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Autore: Urban BlackWolf    10/12/2020    5 recensioni
Spaccati di vita quotidiana in casa Kaiou/Tenou
Legato alla trilogia: "l'atto piu' grande-Il viaggio di una sirena-La vita che ho scelto"
1- Quattro ante per due
2- Apologia felis
3- Sliding doors
4- La prima di mille notti
5- Il cosplay di Haruka
6- Elona Gay
7- La dissacrante ironia della mia donna
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Haruka/Heles, Michiru/Milena | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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La prima di mille notti

 

Legato ai racconti:

l'Atto più grande”

Il viaggio di una sirena”

La vita che ho scelto”

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

 

 

Lo specchio del suo armadio le diede di rimando l’immagine di una bella donna dall’aria nervosa. I capelli tagliati corti con la frangia leggermente cerata a coprirle parte della fronte, gli occhi di un verde intenso ed omogeneo, le spalle importanti, la corporatura slanciata e soda. Sbuffando sonoramente non concesse alla sua attenzione altro, soffermandosi invece sulla camicia bianca che avrebbe indossato per quella giornata speciale. Iniziando ad allacciarne i bottoni, sentì uno scampanellio lasciando momentaneamente che la T shirt rivelasse la morbidezza del suo essere donna per correre al cellulare lasciato sul comodino e leggere il messaggio che l’era appena entrato.

Non era ciò che avrebbe indossato a renderla nervosa, tantomeno quel ciuffo ribelle che da quando si era alzata quella mattina, aveva deciso di star dritto come un soldato prima del cambio della guardia. No, non era nessuna di queste cose che già di per se avrebbero mandato in paranoia qualsiasi donna sulla faccia della terra. Lo stomaco in bocca, la salivazione completamente azzerata, lo sfarfallio addominale e la convinzione, totalmente errata, di avvertire sul maglione scuro che avrebbe fatto da corollario alla sua vestizione, tutti gli odori tranne quello di pulito. E la cosa curiosa, quella che stava facendo imbestialire quella giovane donna ormai più che trent’enne, era che non aveva mai provato una tale ritorsione fisica per nessuna.

Proprio in virtù della sua bellezza e del fascino che aveva imparato a dominare e sfruttare nel corso degli anni, Haruka Tenou poteva dirsi esperta e talentuosa amante. Non che si considerasse una collezionista, un’avventuriera di letto, questo no, ma in quel contesto l’esperienza non le mancava e d’incontri galanti ne aveva avuti e condotti tanti. Soprattutto dopo l’adolescenza. Questa volta però era diverso. La donna che da li a breve sarebbe andata a prendere alla stazione, era diversa.

Leggendo velocemente il brevissimo messaggio di conferma del suo prossimo arrivo, rispose con uno scherzoso yes sedendosi sul materasso. Ecco una delle cose che rendevano speciale Michiru Kaiou; il pragmatismo. Non si soffermava mai in inutili e puerili giri di parole andando sempre dritta al punto, a volte riuscendo persino a spiazzarla e questo ad Haruka piaceva. Piaceva da matti. Aveva un potere negli occhi, in quel sorriso gentile, nel suo modo di porsi educato ed elegante, nella voce dal timbro pulito, che stuzzicava, destabilizzava, eccitava come prima di una gara, quando i dischi luminosi della partenza da rossi diventano verdi.

Ormai erano passate cinque settimane da quando si erano conosciute, cinque settimane dove la distanza tra Berna e Bellinzona non l’era mai sembrata tanto opprimente e come una scolaretta al primo amore, Haruka l’aveva percorsa con trepidante eccitazione ogni fine settimana, evitando così che fosse l’altra a spaccarsi la schiena nel freddo abitacolo di un’automobile. Con la neve a sputarle sul tergicristallo scattoso o il ghiaccio a laminare l’asfalto, con il sole tiepido dell’inverno o la nebbia del mattino, lei lo aveva fatto con diligente concentrazione, conscia di quanto valesse il passare tanto tempo a far su e giù fra i due Cantoni, di quanto questo non le pesasse affatto.

Afferrando distrattamente i jeans si beò dell’immagine del contatto. Una foto fatta ad una restia Kaiou solo un paio di domeniche prima, quasi di forza ad una donna che tutto sembrava sapere tranne quanto risultasse meravigliosamente bella anche in una semplice immagine.

O si che lo sai, si disse stirando le labbra, è solo che proprio non ce la fai a darmi una soddisfazione. Aveva lottato per farle quello scatto ignara di quanti invece gliene avesse rubati lei quando non guardava o era distratta da qualcosa e Tenou aveva mantenuto il punto sentendo lamentele e vedendo smorfie d’intolleranza solo per avere qualcosa di lei che le alleviasse almeno un po’ la distanza.

Ad Haruka era risultato subito chiaro quanto il carattere di Michiru fosse forte ed indipendente e quanto non amasse le imposizioni, quanto il suo essere una femmina alfa alle volte la rendesse impopolare soprattutto accanto a persone mediocri. Un comportamento che ai più sarebbe andato stretto, ma che a lei invece non dispiaceva, perché era più che ovvio che quella sorta di spocchia purosangue in realtà nascondesse ben altro. I rispettivi lavori avevano permesso alle due d’incontrarsi solamente poche volte, ma di telefonate ce n’erano state tante e pian piano Haruka aveva iniziato a capire che quella che Michiru portava sul viso era solo una maschera, una sorta di provocazione verso il mondo o forse sarebbe stato meglio dire verso un passato abbastanza duro a cui lei era sopravvissuta. Come la bionda, anche Kaiou era orfana di un genitore, come lei era uscita abbastanza malconcia dall’ultima storia importante, avvilita e ormai stanca della parola amore aveva costruito la sua personalissima fortezza della solitudine e come lei viveva circondata da pochissimi legami, soprattutto famigliari. Ma a differenza di una Tenou che poteva dirsi fortunata di portare ancora stretti nel pugno tutti i propri sogni, per l’altra non era affatto così.

Con semplice chiarezza la bernese le aveva confessato di aver subito un incidente che a soli sedici anni le aveva lasciato una piccola menomazione all’anulare sinistro. Nulla di particolarmente sconvolgente se non si fosse trattato della fine della carriera di una violinista già parzialmente affermata. Nel sentirla parlare di quello strumento che non avrebbe mai più potuto impugnare, Haruka l’aveva vista guardare lontano montando su un velo di malinconia che anche a distanza di vent’anni, immancabilmente, ogni sacrosanta volta, le velava gli occhi. Ma con altrettanta forza Michiru aveva cambiato discorso scostandosi dall’ennesima ferita, cosa questa che aveva provocato nell’altra un senso di protezione e di stima.

Controllando l’ora sul display, la bionda si sfilò il sotto della tuta per indossare i jeans finendo poi di allacciarsi la camicia ed infine indossando il maglione. Era al massimo. Michiru le aveva detto che sarebbe rimasta a Bellinzona due giorni e chissà, magari quella sarebbe stata una sera speciale.

Arrivando all’ingresso si fermò facendo il punto della situazione. Portafogli, cellulare, un pacchetto di gomme, cappotto, sciarpa, guanti e via, verso l’uscita chiavi in mano. Bloccandosi sulla porta già parzialmente aperta l’occhio le cadde sul bianco dei calzini e muovendo le dita si diede dell’imbecille.

“Si, però se non metto le scarpe…”

Cinque minuti dopo era seduta alla guida della sua vecchia Opel pronta per andare ad accogliere la sua ospite alla stazione per il loro primo weekend insieme.

 

 

Bellinzona le apparve all’improvviso come la più classica delle cittadine di provincia. Ben curata nel suo verde, tranquilla e sapientemente adagiata in una valle, fece bella mostra di se qualche minuto prima di arrivare in stazione. Michiru sorrise schiacciando la schiena contro il sedile imbottito del suo diretto. Per il lavoro dei suoi genitori prima e per il proprio poi, aveva viaggiato tanto, forse anche troppo per i suoi gusti e proprio per questo ci fosse mai stata una volta che si fosse trovata tanto bene in un posto da poterlo chiamare casa. Forse in Grecia, ad Atene, quando adolescente e complice il suo primo amore, aveva scoperto la propria sessualità sentendosi finalmente libera o in Giappone, a Tokyo, ultimo paese dove aveva potuto assaporare a pieno il gusto di avere la sua famiglia accanto. Brevi periodi intervallati dalla malattia del padre e dall’oppressione della madre. Sarebbe stato perciò bellissimo se quella città apparentemente tanto diversa dalle grandi metropoli dove aveva vissuto, fosse diventata talmente importante da riuscire a metterci radici.

Quanto lo spero, pensò socchiudendo gli occhi chiari alla luce filtrante dal finestrino. Nel profondo Michiru era basita da se stessa e del comportamento che aveva preso sin dal primo istante nel quale il suo sguardo si era posato sulla figura slanciata di Haruka Tenou. L’aveva seguita per mezza Berna, l’aveva abbordata e ci si era messa a parlare, così, come se nulla fosse, come se fosse stata quella la sua indole o il suo modo di fare. Nulla di più falso.

Si era forzata, ma nonostante un carattere schivo era riuscita a nascondere con summa maestria l’agitazione e la vergogna per quella serie di mosse per lei assurde, vincendo e direzionando l’attenzione di quella bionda meglio di un giocatore di scacchi, tanto da indurre l’altra a credere erroneamente di essere stata lei ad allacciare quella conoscenza. Era stata geniale e spiccatamente femminile e a distanza di settimane ancora si stupiva di tanta sfrontata capacità.

Guardandosi intorno notò le prime persone alzarsi e decise di farlo a sua volta. L’andare del treno era riuscito ad attenuare un poco l’agitazione che l’aveva portata a saltare a piè pari una buona notte di sonno, ma ora che la voce dell’interfono stava avvertendo dell’imminente arrivo sentiva prepotente il riaffacciarsi dell’ansia.

Teneva a quella donna, ci teneva talmente tanto da pensare di poter metter su famiglia anche senza conoscerla ancora bene, di spostare la sua residenza dall’internazionale Berna alla più rustica Bellinzona e di rimettersi in gioco nonostante le ferite che ancora sentiva di avere sul cuore. Ci teneva e la voleva nella sua vita nonostante avesse intuito quanto Haruka non fosse un tipo facile. Burbera, introversa, severa, erano gli appellativi che meglio dipingevano quella donna di un anno più grande, ma che sapeva anche mostrare con formidabile franchezza i suoi lati positivi.

Tenou era divertente, estremamente capace, empatica, soprattutto con le persone anziane e gli animali, intuitiva sotto molti punti di vista, bizzosa si, ma con simpatia, protettiva e neanche troppo velatamente gelosa, cosa che in un primissimo momento aveva dato fastidio alla libera Kaiou, ma che con il passare del tempo e soprattutto dopo il loro primo bacio, era iniziato a piacerle.

Si vede che ci tiene, aveva pensato all’occhiataccia che un paio di domeniche prima la bionda aveva riservato allo sguardo un po’ troppo indiscreto di un avventore di un caffè. E da come la studiava o le sfiorava la vita per lasciarla passare all’uscita di un locale, le teneva la mano o le aggiustava un ciuffo di capelli dietro all’orecchio, quella donna doveva essere anche molto, molto passionale. Per Michiru era diventato un tarlo ormai. Immediatamente dopo avere assaporato teneramente quelle labbra morbide davanti allo sportello aperto della macchina prima di doversi lasciare per l’ennesima settimana passata a distanza, la fantasia della bernese si era accesa di una serpeggiante libido ed ormai non passava notte che non pensasse e ripensasse a come sarebbe stato avere il corpo nudo di Haruka sopra il proprio.

Ed eccola nuovamente quella voglia di lei. Sospirando Michiru s’infilò il cappotto ed afferrando la borsetta e quella più voluminosa del suo cambio, si preparò a scendere. Molto probabilmente se si fossero potute vedere tutti i giorni avrebbero già dormito insieme ed invece con quel centinaio di chilometri a dividerle era tutto più difficile. E lei non voleva più aspettare. Questa volta non avrebbe avuto solo una giornata smozzicata, ma quarant’otto ore dove le avrebbe tentate tutte per alzare l’asticella di quel rapporto a distanza.

Quando scese attese sulla banchina controllando più volte il cellulare. Cercando uno spicchio di sole si piantò come una meridiana fino a quando non la vide arrivare con fare sicuro ed un tantino affrettato.

Alzando il braccio Haruka le sorrise e a Michiru sembrò di spiccare il volo. “Hei, … sono qui!”

“Sei in ritardo.” Rimproverò tenendosi per se quanto invece avrebbe voluto abbracciarla.

“Lo so, scusa, ma volevo fermarmi a prenderti questo.” E da dietro la schiena comparve un giovane stelo di orchidea alpina.

“Avrei voluto cogliertela io stessa durante una delle mie escursioni, ma non è periodo. E’ di serra. Ma è il pensiero che conta, no? Tieni, per il tuo primo fine settimana nel Ticino.” Disse sfoderando uno dei suoi classici sorrisetti ammaliatori.

“O Haruka, è bellissima.”

“Ti piace?”

“Si, tanto. Grazie.”

“Di nulla. Volevo che avessi qualcosa di bello proveniente dalle mie parti.”

“Ma io ho già qualcosa di bello proveniente dalle tue parti…”

E di tutta risposta Haruka le prese il viso tra le mani donandole un bacio. “Vogliamo andare?”

“Dove mi porti?”

“Un po’ in giro. Non sarà Berna, ma anche qui ci sono tante cose da vedere.”

“Finalmente vedrò la tua città. Sono settimane che aspetto.” Disse prendendola sotto braccio.

In effetti dopo essersi incontrate la prima volta in un freddissimo pomeriggio bernese, era stata Haruka ad invitarla da lei con un sms anche abbastanza sfacciato, ma poi, a mente fredda, si era resa conto di quanto non avesse pensato alle conseguenze. Aveva deciso di comprarsi una macchina nuova e perciò avrebbe dovuto iniziare a lavorare come una forsennata e questo se da una parte strizzava l’occhio al portafogli, dall’altra affossava l’ordine già precario del suo povero bilocale. I quaranta metri quadrati dove ora stava vivendo non erano poco curati o sporchi, ma di certo la mancanza di tempo non le permetteva nulla di più di un paio di lavatrici alla settimana ed una rapida spazzata. In più, anche se Bellinzona era una città gradevole, non poteva certo essere paragonata alla bellezza ed alle infinite possibilità di svago che aveva Berna, soprattutto in inverno, ed essendo Michiru un’appassionata e studiosa di arte, Haruka si sentiva un po’ in difficoltà nel farle da Cicerone. Per finire e cosa forse più importante di tutte, quell’inverno il tempo era spesso impietoso e non voleva che l’altra lo trascorresse sull’asfalto di un’autostrada. Questa volta però era stata Kaiou ad impuntarsi azzerando tutte le paranoie, a prenotare un albergo e a scendere da lei.

Così visto la giornata dal cielo variabile, si affrettarono nel tour dei castelli della zona per poi, allo scoccare dell’una, entrare a pranzare in un piccolo ristorante proprio dalla parte opposta della strada dove si affacciava la grande costruzione medioevale del museo Civico. Il locale era affollato di famiglie e vacanzieri in procinto di partire per le piste da sci, ma sembravano esserci solo loro due, sedute in un angolino appartato con vista sul giardinetto interno ancora parzialmente spruzzato dall’ultima neve.

“Erano anni che non faceva un freddo simile. - Sentenziò Haruka versandole dell’acqua. - Mi sorprende che tu non abbia voluto del vino.”

“Lo sai che non bevo molto.”

“Già, è vero… Ma credevo che visto il tempo…”

Michiru scosse la testa sorridendo. “Sto bene così, grazie.”

“Mi fa piacere… E’ un posto carino. - Ammiccò con timbro profondo. - Allora, raccontami… Com’è andato il viaggio? Questa notte al telefono abbiamo fatto le ore piccole e avevo paura che non saresti riuscita a svegliarti o ti saresti addormentata sul treno.”

“Niente di meno? Guarda che non sono più un cucciolo. Comunque durante il viaggio ne ho approfittato per leggere qualche articolo on line sulla tua città, tanto per non essere impreparata.” Rispose con nonchalance afferrando la forchetta.

“Ma che tipo che sei! Ed io che ti ho fatto da guida per tutta la mattina.”

“Non temere…, sei stata perfetta.” Disse afferrando negli occhi di Tenou uno scintillio soddisfatto.

“Sarà, ma non è giusto. La prossima volta ti porterò sulle piste, così vedremo.”

Alzando le sopracciglia Michiru le fece intendere di non aver capito ed Haruka iniziò a vantarsi di quanto fosse un asso sugli sci e di come fosse difficile starle dietro.

“Si può dire che io abbia imparato prima a sciare e poi a camminare.”

“A però! E cosa ti fa pensare che non sarei in grado di seguirti?” Stuzzicò assaggiando la portata.

Ingoiando a fatica il suo boccone l’altra si sporse in avanti socchiudendo gli occhi. “E’ così?”

“Può darsi.”

Tornando con la schiena eretta Haruka iniziò a studiarle il viso in cerca di un qualsiasi indizio che rivelasse un bluff, ma nulla, Kaiou era imperturbabile.

“Mi hai detto che sei nata a Berna, ma che hai sempre viaggiato molto...”

“Esattamente.”

“…in quanti paesi con il mare tu abbia vissuto e quanto ti piaccia il nuoto.”

Con lo sguardo Michiru la invitò a proseguire.

“Perciò penso che tu mi stia prendendo in giro.”

“A si? E perché? Ammetto che lo sci non sia tra i miei sport preferiti, come ammetto di non andare pazza per la neve ed il freddo in generale, ma non lasciare che questo ti forvi.”

“Vorrà dire che dovrò scoprirlo da me.”

“E’ una sfida?”

“Può darsi.”

“Allora dovremo far presto, perché la primavera è alle porte.”

“Tranquilla, c’è sempre l’inverno prossimo.”

“Sei tanto lungimirante?” Le venne da sorridere al pensiero che con quell’affermazione, implicitamente, anche Haruka pensasse al consolidarsi del loro rapporto.

“Io lo sono sempre, soprattutto quando vale la pena esserlo. Ti dispiace?”

Non abbassando lo sguardo Michiru scosse leggermente la testa e soddisfatte tornarono a mangiare.

Si presero tutto il tempo del mondo, fino a quando lo sguardo ferale del cameriere non suggerì che fosse il caso di andarsene. Aiutando Michiru ad infilarsi il cappotto, Haruka ne approfittò per rubarle un altro bacio, poi passando di fronte alla cassa salutarono ed uscirono in strada accorgendosi di quanto il tempo fosse cambiato. Le nuvole, che per tutta la mattina si erano alternate al sole, erano diventate una distesa grigio scura abbastanza minacciosa.

“Porca miseria, stai a vedere che piove?! Hai per caso visto le previsioni?”

“No.” Mentì.

“Faremo meglio ad avvicinarci alla macchina o rischiamo di bagnarci.”

Ma Michiru, che aveva un piano ben preciso e che sperava in quella perturbazione già ampiamente prevista dal meteo, si puntò sul basalto del marciapiede arpionandole un braccio. “No, dai! C’è ancora il museo Civico da visitare.”

“Lo vedremo domani. Ora sarà meglio andare. Quando il cielo è così scuro viene sempre un grosso scroscio.”

“E allora? Saremo al chiuso.”

“Come meccanico mi piange il cuore l’ammettere quanto sotto l’acqua la mia macchina faccia i capricci, perciò ti assicuro..., è meglio che quel rottame la pioggia non la veda neanche dipinta.”

“Ti prego Tenou. Il tempo reggerà. Vedrai.” E quella moina fu talmente convincente che sospirando l’altra cedete.

Così, forte dell’ennesimo punto conquistato, Kaiou gongolò fino all’entrata. Guardarono tutto abbastanza rapidamente, i quadri e le statue fiamminghe, le punte di freccia e i monili dell’età neolitica, il vasellame del settecento e dell’ottocento ticinese. Poi, alla sezione di paleontologia, Haruka spense il turbo rivelando l’ennesimo tassello di se, ovvero quello che molte donne, Michiru in testa, trovano più morbosamente rivoltante e spesso associato all’emisfero maschile; la curiosità per il macabro e le cose viscide. Passi per qualche animale impagliato o fossile di dinosauro trovato nella zona, ma quando alla bernese comparvero davanti agli occhi barattoli di rettili in formalina di ogni tipo e dimensione, fu chiaro che smaniare per andarsene non sarebbe stato sufficiente. La sezione di entomologia sugli aracnidi sudamericani fu ancora più raccapricciante ed Haruka ne venne attratta come un cane con un giochino gommoso.

“Non eri tu a volere entrare? Ora perché te ne rimani sulla porta?” Bacchettò dal centro di una grande sala piena zeppa di peluria strisciante illuminata da un’inquietante luce giallastra.

“Si, ma io volevo entrare in un museo, non nella sala degli orrori…”

“Questi non sono i quadri fiamminghi che ti piacciono tanto, vero?” Chiese con gusto spostando lo sguardo da una delle teche alla donna.

“Non è questo.”

“Ti fanno schifo, eh?!

“Abbastanza. Vogliamo andare?”

“E no Kaiou. Adesso ce lo godiamo tutto il giretto nel magico mondo della cultura.” Sfotté tornando a fissare le zampe pelose di una tarantola dalle dimensioni impressionanti.

Serrando la mascella Michiru guardò una delle finestre. Di pioggia neanche l’ombra. Accidenti, pensò scocciata, vatti a fidare delle previsioni.

Se non avesse piovuto il suo programma sarebbe anche potuto andare a monte o comunque subire una serie di variabili e lei quella sera voleva giocare sul sicuro. Decise perciò di soprassedere allo schifo che quelle repellenti creaturine le stavano provocando, concentrandosi invece sull’espressione assorta che la bionda aveva messo su. Era bella piegata in avanti con i palmi delle mani appoggiati alle ginocchia mentre avida leggeva le schede illustrative. Bella e cristallina quella che nella sua testa, ma soprattutto nel suo cuore, stava iniziando a considerare come la sua donna.

“Qui dice che un solo filo di ragnatela può portare duecento volte il peso del ragno che l’ha prodotta. Pensa che in ingegneria si stanno studiando dei prodotti molecolarmente simili, se non addirittura uguali.”

“Fantastico…” Sospirò massaggiandosi la fronte.

Infilandosi le mani nelle tasche Haruka tornò a guardarla. “I ragni sono su questo pianeta da duecentomila anni.”

“Ma… che… fortuna.“

“Non ce la fai più, he?”

“No, no. Fai pure! Ma non pretendere che mi avvicini più di così!” Sembra un racconto gotico scritto a quattro mani, aggiunse mentalmente.

Ritenendosi soddisfatta l’altra decise di finirla li. Questa volta il punto era suo. Andandole accanto la seguì nel corridoio, ma quando la vide sufficientemente tranquilla da poter sciogliere le spalle, gliele toccò con i polpastrelli ritmando una cantilena inventata sul momento. “Sono il ragno giallo che ti porta al ballo…”

Il sobbalzo fu immediato. “Haruka!”

Cercando di trattenersi dal riderle in faccia la bionda alzò le mani in segno di resa. “Ok, ok. Pace?”

“Non farlo mai più.” Minacciò alzandole l’indice davanti al viso.

“Va bene. - E la baciò. - Ma ora sarà meglio uscire prima che ti prenda un colpo.”

“Non sfottere…, credo di rasentare la patologia.”

“Guarda che sono parecchie le donne che hanno paura o semplicemente non amano i ragni.”

“Non mi consola affatto.” Chiuse scocciata per quella piccola fragilità.

Percorsero un lungo corridoio voltato che costeggiava le varie sezioni appena visitate, ed una volta scese le scale dell’ingresso si ritrovarono in strada proprio mentre la tanto agognata pioggia iniziava a scendere.

“Ma… è già buio?”

“Si, sono le cinque, ma è anche colpa di questo schifo di tempo. Dai Michiru, andiamo.” E prendendosi per mano iniziarono a correre tra passanti ben muniti di ombrello.

Il parcheggio dove avevano lasciato l’auto era abbastanza vicino, ma lungo quei seicento metri il cielo tirò giù talmente tanta di quella pioggia gelida che una volta sedute nell’abitacolo non rimase loro che guardarsi e mettersi a ridere.

“Accidenti a te Kaiou. Lo sapevo.”

“Ma che vuoi che sia. Per quattro goccie.”

“Quattro gocce? Aspetta e vedrai… Quattro gocce dice lei… “

Inserendo e girando la chiave nel cruscotto Haruka tentò di avviare il motore. Un suono tra il gutturale ed il cavernoso, una serie di sobbalzi, ma non avvenne altro. La bionda riprovò un altro paio di volte dando poi un colpo sul volante in segno di resa.

“Ecco le tue quattro gocce. La neve la regge pure, ma l’acqua… Tu non puoi neanche immaginare quanto tempo speso a star dietro a questo problema e quante volte la pioggia abbia già fermato questo vecchio scassone! E’ ora che mi compri un’auto nuova. Una come dico io!”

“Mi dispiace…”

“Dai, non importa. Più tosto sarà meglio che ti accompagni al tuo albergo prima che ti buschi un malanno. Ho un ombrello nel portabagagli. Ce lo faremo bastare.” Tenou stava per scendere quando si sentì bloccata per l’avambraccio.

“Haru…”

“Si?”

“Dovrei confessarti una cosa, ma non vorrei che mi considerassi… un po’ troppo audace.”

Sbattendo le palpebre l’altra sembrò perdersi. “E cioè?”

“La prenotazione dell’albergo...”

“Si?”

Una piccola pausa poi Michiru sparò. “Non esiste.”

“A no?”

“No.”

“Allora fammi capire…, dove pensavi che avresti passato la not…” Bloccandosi guardò un sorrisetto furbetto nascere sulle labbra dell’altra e finalmente comprese.

“Dunque…, sono stata troppo audace?”

Questa volta fu Haruka a fare una lunga pausa ad effetto per poi afferrarle la nuca e baciarla profondamente. Staccandosi a fatica da quel nettare inebriante che erano le tracce del suo lucidalabbra, se la guardò studiandone i lineamenti, come a volerseli imprimere nella memoria. I capelli bagnati a sgocciolarle lungo i lati delle guance, gli occhi di cobalto ardente, il sorriso sicuro. Michiru era spettacolare.

“Assolutamente no. Aspettami qui.” Soffiò raucamente aprendo lo sportello al cielo acquoso.

Il tempo di afferrare l’ombrello e la piccola borsa da viaggio di Kaiou nel portabagagli ed in due salti le arrivò davanti. Michiru si vide aperta la portiera ed issandosi alla sua mano tesa si sentì cingere in un forte abbraccio.

“Casa mia è un po’ lontana e non credo che un misero ombrellino ci salverà, ma tieniti ben stretta, ok?”

“Ok.” Ed iniziarono a camminare a passo svelto.

In effetti ci misero un po’, ma dopo una mezz’ora la palazzina dove risiedeva Haruka apparve loro come la prima di una piccola strada secondaria. Passato il vialetto, la bionda lasciò ombrello e borsa all’altra ed estraendo le chiavi dalla tasca del cappotto aprì il portone di vetro facendola passare.

Era abbastanza agitata, perché avendo visto il bilocale di Kaiou così ben curato e ricco di cose belle, il suo, dozzinale e disordinato, era imparagonabile e stridente.

Cercando di non badare al nervosismo le afferrò una mano portandola verso le scale. “Non c’è l’ascensore, ma per fortuna vivo al primo piano.”

“Allora andiamo.” Incoraggiò l’ospite non staccandole gli occhi di dosso.

Michiru non badò minimamente alle anonime pareti color tortora dell’ingresso, alle scale dai gradini in breccia bianca, alle cassette della posta in legno o alle piante che cercavano di abbellire l’ambiente, a lei interessava solamente Haruka e il dove viveva o quello che faceva per farlo, francamente poco le importava. Quello che invece notò fu il repentino cambio termico che avvertì non appena la bionda aprì la porta per accendere la luce dell’ingresso. Dal freddo pianerottolo dove una corrente abbastanza maligna stava filtrando dai finestroni a nastro delle scale, si passò ad una temperatura più mite e piacevole.

“Grazie al cielo i termosifoni sono accesi. Senti qui che bel calduccio. - Disse richiudendo l’anta blindata prima d’invitare la sua ospite a passarle il cappotto fradicio. - Tu e il tuo museo… Guarda qui come ti sei conciata.” Rimproverò notando come Michiru la stesse guardando.

Quegli occhi erano tutto un programma ed Haruka, che aveva spesso visto il desiderio nello sguardo di una donna, dovette forzarsi per fare la degna padrona di casa invece di lasciarsi andare alla passione. Inginocchiandosi afferrò un paio di pantofole dimenticate al lato della porta iniziando a sfilarle gli stivaletti.

“Purtroppo ho solo queste, perciò usale tu. Si può dire che per casa io giri solo in calzini.” E notando quanto il piede di Kaiou fosse gelido iniziò a massaggiarlo causandole un immediato brivido di piacere.

“Che piede piccolo che hai. Nulla a che vedere con il mio quarantatrè. Per me rimarrà sempre un mistero il vedere come tu faccia ad essere tanto agile con i tacchi.”

“Tacchi? Cinque centimetri li chiami tacchi?”

“Sei un tipo da spillo?” Chiese guardandola stupita.

“A volte, ma bisogna vedere il contesto. Per esempio… con un vestito da sera…” Ammiccò lasciando cadere volutamente la frase.

“Mi piacerebbe vederteli addosso. - I polpastrelli si spostarono sinuosi alla caviglia. - Tra circa un mese la stagione concertistica entrerà nel vivo… - Poi più su, al polpaccio. - … e visto che la classica ti piace tanto, potremmo andare a vedere qualcosa… “

“Mi faresti felice.”

“Allora è deciso. Vorrà dire che ti mostrerò quanto bene io stia in abito scuro.”

Socchiudendo per un attimo gli occhi al caldo tocco delle mani della bionda, Michiru le accarezzò la testa umida. “Le tratti sempre così le tue ospiti.”

“Questa è la prima volta che mi sento talmente a mio agio con una donna da lasciarla entrare nel mio caotico casino.”

“Davvero?”

“Davvero.” Confermò passando all’altro piede.

Michiru non commentò. Non era una cosa detta per caso e lei ne apprezzò ogni singola sfumatura.

Quando Haruka ritenne che i piedi della sua ospite si fossero sufficientemente riscaldati, si alzò facendole strada al centro della sala da pranzo dove sul tavolo un pezzo di motore faceva bella mostra di se. Notando la faccia perplessa messa su da Michiru, la bionda mise prontamente le mani avanti.

“Capita spesso che mi porti il lavoro a casa. - Si scusò accendendo la luce del bagno. - Vuoi farti una doccia calda? Io intanto metto su un po’ di acqua. Ti va un te?”

“Non disturbarti…”

“Hei, non sono mica stata allevata dai lupi, perciò tranquilla. Allora, qui ci sono gli asciugamani puliti e nella doccia troverai tutto quello che serve. Come si dice in questi casi? Fai come se fossi a casa tua.”

“Grazie.” Disse rimanendo però ferma fuori dal bagno mani nelle mani.

“Che c’è?”

“Tu non hai voglia di farti… una bella doccia?”

“No, per ora sto bene così. Fai con calma, io metto su il bollitore.” E lasciandole un bacio sulla fronte le sorrise andando a prenderle la borsa con il cambio.

Li per li Michiru rimase un po’ spiazzata, ma imputando quella sorta di rifiuto al carattere introverso della bionda, chiuse la porta iniziando a spogliarsi.

Altro che rifiuto. In realtà Haruka avrebbe non soltanto voluto farsi una doccia di coppia, ma usare su di lei tutto il bagnoschiuma per insaponarle la schiena, le spalle, il petto e qualcos’altro, con voluttà ed una buona dose d’indecenza. Ora però doveva assolutamente fare una cosa prima. Ne andava della sua immagine. Fiondandosi in camera accese l’interruttore aspettandosi il casino che faceva ogni qual volta aveva un appuntamento e puntualmente questo apparve in tutta la sua smisurata magnificenza.

“Cazzo, lo sapevo!” Lamentò alla distesa d’indumenti sparsi sul letto mentre l’acqua della doccia iniziava a scrosciare.

“Va bene, calme. Stiamo calme. Ho tempo. Noi donne abbiamo un rapporto carmico con le docce. Ce la posso fare!”

Maglioni, un paio di pantaloni, tre magliette, calzini sporchi e puliti a raggiera, più il telecomando dello stereo e, non si sa perché, quello del televisore della sala da pranzo.

“Ecco dov’eri. - Disse stupita fissandolo per poi fargli fare una palombella dalla sua stanza al divano. - Vai li che a te penso dopo.”

Iniziando il rastrellamento afferrò tutto scaraventandolo nella prima anta dell’armadio, poi procedette a sfilarsi i pantaloni, i calzini zuppi ed il maglione ridotto leggermente meno peggio. A rigor di logica quella roba sarebbe dovuta andare dritta dritta in lavatrice, che però ricordò improvvisamente essere nel bagno. Rimanendo con quei panni umidi tra le braccia Haruka ebbe un black out. E ora?

Guardandosi intorno cercò mentalmente una soluzione e non trovandola alzò le spalle e con un chi se ne frega, aprì la seconda anta gettandovi tutto dentro. “Ci penserò domani.”

Saltando sul letto che si trovava al centro della stanza arrivò alla cassettiera afferrando una coppia di calzini asciutti e riprendendo il sotto della tuta dimenticato qualche ora prima, indossò il tutto per poi compiere a ritroso lo stesso percorso e fiondarsi in soggiorno.

“E nooo, qui è anche peggio.”

Ormai il pezzo di motore era stato visto, ma per tutto il resto doveva fare qualcosa. Via in un cassetto il controller della play e rimesso a posto il telecomando della televisione non le rimaneva che tutto il resto. Iniziando a raccogliere le riviste di moto sparpagliate sul divano e mettendole con cura sul tavolinetto insieme ad un paio di libri, tolse di mezzo una tazzina sporca con piattino e cucchiaino al seguito maledicendo la sua scarsa vena casalinga.

“Voi andate nella lavas…” Guardando in direzione dell’angolo cottura si rese conto della presenza dei piatti non lavati del giorno precedente.

Merda, pensò sentendo lo scroscio d’acqua interrompersi di colpo. Colta dal panico guardò in direzione del bagno. No, no, no, no…

Mentre stava per uscire dal box, Michiru sentì la voce di Haruka da un punto indistinto dell’appartamento. “Puoi anche lavarti i capelli se vuoi.”

“No, grazie. Vorrei però dargli una botta di phon. Posso?”

“Certo. Lo trovi sul davanzale della finestra.” Urlò giubilando al tempo guadagnato.

Tutto nella lavastoviglie che mai come in quel momento le sembrò l’elettrodomestico più utile per una single e poi via, alla ricerca del bollitore. Allora Ruka, concentrati. Sai di averlo, adesso devi solo trovarlo, pensò, ma naturalmente con i secondi contati, le pulsazioni nel cervello e l’adrenalina a mille, non fu cosa facile e dovette aprire tutti i pensili prima di arrivare a dama.

Eccoti bestia, ringhiò impacciatissima riuscendo a tirarselo sul piede.

“Fanculo…” Sfondò salticchiando sull’altro mentre reprimeva di peggio.

Raccogliendolo lo riempì d’acqua prima di metterlo sul fornello. Un grosso respiro per non darsi fuoco nell’accensione del gas e non avvertendo più il suono della pioggia sui vetri della finestra, gettò uno sguardo fuori. Stava spiovendo.

“Neanche a farlo apposta…” Borbottò dando una botta di straccio ai ripiani disseminati di briciole.

Così quando Kaiou ricomparve ignara del panico che aveva scatenato, tutto l’appartamento Tenou sembrava apparentemente essere stato domato e messo a catena.

“Fatto?!” Le chiese la bionda voltandosi per rimanere di sasso.

Michiru comparve come una Venere cinta dal suo accappatoio. I capelli leggermente arruffati. La pelle accaldata dall’acqua bollente. Lo sguardo sicuro di una donna che sa quello che vuole e come ottenerlo.

“Si. Vieni qui un attimo.”

E lei obbedì senza neanche un fiato. Prendendole un polso Michiru la portò al centro del bagno ed accendendo il phon iniziò ad asciugarle la testa.

“Ora tocca a me prendermi cura di te.” Disse lasciando che le dita le sfiorassero la base della nuca.

Il fremito fu immediato. Di tutta risposta Haruka strinse i pugni arrivando a conficcarsi le unghie nella carne.

“Hai messo su l’acqua per il te?” Chiese intimamente soddisfatta della reazione che le stava provocando.

“Si.”

“Sei veramente una perfetta padrona di casa.”

“Mmmmm…”

“Dico sul serio. Sono molto a mio agio. Come tu non sei solita portare donne nel tuo appartamento, io non sono solita entrarvi.”

“Ti sta bene il mio accappatoio. Solo un po’ lungo.”

“Mi sono permessa.” Soffiò spegnendo il phon.

Un rapido movimento di bacino e la bionda se la strinse contro accarezzandole il bordo del mento col il dorso di un dito. “Hai fatto bene.”

“Sa di te. Non ho potuto resistere.”

Le loro labbra stavano per sfiorarsi quando un fischio acuto le fece allontanare di colpo.

“Cosa…?!”

“Il bollitore?” Ipotizzò Kaiou.

A si, quello stramaledetto. “Già… Non c’è che dire; ottimo tempismo.” Ed entrambe scoppiarono a ridere.

“Haruka…, lo vuoi davvero il te?”

“No… Io avrei voglia di un’altra cosa.”

“Allora… sarà meglio che tu vada a spegnere quel coso.”

 

 

L’acqua calda le formicolò sulle spalle inondando ogni centimetro del suo corpo. Sentendosi accolta come in un bozzolo liquido, Haruka poggiò la schiena al piano delle mattonelle alzando il viso al doccione. Era presto? O era tardi? Uscendo furtivamente dalla stanza per non svegliare Michiru, non aveva controllato che ore fossero. Non le interessava. Con molta probabilità era già domenica mattina e visto il silenzio che regnava fuori, dovevano essere al massimo le sei o le sette.

Passandosi una goccia di sciampo sulla mano iniziò a massaggiarsi i capelli serrando gli occhi alla schiuma. Era stanca, leggermente apatica. Soddisfatta, soprattutto fisicamente. L’ansia che l’aveva accompagnata per tutto il giorno precedente aveva ceduto il posto a sensazioni dimenticate da anni, come la gioia, il tenere fra le mani una cosa bella, il doverla maneggiare con cura perché preziosa, il volerla proteggere perché rara. Non era stata solo una notte ininterrotta di sesso e di scoperta, ma il completamento di un percorso che due donne si erano ritrovate a fare insieme, con voglia, speranza ed una buona dose di paura per le incertezze che l’inizio di ogni nuova storia porta con se. Il completamento di un percorso dunque e l’inizio di un altro, perché adesso che l’asticella si era alzata, tutto avrebbe dovuto prendere contorni nuovi e più impegnativi. E questo spaventava ed eccitava allo stesso tempo.

Abbassando il viso al getto, Haruka iniziò ad insaponarsi con il bagnoschiuma. Accarezzandosi le braccia riattivò le sensazioni tattili avvertite solamente qualche ora prima, quando Michiru le aveva tolto la camicia lasciando che la stoffa le scivolasse sugli avambracci. Un brivido l’accese mentre le dita dell’altra andavano sovrapponendosi alle sue nel ricordo del loro vagare. Prima al viso, mentre baciandosi si erano spostate dal soggiorno alla camera da letto, poi alla T shirt, che la bernese le aveva afferrato dalla vita sfilandogliela sapientemente dalla testa, ed infine al seno, privato del suo intimo e rimasto così nudo ed esposto mentre ad un assaggio di labbra ne seguiva un’altro ed un altro ancora, sempre con maggior voracità.

Si erano baciate, assaggiandosi la pelle del collo, del mento, delle clavicole, prima che stirando un sorriso libertino, Haruka non andasse a scioglierle la cinta di spugna dell’accappatoio rivelando alla sua crescente bramosia le grazie che Michiru ancora nascondeva.

“Dio del cielo, quanto sei bella.” Aveva elogiato di meraviglia.

Da quanto tempo non si sentivano così coinvolte, quanto tempo avevano trascorso nell’errata consapevolezza che mai nessuna donna sarebbe più riuscita a riaccendere quel fuoco dilagante che adesso le stava consumando. Haruka l’aveva allora trascinata sul letto permettendole di toglierle con leggerezza il sotto della tuta.

Lo scrosciare dell’acqua distolse per un secondo la bionda da quel freschissimo ricordo. Sospirando pesantemente lasciò correre la destra al fianco e da li alla sua nudità. “Ma cosa mi stai facendo Michiru?”

Una domanda che quella notte aveva già espresso all’altra dopo aver raggiunto l’apice del loro piacere.

Tra respiri smozzati e sudore, perdendo il viso nei capelli di un’altrettanto scossa Kaiou, la risposta l’era arrivata con la medesima sconvolta scoperta. “La stessa cosa che stai facendo tu a me, Haruka.”

L’amore le aveva consunte fino a lasciarle prive di forza l’una nelle braccia dell’altra e quando il sonno era arrivato, finalmente si erano arrese alla stanchezza e senza neanche accorgersene si erano addormentate. Il giorno le avrebbe trovate ancora così se Haruka non avesse sentito la necessità di alzarsi.

Chiudendo l’acqua la bionda uscì dal box afferrando un asciugamano. Prima di forzarsi ad allontanarsi dal letto si era beata dei respiri morbidi dell’altra, domandandosi a più riprese cosa stesse succedendo. Fino a due mesi prima la sua vita ruotava attorno al lavoro, a qualche amico e ad un paio di hobby, tra i quali guidare la sua amata moto, ora grazie a Michiru tutto aveva preso ad assumere contorni nuovi. Era stata già innamorata in passato, ma mai così, anzi, il pensare di dividere gli spazi, le cose, i sogni con qualcuna, l’aveva sempre spaventata. Improvvisamente, non soltanto c’era una splendida donna avvolta fra le lenzuola del suo letto, ma la cosa non l’impensieriva affatto, semmai non capiva come avesse potuto farne a meno prima.

“E’ quella giusta… - Si disse guardandosi allo specchio. - Ne sono sicura.”

Di Kaiou le piaceva tutto; il fisico, la fragranza della pelle, la morale, l’orgoglio, lo spirito, il cervello, la cultura, il modo di porsi e quello di ascoltare. Con due caratteri come i loro si sarebbero certamente scontrate ogni tre per due, ma Haruka n’era convinta, ne sarebbe sempre valsa la pena.

Una volta asciugatasi la testa e preso dell’intimo pulito dalla asciugatrice, uscì dal bagno trovando in un angolo del soggiorno la sua camicia e raccogliendola, ridestò quel sorrisetto sardonico che parecchie volte quella notte le aveva disegnato le labbra. Di Michiru gradiva anche la sensualità con la quale era riuscita a spogliarla. Le sue mani addosso erano state un idillio dall’inizio alla fine. Prima l’avevano accesa per poi placarla, quando ormai sazia, Tenou si era lasciata accarezzare i capelli come un cucciolo sfiancato. Dolce e perversa quella figlia di Berna, gioia per l’udito, per il tatto, per l’olfatto, per la vista ed infine, per il gusto.

Infilando alla meno peggio i bottoni nelle asole, Haruka aprì uno stipite afferrando caffè e biscotti. Avendo una fame pazzesca decise d’iniziare a preparare la colazione per fare cosa gradita anche alla sua ospite e concentrata nel ricordo di quell’amore, non si accorse minimamente che Kaiou la stava guardando appoggiata allo stipite della stanza da letto.

Michiru stirò le labbra. Illuminata dalla luce del giorno quella ragazzona bionda era davvero uno splendore. E pensare che in un primissimo istante aveva addirittura creduto fosse un ragazzo. In questo momento in te non c’è proprio nulla di maschile, mia bella Haruka, si disse inclinando il viso da un lato per guardarle meglio le gambe. Ottenebrata dal desiderio, la notte precedente non ne aveva avuto la lucidità, così ora si prese un po’ di tempo per studiarne le onde del corpo. Oltre naturalmente al viso, le spalle erano forse la cosa che insieme al suo lato B le piacevano di più. Erano forti e fiere ed invogliavano ad essere strette. Anche le sue mani davano un senso di protezione. Sapevano stringere, ma con rispetto, sapevano accarezzare e sciogliere qualsiasi resistenza. Erano riuscite a farle inarcare la schiena più volte e di rimpetto aveva dovuto mordersi le labbra per non urlare di disperata voglia.

Forse solo il suo primo amore l’aveva fatta sentire così amata, ma allora era ancora troppo giovane per apprezzare a pieno ogni cosa di quel sentimento. Di Haruka ancora non conosceva molte sfaccettature, ma quali altre sorprese avrebbe ancora rivelato quel meraviglioso scrigno fatto di gesti irruenti e modi gentili? Mi sto innamorando, ammise iniziando a camminare. E non ne aveva paura.

Quando la bionda si sentì stringere da dietro trattenne per un attimo il respiro per poi afferrarle le mani. Accoccolandosi sulla sua schiena Michiru ne catturò il tepore.

“Sei calda.” Affermò.

“In inverno posso far comodo, ma d’estate… le persone scappano.”

“Addirittura?”

“Da piccola mi chiamavano il termosifone. - E sentendola ridacchiare gonfiò il petto tronfia. - Hai fame?”

“Si. Cosa stai preparando?”

“Caffè, te e quello che in questa casa non manca mai, ovvero un pacco di biscotti e della cioccolata.”

“A però Tenou, siamo golose?”

“Non sai ancora quanto. Dammi un attimo.”

“Io l’ho detto che eri una perfetta padrona di casa.”

“Mia madre mi diceva sempre, Ruka, l’ospite va onorato.”

“Ruka?”

“Si, mi chiamava così. Tranne quando combinavo qualche casino, allora il sentire HARUKA TENOU, mi faceva gelare il sangue nelle vene.” Ricordò indicando con il pollice una piccola cornice d’argento dove una foto ritraeva sua madre e lei poco più che vent’enne.

“Che bella donna. Le somigli tanto.” Ammise capendo da chi avesse preso l’oro dei capelli, il colore degli occhi e la forma del naso.

“Grazie, ma in realtà sono sputata a mio padre, soprattutto caratterialmente. Il che non mi fa impazzire di gioia. Questa però … è un’altra storia.” Voltandosi scoprì solo in quel momento il pizzo di una camicia da notte sotto una sensuale vestaglia a binata.

Inarcando le sopracciglia se la guardò con una leggera punta di lussuria. “E queste?”

“Il tuo accappatoio era ancora umido.”

“Capisco…”

“Ti piacciono?” Chiese avvicinando le labbra al lobo dell’orecchio sinistro.

“Parecchio. Anche perché lasciano intravedere quello che c’è sotto.”

“Sfacciata.” Articolò chiedendole le labbra per un bacio che si protrasse fino all’inevitabile fischio del bollitore.

Guardandosi tornarono ancora a ridere, perché la cosa stava diventando comica. “Ho capito… Tu vai pure a sederti sul divano, io vado a mettermi qualcosa addosso e poi facciamo colazione.”

“A me stai benissimo così.”

“Si?”

“Assolutamente...” Michiru sorrise iniziando a guardarsi intorno.

Nulla da dire, in quell’appartamento tutto parlava di lei ed era per questo che aveva fatto di tutto per entrarvi, per capire ancora meglio il complicato mondo Tenou. I poster sportivi appesi alle pareti, i libri un po’ messi alla rinfusa sulle scaffalature di una libreria d’angolo, il televisore, sproporzionatamente grande e il tavolo da pranzo pieno zeppo di cacciaviti e chiavi inglesi. Dimenticato su una sedia c’era persino un casco, retaggio delle corse sfrenate che la bionda faceva nei mesi più caldi. Perfettamente incorniciato ed appeso con una cura tutta speciale, c’era anche il poster di Depero che Haruka aveva acquistato il giorno che si erano conosciute. Riconoscendolo Michiru si avvicinò ricordando il motivo di quella scelta. Credo che sceglierò Depero... in omaggio hai suoi splendidi occhi.

“Sta bene in quella cornice cobalto, vero?” Chiese la bionda riportandola nel presente.

“Molto. Come mai per gli altri non hai usato la stessa accortezza?”

Tenendo fra le mani un vassoio con un bel po’ di roba sopra, Haruka fu talmente diretta da lasciarla quasi stordita. “Perché non rappresentano nulla, lui invece mi ricorda la fortuna che ho avuto nell’averti incontrata.”

Non vedendola muoversi, la bionda aggrottò le sopracciglia. “Che c’è?”

“Hai detto una cosa bellissima.” Ammise facendola vergognare.

Poggiando tutto sulle riviste dimenticate in bell’ordine sul tavolino, le andò vicino afferrandola per i fianchi. “Tu credi nel destino?”

“A volte. In queste ultime settimane mi sono spesso domandata cosa sarebbe successo se anche una delle cose che ci hanno portate ad incontrarci non fosse accaduta.”

Haruka guardò altrove. Non si sarebbero mai conosciute, le loro vite sarebbero rimaste le stesse e tutto avrebbe continuato a scorrere come al solito. Colta da un lampo di tristezza se la strinse al petto.

“Ma ora siamo qui.”

“Si e voglio godermi ogni singolo istante… Inclusa la colazione che hai preparato.”

Sentendosi scompigliare la frangia, la bionda si riprese e portandola verso il divano la fece accomodare iniziando a versarle del te che l’altra accettò mentre tornava a guardare la foto nella cornice argentata.

“Ruka… E’ molto dolce.”

“Se ti fa piacere… usalo. Non mi dispiacerebbe tornare a sentirlo.”

Michiru se ne stupì. “Lo usava solo lei?”

“Si. Non ho mai permesso a nessuno o a NESSUNA di chiamami così. Era una cosa nostra. Della nostra famiglia.”

“E tu vorresti…” Le tremò la voce e di colpo abbassò lo sguardo.

“Scusa. Chiamami come ti pare. Anche termosifone, se ti va.”

Rialzando immediatamente il mento Michiru tornò a guardarla dritta negli occhi. “Ne sarei onorata.”

“Di chiamarmi termosifone?” Ci scherzò su per stemperare l’imbarazzo.

“No, sciocca.”

“Ah, meno male. Non è che mi piacesse un gran che.”

“Ruka…” Ripeté cercandole nuovamente le labbra.

No, non si stava innamorando. Lo era già e con tutta se stessa.

 

 

Note: Ciau, spinta da più parti mi sono decisa a scrivere un’altra one shot di questa raccolta. Spero vi sia piaciuta. Chi mi segue sa già che non amo sconfinare nella zona rossa, non tanto per incapacità, quanto per pudore, perciò accontentatevi di questo vedo non vedo e dei vari sottointesi che ho lasciato qua e la.

Vi auguro un buon Natale, anche se non so quanti di noi riusciranno a passarlo in famiglia o con le persone che amate.

Mi farò presto viva. Per il momento un abbraccio fortissimo!

   
 
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