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Autore: meiousetsuna    10/12/2020    7 recensioni
Questa storia è candidata agli Oscar della Penna 2022 indetti sul forum Ferisce più la penna
Il giorno di Natale per alcuni è una grande festa, piena di felicità - quella a comando delle pubblicità, o reale, nel calore delle loro famiglie. Ma per altri è un giorno normale, anzi, pieno di incomprensibili doveri e seccature, specialmente se hai diciassette anni, sei dedito alla droga, e non sai come rapportarti con le pretese altrui.
Dal testo: L'aveva minacciato. E quella volta non c'era stata nessuna risposta sprezzante o provocatoria, nessun sorrisetto da schiaffi. Alla frase: "Penso che non mi resti che farti ricoverare in un'ottima struttura molto riservata, tra sei mesi sarai in grado di riprendere la tua vita" Sherlock si era completamente gelato. L'aveva fissato sbalordito come quando era bambino, e non era una recita. Era perso,terrorizzato. Sapeva che il giovane politico disponeva dei mezzi necessari e non si faceva scrupolo a usarli. Aveva piantato su di lui quegli occhi appannati dagli stupefacenti - o da un pianto a malapena trattenuto? - con uno sguardo che era come una rete da pesca con la quale si spera di trascinare qualcosa verso di sè.
Auguri,
vostra Setsy
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Scritta per il contest: É Natale, Sherlock, di Nemesis_

Neve sottile
Mycroft teen!Sherlock
brotherhood

tematiche delicate: uso di stupefacenti

Oxidone.
Eroina.
Cocaina.
La lista.
Almeno per quello, suo fratello la parola era in grado di mantenerla. Mycroft piegò il foglietto macchiato in un angolo da qualcosa che non voleva neppure sapere bene cosa fosse.
Vomito, sangue, disinfettante. Come se potesse seriamente decidere di non dedurre delle informazioni che un qualsiasi bobby avrebbe capito in un paio di secondi. L'appartamento era gelido oltre che lurido, e il materasso sul quale si agitava una sagoma tremante non era neppure più degno di quel nome. Se possibile si trovava in uno stato ancora peggiore del resto, come una grossa spugna che galleggia nell'acqua sporca e ne assorbe e filtra tutte le impurità. C'era un deciso tanfo di urina oltre a incrostazioni di sangue e sperma; vedere i morbidi capelli scuri di Sherlock, il suo fisico delicato, il volto sempre più sottile abbandonati e quasi fusi con quel ricettacolo di umana degradazione gli stringeva il cuore. Perché no, poteva ammetterlo nella propria testa; l'importante era convincere il resto del mondo che non ne avesse uno. Troppo pericoloso, un'informazione del genere era un rischio per sua carriera ancora all'inizio ma già così brillante. Senza fare una piega il ragazzo si sedette sul pavimento come se fosse a un tè con la Regina, badando di non scoprire troppo i calzini a causa della posizione poco ortodossa. Ci avrebbe pensato dopo al costo del completo che stava rovinando, a quanto fosse ingiusto passare tutti i momenti liberi — e parecchi di quelli che sarebbero stati occupati dal bene del Paese — a stanare il suo fratellino ribelle da nascondigli dei quali aveva segnato le posizioni precise su una mappa, a controllare che non si fosse ucciso per un errore di valutazione, per una dose tagliata con un veleno; appositamente. Aveva provato di tutto.
L'aveva pregato.
Cosa dovrei rispondere a questo?
L'aveva punito.
Il violino me lo restituisci di tua volontà o devo venire a prenderlo al Diogenes? Mentre sono fatto, ovviamente
L'aveva blandito.
So di essere intelligente, è che mi va di farlo
L'aveva minacciato. E quella volta non c'era stata nessuna risposta sprezzante o provocatoria, nessun sorrisetto da schiaffi. Alla frase: "Penso che non mi resti che farti ricoverare in un'ottima struttura molto riservata, tra sei mesi sarai in grado di riprendere la tua vita" Sherlock si era completamente gelato. L'aveva fissato sbalordito come quando era bambino, e non era una recita. Era perso, terrorizzato. Sapeva che il giovane politico disponeva dei mezzi necessari e non si faceva scrupolo a usarli. Aveva piantato su di lui quegli occhi appannati dagli stupefacenti — o da un pianto a malapena trattenuto? — con uno sguardo che era come una rete da pesca con la quale si spera di trascinare qualcosa verso di sé.
No, non era un'idea realizzabile. Sherlock sarebbe impazzito, si sarebbe fatto del male comunque. E se fosse riuscito a scappare... un brivido attraversò Mycroft dalla testa ai piedi. Non poteva sobbarcarsi quella responsabilità due volte. Non c'era paragone tra una prigione di massima sicurezza e un ospedale, però era impossibile non sovrapporre i pensieri. No, Sherlock era segnato, fragile e complicato, ma non era folle, né mai lo sarebbe diventato per colpa sua. Lui era il maggiore e doveva trovare una soluzione.
La lista.
Un compromesso che gli era costato più di quanto avesse mai ceduto a un tavolo di trattative nella sua vita. Un preciso e sincero elenco di tutte le sostanze assunte e il giuramento di non scappare da Londra, in cambio di quello di poter conservare la libertà.
Sherlock si lamentava sommessamente ma, per un fenomeno che Mycroft non avrebbe saputo spiegare, la sua sembrava l'unica voce a spezzare l'aria densa di umidità, tanfo e fumo della palazzina abbandonata a metà costruzione dove i tossici del quartiere si rifugiavano per sfuggire alla vita.
C'erano urla di disperazione, altre di minaccia — probabilmente una lite tra uno spacciatore e un cliente —, o forse quelle di sofferenza di qualcuno che cercava di disintossicarsi e voleva far passare la crisi in quella fogna, lontano dalla propria famiglia.
'Ti do al massimo un paio di settimane, poi sarai di nuovo qui'. Era una cosa terribile da pensare, perché si poteva applicare anche al ragazzino. Alcuni giorni erano migliori, altri, come quello, a Mycroft sembrava di essere precipitato in un incubo, e che le dicerie ridicole e barbariche sull'esistenza di piani sovrannaturali dell'esistenza fossero reali. Tutto quello che poteva fare era tenergli la mano e parlare, non lasciarlo andare per nessun motivo.
"Mi senti? Hai scritto tutto quello che hai preso?"
"...ctor?"
"Sono io, Sherly. Andrà tutto bene, parlami".
"Vattene!" La droga gridava tutta la sua rabbia, ma Sherlock non lo stava davvero cacciando, perché la presa sulla mano si fece molto più forte. Era troppo scuro nella camera di cemento illuminata solo da una lampadina volante,* eppure una lacrima traslucida brillava sulle guance incavate del giovane.
"Non hai scambiato la siringa con nessuno, vero? L'hai promesso, ho la tua parola".
Per tutta risposta Sherlock cercò di indicare qualcosa a poca distanza dal materasso. Mycroft si estese col braccio libero, recuperando il giubbotto del fratello; nelle ampie tasche con la zip si trovavano un sacchettino di cellophane che conteneva senza dubbio cocaina, due siringhe ancora impacchettate e, aguzzando lo sguardo, in un punto più buio poco distante dai suoi piedi c'era quella che aveva usato.
Mycroft emise un piccolo sospiro di sollievo. L'unica cosa dalla quale non avrebbe potuto salvare il piccolo sarebbe stato l'hiv, non c'era ritorno per quello. Non voleva neppure pensarci, perché ciò che non poteva controllare faceva ammattire lui, e qualcuno doveva restare sano, nella famiglia Holmes.
'Il vento dell'est soffia per te, Sherly, ma non ti farò trascinare via'.
"Appena ti senti meglio ti porto nel mio appartamento, ho una macchina qui fuori. Non c'è bisogno di sogghignare, non sono uno sprovveduto, ho lasciato qualcuno di guardia".
Sherlock abbozzò un sorriso macilento, compiaciuto di aver offeso il fratello, malgrado l'unica cosa che lo tenesse ancorato alla terra fosse restare aggrappato a lui in attesa che lo spasmo nelle vene si placasse. Si sarebbe lasciato condurre a casa come un randagio, poi appena si fosse tenuto in piedi sarebbe sparito fino alla volta successiva. Quella notte era particolarmente dura, ma sentiva che la fase peggiore stava finendo, i suoi stessi lamenti che si spegnevano in un silenzio pesante.
"Non addormentarti, alzati, ti reggo".
Poco dopo, un gentiluomo troppo distinto per sembrare vero in quel quartiere e un adolescente troppo magro per sembrare in condizione di camminare da solo si avviarono con passo traballante verso una berlina nera.
Mycroft alzò gli occhi al cielo, senza soffermarsi ad ammirare le stelle. Quelle cose non gli piacevano e non lo interessavano, ma la loro luminosità gli ricordò in quale infelice periodo dell'anno si trovavano. Di lì a pochi giorni avrebbe dovuto presenziare al pranzo di Natale con i genitori, lo zio Rudy, qualche cugino di cui non valeva la pena conoscere il nome e naturalmente Sherlock. La sua assenza sarebbe sembrata peculiare anche a loro madre, intelligente in teoria ma ottusa sulle cose essenziali, e a un padre troppo ottimista. Doveva ripulirlo, farci una bella conversazione infarcita di psicologia inversa, e promettere qualcosa in premio per un comportamento decente.
Per tutti quella era una notte nella quale si sentono gli angeli cantare, ma per lui sarebbe stato solo un inferno.

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Neppure la pioggia inglese aveva osato discendere sul giardino perfettamente curato della signora Holmes, come se avesse osservato una precisa richiesta. Nel pomeriggio le nuvole si erano addensate, ma quasi per miracolo si erano spostate pigramente, lasciando intatto il merletto di brina che sporgeva vezzoso dai rami, dalle siepi di sempreverdi, dal tetto di mattoni rossi.
Sherlock si strinse nel loden blu — il regalo dei suoi genitori —, giudicando quel freddo davvero fastidioso. Era normale soffrirlo nella sua condizione, ma l'idea di rientrare era raccapricciante.
All'interno, visibili dall'ampia vetrata, c'erano nove persone delle quali non ne apprezzava neppure una; particolarmente cinque di loro, che d'altronde ricambiavano vivamente la sua insofferenza.
"Sembra di guardare una boccia di pesci rossi, vero?"
Mycroft l'aveva raggiunto quasi senza far rumore. Certamente in parte si poteva ricondurre il fenomeno al tappeto bianco e soffice che attutiva i passi, ma il bruno era convinto che fosse anche dovuto a un addestramento da agente segreto. Se l'avesse detto si sarebbe sentito ridere in faccia per il successivo decennio. Faceva parte delle sue fantasie infantili che il maggiore fosse una specie di James Bond, con una lama nascosta nell'immancabile ombrello. Strano che non lo portasse anche in quel momento come bastoncino da sci.
"Non c'era bisogno che uscissi dietro di me".
Il tono era distaccato, annoiato. Sherlock si strinse nelle spalle, sollevando il bavero del cappotto, che spostò la nuvola di riccioli sopra di sé.
"Non sono qui per controllarti, Sherly".
"Ma certamente! Perché hai già rovistato nel mio zaino e cercato nei nascondigli possibili della stanza, e perché un tuo tirapiedi mi ha seguito tutta la mattina! Smetti di renderti ridicolo. In caso te lo chiedessi..."
"Sono sei giorni dall'ultima volta;" non serviva fermarsi a fare calcoli "due giorni di più. Hai resistito due giorni di più".
"Per favore, non costruirci un romanzo. Non ho intenzione di farmi scoprire a casa, ho appena iniziato il college e non cerco problemi, non vorrei un'ispezione a sorpresa di mamma".
L'idea della loro fiera genitrice, che li inceneriva con gli occhi quando pensava che stessero fumando di nascosto, mise i due fratelli a disagio come degli scolaretti sorpresi con le mani nella marmellata. C'era qualcosa di buffo nell'aver paura della propria madre a diciassette anni, per non dire a ventiquattro, e anche se non l'avrebbero ammesso neppure sotto tortura, quella sensazione spiacevole li univa. C'erano ricordi positivi tra loro, — picnic con tovaglie a quadretti stese su campi profumati di erica, tazze di cioccolata calda bevute mentre Sherlock imparava a leggere su un libro di pirati — altri negativi, come la freddezza e le parole amare delle loro discussioni. Ma soprattutto, c'erano dei vuoti. Mycroft li aveva usati, in qualche modo, ma Sherlock non riusciva a riempirli. Poteva solo spegnere la sua testa quando esplodeva di fatica, e tristezza, e di qualcosa che non aveva nome.
Anche la morsa alla bocca dello stomaco, che sentì nel momento che suo fratello gli passò una sigaretta per offrirgli il fuoco con un accendino d'oro bianco, era complicata da spiegare.
"Quindi ci vuoi finire, nei guai".
Il mezzo sorriso stanco del maggiore trovò la sua eco in quello storto di Sherlock, ma quando gli prese la punta delle dita tra le sue per avvicinarsi la fiamma, sentì che qualcosa stava per succedere.
"Non vorresti abbracciarmi, vero?"
Tutto il corpo del ragazzo si era irrigidito, le braccia istintivamente tirate indietro come per difendersi.
"Non dire sciocchezze" le mani di Mycroft si sollevarono in un gesto di totale resa "non credo in certe sdolcinatezze. Piuttosto ho un regalo di Natale per te".
"Sono dei soldi, spero".
"Naturalmente. Non so cosa avresti preferito".
Una pistola, un cavallo, una nave pirata, un cane. Perché no? É papà che è allergico, non io!
"Non ti preoccupa che potrei usarli per..."
"Non questi".
Sherlock non si curò di soffocare una risata di scherno.
"Forse mi hai scambiato per il cugino Gerald, che ha promesso a zio Rudy che userà quelli che gli ha dato per una gita in Scozia e dopo un minuto di esitazione ha deciso che lo farà davvero, malgrado muoia dalla voglia di spenderli con una prostituta".
"Fratellino, non abbiamo un cugino di nome Gerald".
"E quello che sta bevendo un punch dopo l'altro chi sarebbe?"
"Gary. Non propinarmi quella tua stupida convinzione che tutti i nomi che iniziano per G siano uguali".
Per tutta risposta Sherlock prese un lungo tiro, assaporando il gusto della Philip Morris; suo fratello indossava solo completi italiani e scarpe cucite a mano su misura, ma per quanto riguardava il monopolio di stato era inflessibile.
"Non mi importa di cosa credi".
Sherlock poteva essere un disco incantato, delle volte, pensò Mycroft. Le parole di opposizione si presentavano sulle sue labbra più dalla memoria che dal cuore, ne era certo. Sotto quella corazza di vetro c'era ancora il bambino troppo sensibile a cui aveva fatto da padre. Desiderava che fosse così.
"Tra poco ci chiameranno per andare a tavola, Sherly, cerca di mangiare qualcosa".
"Oca con i mirtilli, patate al forno..."
"...carote al burro, pigs in blanckets**, pudding al cioccolato e brandy. Mamma non si smentisce, temo".
Un sincero sorriso di divertimento accese il viso del minore, mentre dava una manata non troppo forte sulla pancia del fratello.
"Hai paura di tornare a essere un grassone? Perché dall'ultima volta hai preso un paio di libbre. Potremmo anche scappare e saltare questa tortura. Non ho voglia di rientrare, Myc".
"Neanche, io". L'uso del nomignolo affettuoso che era sfuggito a Sherlock fu lasciato scivolare con affettata indifferenza, ma aveva colpito il segno.
"Sembrano tutti felici, con quegli orrendi maglioni rossi e il bicchiere sempre pieno mentre brindano, si abbuffano di stuzzichini e sorridono, poi di cosa. Quando morirà zio Rudy si salteranno alla gola per l'eredità. E l'albero, come se festeggiassimo Yule in questa famiglia”.
Mycroft osservò in silenzio dei primi fiocchi di neve, — forse messaggeri di una tormenta, forse inutili tentativi di sfida al clima troppo mite — che si scioglievano sui ricci bruni, facendoli sembrare inchiostro ancora fresco e troppo trasparente, come quello delle parole già stinte ancor prima di pronunciarle. Nelle poche abitazioni della strada, una brillantezza festosa accendeva le finestre delle case degli altri.
"Myc, cosa abbiamo noi due che non va?"
"Coltivare questo tipo di amore è uno svantaggio, Sherlock. Siamo solo più intelligenti, sono quelli che ci circondano che non capiscono". Credimi.
La volta del cielo era così limpida da sembrare un gigantesco soffitto adamantino decorato di astri tremolanti, che spioveva fino a toccare il suolo. Forse un giorno, quando il suo fratellino si fosse ripreso, le cose sarebbero state diverse per lui; non tutte le gioie di una vita normale erano perdute per sempre. Ma sarebbe stato qualcun altro a compiere questo miracolo. Come se potesse leggergli la mente, Sherlock si girò regalandogli un sorriso vero.
La luce di una stella, attraverso la neve sottile, riluceva come un faro opaco.


   *Nome in gergo della lampadina da muratore, quella provvisoria attaccata a un filo retto da chiodini
**Salsicce avvolte nel bacon. Temono che manchi del grasso? XD









 

  
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