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Autore: Tenar80    11/12/2020    2 recensioni
Jude odia essere quello che è, ma non può farci niente. Odia essere basso, avere una voce ancora infantile e un viso da ragazzina. Odia essere un uccisore d'angeli, ma non può farci niente. E il mondo non può fare a meno di lui.
Questa fic è autoconclusiva e autonoma, ma fa parte della raccolta "L'assedio degli angeli - Preludi"
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'assedio degli angeli – preludi'
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Benvenuti o bentornati nell'universo steampunk de "L'assedio degli angeli"!
Questa fic fa parte di una serie composta da quattro racconti. Ognuno di loro è indipendente e autoconclusivo, ma, almeno nella mia testa, l'insieme dovrebbe essere più della somma delle parti. 

Non avete letto Racconto di Fiorile e Racconto di Pratile? Male! Correte a farlo! 
Se non avete tempo e/o voglia in realtà non fa niente. Ecco qualche info per orientarvi. Siamo in un mondo steampunk simil vittoriano e più precisamente nella sua capitale del suo più vasto Impero. L'umanità vive sotto la costante minaccia di attacchi da parte degli angeli, creature proveniente da una dimensione adiacente. A combattere gli angeli c'è un corpo militare scelto, le Ali Nere, il cui equipaggiamento, realizzato a partire dai corpi degli angeli uccisi, permette di scontrarsi con i nemici nella loro dimensione. In realtà nessun essere umano sa molto degli angeli, chi siano, cosa vogliano e perché cerchino di distruggere il mondo umano. Alcuni esseri umani nascono con residui di ali o di corna, costoro sono definiti "impuri" e condannati a una vita da schiavi.

Avete già letto Racconto di Fiorile e Racconto di Pratile? Bentornati!
Con questo racconto rimaniamo nella Capitale, ma cambiamo personaggio e cambiano atmosfera. Lasciamo Victoria (anche se farà un'apparizione nel terzo capitolo) per conoscere Jude, un ragazzino che ha la sua stessa tenacia, ma un carattere ben diverso.
Dall'aultimo racconto è passato poco meno di un anno e qualcosa è cambiato all'interno del corpo militare delle Ali Nere...

Buona lettura e un grazie di cuore a tutti coloro che vorranno lasciare un commento!




Racconto di Ventoso

 

    «La Capitale è quel luogo in cui chiunque può diventare qualsiasi cosa abbia sognato di essere».

    Il ragazzo non ha mai letto nulla di tanto assurdo, ma decide comunque di dare una possibilità a quel giornaletto. Gira la pagina mentre addentra una frittella di mela e l’olio gli cola sul mento. Dopo tutto è il suo compleanno, o, meglio, ieri era il suo compleanno, ma ha ancora qualche ora di libertà, cosa che lo giustifica a considerare anche quella mattina un prolungamento dei festeggiamenti. Per essere Ventoso, il clima è passabile e non è così male starsene sdraiato sul prato a leggere improbabili avventure di un orfano destinato a grandi cose. A giudicare dal sogghigno con cui il vicino di suo nonno glielo ha regalato a un certo punto tra le grandi cosa a cui l’orfano è destinato ci deve essere del sesso e Jude spera che quella parte lo ripaghi.

 

    Un’ombra arriva sulla pagina appena prima che l’orfano entri nel bordello.

    – Cosa ci fai nel nostro prato? – chiede una voce maschile.

    Jude alza lo sguardo, perplesso.

    In piedi davanti a lui c’è un ragazzo più o meno della sua età. Ovviamente, lo sono quasi tutti,  è più alto e robusto di quanto sia lui. Appena dietro ce ne sono altri due.

    – Siamo in un parco, mi pare – replica, svogliato.

    Non vuole passare le sue ultime ore di libertà ad azzuffarsi.

    – È il nostro parco. Quelli come te non stanno qui senza permesso – dice con tono definitivo il ragazzo.

    Jude sbatte le palpebre.

    Poi lo sguardo gli cade sul proprio braccio, ancora impegnato a reggere il volumetto e ne considera la camicia. Checché ne dicano quelle storie, la Capitale è il luogo dove, più di ogni altro al mondo, tutti vengono giudicati solo in base al proprio abbigliamento. Jude indossa una camicia rossa stinta, comprata usata su una bancarella, sopra pantaloni da lavoro neri. Un abbigliamento che gli piace più di tanti altri, comodo, perfettamente adatto alla giornata che ha trascorso ieri, nella casa dov’è cresciuto, in uno dei tanti sobborghi operai. Non ha neppure pensato a cambiarsi prima di uscire dall’appartamento di suo nonno, lo avrebbe fatto una volta arrivato a destinazione. Non si è ricordato di cosa indossava quando ha comprato le frittelle di mele. In Ventoso, quando l’inverno è finito ma la primavera ancora non è cominciata, le frittelle di mele sono un lusso. Le migliori le vendono nel parco proprio davanti a uno dei più esclusivi licei della città. Le migliori tra le migliori vengono fritte appena prima della pausa di metà mattina, in modo che i viziati rampolli possano trovarle ben calde. Non è la prima volta che Jude le compra lì, ma di solito non ha il tempo di oziare nel prato e di certo non è vestito in quel modo.

    Sbuffa.

    – Me ne vado, non voglio guai – dice, alzandosi.

    I guai che non vuole non sono loro, ma le conseguenze che gli verrebbero dal pestarli.

    Li sottovaluta, però.

    O, meglio, sottavaluta l’effetto che fa a tre ben nutriti pargoli dell’alta borghesia o della nobiltà un ragazzetto più basso della media, che dimostra meno dei suoi anni, con capelli biondi troppo lunghi a incorniciare un visetto troppo delicato. Uno dei tre allunga un braccio e gli strappa il giornaletto di mano.

    – Devi pagare un pedaggio per essere stato qui – dice, mentre passa il bottino al vicino.

    Quello se lo rigira tra le mani.

    – Interessante, roba piccante!

    – Ridammelo! – fa Jude.

    La sua voce è ancora acuta, infantile. La odia.

    Intanto le sue mani si chiudono. In meno di un minuto potrebbero essere tutti e tre a terra. Dovrebbe dare delle spiegazioni, però.

    – Che cosa succede? 

    Un quarto ragazzo si avvicina.

    È più grande, può avere diciassette anni, ha capelli castano ramato e quel fare tronfio di chi con l’autorità ci è nato. Gli altri tre, però, reagiscono a quel tipo di carisma.

    – Solo un parassita da rimettere in riga – dice il capo della combriccola.

    – Vi ha dato fastidio? – chiede il nuovo venuto.

    Dal tono è evidente che non lo ritiene probabile.

    – Loro hanno dato fastidio a me. Io leggevo – sbuffa Jude.

    A volte, assecondare quel tipo di autorità è la via più facile per togliersi dai guai.

    Al nuovo venuto basta un gesto per farsi ridare il giornaletto.

    È sicuramente un nobile. Almeno figlio di un conte a giudicare da come scattano gli altri tre. Per loro, per la gente comune, quelle cose sono importanti. Per Jude no.

    Il rampollo osserva il giornaletto prima di ridarglielo.

    – Non sei un po’ piccolo per queste cose? – chiede.

    La situazione sta iniziando a rasentare l’assurdo.

    – Ho quindici anni – ringhia Jude.

    Non è da lui perdere tempo a giustificarsi. Eppure, forse, persino lui sente il fascino di quello sguardo castano e fermo. Ha la sicurezza di chi sa qual è il proprio posto nel mondo e che crede che il cielo, per lui, non si infrangerà mai. Che sciocchezza. Nonostante tutto, Jude quasi gli sorride quando riceve il proprio giornaletto e vede i tre ragazzotti allontanarsi.

    – Mi scuso per il miei compagni – dice il nobile, guardandoli tornare verso la scuola. – Io sono Alster. Mi spiace che ti abbiano infastidito.

    – Non lo avrebbero fatto a lungo, ma il tuo intervento ha reso le cose più semplici – ammette Jude.

    Sa che adesso Alster, futuro conte, barone o forse addirittura duca, si sta facendo delle domande. Perché lui non sta reagendo né parlando come dovrebbe fare uno con quegli abiti. Non si mangia le vocali come faceva da bambino, non ha il collo sporco come quasi tutti quelli che hanno a malapena una bacinella con cui sciacquarsi la faccia con acqua fredda, non è intimidito dall’evidente ricchezza dell’altro.

    – Come ti chiami? – chiede Alster.

    Jude ha la tentazione di rispondergli. Chissà, esiste sempre la possibilità, per quanto remota, che prima o poi incontri qualcuno che non lo infastidisca solo respirando. Alster sembra abbastanza sicuro di sé da non temerlo né invidiarlo. Chissà…

    Ma una leggera vibrazione sul petto, in corrispondenza del cuore, spegne sul nascere il pensiero. Jude ha con sé la spilla, ovviamente, anche se la tiene nascosta. Adesso si infila la mano sotto la camicia per tirarla fuori. È un piccolo cerchio d’oro con all’interno due ali nere stilizzate e la goccia di sangue d’angelo che contiene (angelo non è proprio il termine più appropriato, ma va bene, dato che lo usano tutti), la fa vibrare. Non dovrebbe, perché Jude è in licenza fino a mezzogiorno.

    – Cazzo – esclamano quasi in contemporanea i due giovani. 

    Sia i modi che i motivi per cui lo fanno sono diversi.

    Jude stringe la spilla con una mano, il giornaletto nell’altra, si volta e inizia a correre più veloce che può.

 

    Corre.

     Sa esattamente dove si trova. Se non ci sono problemi con l’attraversare le strade, se una macchina a vapore o un raro, nuovissimo bolide a motore quantico non lo investe, ci metterà sette minuti e tredici secondi ad arrivare alla sala tattica del quartier generale. Più quattro minuti e mezzo per prepararsi. Oltre undici minuti per essere pronto all’azione. Per quanto i suoi maestri sostengano che il tempo sia una variabile, nessuno è ancora riuscito a renderlo tale. Vi sono moltissime cose che possono accadere in dieci minuti. Una battaglia può essere vinta o persa in molto meno. Chiunque ci sia allo schermo tattico lo sa, proprio come lui sa che il preavviso medio che riescono ad avere per un attacco è nove minuti. Eppure lo hanno chiamato. Mentre corre, Jude controlla il cielo. Non ribolle. Non ancora. Ventoso tiene fede al suo nome.  Ci sono forti correnti d’aria in quota che mantengono il cielo di un azzurro inusuale per la capitale. Il tipo di cielo di cui ci si illude di potersi fidare.

 

    Entra nel quartier generale senza smettere di correre. Lo stanno aspettando, le porte si aprono e si richiudono al suo passaggio. Arriva in sala tattica senza essersi fermato a prendere fiato.

    Al pannello di controllo c’è Chris e questa non è una buona notizia. Benché all’occorrenza sia ancora operativo, lavora per lo più al pannello perché è il migliore. Sa intuire gli schemi dei nemici persino meglio di quanto facesse Vic. Se ci fosse stato Andre al suo posto, oppure Samir la sua chiamata avrebbe potuto essere eccesso di prudenza o cattiva valutazione. Ma, dato che c’è Chris, è necessità. L’altra cosa che nota all’istante è che su quindici tute, dodici mancano. Una pattuglia da ricognizione è composta da quattro o cinque soldati. Una formazione da battaglia da sei, otto al massimo. È raro che gli angeli attacchino in gruppi da più di tre. Persino la notte della battaglia col Generale Angelico erano soltanto in tre oltre a lui. È una delle millemila cosa che non si sanno sugli angeli. Perché siano sempre così pochi ad attaccare. Se siano pochi in generale, una feroce e arrabbiata popolazione residuale, o se soltanto alcuni di loro si divertano a uccidere gli uomini, come in una sorta di sport. Jude propende per questa seconda ipotesi. Ha la sensazione che l’umanità intera sia solo selvaggina per loro e che tutti i loro sforzi per contrattaccare, anche o forse sopratutto quelli riusciti, alla fine servano solo a divertire i loro avversari. Dopo tutto la caccia alla tigre è la più appassionante perché è la più pericolosa.

    – Sono undici ostili in avvicinamento sopra alla Capitale. Gli altri sono già sù – lo informa Chris.

    Sopra, su, sono termini fuorvianti. La maggior parte della gente crede che salendo con un razzo sopra i cieli della capitale ci si troverebbe nel mondo degli angeli, invece si potrebbe raggiungere al massimo una delle lune. 

    Vi sono infiniti universi e dimensioni, che in parte coesistono, si intersecano, si sfiorano. La semantica non ha abbastanza parole per la fisica moderna. Anche l’immaginazione di Jude riesce a visualizzare le informazioni fino a un certo punto. Immagina la dimensione degli angeli come una sorta ciambella con un buco in mezzo. In quel buco c’è la Terra. In alcuni punti, sopra la Capitale ad esempio, le dimensioni si toccano. Su tutto il multiverso o come si chiama, con a disposizione un’infinita varietà di dimensioni, loro hanno beccato come adiacente quella abitata da creature che li odiano, che possono saltare da una parte all’altra e colpirli anche stando comodi a casa loro. Se c’è davvero una divinità, da qualche parte, al di sopra di tutte le dimensioni e gli universi, pensa Jude, li odia.

    Si spoglia velocemente, senza curarsi di dove lascia i vestiti, né di farsi vedere nudo, proprio nel mezzo della sala tattica.

    Uno dei servitori impuri del Quartier Generale, un quarantenne compunto con le braccia e le mani del tutto ricoperte da piccole piume nere, arriva a porgergli un bicchiere pieno di un denso liquido rosso. Nelle storie dei giornaletti che legge ogni tanto ci sono i vampiri, creature cadaveriche che sopravvivano bevendo il sangue altrui. I soldati delle Ali Nere, invece, sono sempre gli eroi. Nessuno fuori di lì direbbe che le due cose coincidono. Jude come vampiro si sente pessimo, lo odia il sangue degli impuri piumati, sopratutto quando è rafforzato con sangue d’angelo. Meglio quello di una trasfusione, comunque. Più ne ha in corpo e più il resto viene facile, quindi beve, obbligandosi a non vomitare. Ora si tratta solo di vestirsi con un cadavere e convincere gli universi di essere davvero quella creatura.

    Appartenevano davvero a un angelo le ali nere che spuntano dalla tuta nera che Jude si infila con l’aiuto dell’impuro. Il materiale stesso in cui l’indumento è fatto e che va a ricoprigli completamente il corpo è composto per la maggior parte da tessuto organico angelico. Jude non sa e non vuol sapere come venga preparato. Il reparto ingegneria avanzato del Quartier Generale viene chiamato Il mattatoio e questo gli basta. Gli angeli li odiano. Se fosse nato angelo è probabile che, alla luce di quello che gli uomini fanno ai nemici uccisi, approverebbe questo sentimento.

    Cercando di pensarci il meno possibile, il segreto, dicono i veterani, è automatizzare il gesto, Jude si scosta con la mano sinistra i capelli dorati, lunghi fino alle spalle. Con la destra toglie la protezione all’impianto alla base della nuca, poi cerca lo spinotto che esce dalla tuta e lo infila nel proprio corpo. I minuti vasi che percorrono la tuta iniziano a portare il sangue d’angelo al suo corpo. Le ali acquisiscono sensibilità. Jude le distende e le raccoglie mentre i capelli spariscono dentro il cappuccio e poi la maschera gli copre il viso. Ora è un’approssimazione di angelo.

    Jude?

    La voce di George, il colonnello, comandante sul campo, arriva direttamente al suo cervello.

    Non hanno ancora capito il perché. La tuta che indossa, le sue ali, sono diverse, lunghe circa il doppio di quelle che indossa Jude. Solo con quella tuta, con quelle ali, strappate, secondo la leggenda, secoli prima a un generale angelico, si può comunicare con gli altri e forzarne l’entrata e l’uscita dalla dimensione.

    Pronto.

    Trasmette Jude.

    Ti porto su.

 
   
 
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