusato se non sé stessa.
Quando infine il dolore divenne tale da non poter più essere lenito dall’appagamento e dall’ebbrezza, Rester cedette alla fatica e maledì sé stesso, poiché era certo che subito Soraia si sarebbe rassettata e, probabilmente risentita della propria volubilità come lui ora si risentiva della propria debolezza, se ne sarebbe andata di gran fretta.
Non lo interessava d’essere rimasto con lei fino al calare del sole, né gli bastava pensare d’aver ricevuto molto più di quanto mai avrebbe sperato, poiché v’era in lui l’idea, rovente e penosa, che Soraia si pentisse dell’azzardo compiuto, biasimasse sé stessa per essersi concessa a lui e, lasciata la sua stanza, si sforzasse di obliare tutto ciò ch’era stato confessato tra loro quella sera.
In verità, lei indugiò al suo fianco, stesa in silenzio tra le coltri finché l’affanno non abbandonò entrambi e la penombra non calò su di loro, ma Rester non ne provò ristoro né sollievo, poiché tali pensieri continuavano ad arrovellare la sua mente.
Quando lei si persuase ad alzarsi, lui ebbe riprova dei propri timori: Soraia null’altro aveva atteso che le ombre della notte, così da poter passare inosservata tra i freddi corridoi della casa di cura, tornando alla propria dimora senza rischio d’essere vista o fermata. Altro non v’era a trattenerla.
L’avrebbe lasciata andare, questo si disse Rester: se Soraia aveva riposto in lui abbastanza fiducia da perdonarlo, fosse anche solo in misera parte, dunque lui doveva avere fiducia in lei e credere alla sua promessa.
Pure, non appena lei si mise a sedere e gli diede le spalle, il suo proposito vacillò e, rimproverandosi già da sé, la trattenne ancora una volta: “non andare. Non è che appena scesa la notte. Nessuno ci disturberà. Nessuno saprà che sei qui”.
Soraia lo guardò furbescamente: “non sei forse soddisfatto, Rester? Dovresti dare tregua al tuo corpo”.
“Resta solo con me un altro po’. È tutto ciò che ti chiedo”.
Lei titubò, inviò un’occhiata incerta alla porta e di nuovo a lui: “resterò un altro po’” gli concesse e di nuovo si coricò sotto le coperte, ma stavolta gli si fece più vicina, accoccolandosi accanto a lui per scacciare il freddo delle ore buie.
Rester attese, immobile, poiché faticava a capacitarsi di quanto facilmente l’avesse persuasa. Poi la strinse a sé e così rimase, il fianco pulsante, la spalla in fiamme, ma l’animo felice e il cuore leggero.
Sebbene Soraia avesse previsto di restare per poco tempo ancora, presto entrambi si assopirono e infine dormirono profondamente, perché i loro sogni erano stati molti e agitati dal giorno della battaglia, per diverse notti non avevano dormito serenamente e la vicinanza reciproca pareva aver concesso loro un po’ di pace.
Quando lei si destò il mattino seguente, intravide la luce fioca dell’alba far capolino dalle finestre: presto sarebbe giunta la ronda mattutina e lei d’un tratto s’avvide di essere ancora nuda nel letto di lui.
Con cautela si voltò, cercando di sbrogliarsi dalla presa di Rester, poiché le sue braccia la cingevano salde come rami d’olmo e, non appena lui ebbe sentore nel dormiveglia delle sue intenzioni, le serrò ancor di più: “dove vai?” mugugnò con voce impastata.
“Dove pensi che vada? Via da qui”.
“No” vi si oppose “resta” le chiese ancora una volta, ma era indubbiamente preda degli ultimi fumi del sonno, con ben poca lucidità a guidare i suoi pensieri.
Lei ridacchiò: “non posso restare: che direbbero se mi trovassero così? Credi forse che mi gioverebbe gettare altre maldicenze su quelle che già mi assillano?”.
Quelle parole parvero riscuoterlo e non nel migliore dei modi. La presa delle sue braccia si ingentilì e Soraia poté mettersi a sedere.
La mano di Rester indugiò sul suo ventre, dove ancora una fascia avvolgeva la ferita: “hai sanguinato” le disse.
“Tu ben più di me” gli fece notare, indicando l’ingombrante chiazza vermiglia sulla medicazione alla spalla e quella meno estesa ma più densa al fianco sinistro “evitarlo sarebbe stato quanto mai improbabile” e di nuovo cercò d’allontanare il suo tocco, poiché ciò che più le premeva era rassettarsi alla svelta e dileguarsi prima di causare sospetti. Tuttavia, lo sguardo di Rester si puntò su di lei con tale insistenza che, quasi senza avvedersene, di nuovo si fermò: lui nulla più faceva che scrutarla fissamente in volto, ma poiché faticava a comprenderne i propositi Soraia se ne scoprì un poco smarrita.
“Che c’è?” gli chiese soltanto.
La mano di Rester abbandonò la ferita e si posò sul suo viso, carezzandolo come fosse seta pregiata: “quanto sono felice di averti qui … tu non puoi nemmeno immaginarlo”.
“Pure, ora devo andare” gli sorrise, un poco divertita, un poco esasperata dalla fretta. Gli concesse di salutarla con un solo breve bacio prima di balzare in piedi nonostante il bruciore dei punti al ventre e si rivestì trotterellando fino alla porta. Tale era la sua urgenza che se ne andò mentre ancora cercava d’infilarsi una scarpa.
  
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