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Autore: Imperfectworld01    11/12/2020    0 recensioni
Megan è ormai fuori pericolo, non è più indagata per l'omicidio di Emily Walsh, ha ripreso in mano la sua vita e ha ritrovato se stessa, sebbene tutti la vedano diversa e la accusino di essere cambiata. Ciò che non vedono, è che quella è la vera lei: forte, sicura, determinata.
Ma i suoi problemi non sono finiti.
Si era posta un obiettivo: scovare il vero colpevole e ottenere giustizia per la sua amica, ed è ciò che ha intenzione di fare. Non si fermerà finché non ci sarà riuscita, costi quel che costi.
Ma desiderare una cosa con tutta se stessi e combattere per averla, è sempre la cosa giusta da fare?
//SEQUEL DI CAUSE IT'S RIGHT. PER CAPIRE QUESTA STORIA È NECESSARIO AVER LETTO IL PREQUEL//
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prologo
 

Spalancai le labbra non appena ebbi dato un'occhiata a ciò che era a una distanza di appena due metri da me. Improvvisamente sentii brividi spandersi ovunque su ogni centimetro del mio corpo. Sentivo rivoli di sudore scivolarmi lungo la fronte, il cuore martellante nel petto e le gambe sul punto di cedere, infatti cercai di aggrapparmi a qualcosa per evitare di cadere, e trovai sostegno solo nel braccio del mio ragazzo.

Solo dopo mi resi conto che al momento non volevo alcun contatto con lui, così mi distanziai.

Deglutii. «Com'è successo?» chiesi, mantenendo una voce fredda e cauta, nonostante i fiumi di lacrime che cominciarono a rigarmi il viso.

Mi voltai verso di lui. Herman aveva il viso pallido e gli occhi sbarrati. «Non sarebbe dovuto accadere... È... è stato uno sbaglio.»

Sollevai un sopracciglio. Era tutta lì la sua spiegazione? Herman era il tipo di persona che non la smetteva mai di parlare, ma in quell'occasione persino lui era a corto di parole.

Lo fissai di sottecchi. «Uno sbaglio? L'hai uccisa, cazzo, Herman, è morta!» esclamai, passandomi in seguito le mani fra i capelli.

La mia migliore amica era stesa a terra, vicino ai cassonetti dell'immondizia della casa di Dylan Walker, inerme, priva di vita.

«Io non... non volevo, lo giuro. È stato un errore...»

Era ciò che mi ripeteva da oltre un quarto d'ora, da quando mi aveva chiamato al cellulare per dirmi di venire sul retro. Non riusciva a dire altro. Non riusciva a spiegarmi come era arrivato a tanto, cosa l'aveva spinto a tale gesto.

E io ero troppo scossa per poter trovare le forze per insistere e per convincerlo a parlare, come avrei fatto normalmente.

Deglutii di nuovo, incapace di fare altro, incapace di parlare, incapace di reagire.

«Andiamo a casa» dissi a un tratto, ricevendo un'occhiata stralunata come risposta. «Andiamo a casa» ripetei. «Rimanere qui è rischioso, se ce ne andiamo adesso, insieme, allora...»

Mi fermai non appena sentii un cellulare squillare. Non si trattava del mio, in modalità silenziosa, né tantomeno di quello di Herman, del quale conoscevo la suoneria. Così, con il cuore che mi esplodeva nel petto, lanciai un'occhiata ai miei piedi per avere la conferma che cercavo: si trattava del cellulare di Emily.

Subito mi allarmai, specialmente perché mi accorsi di alcuni passi che si facevano sempre più frequenti e vicini a noi. Afferrai la mano di Herman e lo trascinai via di corsa, andammo a nasconderci dietro un cespuglio.

Lasciai immediatamente la mano di Herm, non appena mi accorsi che era bagnata. Nonostante il buio della notte, non mi ci volle molto a capire che non era soltanto bagnata, ma anche sporca, e non impiegai tanto tempo a realizzare cosa fosse quel liquido scuro che aveva imbrattato anche il palmo della mia mano: sangue.

Trattenni il respiro, prima involontariamente e in seguito di proposito, per non farmi scoprire: Megan era appena giunta davanti al cadavere di Emily.

Ebbe più o meno la mia stessa reazione, anzi, la sua fu molto più spropositata e non si limitò solo allo shock. Megan era fatta così: si lasciava sempre travolgere dal turbine delle emozioni e non riusciva a controllarle.

Ma in fondo la invidiavo. Io a volte avevo quasi paura di non provarle affatto, delle emozioni.

Si accasciò a terra, i grandi occhi verdi sbarrati e le lacrime che sgorgavano. Iniziò a percuoterla, nella speranza di avere una sua reazione: «Emily! Emily, svegliati!» urlò in preda alla disperazione.

Si avvicinò al suo petto per verificare se respirasse, in seguito tentò di rianimarla tramite delle compressioni toraciche. Diedi un'occhiata a Herman, il quale tuttavia teneva lo sguardo fisso a terra, così tornai a seguire i movimenti di Megan.

«Respira! Respira, Emily, ti prego respira!» esclamò, e a quel punto mi tappai una mano con la bocca per impedire che trapelasse qualsiasi suono. Non servirà a nulla, avrei voluto gridare, lei non c'è più.

Per un secondo sperai che le mie lacrime mi soffocassero, desiderai che il dolore mi schiacciasse così forte da farmi avere un collasso o, più semplicemente, bramai di provare qualcosa al di fuori di quella sensazione di vuoto.

Sentii il tocco di Herman sul braccio e mi voltai nella sua direzione, prima di seguire il suo sguardo, puntato su Megan. Giunta ormai al limite, sembrò voler provare a fare un ultimo tentativo, estraendo il coltello dal collo di Emily.

La situazione, se possibile, sembrò peggiorare ancora di più dopo quel suo gesto, dal momento che causò una forte fuoriuscita di sangue. Tanto è già morta, mi dissi poi, non può esserci cosa peggiore della morte.

O forse c'era. Ed era il silenzio. Il silenzio delle emozioni. Il vuoto interiore.

Passarono diversi minuti in cui non successe nulla. Megan continuava a piangere, Herman non emetteva alcun suono, io... io mi sentivo solo un corpo senza anima. Come Emily. Io però ero viva e non avrei dovuto sentirmi così vacua.

Poi, a un certo punto, sentii il cellulare cominciare a vibrarmi nella tasca. Avevo già una mezza idea di chi potesse essere, ne ebbi la conferma non appena allungai il collo e vidi Megan con il cellulare posto vicino all'orecchio.

A quel punto, a passi molto lenti e distinti, ignorando le proteste non verbali di Herman, cercai di allontanarmi il più possibile da lì per poter rispondere senza che Megan si accorgesse del fatto che fossi lì e avessi assistito al tutto.

Feci un respiro profondo e poi risposi. «Pronto, Meg? Ma dove sei finita?» chiesi, cercando di assumere un tono tranquillo.

Non rispose subito. Sentivo i suoi singhiozzi dall'altra parte del telefono. «Trace, è... è s-successa una cosa, non... non riesco a...»

«Meg, cerca di stare calma, fai dei respiri.»

«Non ce la faccio a restare calma!» esclamò.

E aveva ragione, ma dovevo fingere di non saperne nulla. Ciò che non capivo è come ci riuscissi io, a sembrare così calma.

«Dimmi dove sei e arrivo subito. Sei nel bagno?» chiesi.

«N-no, vieni fuori... vieni dietro casa di D-Dylan.»

«Arrivo subito.» Misi giù e poi cercai di rendermi adatta a farmi vedere da Megan. Strofinai la mano sporca di sangue sui jeans neri che indossavo nel tentativo di pulirla, dopodiché mi passai una mano sotto gli occhi per togliere i residui di mascara che erano colati per via delle lacrime.

Feci il giro contrario della casa di Dylan così da poter giungere da Megan seguendo la strada che aveva percorso e io anche, poco prima di lei.

Giunsi quindi alle sue spalle. Era ancora accasciata a terra, immobile.

«Meg, sono... oh mio Dio! Che è successo?» esclamai fingendomi in preda al terrore. «Meg, cosa è successo? Che cosa hai fatto a Emily?»

Erano state le stesse frasi che avevo ripetuto a Herman non appena l'avevo ritrovato nella stessa identica posizione in cui versava Megan.

Dopodiché sentii alcune voci in lontananza, e mi allarmai, nel vedere che molte persone stavano iniziando a lasciare la festa. Se fossero passate lì vicino avrebbero visto tutto.

«Meg, dobbiamo andarcene prima che qualcuno ci veda, altrimenti la polizia sarà qui in men che non si dica.»

Ma la mia amica sembrava disconnessa dal mondo, non udiva una sola parola che usciva dalla mia bocca. «Cosa fai ancora qui? Dobbiamo andarcene! Nessuno deve sapere che siamo state qui!» ritentai, invano.

«La polizia sarà qui a momenti, dobbiamo andarcene, Megan!»

A quel punto qualcosa scattò in lei. Si alzò in piedi, un po' barcollante. Approfittai di quel suo istante di debolezza per chinarmi a terra e afferrare il coltello insanguinato e nasconderlo sotto il mio maglione. Non seppi spiegarmi perché lo feci, fu l'istinto a guidarmi, e il mio istinto non aveva mai sbagliato prima d'ora. Su quel coltello c'erano le impronte di Herman e di Megan. Quindi quel coltello doveva sparire.

Subito dopo afferrai la mano di Megan e la trascinai verso la mia auto. La feci sedere e le allacciai la cintura, dal momento che era troppo traumatizzata per poter svolgere qualsiasi compito, anche fra i più ordinari. Poi feci il giro del veicolo, buttai rapidamente il coltello dentro il bagagliaio e in seguito mi misi al volante.

Non avevo idea di quello che stavo facendo, di dove mi stessi dirigendo e perché. Era l'adrenalina ad agire per me e il mio istinto mi diceva soltanto una cosa: "Proteggi Megan".

Stranamente, non fu Herman il mio primo pensiero. Avrei potuto andarmene con lui e lasciare lì Megan, invece non ci avevo pensato due volte a rispondere alla sua chiamata, a caricarla in macchina e a portarla via.

Lei non c'entrava niente. Non c'entrava assolutamente niente ed era stata messa in mezzo a una situazione che non la riguardava, e di cui, da quel momento in poi, avrebbe dovuto subire ingiustamente le conseguenze.

Era sotto shock, le mani e la camicetta sporche del sangue di Emily, piangeva e non la smetteva di farneticare, diceva che dovevamo andare alla polizia e raccontare ciò che avevamo visto.

Ma non potevo permettere che lo facesse. Nessuno le avrebbe creduto. Quella notte lei e Emily avevano avuto una terribile discussione, e quella stessa notte Emily era stata uccisa. A cosa avrebbero immediatamente pensato tutti?

«È morta!» esclamai, una volta giunta al punto in cui non ne potevo più delle constatazioni di Megan. «È... è morta. Non possiamo più farci nulla. Possiamo solo cercare di salvarci il culo. Anzi, dobbiamo riuscirci. Perché altrimenti andremo in galera e anche le nostre vite finiranno, saremo letteralmente fottute. Tu non potrai andare ad Harvard, né io in un qualsiasi college di merda che la mia famiglia potrà permettersi di pagare. Il nostro futuro, i nostri piani, non andranno mai a compimento. Passeremo i prossimi quindici o più anni della nostra vita all'interno di una cella, mangiando cibo scadente, dormendo male, correndo il rischio di essere malmenate o, peggio, stuprate da altri detenuti o da qualche agente di polizia. Herman mi lascerà, e pian piano tutti lo faranno. È un paesino piccolo, perciò tutti lo sapranno e presto, conoscenti, amici, persino i nostri genitori non vorranno più sapere niente di noi. Rimarremo sole e, quando avremo scontato la nostra pena, avremo la fedina penale sporca e nessuno vorrà mai assumerci, per nessun tipo di lavoro. Verremo viste da tutti come delle assassine. 
Tutto questo accadrà, se non mi darai ascolto.»

Le mie parole parvero convincerla, oltre che tranquillizzarla. Avevo sempre avuto questo effetto sulle persone. Tutti mi vedevano sempre come quella razionale, riflessiva, che agiva sempre nel migliore dei modi, perciò si fidavano sempre delle mie parole e dei miei consigli.

Posteggiai la mia auto davanti a una discoteca, il Golden Rose.

Se volevo proteggere Megan, oltre che me stessa, avevamo bisogno di un alibi, di farci vedere da altre persone al di fuori di quelle della festa, a testimoniare che non ci trovavamo più lì al momento della morte di Emily.

Una volta convinta Megan della mia idea, le feci togliere la camicetta sporca di sangue e gliela feci lasciare in auto. Dopodiché ci avviammo all'entrata del locale.

Tirai fuori il cellulare e notai numerosi messaggi da parte di Herman, in cui mi chiedeva dove fossi finita e cosa avessi intenzione di fare.

La verità era che non lo sapevo. Non avevo ancora deciso cosa fare in merito a Herman, ma di certo non avrei lasciato che andasse in carcere. Non potevo permetterlo. Lo amavo.

Ed era stato un incidente.

Gli scrissi un messaggio e subito dopo averlo inviato lo eliminai così come quelli precedenti che mi aveva scritto, prima di entrare dentro al locale insieme a Megan: "Sbarazzati del cadavere. Non mi interessa come, l'importante è che sia subito. Cancella questo e gli altri messaggi che mi hai mandato subito dopo averlo ricevuto".

***

Ebbene sì! La storia di Megan si era conclusa con un colpo di scena, ribaltando completamente la situazione. Inizialmente ero intenzionata a lasciarla con un finale aperto, ma in seguito ho deciso di scrivere un sequel, così da poter approfondire alcuni punti e, forse, definire le questioni lasciate in sospeso.

Qui, nel caso non si fosse capito, è narrato tutto dal punto di vista di Tracey, che si ritrova involontariamente in una situazione che non le appartiene e che la divide su due fronti: aiutare Megan o aiutare Herman. Per il momento sembra intenzionata a riuscire in entrambe le cose, ma si accorgerà ben presto che non è possibile e che dovrà scegliere da che parte stare.

Fatemi sapere che ne pensate per ora!

PS: Gli altri capitoli saranno narrati ancora dal punto di vista di Megan, e riprenderanno la storia da dove è stata interrotta.

Spalancai le labbra non appena ebbi dato un'occhiata a ciò che era a una distanza di appena due metri da me. Improvvisamente sentii brividi spandersi ovunque su ogni centimetro del mio corpo. Sentivo rivoli di sudore scivolarmi lungo la fronte, il cuore martellante nel petto e le gambe sul punto di cedere, infatti cercai di aggrapparmi a qualcosa per evitare di cadere, e trovai sostegno solo nel braccio del mio ragazzo.

Solo dopo mi resi conto che al momento non volevo alcun contatto con lui, così mi distanziai.

Deglutii. «Com'è successo?» chiesi, mantenendo una voce fredda e cauta, nonostante i fiumi di lacrime che cominciarono a rigarmi il viso.

Mi voltai verso di lui. Herman aveva il viso pallido e gli occhi sbarrati. «Non sarebbe dovuto accadere... È... è stato uno sbaglio.»

Sollevai un sopracciglio. Era tutta lì la sua spiegazione? Herman era il tipo di persona che non la smetteva mai di parlare, ma in quell'occasione persino lui era a corto di parole.

Lo fissai di sottecchi. «Uno sbaglio? L'hai uccisa, cazzo, Herman, è morta!» esclamai, passandomi in seguito le mani fra i capelli.

La mia migliore amica era stesa a terra, vicino ai cassonetti dell'immondizia della casa di Dylan Walker, inerme, priva di vita.

«Io non... non volevo, lo giuro. È stato un errore...»

Era ciò che mi ripeteva da oltre un quarto d'ora, da quando mi aveva chiamato al cellulare per dirmi di venire sul retro. Non riusciva a dire altro. Non riusciva a spiegarmi come era arrivato a tanto, cosa l'aveva spinto a tale gesto.

E io ero troppo scossa per poter trovare le forze per insistere e per convincerlo a parlare, come avrei fatto normalmente.

Deglutii di nuovo, incapace di fare altro, incapace di parlare, incapace di reagire.

«Andiamo a casa» dissi a un tratto, ricevendo un'occhiata stralunata come risposta. «Andiamo a casa» ripetei. «Rimanere qui è rischioso, se ce ne andiamo adesso, insieme, allora...»

Mi fermai non appena sentii un cellulare squillare. Non si trattava del mio, in modalità silenziosa, né tantomeno di quello di Herman, del quale conoscevo la suoneria. Così, con il cuore che mi esplodeva nel petto, lanciai un'occhiata ai miei piedi per avere la conferma che cercavo: si trattava del cellulare di Emily.

Subito mi allarmai, specialmente perché mi accorsi di alcuni passi che si facevano sempre più frequenti e vicini a noi. Afferrai la mano di Herman e lo trascinai via di corsa, andammo a nasconderci dietro un cespuglio.

Lasciai immediatamente la mano di Herm, non appena mi accorsi che era bagnata. Nonostante il buio della notte, non mi ci volle molto a capire che non era soltanto bagnata, ma anche sporca, e non impiegai tanto tempo a realizzare cosa fosse quel liquido scuro che aveva imbrattato anche il palmo della mia mano: sangue.

Trattenni il respiro, prima involontariamente e in seguito di proposito, per non farmi scoprire: Megan era appena giunta davanti al cadavere di Emily.

Ebbe più o meno la mia stessa reazione, anzi, la sua fu molto più spropositata e non si limitò solo allo shock. Megan era fatta così: si lasciava sempre travolgere dal turbine delle emozioni e non riusciva a controllarle.

Ma in fondo la invidiavo. Io a volte avevo quasi paura di non provarle affatto, delle emozioni.

Si accasciò a terra, i grandi occhi verdi sbarrati e le lacrime che sgorgavano. Iniziò a percuoterla, nella speranza di avere una sua reazione: «Emily! Emily, svegliati!» urlò in preda alla disperazione.

Si avvicinò al suo petto per verificare se respirasse, in seguito tentò di rianimarla tramite delle compressioni toraciche. Diedi un'occhiata a Herman, il quale tuttavia teneva lo sguardo fisso a terra, così tornai a seguire i movimenti di Megan.

«Respira! Respira, Emily, ti prego respira!» esclamò, e a quel punto mi tappai una mano con la bocca per impedire che trapelasse qualsiasi suono. Non servirà a nulla, avrei voluto gridare, lei non c'è più.

Per un secondo sperai che le mie lacrime mi soffocassero, desiderai che il dolore mi schiacciasse così forte da farmi avere un collasso o, più semplicemente, bramai di provare qualcosa al di fuori di quella sensazione di vuoto.

Sentii il tocco di Herman sul braccio e mi voltai nella sua direzione, prima di seguire il suo sguardo, puntato su Megan. Giunta ormai al limite, sembrò voler provare a fare un ultimo tentativo, estraendo il coltello dal collo di Emily.

La situazione, se possibile, sembrò peggiorare ancora di più dopo quel suo gesto, dal momento che causò una forte fuoriuscita di sangue. Tanto è già morta, mi dissi poi, non può esserci cosa peggiore della morte.

O forse c'era. Ed era il silenzio. Il silenzio delle emozioni. Il vuoto interiore.

Passarono diversi minuti in cui non successe nulla. Megan continuava a piangere, Herman non emetteva alcun suono, io... io mi sentivo solo un corpo senza anima. Come Emily. Io però ero viva e non avrei dovuto sentirmi così vacua.

Poi, a un certo punto, sentii il cellulare cominciare a vibrarmi nella tasca. Avevo già una mezza idea di chi potesse essere, ne ebbi la conferma non appena allungai il collo e vidi Megan con il cellulare posto vicino all'orecchio.

A quel punto, a passi molto lenti e distinti, ignorando le proteste non verbali di Herman, cercai di allontanarmi il più possibile da lì per poter rispondere senza che Megan si accorgesse del fatto che fossi lì e avessi assistito al tutto.

Feci un respiro profondo e poi risposi. «Pronto, Meg? Ma dove sei finita?» chiesi, cercando di assumere un tono tranquillo.

Non rispose subito. Sentivo i suoi singhiozzi dall'altra parte del telefono. «Trace, è... è s-successa una cosa, non... non riesco a...»

«Meg, cerca di stare calma, fai dei respiri.»

«Non ce la faccio a restare calma!» esclamò.

E aveva ragione, ma dovevo fingere di non saperne nulla. Ciò che non capivo è come ci riuscissi io, a sembrare così calma.

«Dimmi dove sei e arrivo subito. Sei nel bagno?» chiesi.

«N-no, vieni fuori... vieni dietro casa di D-Dylan.»

«Arrivo subito.» Misi giù e poi cercai di rendermi adatta a farmi vedere da Megan. Strofinai la mano sporca di sangue sui jeans neri che indossavo nel tentativo di pulirla, dopodiché mi passai una mano sotto gli occhi per togliere i residui di mascara che erano colati per via delle lacrime.

Feci il giro contrario della casa di Dylan così da poter giungere da Megan seguendo la strada che aveva percorso e io anche, poco prima di lei.

Giunsi quindi alle sue spalle. Era ancora accasciata a terra, immobile.

«Meg, sono... oh mio Dio! Che è successo?» esclamai fingendomi in preda al terrore. «Meg, cosa è successo? Che cosa hai fatto a Emily?»

Erano state le stesse frasi che avevo ripetuto a Herman non appena l'avevo ritrovato nella stessa identica posizione in cui versava Megan.

Dopodiché sentii alcune voci in lontananza, e mi allarmai, nel vedere che molte persone stavano iniziando a lasciare la festa. Se fossero passate lì vicino avrebbero visto tutto.

«Meg, dobbiamo andarcene prima che qualcuno ci veda, altrimenti la polizia sarà qui in men che non si dica.»

Ma la mia amica sembrava disconnessa dal mondo, non udiva una sola parola che usciva dalla mia bocca. «Cosa fai ancora qui? Dobbiamo andarcene! Nessuno deve sapere che siamo state qui!» ritentai, invano.

«La polizia sarà qui a momenti, dobbiamo andarcene, Megan!»

A quel punto qualcosa scattò in lei. Si alzò in piedi, un po' barcollante. Approfittai di quel suo istante di debolezza per chinarmi a terra e afferrare il coltello insanguinato e nasconderlo sotto il mio maglione. Non seppi spiegarmi perché lo feci, fu l'istinto a guidarmi, e il mio istinto non aveva mai sbagliato prima d'ora. Su quel coltello c'erano le impronte di Herman e di Megan. Quindi quel coltello doveva sparire.

Subito dopo afferrai la mano di Megan e la trascinai verso la mia auto. La feci sedere e le allacciai la cintura, dal momento che era troppo traumatizzata per poter svolgere qualsiasi compito, anche fra i più ordinari. Poi feci il giro del veicolo, buttai rapidamente il coltello dentro il bagagliaio e in seguito mi misi al volante.

Non avevo idea di quello che stavo facendo, di dove mi stessi dirigendo e perché. Era l'adrenalina ad agire per me e il mio istinto mi diceva soltanto una cosa: "Proteggi Megan".

Stranamente, non fu Herman il mio primo pensiero. Avrei potuto andarmene con lui e lasciare lì Megan, invece non ci avevo pensato due volte a rispondere alla sua chiamata, a caricarla in macchina e a portarla via.

Lei non c'entrava niente. Non c'entrava assolutamente niente ed era stata messa in mezzo a una situazione che non la riguardava, e di cui, da quel momento in poi, avrebbe dovuto subire ingiustamente le conseguenze.

Era sotto shock, le mani e la camicetta sporche del sangue di Emily, piangeva e non la smetteva di farneticare, diceva che dovevamo andare alla polizia e raccontare ciò che avevamo visto.

Ma non potevo permettere che lo facesse. Nessuno le avrebbe creduto. Quella notte lei e Emily avevano avuto una terribile discussione, e quella stessa notte Emily era stata uccisa. A cosa avrebbero immediatamente pensato tutti?

«È morta!» esclamai, una volta giunta al punto in cui non ne potevo più delle constatazioni di Megan. «È... è morta. Non possiamo più farci nulla. Possiamo solo cercare di salvarci il culo. Anzi, dobbiamo riuscirci. Perché altrimenti andremo in galera e anche le nostre vite finiranno, saremo letteralmente fottute. Tu non potrai andare ad Harvard, né io in un qualsiasi college di merda che la mia famiglia potrà permettersi di pagare. Il nostro futuro, i nostri piani, non andranno mai a compimento. Passeremo i prossimi quindici o più anni della nostra vita all'interno di una cella, mangiando cibo scadente, dormendo male, correndo il rischio di essere malmenate o, peggio, stuprate da altri detenuti o da qualche agente di polizia. Herman mi lascerà, e pian piano tutti lo faranno. È un paesino piccolo, perciò tutti lo sapranno e presto, conoscenti, amici, persino i nostri genitori non vorranno più sapere niente di noi. Rimarremo sole e, quando avremo scontato la nostra pena, avremo la fedina penale sporca e nessuno vorrà mai assumerci, per nessun tipo di lavoro. Verremo viste da tutti come delle assassine. 
Tutto questo accadrà, se non mi darai ascolto.»

Le mie parole parvero convincerla, oltre che tranquillizzarla. Avevo sempre avuto questo effetto sulle persone. Tutti mi vedevano sempre come quella razionale, riflessiva, che agiva sempre nel migliore dei modi, perciò si fidavano sempre delle mie parole e dei miei consigli.

Posteggiai la mia auto davanti a una discoteca, il Golden Rose.

Se volevo proteggere Megan, oltre che me stessa, avevamo bisogno di un alibi, di farci vedere da altre persone al di fuori di quelle della festa, a testimoniare che non ci trovavamo più lì al momento della morte di Emily.

Una volta convinta Megan della mia idea, le feci togliere la camicetta sporca di sangue e gliela feci lasciare in auto. Dopodiché ci avviammo all'entrata del locale.

Tirai fuori il cellulare e notai numerosi messaggi da parte di Herman, in cui mi chiedeva dove fossi finita e cosa avessi intenzione di fare.

La verità era che non lo sapevo. Non avevo ancora deciso cosa fare in merito a Herman, ma di certo non avrei lasciato che andasse in carcere. Non potevo permetterlo. Lo amavo.

Ed era stato un incidente.

Gli scrissi un messaggio e subito dopo averlo inviato lo eliminai così come quelli precedenti che mi aveva scritto, prima di entrare dentro al locale insieme a Megan: "Sbarazzati del cadavere. Non mi interessa come, l'importante è che sia subito. Cancella questo e gli altri messaggi che mi hai mandato subito dopo averlo ricevuto".

***

Ebbene sì! La storia di Megan si era conclusa con un colpo di scena, ribaltando completamente la situazione. Inizialmente ero intenzionata a lasciarla con un finale aperto, ma in seguito ho deciso di scrivere un sequel, così da poter approfondire alcuni punti e, forse, definire le questioni lasciate in sospeso.

Qui, nel caso non si fosse capito, è narrato tutto dal punto di vista di Tracey, che si ritrova involontariamente in una situazione che non le appartiene e che la divide su due fronti: aiutare Megan o aiutare Herman. Per il momento sembra intenzionata a riuscire in entrambe le cose, ma si accorgerà ben presto che non è possibile e che dovrà scegliere da che parte stare.

Fatemi sapere che ne pensate per ora!

PS: Gli altri capitoli saranno narrati ancora dal punto di vista di Megan, e riprenderanno la storia da dove è stata interrotta.

 

   
 
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