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Autore: Sarah_lilith    11/12/2020    2 recensioni
Il campanello appeso allo stipite tintinnò quando la porta fu spalancata, producendo un trillo acuto che infastidì le orecchie sensibili del cavaliere. Con tutto l’intento di fermare quel suono infernale, Nie MingJue voltò la schiena alla stanza e bloccò il batacchio d’ottone con una mano.
-Mio Signore, se non arreco nessun disturbo, potrei chiedervi perché sembrate così ingiustamente astioso nei confronti del mio campanello?- lo richiamò una voce soave alle sue spalle, stupendolo per il tono gentile che ammorbidiva quel suono già dolce -Si tratta di un semplice avvertimento, dopotutto- continuò lo sconosciuto che gli aveva parlato.
Quando il cavaliere si girò di nuovo verso l’interno della bottega, una figura longilinea lo accolse in un tripudio di bianco che quasi lo accecò.
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VictorianAgeAU
[NieLan]
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Lan Wangji/Lan Zhan, Lan XiChen/Lan Huan, Nie MingJue, Wei Ying/Wei WuXian, Wen Ning/Ghost general
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Nota: dato che in questa ff si tratterà di religione, devo avvertire chi legge che le mie parole non vogliono essere offensive verso chi crede, 
e che c’è una bella differenza tra quello che dicono i miei personaggi e quello che dico io.
C’è da aggiungere, per di più, che nell’epoca in cui questa storia è ambientata c’era un sacco di fanatismo… i roghi avevano appena iniziato a spegnersi.
Non è colpa mia se il cristianesimo (come altre religioni) andava poco per il sottile ;)

 

 

I hope to arrive to my death late, 
in love
and a little drunk

(Atticus Finch)

 

 

 

Nie MingJue sapeva che il suo corpo era malato già da un po’, nonostante la sua mente si fosse sempre rifiutata di accettare la cosa.

Quando il medico di Corte gli aveva detto che una delle puttane con cui scopava regolarmente gli aveva attaccato la sifilide, era scoppiato a ridere. Ma ridere sul serio, con tanto di lacrime e crampi allo stomaco.

Poi aveva mandato quel ciarlatano a farsi fottere e aveva ripreso la sua vita.

Gli attacchi improvvisi di tosse che lo svegliavano la notte, la sua costante perdita di peso nonostante mangiasse e si allenasse come un pazzo, i dolori ad ogni parte del corpo… erano tutti sintomi, anche se li aveva delegati come influenza stagionale.

Lui, che nei campi di battaglia faceva strage di nemici, non voleva accettare di essere stato chiamato in una guerra che avrebbe perso. 

Come si combatte un nemico che si annida nel tuo corpo e ti mangia dall’interno?

Sapeva che esistevano strategie, metodi e ingegni per ogni cosa che si doveva affrontare. Il suo consisteva nell’ignorare la cosa, anche se si era presto reso conto che non era una tattica efficace. 

Non gli importava, comunque. Non si sarebbe arreso, non lo faceva mai.

Pochi mesi dopo la prima diagnosi, un altro cosiddetto medico gli aveva fornito il suo parere, questa volta non richiesto. Nie MingJue aveva ascoltato solo perché la testa gli doleva troppo per picchiarlo lì mentre parlava.

-Consiglierei un bagno di argento vivo 1- aveva sproloquiato l’imbecille con voce squillante, tastandogli le tonsille con sguardo indagatore solo per essere respinto violentemente da un suo gesto -Molti miei pazienti hanno avuto un grosso miglioramento, nonostante questa pratica sia sparita dopo il ‘500- aveva continuato, alzando le mani e facendo un passo indietro. 

Convinto delle sue parole, si era trovato comunque a essere trascinato fuori dall’ufficio di Nie MingJue ancor prima di poter continuare. Se quella per lui era medicina, allora il cavaliere avrebbe potuto uccidersi seduta stante e smettere di soffrire.

Un motivo in più per mandare al diavolo i medici e le loro stupide diagnosi.

E poi io non sono malato, si era ripetuto per altre lunghe settimane di dolori e tossi insopprimibili.

Quando però si era svegliato, una mattina, e aveva impiegato più di dieci minuti per mettere a fuoco il soffitto della sua stanza, aveva deciso che era ora di richiedere un altro parere.

Questa volta, però, preferiva affidarsi a qualcuno di meno legato all’uso di allucinogeni come Wen Chao, lo stupido dottore che era stato assunto a Corte, secondo Nie MingJue, solo perché si era fatto scopare dalla persona giusta.

Oppure lo aveva fatto suo padre per lui.

 

 

Jin GuangYao andava sempre sul drastico, quando si trattava dei suoi amici.

Non che li rimproverasse mai in modo troppo acceso o evidente, ma bastava il biasimo che c’era sul suo viso a scoraggiare i suoi conoscenti ancor prima che potessero spiegare le loro vere intenzioni. 

Spesso i nobili rigavano dritto solo per risparmiarsi i suoi sguardi accondiscendenti.

Il segretario di Stato era quel tipo di uomo che a Corte si era fatto la sua strada da solo, pur essendo il figlio illegittimo di uno dei Lord più fedele alla Regina. Forse soprattutto per quel motivo, in effetti.

Il Duca di LanLing è sopra tutto e tutti, era il detto che girava a palazzo, perché nessuno lo sfidava senza patirne le conseguenze.

Amava il lusso e odiava i conflitti accesi, quindi solitamente faceva da moderatore nelle dispute degli altri nobili, mettendosi tra i due sfidanti e cercando di raggiungere un compromesso soddisfacente. Neutrale e mai troppo coinvolto, stava più simpatico alla sovrana che molti dei suoi stessi figli.

Lui non se ne vantava spesso, in ogni caso. Preferiva manovrare le proprie faccende nell’ombra, nascosto dalle lusinghe.

Nie MingJue non l’aveva mai capito davvero, ma erano comunque amici, anche se lo erano nel senso più ampio del termine.

Si erano sostenuti negli affari di stato per anni, e nelle situazioni più difficili avevano mantenuto in piedi il loro piccolo palco in modo da poter governare la scena da un punto sicuro. Il Primo Cavaliere aveva in mano l’esercito, mentre il Segretario gestiva il Parlamento.

Un’accoppiata vincente, ma precaria.

Non che si fidassero in modo completo e totale l’uno dell’altro, invero. Si spalleggiavano volentieri in caso di dispute per il potere, ecco tutto.

In ogni caso, nonostante la loro complicità sporadica, Jin GuangYao era un tipo troppo attento ai dettagli perché il suo malessere gli sfuggisse.

-Fai un salto da Wei WuXian, magari può aiutarti- gli suggerì un giorno di punto in bianco, alzando la testa dai fogli che teneva in mano per poterlo guardare negli occhi con la sua tipica occhiata ammonitrice e quel sorriso che non era felice ma neppure cortese -Sai che in fatto di risolvere i problemi lui è il migliore… anche se ho troppa paura di chiedere come ci riesca- borbottò sistemandosi il colletto alto che gli si stropicciava ad ogni movimento del capo.

Nie MingJue si dovette dire d’accordo su entrambe le affermazioni.

 

 

Erano quelli che si potevano definire amici da una vita, lui e Wei Ying. Si conoscevano da così tanto che nessuno dei due ricordava come fosse nata, quella strana intesa. 

Wei WuXian aveva sempre detto che Nie MingJue era la cosa più bella che gli fosse mai capitata dopo l’oppio, l’alcool e le carte. Un’affermazione più che notevole, detta da uno che per vivere sfruttava tutti e tre i suddetti.

Poi aveva adottato SiZhui ed il cavaliere della Regina era passato in quinta posizione, ma andava bene così. Anche lui non riusciva a far altro che adorare quel piccolo monello.

Andava a trovarli quando poteva, anche se i suoi doveri gli impedivano di permettersi più di qualche giorno di pausa. Lui e Wei WuXian, in ogni caso, avevano un rapporto stretto a tal punto da potersi dire fraterno, anche se erano spesso distanti.

Non si vedevano assiduamente, ma si mantenevano in contatto con lettere, telegrammi e brevi visite mensili che permettevano ad entrambi di non scordarsi la faccia dell’altro. O le sue preferenze.

Come se fossero facili da dimenticare.

Nie MingJue sapeva bene che Wei Ying era conosciuto per essere un esibizionista che non faceva distinzione fra uomini e donne, completamente pazzo, sprezzante davanti alle regole e le autorità della Chiesa. 

Al cavaliere non era mai importato, però, e l’amico l’aveva sempre ringraziato per averlo accettato così com’era.

Questa sua fama, in ogni caso, gli aveva fatto passare non pochi problemi. Quasi nessuno però aveva osato prendere misure davvero drastiche nei suoi confronti, date le amicizie pericolosamente potenti che l’uomo vantava. Nessuno che ne fosse consapevole, per lo meno.

C’era stata una singola volta, anni prima, in cui qualcuno aveva tentato di far sentire la sua voce, ma non era andata bene.

All’epoca Wei WuXian aveva appena aperto la sua attività e la fumeria vantava già molti clienti. Purtroppo non tutti erano contenti della concorrenza, in un quartiere come quello, e uno dei suoi avversari in affari aveva deciso di provare a intimorire il nuovo arrivato.

Si era presentato con due dei suoi uomini più massicci e aveva intimato al "novellino" di sloggiare. 

Comodamente sdraiato su uno dei divani rossi che occupavano il suo locale, Wei Ying si era limitato a sorridere con quell’aria sciocca e disinteressata che lo contraddistingueva. Gli aveva detto di andarsene, prima di finire male.

L’intruso a quel punto si era reso conto che il giovane aveva troppa sicurezza addosso, per essere solo uno sprovveduto, e aveva fatto un passo indietro per ritirarsi. I due scagnozzi, invece, non avevano recepito il messaggio. 

Erano avanzati, diretti a braccia tese verso l’uomo sorridente.

Beh, aveva pensato Nie MingJue gustandosi la scena seduto al bancone, intento a bersi una birra scozzese tra le più torbide, nonché illegale. Sono stati scelti per i muscoli, non per il cervello

Non aveva fatto neanche la fatica di alzarsi per fermare la rissa. Sapeva come sarebbe finita.

Wei WuXian non aveva nemmeno dovuto sollevare gli occhi dal suo narghilè, intento com’era ad aspirarne il contenuto, prima che Wen Ning intervenisse al posto suo. 

In un battito di ciglia, i due aggressori erano a terra, le facce sfigurate dal dolore e le mani a tenersi la faccia. Entrambi erano stati colpiti da un pugno così veloce che non l’avevano neppure visto arrivare, così come colui che gliel’aveva assestato. 

Non c’erano stati cadaveri da nascondere, per lo meno, ma nessuno dei tre sfidanti si era fatto più vedere in giro per parecchio tempo, abbastanza per far passare i lividi e le escoriazioni.

Wen Ning aveva svolto egregiamente il suo lavoro, come al solito. Tuttavia Wei WuXian sapeva anche difendersi da solo, se voleva, e lo aveva dimostrato più di una volta.

Ci sapeva fare più con le parole che coi pugni, però.

Quando uno dei maggiori esponenti del clero si era presentato alla sua porta, esigendo che chiudesse la sua attività per la "scarsa morale che la contraddistingueva", Wei Ying gli aveva risposto che necessitava di farsi una bella scopata, per rilassarsi almeno un po’.

-Vi consiglio il bordello qui di fronte- e aveva indicato con tranquillità un edificio poco lontano, sulla quale soglia svettavano delle sinuose figure seminude -Ci sono uomini e donne per ogni gusto, ma niente bambini, mi spiace. So che a voi preti piacciono queste cose, ma qui noi non le facciamo- aveva aggiunto, sorridendo.

Si era sporto oltre l’uscio mettendo in mostra la pelle nuda tra le due strisce di stoffa che componevano quella che si ostinava a chiamare camicia e lo aveva baciato rumorosamente sul naso. Poi si era raddrizzato con un risolino civettuolo e gli aveva chiuso la porta in faccia.

Fermo sulla soglia della fumeria, Nie MingJue rise a quel ricordo. Lanciò sorridente un’occhiata all’insegna in legno scuro che dondolava dal sostegno di ferro, incombendo sulla strada con la sua ombra ovale.

Yiling, recitava la scritta contornata da incisioni floreali. Il nome del borgo di provenienza del proprietario, e anche quello del locale.

Non si degnò di bussare quando entrò, nonostante il posto fosse evidentemente ancora in fase di apertura. Non c’erano infatti clienti all’interno, quando il cavaliere fece il suo ingresso.

Individuò all’istante la stravagante figura dell’amico, e si rallegrò vedendolo intento a gesticolare animatamente in direzione del barista. Forse stavano ancora litigando per la questione delle giare di vino orientali sparite il mese prima.

Wei Ying era bello, questo era un fatto innegabile, ma quand’era circondato da persone di fiducia e si rilassava abbastanza da lasciar cadere la maschera fredda che spesso gli gelava lo sguardo era proprio magnifico.

La giacca rossa a doppio petto che portava quel giorno, in tinta con gran parte degli addobbi della sala, era allacciata con dei bottoni scuri che Nie MingJue riconobbe come perle nere molto pregiate. 

L’eccentrico strascico a coda di rondine gli arrivava quasi ai polpacci e doveva essere decisamente scomodo, ma la moda dell’anno prevedeva che fosse così. Wei WuXian era un tipo che ci teneva, a quei dettagli.

Frivolezze necessarie, diceva sempre.

I pantaloni scuri erano aderenti, più adatti ad una cavalcata in campagna che ad una giornata lavorativa, ma data la classe con cui li portava nessuno si sarebbe mai azzardato ad accusarlo di apparire rozzo. Senza cravatta e con la parte superiore della camicia nera sbottonata, l’uomo sembrava a suo agio anche così indecentemente abbigliato.

Nie MingJue notò però che era dimagrito molto dall’ultima volta che lo aveva visto.

Gli zigomi affilati gli premevano contro la pelle sottile del viso, le labbra erano esangui e tese in un sorriso sofferente, mentre lasciava perdere l’uomo dietro al bancone e si rivolgeva alla sua guardia del corpo. Il collo delicato era così pallido che, anche da quella distanza, Nie MingJue poté intravedere le venature rosse e blu della giugulare.

Nonostante ciò, vicino a lui persino una figura piena di vigore come quella di Wen Ning pareva scialba, quasi a corto di energie. Era una caratteristica innata di Wei Ying far apparire tutti sotto tono, al suo cospetto.

Non che il cavaliere augurasse a nessuno di finire tra le mani del combattente americano, per quanto paresse dolce alla vista. Sapevano tutti che negli scontri era troppo veloce per essere fermato.

Wen Ning era la guardia del corpo di Wei WuXian da ormai sette anni, e, da quando era entrato in servizio ai suoi ordini, nessuno aveva mai potuto sfiorare il suo padrone con un dito.

Nonostante la Regina avesse apertamente vietato la tratta di schiavi, quello degli umani era un commercio troppo vasto per spegnersi ad un suo comando. I mercati nascosi e aperti solo ai grandi proprietari terrieri avevano ancora buon reddito. 

Era in uno di quegli abbietti luoghi che si erano conosciuti, quei due. 

Wei Ying aveva comprato il giovane ad un mercato clandestino di nativi americani provenienti dalle colonie, anche se si era diretto in quella bottega solo per comprare dei sigari vietati. Era stato però impietosito dai grandi occhi spaventati che lo straniero rivolgeva ai clienti che contrattavano per lui. 

Beh, aveva detto quando uno dei presenti gli aveva domandato che se ne sarebbe fatto di un combattente pellerossa, mi piacciono gli uomini muscolosi! 

Poi aveva comprato per un prezzo esorbitante anche la sorella del giovane, Wen Qing, strappandola dalle mani di un direttore di un bordello piuttosto contrariato.

Li aveva liberati nell’esatto instante in cui erano entrati nel suo locale, dandogli un sacchetto di monete a testa e affermando che nel giro di poche ore gli avrebbe fornito i documenti necessari per imbarcarli su un veliero diretto alle Americhe. Non era tipo da schiavi, lui. Troppo impegnativi, scherzava sempre.

Loro avevano però rifiutato di andarsene.

Si erano accovacciati al suolo, uno singhiozzante e l’altra con l’aspetto fiero di una vera Lady, e gli avevano chiesto di rimanere al suo servizio. Quando aveva cercato di dissuaderli, Wen Qing aveva alzato la testa con gli occhi di una belva.

-Hanno distrutto il nostro villaggio, bruciato la nostra gente e occupato le terre che abitavamo- aveva detto in un inglese stentoreo -Non abbiamo un posto in cui tornare. Staremo con te- aveva concluso.

Non era stata una richiesta, e Wei WuXian aveva dovuto acconsentire. 

Nie MingJue si domandava ancora cosa ne sarebbe stato del suo amico se non ci fossero stati quei due a vegliare su di lui notte e giorno, controllando che non si lasciasse scivolare via lungo le strade buie che attraversava nei periodi peggiori.

Non che fosse un potenziale suicida, ma era abbastanza incurante della vita da andarci vicino.

A distrarlo da quei pensieri fu proprio Wen Ning che, con un mogio gesto del capo, indicò il cavaliere al proprio padrone distratto. L’uomo girò il capo con lentezza ed eleganza, scorrendo con gli occhi plumbei per la sala vuota fino ad incontrare la sua massiccia figura.

Quando notò finalmente il nuovo arrivato, il viso di Wei Ying si aprì in un sorriso poco rassicurante. Naturalmente l’entrata di qualcuno importante come il cavaliere della Regina non era cosa di poco conto.

-Oh!- esclamò il proprietario della fumeria con finto stupore, portandosi una mano diafana davanti al viso per nascondere un ghigno -Guarda chi si è degnato di farci visita: Lord MingJue, da quanto tempo- continuò scherzoso.

Esagerato come sempre, avanzò con passo barcollante e si prodigò in un inchino troppo profondo, i lunghi capelli che accarezzavano il pavimento di legno formando un morbido serpente color pece.

Quel giorno li portava acconciati in una treccia complessa tenuta insieme da un nastro rosso sangue di seta pregiata.

Per i nobili dell’epoca era normale aver un codino, che fosse davvero loro o posticcio, ma nessuno avrebbe mai osato andarsene in giro come Wei Wuxian, che li tagliava solo quando arrivavano a sfiorargli il bacino. La stretta acconciatura scelta li faceva sembrare più corti, ma erano comunque troppo lunghi, per i canoni maschili. 

Facevano però invidia a molte dame che sudavano sette camice per tenerli così voluminosi e curati, questo sì.

Nie MingJue rispose al suo teatrale inchino con un grugnito. Si batté una mano sul petto e abbozzò una riverenza che si concluse ancor prima di iniziare.

-Melodrammatico come al solito, vedo- commentò poi sedendosi su una delle poltrone al centro della sala, abbastanza vicino al bancone e altrettanto lontano dai divani sui quali si sarebbero presto seduti i clienti all’apertura, pronti a fumare e fissarsi con aria assente.

Wei Ying si limitò a scrollare le spalle, rialzandosi con lentezza e facendo un cenno stanco a Wen Ning. 

Il ragazzo dalla pelle color caramello si prodigò all’istante nello spostare uno dei triclini di velluto rosso in modo che il suo padrone potesse sdraiarsi al fianco dell’amico. Wei WuXian lo ringraziò con un sorriso e vi si lasciò cadere a peso morto.

Con la testa che ciondolava, appoggiò il gomito sinistro sul bracciolo imbottito e ordinò con un sussurro che gli fosse portato del fumo. Non fece nemmeno in tempo a finire la frase che gli fu fornito tutto il necessario.

Il tavolino che avevano tra loro era troppo basso perché Nie MingJue potesse appoggiarvi le braccia, perciò il soldato decise di comportarsi da vero villano e sistemarci le caviglie incrociate. 

Il proprietario non si lamentò, prendendo una profonda boccata di fumo dal suo narghilè. Forse non se ne accorse neppure.

Due minuti dopo, il cavaliere attendeva ancora pazientemente che l’amico tornasse abbastanza cosciente da poter intavolare una conversazione. Quando era così strafatto, Nie MingJue aveva sempre la sensazione di parlare ad un muro.

Non gli restò altro da fare che guardarsi intorno, ammirando il locale che gli era familiare come una seconda casa, nonostante non ci venisse così spesso. Annoiato, tentò di trovare delle differenze dalla sua ultima visita.

La sala rettangolare era divisa in tre spazi ben amalgamati: sulla destra il bancone del bar con le rispettive sedute, a sinistra la zona dedicata al fumo e nell’angolo vicino all’entrata le sedute per gli ospiti.

Dei pesanti tappeti decorativi coprivano la gran parte dei pavimenti, anche se Wei Ying ne lamentava spesso la scomodità. Pulire il vomito da quei complicati intrecci di fili colorati era molto più difficile che farlo dal parquet, ma erano così belli che non aveva il cuore di toglierli.

Uno di essi era un regalo del fratello, e quando glielo aveva rivelato era stata l’unica volta in cui Nie MingJue aveva sentito la nostalgia nella voce suadente del giovane fumatore. 

Quel tappeto però lo aveva appeso al muro dietro al bancone, al sicuro dai clienti più maldestri.

Ritraeva un’infinita distesa d’acqua limpida e azzurrina decorata da sporadiche ninfee, alcune già in fiore, altre ancora bocciolo. Sono fiori di loto, ignorante! lo aveva corretto Wei WuXian quando gli era capitato di sbagliare.

Se socchiudeva gli occhi, il cavaliere riusciva ad intravederne la pregiata fattura anche da dov’era seduto, nonostante la penombra.

I due candelabri pendenti in ferro battuto erano ancora l’unica illuminazione presente, abbastanza grandi da permettere alle fiammelle gialle delle candele di proiettare lunghe ombre sulle pareti scarlatte. 

Il cavaliere sapeva che l’oppio rendeva ipersensibili alla luce, quindi capiva quella scelta di stile. Anche se una persona normale non ci vede un cazzo, qui dentro, pensò ironico.

Un ticchettio ritmico riportò la sua attenzione a Wei Ying.

L’uomo stava battendo le dita sul legno chiaro del mobile sul quale Nie MingJue si era poco educatamente appoggiato e ne stava percorrendo le venature con i polpastrelli.

Aveva le unghie più lunghe del necessario, e ad ogni sfioramento della superficie levigata si produceva un suono raccapricciante, quasi uno zampettare di insetti tra la polvere. Se il fumatore avesse chiuso i pugni, si sarebbe di sicuro ferito la carne soffice dei palmi, ma Wei Wuxian si limitò a picchiettarle sul tavolo seguendo un ritmo tutto suo.

Smise un attimo prima che il cavaliere gli tirasse in testa uno dei posaceneri argentati che aveva davanti.

Wei Ying non notò il suo nervosismo, o forse se ne fregò, più probabilmente.

-Cos’hai?- gli domandò di punto in bianco, prendendo un respiro tremulo dalle labbra socchiuse, quasi l’aria pulita gli facesse male mentre respirava.

Semi disteso com’era sul divanetto scarlatto, dondolava una gamba con fare pigro. Gli occhi chiari erano fissi sul soffitto, mentre le lunghe ciglia sbattevano lente, affaticate dal semplice guardare.

Nie MingJue non si stupì quando il ragazzo trasse le sue conclusioni anche senza osservarlo davvero. 

Wei WuXian era sempre stato troppo intelligente per i suoi ventisei anni, nonostante si comportasse da completo idiota. Un vero coglione, diceva sempre Jin GuangYao parlando di lui, ma geniale.

-Pensavo che un malato sapesse riconoscerne un altro- rispose senza tirarla per le lunghe. 

Dicendogli in questo modo di star morendo aveva potuto anche scoccargli una frecciatina, magari facendolo innervosire. Sarebbe stato bello, bisticciare come ragazzini.

Almeno per quel poco che gli restava.

-La mia è solo dipendenza- minimizzò invece l’altro, lasciandosi uscire del fumo biancastro dalle labbra e scoccando la lingua divertito. Ammirò la nuvoletta che andava a disperdersi in aria come se fosse un gioco nuovo.

Nie MingJue scosse la testa, respirando con la bocca. Fu un errore.

Un attacco di tosse lo costrinse a stringere il bordo del tavolo con le dita, estraendo con una mano il fazzoletto ricamato che portava in tasca per asciugarsi il sangue che gli gocciolava fin sul mento.

Gli ci volle qualche minuto per riprendere fiato e compostezza. Quando si rialzò, vide che Wei Wuxian non si era mosso dal suo posto.

Si era limitato a ciondolare con la testa avanti e indietro, inebriato dal fumo. I suoi occhi grigi trapassavano il soffitto come se fosse di vetro.

-Ti ucciderà, ed allora importerà poco cosa ti ha portato nella fossa- sputò adirato il cavaliere, mordendosi il labbro inferiore subito dopo. Il dolore lo aveva fatto scattare come un cane rabbioso.

Non era del tutto colpa di Wei Ying se l’oppio che respirava lo rendeva così intontito e distaccato dalla realtà. Anzi, con quasi assoluta certezza, tra tutte le droghe esistenti aveva scelto quella proprio per quel motivo.

Nie MingJue non si scusò, ma fece un gesto vago con la mano come a cancellare le ultime parole. Era molto più di quanto chiunque avesse mai ottenuto da lui.

L’altro non se la prese per quella risposta rude, in ogni caso. Si limitò a ridacchiare con gli occhi socchiusi, prendendo un altro respiro dal narghilè.

Girò il capo con un movimento lento e lo inchiodò sul posto con le sue iridi grigie come il fumo.

-Sì, forse hai ragione- ammise sorridendo apertamente, gli occhi lucidi e le labbra esangui -Forse hai davvero ragione- mormorò ancora, quasi fosse una cantilena.

 

 

Dalla sua visita alla fumeria Yiling, Nie MingJue aveva ricavato solo un nome ed un gran mal di testa.

Respirare passivamente tutto quell’oppio gli aveva alleviato il dolore ai polmoni, certo, ma le sue tempie sembravano essere state messe tra forgia e martello. La volta successiva si sarebbe assicurato di aprire le finestre, prima di sedersi a parlare.

Wei Ying, comunque, gli aveva fornito le generalità di un medico esperto in malattie del respiro, ma non aveva saputo dirgli altro.

Ti sembro uno dei galoppini che trovi a palazzo? gli aveva mormorato, sollevando un sopracciglio scuro e scoccando la lingua sul palato con fastidio. Ti ho detto chi è, che altro vuoi dalla mia spettacolare persona?

Nie MingJue non si era degnato di rispondergli.

Era uscito dal locale per avventurarsi nelle buie strade della città con le tempie che gli pulsavano e gli occhi che bruciavano, come se non bastassero le fiamme che avevano ripreso a lambirgli i polmoni. Era tornato a casa a piedi, rifiutandosi di ascoltare i rimproveri dei domestici quando era riapparso al cancello della residenza con le mani gelate e gli scarponi sporchi di fango e sterco.

Il giorno successivo si era recato a palazzo con ancora i postumi della sera prima, intontito dal poco sonno e dal fumo che aveva respirato. 

Avrebbe potuto prendersi il pomeriggio libero, per lo meno.

Aveva assegnato a Jin GuangYao il compito di trovare l’indirizzo di questo fantomatico curatore e gli aveva dato cinque giorni di tempo. La tosse e le vesciche lo stavano sfibrando, non poteva attendere oltre.

Cinque giorni? Mi credi un dilettante? aveva risposto il Duca, offeso, sparendo dalla sua vista in un tripudio di oro e giallo.

La mattina dopo, sulla scrivania di Nie MingJue era apparso un biglietto candido con su scritto, in una calligrafia elegante e tutta fronzoli, un indirizzo. Due misere righe che gli indicavano dove andare per ottenere una diagnosi decente.

Gusu - Via delle Ortensie

Ci aveva messo comunque qualche minuto a capire ciò che c’era scritto, dato che i suoi occhi sembravano non voler mettere a fuoco le parole. La sua vista peggiorava di giorno in giorno.

Aveva chiamato una carrozza e si era fatto scortare alla Piazza Azzurra senza temporeggiare, conscio che fosse proprio il tempo ad essergli nemico. Il cocchiere non aveva neppure preteso un pagamento, vedendolo tossire sangue come un appestato sul fazzoletto ricamato che aveva in mano.

Gli aveva fatto intendere che lo voleva giù dalla sua carrozza il prima possibile, sorridendogli nervosamente e inclinando il capo a mo’ di saluto. Avrebbe mandato un suo collega a prenderlo, gli aveva assicurato.

Nie MingJue aveva compreso i suoi timori, quindi si era ripromesso di mandare un suo paggio a pagare il conto, una volta finita quella faccenda. 

Ora che si trovava solo, però, il cavaliere si chiese se non fosse opportuno domandare delle indicazioni precise a qualcuno del posto, dato che lui lì non ci aveva mai messo piede.

La Piazza Azzurra, centro della provincia dei Meandri della Nuvola, era conosciuta in tutto il paese per i suoi ricchi mercati all’aperto e per le svariate viuzze che defluivano fino al suo interno, piene di botteghe ed erboristerie. Nie MingJue non c’era mai stato, disinteressato com’era alla medicina popolare, ma tutti coloro che l’avevano vista gliel’avevano decantata come la più fiorente comunità locale.

Nessuna delle descrizioni che aveva sentito, però, lo preparò adeguatamente a ciò che vide appena sceso dalla carrozza.

La piazza era ampia, di forma circolare e contornata da candidi palazzi muniti di grandi vetrine che permettevano ai passanti di osservarne l’interno e ammirarne la merce. Sui tetti delle strutture che delimitavano il bordo del piazzale, l’uomo scorse ragazzini e donne che raccoglievano le erbe essiccate al sole prima che calasse la sera e l’aria si inumidisse.

Oltre alle botteghe e agli spacci di spezie intrappolati nelle mura del paese, la piazza era piena di bancarelle singole, costruite in legno e coperte da lunghi tendaggi che formavano una specie di tettoia su gran parte della superficie del piazzale. Alcuni di questi banchi servivano the caldo e pietanze fragranti dall’aspetto delizioso, altri vendevano erbe, altri ancora stoffe e libri.

La gente girovagava tranquilla, serena come rare volte Nie MingJue aveva visto in vita sua.

Le donne indossavano abiti da passeggio di un azzurro accecante, tanto chiaro da apparire quasi bianco. I pudici guanti di pizzo coprivano i palmi delle più timide, lasciando solo le punte delle dita libere dalla stoffa leggera.

I poke bonnet nascondevano i visi graziosi ed i capelli raccolti in strette crocchie alla base della nuca, mentre le vaporose gonne impedivano la vista delle calzature modeste perfino delle ragazze più giovani.

A quanto pare, fu il fugace pensiero del cavaliere della Regina, le maniche alla Marie vanno ancora di moda, tra le donne dei Meandri della Nuvola. Sembra di fare un salto indietro di dieci anni. 

Non era giunto fin lì per giudicare gli usi e i costumi di Gusu, però, quindi ignorò i commenti ironici che gli affollavano la mente e proseguì verso la piazza, in cerca di qualcuno che sapesse indicargli la via. Fermò due ragazze prima che queste lo superassero e gli sorrise con garbo.

Parevano due sorelle, una più bassa e formosa, l’altra slanciata e longilinea. 

Procedevano a braccetto lungo il selciato con passi misurati, facendo ticchettare i tacchi degli stivaletti sul terreno lastricato di pietra al ritmo del loro sgambettare. Si riparavano dal sole grazie ad un ombrellino di stoffa leggera tenuto tra le loro spalle a contatto, sussurrando l’una all’orecchio dell’altra.

Nie MingJue si fece avanti mascherando un ghigno compiaciuto con un profondo inchino.

-Perdonate la mia impudenza- disse, tronfio nel sentire le loro risatine lusingate oltre la stoffa che fasciava i delicati palmi, corsi a coprire la bocca e le guance arrossate -Conoscete per caso un certo Lan XiChen? Mi è stato consigliato come medico, e le mie fonti dicono abbia il suo studio qui vicino, anche se non so con precisione dove- si impegnò a spiegare, conscio di star parlando più in quel contesto che alle riunioni di guerra.

Quella più alta fra le due inclinò la testa in un gesto cortese e si stinse al braccio dell’altra prima di parlare.

-Signore, la bottega che andate cercando si trova nel Viale delle Ortensie, in quella direzione- spiegò con voce sottile, indicando una strada alla sua destra con l’indice. Poi lanciò un’occhiata insistente alla compagna ed entrambe si scusarono con una riverenza -Arrivederci- salutarono.

Nie Mingjue si ritenne soddisfatto delle indicazioni e ricambiò l’inchino con una genuflessione appena accennata, il capo basso e la mano destra sul petto. 

 

 

La bottega si trovava sull’angolo che delimitava l’incrocio tra la via principale e una stradina secondaria poco affollata. Pareva ampia e arieggiata, e le due grandi vetrate permettevano al cavaliere di sbirciare l’interno senza apparire troppo palese.

Non che potesse farlo davvero, dato quant’era peggiorata la sua vista.

L’insegna affissa sopra l’entrata era colorata di bianco così come l’intera struttura. Perfino le rilegature in legno che componevano la porta a vetri all’ingresso avevano il pallore della neve tra le proprie venature. 

L’unico dettaglio vivace era quello delle ortensie azzurre che fiorivano dai vasi ai lati dell’edificio. Il loro profumo non asfissiante gli fece alzare un angolo della bocca per la soddisfazione.

Nie Mingjue odiava i fiori. 

Ne detestava l’insensata delicatezza, le continue cure che richiedevano e soprattutto il nauseabondo fetore che producevano quando erano quasi appassiti, le corolle aperte ed i petali in procinto di cadere. Avrebbe volentieri fatto a meno di quelle enormi siepi fiorite nei giardini reali dove era solito passeggiare, ma la Regina le adorava.

Con già un motivo in più per apprezzare il proprietario della bottega, l’uomo avanzò verso l’entrata con le spalle dritte ed il petto infuori. Abbassò la maniglia con forza e fece il suo ingresso a passi spediti, fiducioso.

Il campanello appeso allo stipite tintinnò quando la porta fu spalancata, producendo un trillo acuto che infastidì le orecchie sensibili del cavaliere. Con tutto l’intento di fermare quel suono infernale, Nie MingJue voltò la schiena alla stanza e bloccò il batacchio d’ottone con una mano.

-Mio Signore, se non arreco nessun disturbo, potrei chiedervi perché sembrate così ingiustamente astioso nei confronti del mio campanello?- lo richiamò una voce soave alle sue spalle, stupendolo per il tono gentile che ammorbidiva quel suono già dolce -Si tratta di un semplice avvertimento, dopotutto- continuò lo sconosciuto che gli aveva parlato.

Quando il cavaliere si girò di nuovo verso l’interno della bottega, una figura longilinea lo accolse in un tripudio di bianco che quasi lo accecò.

L’uomo era slanciato come un giunco e lo guardava dritto negli occhi con le iridi nocciola senza necessità di sollevare il capo, dato che era pochi centimetri più basso di lui. Capitava davvero con pochi, a dirla tutta, quindi Nie MingJue se ne stupì piacevolmente.

Accolto con così tanta naturalezza da quello che presumibilmente era il proprietario della farmacia, il soldato si permise di squadrarlo da capo a piedi senza timore di spaventarlo.

I capelli scuri, tenuti legati sulla nuca da un morbido codino, erano lisci e luminosi. Dovevano arrivargli poco sotto le spalle, se sciolti.

Alcune ciocche troppo corte gli sfuggivano dal nastro candido con cui erano allacciati, sfiorandogli le tempie e le guance. Quest’ultime non avevano il tipico rossore presente in chi è felice, nonostante l’evidente allegria dell’uomo, ma solo una lieve ombra rosata che colorava gli zigomi affilati.

Un sorriso tiepido gli splendeva sul viso aggraziato di un candore innaturale, quasi il suo proprietario fosse stato scolpito nell’avorio. 

Accorgendosi di essere sotto gli occhi severi di Nie MingJue, lo sconosciuto ampliò la piega delle labbra e si fece un po’ più avanti. Si sistemò velocemente le ciocche più fastidiose dietro le orecchie con le dita affusolate coperte da un paio di immacolati guanti bianchi, liberando il viso armonioso da quei fili scuri.

Il soldato, resosi conto che toccava a lui interrompere il silenzio che era calato fra loro, si schiarì la gola e aggrottò le sopracciglia per lanciare un’occhiata truce allo sconosciuto. 

Per un attimo il cavaliere aveva perso la sua solita aria minacciosa, in qualche modo.

-Siete voi Lan XiChen, il medico?- sbottò con voce roca, resa ancora più ruvida dal colpo di tosse che stava reprimendo.

Sbattendo le palpebre confuso da quella scortesia immotivata, l’uomo interpellato restò interdetto per alcuni attimi. 

Al guerriero sembrò che anche lui stesse analizzando chi si trovava di fronte, gli occhi nocciola che gli percorrevano il busto, le spalle, la mascella e le labbra. Lo straniero accarezzò la sua figura da capo a piedi con lentezza, rapito da ciò che stava guardando.

Infine ritornò a incrociare il suo sguardo, socchiudendo le labbra sottili per farne uscire un respiro tremolante. Il fiato gli si incastrò in gola e gli bloccò ogni tentativo di parlare.

Poi parve riacquistare il controllo della propria espressione e sorrise ampiamente.

-Al vostro servizio- recitò mentre gli riservava un’aggraziata riverenza ed un luccichio divertito negli occhi -Cosa posso fare per voi, Lord…?- esitò corrugando le sopracciglia brune, ancora all’oscuro del nome del suo nuovo paziente.

Nie MingJue non sprecò nemmeno tempo a domandare come avesse fatto il medico a capire che era un nobile, dato che la Colt 2 di ottima fattura che gli pendeva dalla cintura era solo parzialmente coperta dal mantello pregiato.

-Lord Nie MingJue, Primo Cavaliere della Regina- si presentò allora con un inchino formale, la mano destra che si adagiava sul petto stretta a pugno per la mancanza di un cappello da togliersi. 

Era buona regola, in caso di presentazioni a nuove conoscenze, inchinarsi tenendo il piede sinistro leggermente più indietro rispetto al destro, ma il cavaliere non badava a certe sciocchezze. Le formalità lo infastidivano, anche se vi era spesso obbligato.

Al contrario, Lan XiChen reagì con molta cortesia nel sentire chi aveva di fronte, piegandosi nuovamente in un’esecuzione perfetta di una riverenza umile e sofisticata, il palmo destro appoggiato al cuore ed il capo chino per nascondere il viso.

-Mi onora che un esponente tanto altolocato della nostra aristocrazia conosca il mio nome- disse sinceramente lusingato, rialzandosi solo quando il cavaliere si schiarì la gola con un colpo di tosse sofferente -La mia reputazione non merita tutta quest’attenzione- continuò distrattamente, corrugando le sopracciglia in un’espressione concentrata mentre tentava di capire a che patologia fossero dovuti i rantolii dell’uomo.

Nie MingJue voleva sì arrivare subito al sodo, ma data la cortesia dimostrata dal medico, non potè impedirsi di ghignare. Accettò silenziosamente di dover procedere con cautela.

-Le vostre competenze possono essermi utili- lo premiò senza malizia, riportando semplicemente le molte lodi che aveva sentito riferite al nome del medico.

Quando aveva svolto le sue ricerche, aveva scoperto che la sua fama non solo era arrivata in tutta Gusu, ma perfino alle periferie del Regno avevano sentito parlare di lui. 

-Necessitate di qualcuno che vi prepari degli infusi per la tosse? O magari avete bisogno di un impacco per un vostro soldato ferito?- chiese Lan XiChen abbassando il capo nel sentire quelle parole, ammorbidendo la postura davanti a quei complimenti. 

Il cavaliere lo ascoltò pazientemente domandare se le sue cure servissero per un suo commilitone o per qualcuno dei suoi domestici, di che tipo fosse la malattia o la ferita che doveva trattare e quanto fosse disposto ad attendere per un rimedio. 

Il suo straparlare gli stava però facendo tornare il mal di testa. 

Non era esasperante come Wei Ying, certo, ma forse l’avanzare della malattia aveva reso Nie MingJue ipersensibile, perché ad un tratto anche la voce melodiosa dell’erborista gli parve insopportabile.

-Il vostro lavoro è curare chi vi paga, o sbaglio?- lo bloccò scortesemente alzandogli una mano davanti al viso per fermare il fiume delle sue parole.

L’altro, confuso, si zittì per un attimo e gli rivolse un’occhiata stupita. Non sembrò offendersi per quell’interruzione, ma il tono che usò subito dopo quella contestazione era più flebile di poco prima, quasi volesse rabbonirlo con la dolcezza della sua voce.

-Certamente, mio Lord- asserì chinando nuovamente il capo con riverenza -Ma non capisco cosa…?- si interruppe ancora davanti al suo avanzare minaccioso ed indietreggiò fin contro al bancone.

Protrasse le mani all’indietro per ancorarsi al piano con le dita, piantando le unghie nel legno mentre teneva gli occhi fissi su quelli del soldato. A testa alta, gli fissò addosso le iridi nocciola. 

-Sarò io il vostro paziente- lo informò Nie MingJue con tono prepotente, troneggiando su di lui con la sua statura. 

La differenza d’altezza era quasi nulla, ma la muscolatura dei due uomini era diversa in più modi. Nonostante fossero entrambi ben allenati, infatti, Lan XiChen aveva una fisicità più sottile, longilinea e posata, mentre il cavaliere aveva una imponente massa di puro furore sotto la pelle.

Le spalle larghe di quest’ultimo sembravano scolpite nella pietra anche se logorate dalla malattia, tanto erano massicce.

Il medico, in ogni caso, non sembrava eccessivamente intimorito.

-Solitamente non curo esponenti nobili del vostro rango… non preferireste un diacono?- tentò infatti di chiedere a quel punto, il capo piegato all’indietro ed il labbro inferiore intrappolato fra i denti.

Il nobile perse un momento di troppo a seguire il movimento della lingua rossa dell’altro che gli inumidiva la carne rosata della bocca, affascinato dal modo in cui la sua gola si faceva riarsa non appena il medico si muoveva o parlava.

Poi si rese conto di quanto poco fosse educato il suo comportamento e si affrettò a distogliere lo sguardo.  

-I chierici non sanno quello che fanno- affermò burbero facendo un passo indietro per dare spazio a Lan XiChen -Non gli è permesso trattare i malati che sanno provvedere a se stessi, ed io non sono un mendicante. Non metterò la mia vita in mano a degli stupidi amanuensi- spiegò per giustificare la sua riluttanza.

Un ospedale gestito dal clero era una condanna a morte per chiunque ci si facesse ricoverare, e Nie MingJue ne aveva sentite troppe di storie simili. 

Davanti alle sue parole, il farmacista assunse un’espressione seria e si risollevò in tutta la sua altezza, lasciando il bancone a cui era appoggiato e dirigendovisi dietro con passi sicuri. Si allungò verso una mensola per afferrare un pennino dando le spalle al soldato e recuperò il suo taccuino dal mobile pieno di oggetti che ricopriva la parete difronte a lui. 

Poi aprì la porta di legno bianco che dava sul retro del locale con uno scatto della maniglia d’ottone.

Il cavaliere notò che il pezzo di stoffa chiara che fungeva da fermaglio per capelli gli pendeva sulla schiena e ondeggiava ad ogni suo movimento. Si trattava di un semplice nastro bianco con dei ricami azzurri a forma di quelle che Nie MingJue pensò fossero nuvole.

Non poté assicurarsene, però, dato che l’uomo tornò a voltarsi nella sua direzione per indicargli il retrobottega, invitandolo ad entrare.

-Se siete sicuro della vostra scelta… non sono visto di buon occhio dalle autorità clericali- Lan XiChen gli parlò con premura, per nulla imbarazzato da quell’ammissione -Se sarete mio paziente, non potrete più rivolgervi ad un parrocchiale- lo avvertì.

Il soldato aggirò il bancone con passo pesante e superò la soglia a testa alta, la gola che gli bruciava e il mal di testa che andava intensificandosi man mano che stava in piedi.

Si guardò intorno circospetto, sfruttando la giustificazione della ricerca di una sedia per osservare la stanza in cui era entrato.

Semplice ma ben fornito, lo studio medico era arredato con mobili e tappezzeria bianca. Una grande finestra occupava la parete destra, permettendo alla luce naturale di illuminare il lettino e il carrello piano di strumenti a lui sconosciuti.

-Come ho detto: curerete me- gli assicurò sbattendo sul tavolo di marmo che occupava il centro dell’ambulatorio un pacchetto di carta-monete legate da una cordicella sottile. 

Era abbastanza denaro da poter comprare una carrozza ed i cavalli che la trainavano, ma il medico non sembrò impressionato.

Seguì il suo nuovo paziente all’interno della stanza e si sedette elegantemente sulla sedia candida che si trovava davanti al lettino, accavallando le gambe ed indicando al cavaliere di sedersi per essere esaminato.

-Riprendete il vostro denaro, mi farò pagare quando sarete guarito- disse con un sorriso professionale, impugnando il pennino con la mano destra ed aprendo il blocco per gli appunti con la sinistra.

Arrampicandosi sull’alta seduta che gli era stata riservata, Nie MingJue si sistemò seduto sul lettino dell’ambulatorio e ciondolò le gambe nel vuoto. Si sentì un bambino, mentre abbassava lo sguardo sul medico con un’espressione corrucciata in viso.

Non toccava terra per poco, perciò gli venne spontaneo chiedersi come le persone di statura minore alla sua riuscissero a salire senza problemi. Non domandò nulla, però, preferì tenersi i suoi dubbi.

E con quel quesito irrisolto in mente, la loro prima seduta incominciò.

 

 

-Avete la sifilide, mio Lord- fu la diagnosi finale che ottenne il cavaliere dopo quasi mezz’ora di domande ininterrotte -Con tutta probabilità l’avete contratta durante un rapporto sessuale- aggiunse il medico.

Lo disse senza il minimo imbarazzo, professionale e rigoroso. 

Nie Mingjue restò zitto, incapace di proferire parola. Non negava che ormai le sue condizioni l’avevano rassegnato all’idea di essersi ammalato gravemente, ma fino a quel momento aveva dubitato di ogni parere ricevuto, sperando in una specie di miracolo.

Il cavaliere si appoggiò allo schienale della sedia su cui si era sistemato dopo l’esame fisico a cui era stato sottoposto, abbandonando il lettino scomodamente alto e accomodandosi sulla poltrona più comoda che avesse mai provato. O forse era solo la tensione che gli tendeva i muscoli a far sembrare quella seduta così confortevole.

Sfinito, chiuse gli occhi e si passò una mano sul viso. Le sue stesse dita lo fecero sussurrare, fredde e umide di sudore.

Riuscì però a trarre un respiro profondo, riprendendo la compostezza che lo aveva sempre caratterizzato. Alla terza inalazione, era quasi più tranquillo di quando era entrato nello studio.

Hai avuto le tue risposte, si disse con una punta di sarcasmo che evidenziava quanto fosse stato stupido a negare l’evidenza fino a quel momento, ora cerca le soluzioni.

-Vostra moglie è a conoscenza della cosa?- domandò Lan XiChen vedendolo meno scosso di prima. Intanto sollevò gli occhi dalle proprie mani intrecciate e posate con eleganza sugli appunti che aveva stilato durante il loro lungo dialogo.

-Non ho una moglie- fu la lapidaria risposta del soldato, gli occhi che roteavano nelle orbite ed un risolino quasi infantile che gli nasceva dal petto.

Nonostante la tragica situazione, i rimproveri della sua ormai defunta madre, quella santa donna, gli rimbombarono in testa e lo fecero sorridere amaramente. Trovati una donna prima di diventare troppo vecchio, perché intrattabile lo sei già. Perlomeno ora sei bello, hai più possibilità di passare per un buon partito, diceva sempre.

Non il massimo per l’autostima, ma di sicuro un resoconto veritiero della sua persona. Anche se non l’aveva ascoltata, sua madre aveva avuto ragione.

-Oh- esclamò Lan XiChen lasciandosi sfuggire un sospiro sollevato -Meglio così- aggiunse con un sorriso a mezza bocca mentre appuntava velocemente qualcosa sul taccuino rilegato in pelle.

Nie MingJue corrugò lo sopracciglia ed arricciò il naso con disappunto davanti a quell’affermazione.

-Perdonatemi?- domandò con garbo nonostante il suo divertimento si fosse spento, sostituito dalla curiosità e dall’irritazione per quelle parole.

Il farmacista scosse la testa e si portò una mano guantata a coprirsi le labbra come se si fosse fatto sfuggire più di quanto avesse voluto. Lo stupore genuino che gli illuminò il viso rese i suoi tratti delicati quasi dolorosi alla vista.

-Voglio dire…- si corresse con un verso imbarazzato ed un sorriso di scuse -É un bene perché avrebbe potuto essere contagiata da voi, se aveste intrattenuto dei rapporti anche dopo il manifestarsi dei primi sintomi- spiegò.

Il soldato si limitò a sbattere le palpebre, assimilando quella frase e rendendosi conto di ciò che significava.

-Ah, certamente- lo apostrofò con voce grave mentre cercava di reprimere quella punta di scetticismo che gli inaspriva la voce e che non era riuscito ad impedirsi. Tossì per dissimulare sicurezza, anche se la gola gli fece male ad ogni colpo.

Anche il medico si impegnò per cambiare argomento, gli occhi castani che saettavano tra gli scaffali alla ricerca di ciò che aveva bisogno.

-Potrei incominciare a somministrarvi delle dosi giornaliere di una particolare tisana a base di malva e tiglio, per ridurre la vostra tosse e alleviare i dolori alla gola. Settimanalmente invece…- parlò con tale trasporto che Nie MingJue dovette schiarirsi la voce per prendere parola.

Lo interruppe sgarbatamente, ricordandogli con ben poca grazia di essere presente in quella stanza e demolendo il suo entusiasmo immotivato con un occhiata truce. L’altro non reagì alla provocazione, e anzi sorrise per incitare il suo paziente ad intervenire.

-Non vorrei apparire scettico- si premurò di sottolineare il cavaliere prima di dire altro -Ma delle piante davvero potrebbero risolvere i miei problemi?- domandò scettico.

Le sue sopracciglia scure schizzarono fino all’attaccatura dei capelli quando Lan XiChen, seduto davanti a lui, scoppiò a ridere.

Non fu un suono sguaiato o esageratamente puerile, più simile ad un risolino trattenuto che ad una vera e propria risata, eppure Nie MingJue si sentì comunque in diritto di offendersi, davanti a quella presa in giro. Strinse i braccioli della poltrona fra le dita e digrignò i denti, pronto all’attacco.

Prima che potesse parlare, però, l’ilarità del farmacista si esaurì e l’uomo gli rivolse un sorriso cordiale.

-Certo che sì- affermò con calma, chinando il capo come per chiedergli di perdonare la sua maleducazione -Molti medicamenti sono composti da vegetali proprio perché ogni esemplare ha delle caratteristiche specifiche che lo rendono utile in campi diversi- spiegò indicando con un gesto fluido del polso gli scaffali pieni di barattoli, erbari e fiale.

Il silenzio avvolse la stanza mentre il cavaliere osservava con curiosità ciò che gli veniva mostrato. Davanti alla sua espressione poco convinta, il Lan si permise di approfondire la sua tesi.

-Le bacche di tasso, ad esempio, sono ottime per creare narcotici potenti anche più della valeriana- illustrò entusiasta, proseguendo quando vide lo sguardo vacuo dell’altro -Vengono chiamate "ciliegie di Satana" dalla gente perché hanno effetti paralizzanti, ma la religione non centra nulla con la medicina che pratico, posso assicurarvelo- arricciò il naso con fastidio parlando dell’opinione popolare, quasi sapesse che per quel tipo di ignoranza non c’era nessun rimedio.

Il cavaliere gli fece cenno con il capo per dargli ragione, le labbra rosse che si piegavano in un sorriso di sdegno.

-La gente dice anche che l’alcool è blasfemo, ma da quanto ne so lo bevono comunque- concordò con lui lasciandosi sfuggire una mezza risata.  

-L’alcool vi sarà bandito, d’ora in poi- lo avvertì l’altro smorzando la sua ilarità e scuotendo il capo -Sappiatelo- lo minacciò con la severità che gli oscurava le iridi.

Nie MingJue alzò gli occhi al cielo e intrecciò le dita in grembo, appoggiando i gomiti sui braccioli imbottiti della poltrona e distendendosi all’indietro come se fosse seduto su di un trono.

-A cos’altro dovrò rinunciare?- domandò scettico senza rendersi conto di quanto si sbagliasse riguardo all’aspetto magnanimo del medico.

La scatola da fiuto con il suo prezioso tabacco importato gli venne sequestrata quasi subito, ed il soldato si sentì in diritto di lamentarsi come un bambino a cui venivano tolte le caramelle dalle dita. Tentò perfino di ricattarlo con inutili sotterfugi, promettendogli di essere parsimonioso con le assunzioni.

Lan XiChen, però, fu irremovibile. 

Il suo sorriso gentile ma fermo mentre gettava la scatola piena di tabacco in un cestino tormentò gli incubi del nobiluomo per ben più di una notte.

 

 

I primi due mesi passarono così in fretta che il cavaliere fece perfino fatica a capacitarsene.

Tra i mille avvertimenti su cosa potesse o non potesse fare e mangiare, le numerose sedute di controllo e le altrettante visite per valutare l’avanzamento della malattia, il Primo Cavaliere passava più tempo nella farmacia del Lan che a Corte.

Grazie alla sua amicizia con Jin GuangYao sarebbe stato facile per il soldato far trasferire il medico a palazzo, evitando così di dover usare la carrozza quasi quotidianamente. Eppure l’atmosfera fresca e pulita della bottega, il profumo non eccessivo delle erbe che aleggiava nell’aria e le raccomandazioni del farmacista gli alleggerivano le giornate.

Per il primo periodo aveva creduto perfino di essere stato stregato. Se non fosse stato assolutamente certo che la "magia nera" non fosse altro che una scusa per condannare chi metteva i bastoni fra le ruote alle autorità clericali avrebbe potuto perfino preoccuparsi.

Quella nuova abitudine non era nulla se paragonata alla sua dipendenza dalle guerre, sia chiaro, ma c’era comunque di che riflettere.

Nie MingJue si rese davvero conto di quanto Lan XiChen stesse diventando essenziale nella sua vita quando si ritrovò per la seconda volta nello stesso giorno davanti alla porta della farmacia di Gusu.

Con il piedi piantato sull’uscio della porta ed il campanello tintinnante sopra la testa, realizzò che non c’era alcun motivo per cui avrebbe dovuto trovarsi lì, in quel momento.

Eppure la voce melodiosa del proprietario lo accolse con gentilezza e garbo, il suo sorriso luminoso gli fece capire che sarebbe sempre stato il benvenuto anche se fosse accorso in quella bottega per dodici volte in una sola ora. Non lo avrebbe mai cacciato, respinto o liquidato con scortesia.

E fu in quell’attimo, specchiandosi in quelle iridi castane, che si rese conto di non essere alla ricerca del suo parere medico, ma della sua compagnia.

La codardia che però tanto gli era estranea sui campi di battaglia lo colse impreparato davanti al viso pallido dell’amico, quando il cavaliere dovette parlare per spiegare la sua presenza.

-La tosse… mi duole la gola- si ritrovò a borbottare, le dita che si stringevano sul pregiato pomolo del bastone da passeggio mentre si sforzava di tossire per apparire credibile.

Lan XiChen gli fece cenno di seguirlo sul retro e gli servì una tazza di the tiepido mentre si accomodava, scusandosi per non avere qualcosa di caldo da offrirgli. Nie MingJue non si lamentò, comunque, dato che era piombato lì senza avvisare e aveva perfino richiesto un servizio ulteriore.

-Cos’è?- chiese bevendone un lungo fiato e lasciandosi sfuggire una smorfia quando il sapore amaro della mistura gli invase la bocca.

Il medico gli rispose con un sorriso pieno di candore.

-Erismo, per lo più- disse con casualità, voltandosi poi a sistemare le enciclopedie ed i suoi libri pieni di appunti sugli scaffali che solitamente li contenevano. Li aveva sfilati delle mensole solo per poter pulire la stanza da cima a fondo, ma poi aveva pensato di sfruttato l’occasione per riordinarli.

Ora che ci pensava, dato che la mattinata era ormai passata, avrebbe potuto tenere chiusa la bottega e riorganizzare anche il suo erbario. 

-Sto per ingurgitare un infuso di erba cornacchia 3?- gli chiese Nie MingJue stupendolo, ponendogli quel quesito con un’espressione incredula in viso.

Sorpreso dal fatto che il cavaliere fosse a conoscenza del nome comune di quella pianta, il farmacista restò zitto per qualche attimo, fissandolo con il medesimo smarrimento.

-Ed alcuni fiori di rosmarino, sì- confermò infine, annuendo e tornando al suo impegno mentre sorrideva inconsapevolmente -In minore quantità, però, data la loro concentrazione. Ho aggiunto anche della radice di giaggiolo per quella ferita che avete in bocca- concluse lanciandogli un’occhiata accusatoria da sotto le ciglia.

Il soldato si mosse insofferente sulla poltrona e si scolò gli ultimi sorsi dell’amara medicina. Non rispose subito, preferì ridacchiare con sincero divertimento.

-Non è niente- minimizzò scrollando le spalle e mordendosi la lingua per non confessare quanto in realtà gli dolessero le ossa, fra le conseguenze della rissa e la malattia.

-Avete fatto a pugni, non credo sia niente- lo rimproverò Lan XiChen sospirando -Sul vostro corpo ci sono altri lividi che non posso vedere?- chiese poi tornando a guardarlo con gli occhi scuri che brillavano preoccupati, sotto all’opacità dell’esasperazione.

Nie MingJue appoggiò lentamente la tazza vuota sul tavolo che aveva davanti. Ne carezzò i bordi di ceramica con le dita, sollevando lo sguardo sull’amico ed aprendosi in un sorriso pieno di sottintesi.

-Qualcuno- rispose sibillino, le labbra sottili che si stendevano in un ghigno mentre le guance pallide si coloravano di rosa.

Lan XiChen non si diede pena di cogliere quell’allusione, preferendo cingersi i fianchi flessuosi con le dita e rivolgergli uno sguardo spazientito. Una ciocca scura gli sfuggì dal codino e gli sfiorò il mento, quando piegò la testa in avanti per andare incontro alla mano che gli correva a massaggiare la fronte. 

-Oh per l’amor del cielo, toglietevi quella camicia e mostratemi cosa nascondete- esclamò esasperato avvicinandoglisi.

Il cavaliere lo osservò, tornando a sistemarsi comodamente con le spalle appoggiate al morbido schienale imbottito, le sopracciglia che schizzavano in alto a sfiorargli l’attaccatura dei capelli. 

-Potrei interpretare questa vostra insistenza come interesse, caro il mio dottore- insinuò trattenendo a stento le risate.

Il Lan socchiuse gli occhi per un instante, riflettendo sulle sue parole e sul significato che potevano assumere. Poi il suo viso prese fuoco a partire dalle guance.

-Ah, smettetela- mormorò imbarazzato dandogli immediatamente le spalle per recuperare un contenitore d’argento fra le numerose ampolle e boccette che aveva ordinato sul tavolo da lavoro.

Gli tremarono le mani talmente tanto che rischiò di farlo cadere mentre l’afferrava, ma in qualche modo riuscì a non distruggere la sua amata collezione solo per via di una battuta di troppo.

Nie MingJue non disse nulla, reprimendo l’ennesimo sorriso che gli nasceva spontaneo sulle labbra mentre si sbottonava il panciotto e la camicia. Quando però Lan XiChen si dovette perfino fermare per un attimo a riprendere fiato, l’ilarità fu quasi incontrollabile.

Solo dopo lunghi secondi, il farmacista si voltò finalmente verso il cavaliere, accaldato. 

Il soldato realizzò in quell’istante di non averlo mai visto tanto scosso, anche se il motivo di tale sconvolgimento era una semplice battuta. La situazione lo divertì, ed uno strano calore confortante gli scaldò il petto alleviando le sue pene.

Lo osservò mentre si sfilava i guanti e li appoggiava morbidamente sul tavolo, sistemandoli in modo che non perdessero la piega, ordinati e perfetti. Le dita sottili erano lunghe e delicate, pallide tanto da confondersi con la stoffa chiara.

Il cavaliere non gli tolse gli occhi di dosso nemmeno quando se lo vide venire incontro, tra le mani un barattolo basso e tondo che conteneva una strana pomata verdastra.

Dovette distogliere lo sguardo solo alla vista del suo sorriso imbarazzato che gli si avvicinava al volto mentre il farmacista si inginocchiava al suo fianco e valutava i lividi violacei che gli costellavano il petto. Si voltò dall’altro lato con uno sbuffo che serviva a mascherare il battito accelerato del suo cuore.

Lan XiChen, invece, riuscì a ritornare abbastanza in sé da svolgere il suo lavoro in modo professionale, spalmando la crema lenitiva sulle macchie scure che deturpavano il suo pettorale sinistro.

Nie MingJue lo sentì prendere fiato come se volesse dire qualcosa, probabilmente suggerendogli di fasciare la zona lesa o di non sforzare i muscoli, eppure nessuna parola arrivò alle sue orecchie.

Incuriosito, si voltò nella sua direzione per domandargli cosa lo avesse fermato dal rimproverarlo com’era solito fare. L’espressione angosciata che gli lesse in volto era tanto triste da farlo sentire in colpa.

Si maledisse per non aver fatto più attenzione, ricordando a se stesso che il farmacista si addolorava sempre, nonostante gli anni di esperienza, nel vedere il dolore che la vita causava alla gente.

Si morse la lingua e la schioccò sul palato prima di parlare.

-Se la punizione per ogni mia rissa è questa pomata di erbe maleodoranti, eviterò di farmi coinvolgere, d’ora in poi- grugnì evitando lo sguardo stupito dell’altro.

Era il suo modo di chiedere scusa per il peso che gli aveva messo sul cuore, il massimo che poteva tirare fuori dalla sua anima orgogliosa. Non era mai stato bravo con le parole, ma, da quanto ne sapeva tramite i racconti del medico, nemmeno suo fratello minore era molto loquace.

Ed infatti a Lan XiChen bastò quella frase per tornare a sorridere. 

 

 

Il tempo defluì rapido come la corrente di un fiume di montagna, impetuoso e inarrestabile. Dovettero passare una mezza dozzina di mesi prima che le cure avessero qualche effetto evidente, ma Nie MingJue era troppo preso dalla sua nuova conoscenza per rendersi conto di stare quasi bene.

La sua vista era nettamente migliorata, i polmoni non gli bruciavano ad ogni respiro come se fossero in fiamme e perfino le articolazioni avevano smesso di dolergli.

Si sentiva un uomo nuovo, ma la sua parte emotiva credeva dipendesse più dalla buona compagnia che dalle erbe e dagli infusi.

A volte i due compagni trascorrevano interi pomeriggi insieme senza rendersi conto delle ore che passavano, sorprendendosi della luce morente del sole che filtrava fra le tende candide ad annunciare il calar della sera. Ma le loro chiacchierate, di qualunque argomento trattassero, li coinvolgevano troppo per accorgersi di cose come quella.

Anche quel giorno la discussione si era fatta intensa, ed il farmacista si era allontanato dalle loro sedute solo per qualche attimo. Una buona tazza di the era necessaria, però.

-Continuo a sostenere la mia tesi, mio caro amico- insistette il cavaliere agitando la mano destra con stizza e aspettando che l’altro tornasse al tavolo per continuare -Non posso dire di non credere nell’Onnipotente, perché… non riuscirei a spiegare molte questioni esistenziali, ma a volte ho dei dubbi sul suo interessamento su di noi- si arrischiò a dire.

Lan XiChen scosse la testa e gli porse uno dei due bicchieri ricolme di liquido caldo, sorridendo con pazienza.

-La scienza spiega il mondo con prove e dimostrazioni, la fede è un atto d’amore- affermò senza cattiveria o malizia.

Non stava cercando di incominciare un battibecco per le teorie dell’amico, ma il suo lato razionale era troppo marcato per permettere alla prudenza o alla bontà d’animo di fermarlo. Anche se quello che stava correggendo era il Primo Cavaliere della Regina, oltre che l’amico più caro che avesse, per di più.

-Credete molto nella vostra scienza- Nie MingJue parlò solo dopo qualche minuto di silenzio, le dita che si stringevano attorno alla ceramica della tazza.

Aveva abbassato lo sguardo sulle sue mani ed aveva preso ad osservare rapito il turbinio di vapore bianco che saliva verso l’alto, sfiorandogli il viso e riscaldandogli le guance. Non era vergogna quella che lo faceva tentennare, solo abitudine all’evitare quell’argomento così caro alla sovrana che serviva.

Il medico, al contrario, tenne il mento alto mentre esponeva i suoi pensieri.

-Come potrei non farlo?- chiese prendendo un sorso della bevanda e assaporandola socchiudendo gli occhi.

Il cavaliere sollevò il capo e, senza rancore, gli scoccò un’occhiata amara da sotto le ciglia scure. Soffiò sul suo the prima di prenderne una sorsata abbondante e continuare.

-Non siete molto diverso dai conservatori cattolici, allora- lo accusò sorridendo. 

-Perché dite questo?- si indignò l’altro sporgendosi verso di lui sul tavolo quel tanto che bastava per avvicinare la mano alla sua e sfiorargli le nocche con le dita inguantate.

Evitò di avanzare oltre, però, ed il tocco rimase una carezza accennata.

-Vi affidate semplicemente alle parole di persone illustri che hanno affermato che nel mondo esistono determinate regole… ma vale lo stesso per la fede- cercò di spiegare Nie MingJue schiarendosi la gola ed impedendosi di afferrargli la mano -Insomma, cosa cambia tra i vostri maestri ed i preti evangelisti?- sbottò infine spazientendosi.

Lan XiChen sbatté le palpebre, sorpreso dal suo tono deciso. Poi però sospirò e si ritrasse per sedersi composto, le labbra che tremavano dall’emozione mentre parlava.

-Beh, vi farò un esempio, se per voi è più semplice da capire- fu strano, ma nonostante il tono paziente che usò, il soldato non si sentì trattato come uno stupido -Provate a pensare a questo: cosa succederebbe se tutto ciò che è stato scritto sparisse nel nulla da un giorno all’altro?- domandò il medico.

-Sarebbe una tragedia- rispose Nie MingJue, sperando che quella risposta compiacesse il medico.

Parve funzionare, dato il sorriso genuino che gli riservò Lan XiChen. 

Deliziato dal risultato ottenuto, il cavaliere ammirò le labbra rosee dell’uomo piegarsi all’insù e le sue guance colorarsi di rosso, gli occhi scuri che gli brillavano divertiti. Lo vide scuotere la testa come se fosse in disaccordo, ma le sue parole lo smentirono.

-Ovviamente, ma volevo intendere altro- lo canzonò scherzosamente con una risata roca che fece tremare il cuore del soldato tanto da costringerlo a concentrarsi per ricordare come si respirava.

-Ditemi- sussurrò quasi senza fiato, la gola che gli si stringeva per l’emozione.

-Se oggi tutte le Bibbie ed i Testi Sacri del mondo venissero bruciati, tra mille anni le leggende religiose sarebbero differenti, i dogmi cambiati, le storie distorte dal passaparola- spiegò sfregando le mani fra loro e fissandosi le dita sottili mentre parlava -Se invece si guarda alla scienza, tutto sarebbe riscritto allo stesso modo, perché gli esperimenti porterebbero sempre agli stessi risultati- concluse alzando gli occhi verso di lui e sorridendo.

Le iridi color nocciola gli brillavano come gemme preziose illuminate dalla luce del sole, una particolare sfumatura smeraldo che si confondeva in quel mare castano e grigio.

A Nie MingJue mancò il respiro, mentre distoglieva lo sguardo dal suo.

-Avete la speranza che la gente lo impari, prima o poi?- domandò con tono di chi non pretende una vera risposta, carico di sarcasmo ed amarezza. 

Il suo voleva essere un commento ironico, eppure il Lan gli riservò un sorriso gentile mentre si muoveva a disagio sulla sedia ed accarezzava il bordo smussato del tavolo con le dita nude. 

Una ciocca scura gli scivolò fuori dal nastro bianco che la teneva legata insieme alle altre, nascondendo per un attimo il suo profilo alla vista. Piegò la testa in avanti, ciondolando il capo e dirigendo lo sguardo un po’ di più verso il basso.

-Perché dubitarne?- chiese come se questo fosse più che sufficiente ad acquietare l’anima burrascosa del soldato. 

-É fiducia mal riposta, la vostra- obiettò allora ruvido il cavaliere -Il popolo è gregge, le persone ragionano con lo stomaco e hanno spesso reazioni bestiali davanti a chi distrugge le loro sicurezze, per quanto ingenue- sospirò e guardò altrove.

Piantò gli occhi sulla porta di legno intarsiato e così restò per parecchi secondi, forse perfino minuti.

-Magari bisognerebbe smettere di farsi la guerra per così poco- suggerì alla fine Lan XiChen, non facendosi scoraggiare dal pessimismo dell’altro -Le idee diverse dovrebbero suscitare confronti, non conflitti- affermò prendendo un altro sorso di the. L’ultimo.

Nie MingJue gli rispose con un gemito assai scettico ed un sospiro pesante. Poi si lasciò scappare un sogghigno e si scompigliò i capelli con le dita.

-Con che coraggio mi volete togliere il lavoro?- dichiarò fintamente indignato, un pugno che premeva sul petto come se gli facesse male -Che ne sarà di me, in questo vostro nuovo mondo senza guerre?- piagnucolò con tono lamentoso, imitando una fanciulla che implorava per un amore non ricambiato.

Il farmacista nascose un sorriso divertito dietro alla mano e si prese qualche momento per ricomporsi, prima di parlare.

-Troverò un posto per voi, siatene certo- lo rassicurò quando ritrovò la propria compostezza -Mi servirà qualcuno che macini le erbe per i miei infusi medicinali, quelli che odiate tanto per il loro odore pungente…- iniziò prima di venir interrotto da un lamento sofferente.

-Piuttosto il patibolo!- gridò infatti Nie MingJue alzando il pugno al cielo e facendo ridere di gusto il farmacista.

Era facile, per loro, parlarsi in modo così leggero. Al cavaliere non dispiaceva intrattenere quelle lunghe e complesse conversazioni con Lan XiChen, a differenza che con le altre persone.

Forse era un’innata capacità del medico, quella di metterlo a suo agio e non forzarlo al dialogo, lasciando invece che le parole fluissero da sole, spontanee e magari frivole, ma comunque ascoltate. 

Perché lui lo ascoltava sempre, anche quando non diceva nulla. E Nie MingJue lo amava per questo. 

Restava solo da capire se negare quel sentimento sarebbe stata solo un’altra malattia da nascondere anche a se stesso.

 

 

-Sareste disposto ad accompagnarmi a caccia, questo pomeriggio?- propose un giorno Nie MingJue, il cuoio lucido dei guanti che veniva sgualcito dai movimenti nervosi delle sue dita.

Seduto al suo solito posto, quello che ormai occupava abitualmente quando andava a trovare Lan XiChen, il cavaliere si piegò in avanti appoggiando i gomiti ai braccioli della seduta. Affondò nella morbida imbottitura che li ricopriva e non distolse lo sguardo dalla figura vestita di bianco a cui si era rivolto.

Il medico gli dava quasi le spalle, il busto girato di tre quarti mentre era concentrato nello studio di non sapeva quale estratto di pianta miracolosa. Aveva le sopracciglia contratte e le labbra distese in una morbida linea piegata all’insù.

Sorrideva sempre, quando lavorava con le sue erbe.

Alle parole del soldato, Lan XiChen distolse a fatica lo sguardo dal microscopio e gli rivolse un sorriso confuso. Ci mise un po’, in realtà, a staccare gli occhi dal vetrino che stava esaminando. 

A volte si perdeva troppo nei suoi studi, ma Nie MingJue poteva attendere, pur di vederlo così radioso.

-La caccia… la trovo una barbarie, sapete?- fu però la risposta che gli diede, rialzandosi ed andandogli incontro -Non mangio quasi mai carne- spiegò una volta che gli si fu accomodato difronte.

Il cavaliere l’aveva notato, anche se no aveva mai espresso a parole il suo sdegno. 

Lui non sarebbe sopravvissuto più di una settimana, senza le sue amate bistecche e la trippa di maiale che cucinavano per i banchetti reali. Per non parlare del sanguinaccio e del fegato di pecora, alimenti troppo buoni per poterci rinunciare a vita, a suo parere.

Comprese però che quelle non erano argomentazioni valide per convincere Lan XiChen, perciò cambiò approccio.

-Tiro al piattello?- suggerì allora, le cuciture dei guanti che iniziavano a sfaldarsi sotto il continuo tormento che gli davano le sue unghie. Non alzò lo sguardo dalle proprie mani coperte da pelle nera e trattata, mentre domandava.

-Le armi da fuoco mi ripugnano- si sentì ribattere dalla voce soffice del farmacista, il tono disgustato di chi davvero non ha mai impugnato un oggetto che servisse ad altro che curare.

A quel punto il cavaliere alzò gli occhi dalle proprie dita e fulminò l’uomo con uno sguardo esasperato.

-Teatro?- provò ancora, anche se con evidente riluttanza ed indecisione. 

Gli eventi sociali non lo attraevano molto, ma se il Lan voleva vedere quattro ridicoli attori che morivano tragicamente impersonando i loro ruoli sul palco di un vecchio teatro fatiscente, pieno di gente comune o peggio, esponenti dell’alta società, allora Nie MingJue l’avrebbe accontentato.

Si sarebbe dovuto mordere la lingua per non commentare ogni minuto di quell’esperienza infernale, ma l’avrebbe fatto.

La proposta gli sembrò più che adeguata, eppure il medico si lasciò sfuggire una smorfia divertita, piegando la bocca all’insù mentre si mordeva il labbro inferiore per trattenere le risate.

-Questo sabato, dunque?- chiese sistemandosi i capelli sciolti dietro alle orecchie -Non ci sono spettacoli mattutini in questa stagione- spiegò davanti allo sguardo confuso del paziente.

Il soldato si trattenne dall’imprecare e si passò una mano callosa sul viso, massaggiandosi le tempie con le dita che gli tremavano per la rabbia e la frustrazione.

-Ebbene, cosa ne dite di una passeggiata?- esclamò esasperato davanti a quell’ennesimo rifiuto. 

Il cuore gli batteva forte nel petto, facendogli dolere i polmoni mentre respirava ansiosamente. 

Aveva cercato di comportarsi da gentiluomo, ma nonostante questo Lan XiChen non gli aveva dato la risposta che anelava. Eppure si era presentato in modo impeccabile, l’aveva salutato con uno dei suoi rari sorrisi ed era stato cortese.

Cosa c’era che non andava, in lui? 

Quando alzò lo sguardo, però, si rese conto di essere stato troppo affrettato nel dichiararsi sconfitto. La felicità che lesse nelle iridi castane dell’altro era ben oltre le sue aspettative.

-Accetto volentieri- fu la risposta gioiosa che lo riscosse dalle sue elucubrazioni, strappandolo dai pensieri più autocommiserativi della sua esistenza per riportarlo alla realtà.

La voce melodica del farmacista gli arrivò alle orecchie, simile ad un soffio di vento fresco durante un’estate afosa. Gli alleggerì il cuore e gli raffreddò lo spirito, rendendogli la testa leggera e la bocca allappata.

Quasi sorrise, quando Lan XiChen gli diede le spalle per recuperare il cappotto bianco ed i guanti immacolati.

Forse avrebbe fatto meglio ad essere spontaneo, piuttosto che galante.

 

 

Quando raggiunsero il parco stava già piovendo.

All’inizio non se ne curarono, adocchiando il gazebo ottagonale che sorgeva immacolato e luminoso al centro del prato verde, insicuri se dirigervisi o meno. Quando il vento freddo si fece troppo forte, però, preferirono ripararsi sotto alla tettoia di pietra della struttura, contenti di essere i soli rimasti nello spiazzo erboso.

L’acqua che scrosciò a grosse gocce dal cielo era fredda come il ghiaccio. Alcune di esse rimbalzarono sulla superficie liscia del marmo che pavimentava la base del piccolo tempio, bagnando coi loro schizzi le caviglie dei due uomini.

Nessuno dei due ci badò davvero, anche se entrambi trovarono saggio allontanarsi dal cerchio esterno della struttura per proteggersi dalla pioggia. Era troppo piccola perché potessero starci senza toccarsi almeno un poco, ma tentarono di farselo bastare.

Nie MingJue scosse il capo per scrollare l’acqua in eccesso dai propri capelli fradici e trattenne un colpo di tosse.

Il freddo che gli permeava dai vestiti alle ossa era un male, per la sua salute, ma niente lo avrebbe convinto ad abbandonare la visione quasi mistica che gli si parava davanti in quel momento.

Il cavaliere osservò Lan XiChen appoggiarsi di schiena alla colonna centrale del gazebo, il viso bagnato rivolto all’insù e gli occhi spalancati per lo stupore. Non si aspettava che il secondo diluvio universale della storia si sarebbe scatenato su quel prato, interrompendo la loro passeggiata.

Gli abiti bianchi del farmacista erano zuppi di pioggia e, anche se la camicia ridotta in quello stato avrebbe lasciato poco di ciò che c’era sotto all’immaginazione, il giustacuore azzurrino che lo copriva nascondeva alla vista tutto ciò che era illecito mostrare. 

Nie MingJue permise ai suoi occhi di scorrergli addosso da capo a piedi per lunghi secondi, guardando come la stoffa sottile dei calzoni gli si avviluppava sulle cosce che si intravedevano fra gli orli aperti della giubba.

Poi si rese conto di star esagerando e tornò a fissare la pioggia.

-Una vera sfortuna- disse per rompere il silenzio che era sceso fra loro

Il temporale sembrò non voler far altro che peggiorare, tanto che, per sovrastare il rumore scrosciante dell’acqua che cadeva attorno a loro, dovette alzare la voce fin quasi ad urlare.

Lan XiChen lo sentì comunque, anche se si dovette sporgere per rispondere, dato quanto gli era difficile per abitudine mettersi a gridare.

-La pioggia mi è sempre andata a genio, in realtà- replicò scostandosi con un movimento del polso le ciocche fradicie che, per il peso dell’acqua, gli si erano sfilate dal codino e gli si erano appiccicate alle guance -I quadri che più mi affascinano sono quelli che raffigurano gli scogli che vengono martoriati dalle onde durante le mareggiate- aggiunse sorridendo.

Il soldato gli rivolse un’occhiata stupita e sollevò un sopracciglio scuro, mordendosi la lingua divertito.

-Vi piacciono le tempeste?- chiese scettico, non provando nemmeno a sopprimere un sorriso beffardo a quell’ammissione. 

Una goccia intiepidita dal suo calore corporeo gli scivolò dalla fronte al mento, infastidendolo con la sua umida carezza. Nie MingJue se la sfregò via con la manica fradicia del cappotto, mentre Lan XiChen gli rispondeva allegro.

-Forse per questo mi piacete anche voi ed il vostro carattere burrascoso- il medico rise per la sua stessa battuta, appoggiando la spalla ed il capo alla colonna di marmo su cui si reggeva il gazebo.

Si portò una mano alle labbra, nascondendo la propria ilarità dietro alle dita guantate. Il soldato scosse la testa e lo guardò da sotto le ciglia scure con un largo sorriso sulle labbra.

Quel momento gioviale durò poco, però. 

Col passare dei secondi i loro sguardi si fecero sempre più seri, mentre le parole perdevano di significato o importanza. I battiti cardiaci che rimbombavano nelle orecchie di Nie MingJue dovevano sentirsi anche a leghe di distanza, si disse il cavaliere, dato quanto assordante gli sembrava quel rumore.

Gli occhi dei due uomini rimasero fissi gli uni negli altri finché il desiderio che li illuminava non divenne una sete implacabile.

Improvvisamente, con furia e senza restrizioni, l’aria attorno a loro scoppiò come polvere da sparo colpita da una scintilla.

Si andarono incontro con reciproca smania, le mani che scorrevano veloci su ogni lembo di pelle che riuscivano a trovare e le labbra che si cercavano febbrili. Senza freno, buttarono alle ortiche ogni briciolo di buon senso e prudenza.

Lan XiChen permise al cavaliere ben più di un casto bacio, prima di ritrarsi abbastanza da poter parlare.

-Non possiamo- mormorò sulla sua bocca, gli occhi socchiusi e le guance rosse per il gelo del vento -Mio Lord, non possiamo- ripeté mentre arricciava le dita fra i suoi capelli.

Naso contro naso, i due uomini si fissarono intensamente. I loro respiri si mescolarono quando Nie MingJue gli si avvicinò ancora per rubargli un altro bacio.

Il farmacista non si tirò indietro, accogliendo a braccia aperte quel calore nuovo e proibito.

Dopo altri lunghi minuti, però, si ritrasse ancora, reticente a lasciarsi andare del tutto ed improvvisamente più lucido di prima. Si allontanò dal corpo tiepido del guerriero premendo le mani sui muscoli del suo petto, le falangi che aderivano alla stoffa bagnata.

Il soldato, notando quell’ennesima incertezza, prese a parlare pieno di fretta ed agitazione.

-Lan XiChen, voi siete così… importante- confessò con voce concitata, un sorriso di scuse che piegava all’insù quelle labbra così poco abituate a farlo -Le parole non sono il mio cavallo di battaglia, lo sapete bene, ma come potrei nascondervi i miei sentimenti, seppur mi riesca così difficile descriverli?- domandò emozionato.

Prima che l’altro potesse rispondergli, lo afferrò per le spalle e lo strinse in un abbraccio mozzafiato, costringendolo con una mano a sollevare il mento per poter catturare le sue labbra con le proprie.

Gli rubò il fiato ed ogni replica possibile con un bacio.

Lan XiChen non tentò comunque di intervenire. Preferì stare zitto e godersi le carezze dell’uomo, mugolando soddisfatto quando Nie MingJue gli afferrò i fianchi con le mani calde.

Perché, in fondo, cos’avrebbe potuto dirgli, dopo tutto quello?

-Come farei senza di voi? Oh, il mio prezioso, preziosissimo amico- continuò a mormorare il soldato mentre gli baciava il viso con smania febbrile.

Le parole gli scivolarono fuori di bocca senza freno, un fiume in piena squassato da correnti violente che erano desiderio ed amore. Non provò nemmeno a mettervi un freno, troppo impegnato a carezzare con la lingua il palato dell’altro.

Il medico si abbandonò a lui con un’arrendevolezza così spontanea che Nie MingJue dubitò per qualche attimo fosse vera. Poi girò all’improvviso il volto verso destra, allontanando la carne morbida delle proprie labbra dalle attenzioni del cavaliere. 

Chiuse gli occhi castani e si morse la lingua per mantenere un certo controllo di sé.

-Cosa stiamo facendo?- chiese con un sussurro concitato, la voce singhiozzante per la mancanza di fiato -Voi non dovreste…- iniziò a dire prima di interrompersi con un gemito a metà fra il desiderio ed il senso di colpa.

Il Primo Cavaliere aveva infatti ignorato il suo quesito retorico e gli si era spinto vicino senza badare alla lontananza che il farmacista aveva voluto imporgli. Gravandogli addosso col suo peso e stringendolo a sé senza remore gli baciò le guance arrossate dal freddo, arricciando le dita fra le ciocche bagnate che gli erano sfuggite dall’usuale codino.

Lan XiChen attese parecchi secondi prima di scostarsi di nuovo, questa volta con più fermezza.

Gli diede le spalle e si allontanò da lui fino a raggiungere il bordo della struttura sotto la quale si erano riparati, affacciandosi al prato per ammirare la pioggia che cadeva impetuosa. Si strinse le braccia attorno al corpo come se il freddo dell’acqua scrosciante gli stesse permeando nelle ossa. 

Forse era davvero così, considerato quanto erano zuppi i suoi vestiti.

-Come potrei fare altrimenti?- domandò Nie MingJue non lasciandosi scoraggiare da quell’atteggiamento reticente. Lo inseguì senza esitazioni, avvolgendolo da dietro in un abbraccio stretto e affondando il viso nell’incavo fra il suo collo e la spalla -Il mio animo riesce solo ad amarvi, perché dovrei negare questo sentimento?- bisbigliò al suo orecchio con tono incalzante.

-Non siete in voi, mio Lord- negò il medico, nonostante il suo viso si fosse sporto come d’istinto per appoggiarsi al capo dell’altro -Vi prego- disse con tono implorante.

Non era una domanda né un’affermazione, solo una supplica. 

Davanti alla disperazione che udì in quelle semplici parole, all’agonia che la voce dell’uomo faceva trasparire, Nie MingJue lo dovette lasciar andare.

Lan XiChen barcollò, perdendo quasi l’equilibrio quando l’altro lo liberò dalla sua presa. Mise un piede sull’erba del parco per riprendere stabilità, poi si piegò in avanti e si incamminò sotto la pioggia a testa bassa.

A quella vista il cavaliere fece per riacciuffarlo, magari trascinandolo al sicuro dall’acqua fredda, e neppure l’ennesimo sussurro del farmacista lo fermò.

-Vi prego- gli ripetè ancora l’uomo vestito di bianco cercando di liberarsi dalla sua presa.

-Sono io che prego voi- lo incalzò il soldato afferrandolo per le spalle e costringendolo a girarsi per guardarlo in faccia -Avete ragione, non sono in me. Forse non lo sono più da molto tempo, ma non lo considero un male. L’amore cambia le persone come l’acqua salata sgretola gli scogli su cui si scontra, perciò mi arrendo al mio sentimento. Ponete fine al mio dolore e permettetemi di amarvi- quasi gridò.

Solo sentendo la commozione che lo faceva singhiozzare Lan XiChen si decise finalmente ad alzare lo sguardo su di lui. Lo osservò con gli occhi lucidi, le ciglia bagnate dalla pioggia che incorniciavano le iridi castane.

-Non abbiamo il potere di ignorare il mondo come se fossimo… come se fossimo nascosti sotto ad una campana di vetro- negò scuotendo il capo, i capelli fradici che gli si appiccicavano come ragnatele alle guance e alle labbra in un intreccio di fili scuri.

Il tremolio che scosse le sue parole poteva essere una conseguenza del vento freddo che soffiava sulle loro figure, ma il soldato sapeva che c’era ben altro che tormentava l’animo del Lan.

-Il mondo lasciatelo fuori- gli disse mentre con le dita tremanti gli sfilava i guanti e lo costringeva ad appoggiargli le mani sul viso. I palmi nudi che lo accarezzarono erano freddi contro la pelle accaldata del suo volto, ma il cavaliere non si ritrasse -Dà quando l’opinione della gente vi da tanto pensiero?- domandò.

Il medico di bianco vestito sbatté le palpebre, cercando di schiarire la confusione che li aveva adombrati quando quei pensieri cupi lo avevano assalito. 

La paura, in fondo, non era una buona scusa per negare ciò che ormai era chiaro ad entrambi: se non avesse provato nulla per il suo amico, si sarebbe ritratto molto prima. La sua esitazione era dettata solo dal timore, non dall’incertezza delle sue emozioni.

Eppure la pioggia doveva in qualche modo aver lavato via, insieme ad ogni parvenza di calore che gli riscaldava il corpo, anche tutto ciò che gli impediva di stringere a sé il soldato.

-Nie MingJue- gemette accarezzandogli le guance coi pollici e addolcendo lo sguardo color nocciola -Oh, Nie MingJue- mormorò ancora con l’ardore di qualcuno che sta invocando il perdono del Paradiso.

-Sono qui- gli rispose il Primo Cavaliere della Regina sporgendosi in avanti per appoggiare la fronte su quella dell’amico, i nasi che si sfioravano e le mani callose del guerriero che andavano a coprire quelle soffici del medico -Sarò vostro per sempre, lo giuro- promise con un sussurro.

Poi lo baciò ancora, incurante della pioggia torrenziale che non smetteva di inumidire il terreno attorno a loro.

L’altro si aggrappò alle sue spalle con forza, le unghie che gli graffiavano la pelle olivastra e le dita che gli affondavano nella carne. La stoffa bagnata gli scivolò vischiosa fra le mani, fredda e pesante.

Il cappotto di Nie MingJue, zuppo d’acqua e d’intralcio per il loro abbraccio appassionato, fu lasciato cadere al suolo. Un tonfo attutito dall’erba umida accompagnò la sua discesa verso terra, prima che un gemito affannato di Lan XiChen rompesse il silenzio imbottito da tutti quei suoni soffocati.

-Vi amo- fu tutto quello che riuscì a dire prima che il cavaliere lo attirasse a sé per tappargli la bocca con la propria -Che Dio mi perdoni, ma vi amo- biascicò ancora, fermando per un attimo il compagno ed accarezzandogli le ciocche bagnate con le dita che tremavano.

Non era solo pioggia quella che gli scorreva sul viso sorridente, però.

I suoi spettacolari occhi castani erano inumiditi dal pianto, quando Nie MingJue abbassò lo sguardo su di lui. Aveva cercato di reprimere le lacrime per tutto il tempo, ma alcune gli erano sfuggite dalle ciglia, scivolando silenziose sulle guance pallide e confondendosi con l’acqua che cadeva dal cielo.

Quello che lo scuoteva non era senso di colpa, ma più una specie di malessere diffuso che derivava dalla sua mente troppo sveglia.

Perfino in quegli attimi di sfrenata passione, infatti, il farmacista non aveva potuto far altro che immaginarsi una vita felice al fianco dell’amato, prima di rendersi conto che nessuna delle sue fantasie si sarebbe avverata.

Se anche la malattia che lo corrodeva dall’interno non l’avesse ucciso nel giro di pochi anni, il mondo in cui vivevano e le regole a cui erano vincolati gli avrebbero impedito di stare insieme come entrambi speravano. 

Inutile illudersi. Il futuro che tanto agognavano non era per loro, e questo lo sapevano bene tutti e due.

-Dio non c’è sotto la nostra campana di vetro- le parole del soldato lo sorpresero, e quando alzò lo sguardo per incrociare i suoi occhi scuri l’espressione feroce che li infiammava non gli fece paura, ed invece lo rassicurò -Ci siamo solo noi- specificò con una smorfia.

Un sorriso spezzato, i denti bianchi che si intravedevano attraverso le labbra sollevate abbastanza da permettergli di ringhiare davanti al suo scetticismo.

-Nie Ming…- tentò di protestare Lan XiChen con un’espressione contrariata e le sopracciglia corrugate.

Ma l’altro gli fece ingoiare il suo nome insieme alle lacrime, impedendogli di ritrarsi o di immaginare qualunque cosa non fossero loro due, stretti l’uno all’altro come se davvero il mondo non gli fosse contro.

 

 

Non si erano più toccati in modo così disperato, dopo quella volta.

C’erano state carezze e scambi di sguardi intensi, certo, per non parlare dei baci rubati alla luce fioca delle lampade ad olio che illuminavano le serate trascorse insieme a conversare, ma niente di davvero degno di nota. Come se quell’attimo fosse stato intrappolato fra due periodi diversi delle loro vite, fecero finta di non aver perso il controllo in modo così spassionato.

O per lo meno quella era la loro intenzione iniziale.

Bastò poco perché entrambi si rendessero conto che era impossibile sopprimere certi sentimenti, ora che erano venuti a galla. Tentare di scordare quello che avevano condiviso quel giorno non avrebbe fatto altro che renderlo più desiderabile.

L’aveva sognata, la pioggia che aveva lavato via le loro difese sciogliendo i loro dubbi e le loro paure. Una volta caduta, però, nel suo incubo l’acqua che li aveva bagnati si era trasformata in una pozza ai loro piedi che andava scurendosi col tempo, pronta ad inghiottirli. Sapeva che non ne sarebbero mai usciti, se ci fossero cascati dentro.

Forse era per questo che si era svegliato urlando, sudato come se avesse corso e con il cuore che sembrava volergli uscire dal petto.

Temeva il giudizio della gente quanto un cane feroce poteva avere timore di un insetto, ma non era la sua reputazione che si preoccupava di rovinare. Il medico era più incline alla malinconia di lui, magari ne avrebbe sofferto.

E lui non avrebbe potuto sopportarlo.

 

 

Nie MingJue ed i due Lan si erano incontrati presto, quella mattina.

Il cavaliere della Regina si era presentato in anticipo per il controllo settimanale, incrociando per errore anche Lan Zhan mentre questi teneva compagnia al fratello maggiore durante le prime ore di apertura.

Per cortesia ed educazione, lo invitarono a bere un the con loro, sistemandosi sul tavolo di ferro all’ingresso con una teiera fumante e un cesto di pane caldo davanti. In silenzio, si erano messi ad osservare il vapore salire dalle loro tazze.

Il soldato aveva assaporato la tisana con calma, storcendo il naso a quel retrogusto dolciastro che gli faceva pizzicare il palato. 

-La carestia in Irlanda sta raggiungendo dei livelli allarmanti- disse provando ad intavolare una conversazione, anche se quello fu il meglio che riuscì a tirarsi fuori di bocca.

Per sua fortuna, i due medici assecondarono quel goffo approccio e discussero per un po’ sullo spinoso argomento. L’imbarazzo sfumò via con il vapore della tisana amarognola, alleggerendo l’atmosfera.

Il minore dei Lan parlò poco e restò serio per tutto il tempo, ma si fece capire.

Conversavano da ore davanti alle loro tazze vuote, ormai, quando dalla porta della bottega apparve una figura trafelata. La giovane che fece irruzione all’improvviso e senza essere annunciata si dimenticò perfino di inchinarsi al cospetto dei tre uomini che, vedendo venirgli incontro una fanciulla, si alzarono rispettosamente dalle loro sedute.

Al soldato bastò un’occhiata per riconoscere il bel viso dell’infermiera personale di Wei Ying, Lady Wen. Confuso, la vide esitare sulla porta, così a corto di fiato da doversi fermare per non svenire sul parquet della tenuta.

La giovane si era infatti bloccata alla vista dei tre uomini, ansimando per prendere aria e aggrappandosi allo stipite come se necessitasse di un appoggio. Nie MingJue scattò immediatamente verso di lei per sorreggerla, mentre notava più dettagli possibile che lo aiutassero a capire ciò che stava succedendo. 

La donna era vestita in modo adeguato per far visita a degli amici, gli abiti puliti e precisi. Molto da lei, insomma.

Il cavaliere ricordava bene il calvario che avevano passato lui e Wei WuXian quando avevano dovuto far abituare lei e il fratello ai vestiti inglesi, soprattuto dato il loro status sociale. 

I nobili avevano un’etichetta molto più rigida da seguire che il resto del popolo, purtroppo.

Con Wen Ning non era stato così difficile, in fondo. Per un servitore del suo tipo, i cui compiti necessitavano di potersi muovere liberamente, erano richiesti solo una camicia semplice e un paio di pantaloni molto pratici. 

Se si voleva strafare, bastava aggiungervi un panciotto o un giustacuore scuri.

Per una donna, invece, la faccenda si complicava.

I due uomini avevano passato l’Inferno per convincere la giovane ad indossare un corsetto, per non parlare della crinolette, che a suo dire le impediva di camminare. La poverina ci aveva messo un mese solo per riuscire a sedersi evitando di ribaltare i cerchi all’indietro e finire gambe all’aria.

Quando aveva finalmente capito come deambulare senza causare danni a se stessa e all’ambiente circostante, Wei Ying l’aveva avvertita che mancavano ancora come minimo altri cinque strati, tra sottogonne e velluti.

Al che la ragazza li aveva minacciati di morte violenta, se solo avessero tentato di stringerle ancora una volta le stecche che le premevano sulle costole.

Non posso nemmeno respirare, aveva mormorato, perché per parlare non aveva abbastanza respiro in corpo, sono sicura che questo affare mi farà più male che bene.

Anche adesso che erano trascorsi più di sette anni da quando aveva preso il suo posto al servizio di Wei WuXian come infermiera personale, i vestiti che sceglieva per sé erano i più comodi che la società le permettesse di trovare in commercio.

In quel momento infatti indossava un bustino semplice ed una gonna morbida che probabilmente aveva solo una o due imbottiture di spumeggianti sottogonne. Non le era mai interessato avere delle sottane voluminose, nonostante andassero di moda.

Con la carnagione caramello che si ritrovava avrebbe potuto permettersi anche i colori più accesi. Perfino un giallo canarino non l’avrebbe fatta sfigurare, eppure indossava sempre tonalità neutre, perfino pacate, a dir si voglia.

Il capo verde oliva che aveva scelto quel giorno aveva nel complesso una tonalità molto scura, quasi opaca, e su qualunque altra donna sarebbe potuto apparire funebre, mentre su di lei era semplicemente austero, forse un po’ severo.

La stoffa era priva di ricami, con un unico delicato drappeggio all’altezza delle caviglie che rendeva meno monotona l’intera creazione. 

Il colletto era chiuso fino all’ultimo bottone, castigato ma comunque elegante. La fila di bottoncini dorati che le scendevano fino all’ombelico si fermava in prossimità dell’orlo a V che concludeva il bustino.

Poco sotto la curva del mento, sulla stoffa scura che nascondeva la pelle dorata della giugulare, spiccava un cammeo di avorio coi bordi argentati. Era fissato come una spilla al colletto dell’abito, ed era abbastanza grande da ritrarre l’intero busto della dea Diana, munita di arco e con la freccia già incoccata, pronta per colpire la preda.

Di sicuro un regalo di Wei Ying, pensò il cavaliere nel vederla.

Le maniche a tre quarti si differenziavano molto da quello che le dame ritenevano in voga al momento, ma permettevano una maggior comodità. 

Quel tipo di scelta permise poi a Nie MingJue di notare le macchioline rosse che tempestavano gli avambracci della donna, intenta ancora a sorreggersi appesa al suo gomito.

Un segno scarlatto spiccava evidente sul dorso del guanto destro, la stoffa bianca che pareva attraversata da una linea vermiglia che andava da nocca a nocca. Pareva che la giovane donna avesse pulito con la mano una macchia di vernice rossa e si fosse dimenticata di cambiare i guanti prima di uscire, colta da un’improvvisa urgenza.

Il cavaliere riconobbe quella sostanza come sangue alla prima occhiata. 

Troppe volte lo aveva dovuto nascondere nei fazzoletti dopo forti attacchi di tosse in pubblico. Ormai non aveva dubbi nemmeno se messo di fronte alla pittura scarlatta più realistica del paese.

-Cos’è successo?- domandò allarmato, abbassandosi per poter osservare la donna nonostante l’ingombrante poke bonnet che le nascondeva il viso. 

Incorniciata dagli strati di stoffa dorata, l’uomo vide l’espressione sconvolta della giovane e le lacrime che le bagnavano le labbra. Lo sguardo stravolto della ragazza era offuscato da una confusione febbrile a cui non era avvezza cedere, i lunghi capelli raccolti in uno chignon morbido sulla nuca che, nella fretta, si era allentato ed aveva permesso a qualche ciocca scura di arricciarlesi sul collo e sulle guance.

-Wei WuXian è peggiorato. Sta tossendo sangue da un po' ormai…- lo informò Wen Qing con un respiro tremulo, gli occhi che le fiammeggiavano di preoccupazione -…nemmeno io so cosa fare. Non so trattare le intossicazioni da oppio- ammise, il senso di colpa che rendeva le sue parole amare.

Nie MingJue scattò e oltrepassò la porta ancor prima che la donna finisse di parlare.

 

 

Arrivarono alla fumeria Yiling in neanche mezz’ora, ma al cavaliere ogni minuto parve eterno.

Lan XiChen non aveva nemmeno chiesto chi fosse questo Wei WuXian e perché dovesse curarlo. Era invece salito sulla carrozza che li avrebbe scortati a destinazione con tutto il necessario nella propria borsa di pelle chiara e si era seduto al fianco del soldato, stringendogli una spalla con la mano guantata.

Aveva richiamato il suo sguardo esercitando una lieve pressione sulla clavicola e gli aveva sorriso fiducioso. Poi aveva appoggiato l’altra mano sul suo petto e aveva rallentato il movimento dei suoi respiri.

-Faremo in tempo- gli aveva sussurrato a mo’ di rassicurazione con quel tono calmo che solo lui riusciva a usare, massaggiandogli al contempo la base del collo con le dita ricoperte dalla stoffa bianca del guanto.

Nie MingJue non aveva risposto. 

Si era lasciato semplicemente andare, crollando contro il sedile della carrozza e piegando il capo in direzione del finestrino, evitando gli occhi luminosi del medico. Era troppo stanco per protestare, quindi aveva fatto finta di accettare le parole dell’uomo e aveva stretto disperato la mano che gli stava riscaldando il petto, intrecciando le dita nude fra quelle del medico coperte dal sottile cotone candido.

Non si era curato di quanto potesse sembrare intimo un tale gesto, soprattuto di fronte ad altre persone. Solo quando la testa gli era scivolata sulla spalla di Lan XiChen e il cavaliere si era ritrovato ad inspirare il suo dolce profumo, aveva realizzato la pericolosità di tutto ciò.

Gli era tornato in mente che si era infiltrato anche Lan Zhan, in quella spedizione, e che era lì con loro dall’inizio. Wen Qing era tornata alla fumeria a cavallo, precedendoli per controllare le condizioni del paziente, mentre il fratello del medico era rimasto con loro.

Lanciando un’occhiata indagatrice al giovane seduto sul sedile opposto, aveva sospirato di sollievo quando l’aveva visto troppo concentrato ad osservare il panorama al di fuori del finestrino per badare a ciò che succedeva nella carrozza a pochi passi da lui.

-Siamo arrivati- lo sentì dire, vedendo le sue labbra muoversi mentre articolava la frase.

Il suo cervello ci mise qualche secondo a capire ciò che significava, ma quando lo fece il cavaliere scattò in piedi e scesa dalla carrozza con un balzo.

Intontito dall’adrenalina e dalla stretta che gli impediva di respirare, si diresse all’interno del locale passando davanti ai tavoli vuoti e al bancone di legno all’ingresso. Raggiunse il retrobottega in poche falcate, superandone la soglia e percorrendo il corridoio fino alla porta della camera privata di Wei Ying.

La trovò già spalancata, eppure esitò per un attimo, la mano appoggiata allo stipite e gli occhi fissi sulle venature di legno dell’anta.

Dietro di lui, Lan XiChen e Lan Zhan si fermarono in attesa di una sua mossa.

-Chi vi ha dato il permesso di entrare?- sentirono gridare da Wen Qing prima di poter oltrepassare la soglia, il tono alterato dalla rabbia a tal punto da apparire più simile ad un ringhio che una domanda.

-Il compito che Dio mi ha affidato è quello di…- le rispose la voce sconosciuta di un uomo, bassa e grave come solo quella di un prete abituato a sussurrare potesse essere.

-Fuori da questa casa!- lo precedette la giovane togliendogli la possibilità di continuare il suo sermone.

-Non è una casa, è un luogo di perdizione- fu la pronta risposta, carica di disgusto e condanna -Ma c’è ancora la possibilità di salvare la sua anima prima che le fiamme della dannazione…- davanti a quelle minacce, i tre uomini sulla soglia non poterono più restare indifferenti.

Anche se la donna se la stava cavando più che bene nel gestire l’intruso, Wei WuXian doveva essere visitato subito, e la presenza del religioso era solo d’intralcio.

Fecero il loro ingresso senza salutare, superando i due che discutevano e dirigendosi al capezzale del proprietario della fumeria.

Il curato borbottò insoddisfatto quando venne ignorato, arcuando le sopracciglia folte e storcendo le labbra in una smorfia esageratamente offesa. Il suo viso grassoccio si infiammò di sdegno davanti all’evidente scortesia dei nuovi arrivati.

Le occhiate minacciose di Nie MingJue lo fecero però desistere da un’eventuale protesta.

Si limitò a stringersi al petto la spessa Bibbia e rigirarsi fra le dita della mano libera un crocifisso in madreperla, facendo oscillare avanti ed indietro il ciondolo di legno che ritraeva la santa croce. 

Lan XiChen interruppe l’uomo prima che questi aprisse bocca, indicandogli la porta mentre si piegava sul giovane febbricitante per esaminarlo.

-Uscite da qui immediatamente- disse deciso, rivolgendosi al prete con voce ferma anche senza bisogno di urlare -Siete peggio che inutile, signore- lo ammonì quando questi provò a fare un altro passo in direzione del letto.

-Come osate?! Questo…- si bloccò indietreggiando, quasi fosse incapace di trovare un insulto abbastanza offensivo per descrivere Wei WuXian -…blasfemo deve confessare i suoi peccati prima di morire, magari in questo modo rimedierà abbastanza perché il Signore…- fu interrotto da Nie MingJue, che lo ignorò e gli sbatté la porta in faccia.

Le sue grida si persero oltre il legno spesso e scuro, echeggiando per il corridoio fino a che il religioso non si rese conto che le sue parole finivano inascoltate.

A quel punto, le urla cessarono, e Lan XiChen potè finalmente lavorare senza inutili interruzioni.

Con un semplice sguardo sembrò giungere ad una diagnosi soddisfacente, ma preferì lanciare un’occhiata a Wen Qing, prima di agire.

-Gli avete somministrato qualcosa?- la interrogò confuso quando vide il giovane uomo continuare a contorcersi nel letto, squassato da colpi di tosse che lo costringevano a sputare sangue e saliva.

Rivolse intanto un cenno a Nie MingJue perché si avvicinasse e gli fece tenere fermo Wei Ying per non permettergli di agitarsi troppo, mentre lo visitava più approfonditamente. 

Doveva esserci qualcos’altro che gli provocava quelle convulsioni, dato che gli oppiacei avevano effetti sedativi. Se si fosse trattato di intossicazione da oppio, l’uomo avrebbe dovuto vomitare nel sonno, non rimettere sangue e contorcersi.

-Dell’aceto di issopo per depurare il corpo- rispose prontamente Wen Qing, lo sguardo castano che saettava frenetico dall’amico al medico -Ma ne ha preso troppo. Gli avevo detto di assumerne due cucchiai, e solo se aveva attacchi troppo violenti, quando sono tornata però la bottiglia era quasi vuota- ammise con tono roco, arrabbiata col fumatore per questa sua impedenza e furiosa con se stessa per non averlo evitato.

Lan XiChen incominciò ad annuire ancor prima che la donna finisse di parlare, ora a conoscenza di cosa fare.

-In quantità eccessive, l’issopo può causare convulsioni- mormorò tra sé e sé, afferrando il viso del paziente con le dita guantate e cercando di tenerlo fermo per osservargli le pupille contratte -Non è colpa vostra, gli avevate spiegato quale fosse il dosaggio corretto, anche se posso capire perché ne abbia abusato, dati i dolori che deve aver patito- rassicurò la ragazza sovrappensiero, rivolgendo la schiena al letto per frugare nella borsa che si era portato appresso.

La valigetta di pelle venne aperta con un click e richiusa quasi all’istante, una volta recuperata una fiala di vetro con un liquido bianco-giallognolo e vischioso dal suo interno. 

Dalla velocità con cui aveva trovato ciò che cercava, il medico doveva avere molto più che alcune ore di pratica alle spalle.

Ritornando in fretta al capezzale del malato, il farmacista lo costrinse ad aprire la bocca esercitando una lieve pressione sulle guance e gli versò in gola qualche cucchiaio di medicamento.

-Bevete- lo esortò quando Wei WuXian arricciò le labbra disgustato e tossì per sputare ciò che stava ingerendo.

Wen Qing, premurosa, gli sollevò il capo per metterlo seduto e gli sistemò alcuni cuscini dietro le spalle perché non si appoggiasse direttamente alla testiera del letto. Poi tornò a prestare attenzione a ciò che l’aveva incuriosita.

-Di che si tratta?- domandò piegandosi in avanti e osservando da vicino la mistura che il medico fece bere al giovane. Una cortina di capelli castani le nascose il viso come un sipario quando si sporse ad analizzare la boccetta di vetro, dato che si era tolta il cappello appena entrata e l’acconciatura non aveva retto allo strattone violento.

-É un infuso di corteccia di tasso, agrimonia e olmaria- le rispose cortese Lan XiChen, gli occhi concentrati sul viso sudato dell’uomo addormentato e le dita che correvano a misurare il polso -La corteccia di tasso ha effetti narcotizzanti e fermerà le convulsioni. L’agrumaria, al contrario, è un veleno vegetale così detto "innocuo", serve per bilanciare la mistura, oltre che a diminuire l’infiammazione di gola e intestino. L’olmaria aiuterà ad eliminare le tossine tramite il sudore e calmerà la febbre, invece- spiegò mantenendo un linguaggio semplice, specificando alcuni dettagli perché tutti, non solo lui e la donna, capissero cosa stesse dicendo.

A quelle parole, Wen Qing corrugò le sopracciglia e si inginocchiò a fianco del letto sul quale erano sistemati medico e paziente. Togliendosi i guanti ancora macchiati di sangue, li appoggiò sul comodino di legno scuro lì vicino senza distogliere lo sguardo dal volto dell’amico.

Un lampo di ammirazione le sconvolse i tratti del viso quando, dopo un’attenta analisi, la donna si rese conto che il respiro di Wei Ying stava rapidamente perdendo il suo affanno e il pallore stava lasciando posto ad un colorito più sano.

Nonostante gli evidenti miglioramenti dell'amico, però, aveva ancora dei dubbi da esporre al medico sconosciuto.

-L’olmaria non va mai bollita- affermò scettica, sostituendo con la propria mano quella di Lan XiChen per controllare lei stessa il battito ormai regolare dell’uomo addormentato. 

Con delicatezza, premette le dita sul polso sottile di Wei WuXian, chiudendo gli occhi per concentrarsi meglio. Una volta constatato che l’amico era fuori pericolo, mollò la presa e sospirò sollevata.

-Ne sono a conoscenza, perciò aggiungo i fiori pestati solo dopo aver fatto raffreddare il decotto 4- le rispose intanto l’erborista, anche se la giovane non aveva fatto una vera e propria domanda -Siete molto preparata, Lady Wen- la lodò con un sorriso mite.

Lei si lasciò andare al bordo del materasso, sfinita dalla tensione che l’aveva divorata fino a quel momento. Appoggiando la fronte sulle coperte, raccolse le gonne attorno alle gambe e si sedette comodamente, le braccia incrociate sul letto ed il viso affondato fra le lenzuola profumate.

Con la mano destra si aggrappò alla manica della vestaglia del padrone.

-La nostra famiglia era incaricata di curare gli abitanti della tribù quando ero ancora…- si interruppe, osservando pensierosa le proprie dita che tormentavano la stoffa scura. Aprì e chiuse bocca per un paio di volte, all’improvviso a corto di parole, poi scosse il capo, nascondendo il viso tra le ciocche sciolte -Anche se le erbe che usavamo erano diverse dalle vostre, eravamo i migliori- mormorò atona.

-Non stento a crederci, Lady…- fece per complimentarsi ancora il farmacista, interrotto da uno sbuffo seccato.

Divertita, la giovane prese a scuotere la testa con una risata amara che le raschiava la gola. I capelli le ondeggiarono attorno al viso, accarezzandole la pelle ambrata delle guance.

-Non sono una Lady, smettetela di chiamarmi così- lo ammonì.

Forse avrebbe aggiunto qualcos’altro, se avesse avuto la possibilità di farlo, ma venne preceduta dal risveglio improvviso del suo amico. Il giovane uomo sbatté pigramente le palpebre, girando il capo verso di loro.

Seguì il suono delle loro voci con indolenza, guardandoli bisticciare e socchiudendo le labbra per respirare meglio. Tossì un paio di volte prima che i presenti si accorgessero che era cosciente.

Lan Zhan, che fino a quel momento era rimasto zitto ed immobile ad osservare la sua figura sdraiata, fece un passo avanti e chinò il capo per salutare. Con l’espressione più fredda che poté mantenere, parlò con voce ferma.

-Come vi sentite?- domandò muovendosi ancora, facendosi così vicino al letto che il fratello maggiore e la donna dovettero spostarsi per lasciarlo avanzare. Si sedette poi al fianco del malato, stropicciando le coperte con le dita in attesa di una replica.

Il sorriso mesto che ricevette come risposta valse più che mille parole.

 

 

La prima frase che pronunciò il fumatore una volta aperti gli occhi fu così da lui che a Nie MingJue venne da ridere. Si trattenne solo per decenza.

-Sono già all’Inferno?- sussurrò infatti Wei Ying con un mormorio delirante, la febbre che gli annebbiava ancora i sensi. Indicò poi con la mano destra il fratello del medico e ridacchiò flebilmente -Oh, non pensavo che i diavoli fossero così graziosi- ammiccò.

Le sue dita raggiunsero lentamente il gomito dell’uomo seduto al suo fianco, sfiorando la stoffa leggera che lo copriva e arricciandosi esitanti al contatto con il freddo cotone bianco.

Lan WangJi afferrò intanto un asciugamano pulito dalla pila che la domestica aveva lasciato in camera e lo immerse nella ciotola d’acqua di fianco al letto. Serio in viso, scostò le ciocche scure dal volto di Wei WuXian per procedere col suo lavoro.

Non si sottrasse al tocco del malato, prese invece a tamponargli il volto con delicatezza, pulendolo dal sudore e dal sangue rappreso agli angoli della bocca.

-Patetico- lo accusò dopo aver sentito la sua affermazione, continuando comunque a rinfrescargli la fronte con il panno umido senza mostrare alcuna emozione che non fosse il lieve fastidio dovuto a quelle parole insensate. 

Poi si alzò per raggiungere la ciotola piena di acqua fresca dall’altra parte della stanza, dimostrando solo indifferenza.

Nie MingJue si accorse però che i lobi delle sue orecchie si erano tinti di rosso al complimento del moribondo, intento a ridacchiare dal letto su cui era disteso.

-Papà, papà!- li interruppe una voce squillante che proveniva dal corridoio, pochi attimi prima che la serratura scattasse e la porta si spalancasse, battendo contro il muro con un tonfo sordo.

Sulla soglia apparve un bambino di circa cinque anni, bello e spettinato come solo gli infanti potevano essere. Gli occhi scuri erano profondi, grandi e lucidi, coperti dalle palpebre che sbattevano freneticamente e contornati da ciglia lunghe e folte. Le guance rosse erano gonfiate in una buffa smorfia entusiasta e le labbra a cuore erano stese in un gran sorriso.

Fu impossibile per chiunque fermarlo, data la velocità con la quale scattò verso il baldacchino e vi si arrampicò, ancorandosi alle lenzuola ruvide. 

Dopo aver scalato il materasso con mille sbuffi e gridolini di indignazione ad ogni difficoltà, il piccolo riuscì a raggiungere la sommità del letto e si buttò a capofitto fra le braccia di Wei Ying con le lacrime agli occhi.

Il fumatore rise, senza fiato per la stanchezza, e accarezzò i capelli neri del marmocchio senza reprimere una smorfia sofferente. Il peso comunque non indifferente del ragazzo doveva stargli facendo male al costato, ma non se ne lamentò ad alta voce.

Il bambino, ignaro di tutto, gli si aggrappò addosso come se l’uomo fosse la sua ancora di salvezza nel bel mezzo di una tempesta, stringendogli le piccole dita sulla camicia e nascondendo il visino nel suo petto.

Singhiozzò per diverso tempo al capezzale del padre adottivo, piangendo rumorosamente per interi minuti prima di interrompersi e lasciarsi scappare qualche singhiozzo silenzioso quando restava a corto di fiato. Intestardito, dovette essere sollevato di peso dal cavaliere per decidersi a mollare la presa sull’ancora convalescente fumatore.

-Viziatello che non sei altro!- lo rimproverò bonariamente Nie MingJue rimettendolo a terra e scompigliandogli i soffici capelli con una mano -Che dici se adesso Wen Qing ti porta in cucina e ti prepara una bella tazza di cacao e zucchero? Io e i miei amici dobbiamo parlare con tuo padre- rivolse un cenno con il capo alla donna, che subito si fece avanti sospirando, sorridendo al bimbo perché accettasse.

SiZhui assunse un’aria confusa e si guardò intorno per capire di cosa stesse parlando, accorgendosi solo in quel momento della presenza di altre persone nella stanza. 

Il suo broncio spaesato si trasformò in una fredda espressione sospettosa poco adatta a qualcuno della sua età.

Il bambino piantò gli occhioni ancora umidi di lacrime su di loro e li osservò in silenzio per un po’ con le profonde iridi grigie. Si portò poi una mano alla bocca e si mordicchiò l’indice piegato a uncino prima di rivolgersi a Nie MingJue.

-Zio?- lo richiamò interrogativo, evidentemente sorpreso che nella camera del genitore ci fossero due sconosciuti.

SiZhui era sempre stato un bimbo di poche parole, soprattutto davanti a degli estranei. Aveva l’innata capacità di fare amicizia nonostante il suo silenzio quasi perenne, però. 

Per questo motivo, chiunque lo incontrasse, anche se ignorato o addirittura respinto, lo trovava adorabile.

Essere così grazioso e silenzioso aiutava, ma forse dipendeva anche dalla sua mania di aggrapparsi alle gambe della gente e restarvici incollato finché Wei Ying non se lo andava a riprendere. Solo il proprietario della fumeria aveva infatti la capacità di calmarlo e farlo obbedire per più di cinque minuti.

Non che importasse granché in quel momento, dato che per portarlo fuori Wen Qing dovette praticamente sollevarlo di peso.

Trascinandolo per un braccio e cercando di distrarlo, lo condusse fino alla porta e salutò gli altri con un cenno, mentre si occupava del pargolo per lasciarli parlare da soli.

Nel silenzio calato nella stanza subito dopo la loro uscita, Wei WuXian prese parola con il tono più canzonatorio che riuscì a tirarsi fuori dal petto.

-Quando morirò- esordì, interrompendosi subito per tossire e facendosi aiutare da Lan Zhan per mettersi seduto più comodamente tra i cuscini. Rivolse ai presenti un sorriso che sapeva di scuse, mentre si sistemava affaticato.

-Wei Ying…- lo anticipò Nie MingJue con voce grave. 

Desiderava fermarlo, o meglio fermare le sue dichiarazioni. Non voleva sentire quelle parole che, una volta pronunciate, avrebbero segnato il loro rapporto come una linea da non superare mai più.

La distanza della morte, quell’oscura sconosciuta che li spaventava tutti così tanto che preferivano andarle incontro a testa china. Guardarla negli occhi avrebbe solo fatto crescere la paura per quello che li avrebbe attesi dall’altra parte.

Ma Wei WuXian era diverso.

Quella linea lui l’avrebbe scavalcata senza remore, più curioso che intimorito dall’ignoto. Gli piaceva troppo camminare sul filo del rasoio per poter detestare una possibile caduta.

-Quando morirò- ripetè infatti il giovane uomo con insistenza, calcando le parole come se gli fosse difficile farle uscire ma allo stesso tempo non potesse farne a meno -Non potrò affidarti SiZhui, lo sai, vero?- chiese stringendo le pesanti coperte fra le dita sottili.

Lo sapeva, Nie Mingjue. Lo sapeva fin troppo bene.

Ci aveva pensato a volte, anche se avrebbe preferito concentrarsi su altro che sull’immaginarsi il futuro che lo avrebbe atteso dopo la morte sua e dell’amico. Scappare dalla realtà non l’avrebbe rimandata, però.

Si era detto che magari avrebbe potuto scrivere nel testamento che Nie Huaisang, alla sua dipartita, si sarebbe trovato responsabile anche del bambino. Poi ci aveva ripensato.

Nei limiti che la profonda conoscenza del fratello gli permetteva si fidava di lui, ma mai gli avrebbe consentito di crescere Yuan, conscio della distrazione e dell’insofferenza che contraddistinguevano il suo consanguineo.

Capiva la scelta di Wei Ying, in fondo, perché anche lui al suo posto avrebbe fatto lo stesso, per quanto gli volesse bene.

Nessuno affiderebbe mai il proprio figlio ad un moribondo.

-Chiederò un favore ad un vecchio amico- continuò il malato guardandosi le mani pallide, per la prima volta troppo stanco per affrontare lo sguardo del cavaliere -Xiao XingChen si prenderà cura anche di te e tua sorella- disse facendo poi un vago gesto in direzione della guardia, che era rimasta immobile sulla soglia per tutto il tempo.

Era stato così silenzioso che Nie MingJue non lo aveva neppure notato. Eppure doveva essere entrato con loro, se non prima.

Wen Ning fece un passo avanti senza emettere alcun suono, i piedi che sfioravano il pavimento di legno con una grazia innata e feroce. L’unica cosa che tintinnarono furono i due bracciali gemelli che aveva ai polsi, riempiendo l’aria col loro scampanellio macabro.

Erano catenelle d’argento che Wei WuXian del nativo americano aveva acquistato al mercato nero a cui aveva sottratto tempo prima lui e la sorella, in una bancarella che commerciava gioielli rari rubati poco lontano dal palco degli schiavi. 

Si trattava di due sottili strisce metalliche composte da decine di anellini d’argento l’uno incastrato nell’altro. Un bel paio di catene, leggere e luccicanti, ma pur sempre un guinzaglio, avrebbero pensato in molti.

Ma per Wen Ning, l’uomo che era sopravvissuto più di un anno alla cattura e ai lavori forzati, oltre che al viaggio dalle Americhe al Vecchio Continente, si trattava di un’affermazione.

Wei Ying glieli aveva allacciati ai polsi sei mesi dopo la loro liberazione ufficiale, quando gli aveva affidato il suo incarico di guardia, riponendo in lui le responsabilità che riguardavano il tenerlo in vita e lontano dai pasticci per lo più causati da lui stesso.

Il fumatore aveva appena vent’anni quando lo aveva guardato negli occhi nocciola e gli aveva sussurrato la verità all’orecchio.

-Queste sono catene che puoi toglierti quando più lo desideri- aveva detto con un sorriso che aveva scosso Wen Ning nel profondo -Hai la piena libertà di poter decidere come gestire la tua vita, capisci?- gli aveva domandato poi, senza aspettare una risposta prima di alzarsi sulle punte per accarezzargli la testa.

E la guardia se la ricordava ancora, la sensazione di calore che gli aveva scaldato il cuore quando le dita del padrone si erano alzate su di lui non per picchiarlo ma per lodarlo, per dimostrargli che ci teneva. 

Non l’avrebbe mai dimenticata, non avrebbe potuto.

Nemmeno ora che, nel sentirsi chiamato in causa, sentiva che la discussione era troppo, per lui. Nemmeno se avrebbe preferito ricevere altre mille frustate pur di non dover assistere al declino giornaliero che stava consumando il suo amico.

Amico, un pezzo dell’anima che non fa parte del tuo corpo e che devi proteggere, si disse ripensando agli insegnamenti della sua tribù. 

Gli si inasprì lo sguardo, ma si morse le labbra per mantenere un certo controllo.

Wei WuXian osservò il suo viso con una nostalgia che non gli apparteneva, gli occhi grigi che risplendevano di affetto. Il suo era uno sguardo non adatto all’uomo che era, simile a quello di chi ha già perso la sua battaglia e non deve far altro che chinare il capo.

Morire con la testa abbassata non era da Wei Ying, però.

Si cancellò quell’espressione malinconica dalla faccia con un sorriso smagliante e si risistemò fra i cuscini, il capo mollemente appoggiato alla testiera del letto e le iridi chiare che si spostano sull’individuo davanti a lui.

-Mh, vi ho già incontrato, per caso?- chiese, continuando a parlare prima che Lan Zhan potesse aprire bocca e rispondere -Magari ad un ballo organizzato per gli scapoli del regno?- ammiccò lezioso.

E fu così inaspettato che Nie MingJue riuscì a scoppiare a ridere nonostante la pesantezza che gli affossava il cuore, davanti all’espressione sconvolta del fratello del medico.

 

 

-Hai ricevuto un telegramma- l’uomo sobbalzò nel sentire la sottile voce del fratello, perdendo la concentrazione dall’analisi dei documenti che aveva in mano.

Il cavaliere alzò gli occhi dai fogli e riservò al giovane un’occhiata di rimprovero, corrugando le sopracciglia e fissandolo con le labbra piegate all’ingiù. Se avesse potuto eliminare il suo mal di testa prendendo a pugni qualcuno, in quel momento la vittima designata sarebbe stata lui.

Da giorni l’agitazione lo consumava, impedendogli di dormire o concentrarsi abbastanza per lavorare.

Era preoccupato per l’amico, considerato che l’attacco lo aveva ridotto ad uno straccio ed era da una settimana che tossiva ininterrottamente, passando dallo stato febbricitante a quello semi-incosciente.

Tutto ciò, combinato col malessere che la sua stessa condizione gli portava e le emicranie che gli rendevano difficoltoso anche solo pensare, gli aveva tolto il riposo e l’energia.

Nie MingJue non era del migliore degli umori, insomma, quando suo fratello entrò nella stanza.

-Non si usa più bussare? Dovrò avvertire Jin GuangYao che il galateo è cambiato dai tempi in cui l’abbiamo appreso noi, gli verrà un colpo- sospirò grave davanti all’espressione timidamente spaventata di Huaisang che, incerto sulla porta, stava indietreggiando davanti a quella ramanzina -Lascialo qui- disse, tornando ai suoi documenti.

-Pare sia urgente, fratello- insistette subito l’altro, impedendogli di riprendere il filo di ciò che stava leggendo prima dell’interruzione. Quelle parole furono accompagnate da qualche passo in avanti e da un singhiozzo tremolante per la paura di essere nuovamente ripreso.

A quel punto Nie MingJue appoggiò con calma i fogli che aveva in mano e si massaggiò la radice del naso con le dita, cercando di scacciare l’emicrania sempre più acuta. 

-Nel mio lavoro tutto è urgente, Huaisang. Lo sapresti se ti degnassi di fare la tua parte- lo rimproverò senza convinzione, la voce stanca di chi si è arreso all’incompetenza di chi lo circonda. Alzò poi lo sguardo su di lui e corrugò le sopracciglia -Cos’è quella faccia?- chiese vedendo il pallore dell’altro.

Suo fratello si dondolò sui talloni come era solito fare quando era nervoso, coprendosi il viso con un gesto istintivo prima di rendersi conto che fra le mani, al posto del suo ventaglio, aveva il telegramma da consegnare.

-Pare sia urgente…- ripeté come se non sapesse dire altro, mordendosi il labbro inferiore nervosamente fino a farlo sanguinare -Mi è stato consegnato da uno dei servitori di fratello Wei- spiegò.

Nie Huaisang non aveva mai chiamato Wei WuXian per nome, da quando il soldato ne aveva memoria. Lo riconosceva come fratello Wei, sempre e solo fratello Wei.

Fin dal loro primo incontro, fra i due era nata un’intesa particolare, forse scaturita dalle preferenze frivole che entrambi condividevano, a detta del cavaliere. I gusti accomunano le persone, si sa, e loro avevano più di qualche similitudine.

Il ventaglio che Huaisang si portava sempre dietro nelle occasioni importanti, ad esempio, era un dono del fumatore di oppio.

Era composto da stecche in madreperla unite da della stoffa chiara ricamata all’estremità superiore con del pizzo pregiato. Il merletto sottile dal complesso ricamo aveva il colore delle foglie appena nate, in tinta con lo stemma della loro casata.

Wei Ying glielo aveva regalato per il suo ventitreesimo compleanno, ignorando le dicerie che quel gesto aveva suscitato e complimentandosi con il festeggiato per la variopinta collezione di ventagli che egli vantava.

Se prima di quel dono per Nie Huaisang il fumatore era solo l’amico del fratello, da quel punto in poi era diventato un idolo che lo ispirava anche nei suoi più semplici comportamenti. 

Si sarebbe trasferito senza esitare a Yiling, se solo avesse potuto farlo.

A volte il soldato dubitava che si trattasse solo di affetto platonico, ma preferiva sorvolare sull’immenso ardore con cui gli occhi del minore erano soliti brillare quando si parlava di Wei WuXian. 

Forse fu per questa sua spropositata adorazione per l’uomo straniero che, quando il giovane fece per consegnargli il telegramma, Nie MingJue ignorò il fatto che il sigillo fosse già rotto.

L’aveva letto di certo, se aveva visto l’indirizzo.

-Huaisang- mormorò severo nel sentire che le dita del ragazzo facevano resistenza, impedendogli di sfilargli il foglio dalla mano. Diede uno strattone poco più forte e scosse la testa per quell’infantilismo.

Una strana sensazione di ansia gli bloccò i polpastrelli, però, mentre stropicciava la carta ripiegata nel tentativo di aprirla. Gli si raffreddarono le falangi fino a che non ebbe i brividi, il rumore del suo stesso battito che gli rimbombava nelle orecchie.

Provò a scacciare quel disagio schiarendosi la gola e stiracchiando le dita della mano destra, aprendo con l’altra il messaggio e dandogli una prima occhiata veloce.

Quel nuovo sistema di comunicazione gli andava fin troppo a genio, per dire il vero.

Da quando era stato inventato pochi anni prima, il telegramma gli era parso un canale informativo conciso e quindi privo di dettagli, per nulla prolisso come una tipica lettera. 

Lui, che quando si trattava di parlare metteva a mala pena due frasi in croce, trovava comodo il poter essere così sintetico. Apprezzava ancor di più che lo dovessero essere gli altri, nei suoi confronti.

Questa volta, invece, fu quasi doloroso vedere così poche parole sul piccolo foglio bianco.

Ieri notte. Tosse forte. Non ce l’ha fatta.

Firmato: Wen Qing.

 

 

Il profilo del viso di Wei WuXian si intravedeva attraverso la stoffa chiara, illuminato dalla luce morente di metà pomeriggio. Davanti al lenzuolo bianco che copriva il corpo del loro padrone ed amico, i due fratelli Wen si affiancavano in un muto lamento funebre.

Erano lì dall’alba. 

Avevano accolto il becchino con gli occhi gonfi e i volti tristi, permettendogli mesti di prendere le misure per la bara che sarebbe stata costruita a tempi record, data l’importanza e la ricchezza del cliente.

La donna indossava un vestito nero a collo alto dalla gonna a campana, lunghi guanti che le coprivano la pelle fino ai gomiti e un drappo nero sul viso pallido. 

L’etichetta le impediva di portare un copricapo all’interno, ma nessuno avrebbe protestato davanti a quel velo leggero che le nascondeva i capelli sciolti, mossi sulle spalle in morbide onde come conseguenza della notte trascorsa insonne.

Il fratello invece sembrava non essersi cambiato dalla sera prima.

Indossava una camicia grigia spiegazzata e un paio di calzoni scuri da lavoro, le mani ed i piedi nudi che si arrossavano nel freddo della stanza. I suoi capelli medio lunghi erano acconciati in uno chignon scompigliato che gli teneva lontano dalle spalle le ciocche castane.

-Dove andrete?- furono le prime parole che riempirono il silenzio della stanza, dopo innumerevoli ore di silenzio.

Nie MingJue aveva parlato senza distogliere lo sguardo da quell’immacolato telo bianco che attraeva tutta la luce traspariva dalle tende semi chiuse. Non sapeva neppure che ora fosse, ma dato il rossore di cui si stava tingendo la camera doveva essere quasi il tramonto.

Quella frase gli era uscita senza che l’articolasse davvero, più simile ad un bisogno di interrompere lo scorrere dei suoi pensieri caotici che ad un voler intavolare una conversazione.

Contro ogni aspettativa del cavaliere, però, non solo gli fu concessa una risposta, ma fu la guardia ad aprire bocca.

-Il Padrone Wei ci ha garantito un alloggio alla magione di Lord Xiao XingChen- dichiarò con voce roca, già profonda di natura e ora consumata dal pianto.

Non aveva voluto alzare gli occhi dalla figura coperta dal velo candido, preferendo tenere il capo chino e le mani intrecciate strette al cuore in un’improvvisata preghiera occidentale. 

Probabilmente non sapeva nemmeno che dire, a Dio o a chiunque stesse parlando. Ciò non gli impedì però di provarci.

I minuti passarono lenti e silenziosi, prima che Wen Ning si muovesse, sorprendendo anche Nie MingJue per il suo alzarsi all’improvviso. Con passi pesanti che fecero tremare il pavimento di legno raggiunse il capezzale della salma e vi si inginocchiò vicino.

Non esitò neanche un istante prima di sollevare il sudario quel tanto che bastava per poter afferrare la mano pallida ed immobile del giovane defunto fra le proprie. 

Con una riverenza senza pari avvicinò la fronte alle nocche fredde dell’ex padrone. Poi posò le labbra sul dorso candido della mano, gli occhi chiusi e le lacrime che gli innondavano il viso.

Wen Qing gli andò incontro singhiozzando disperata e gli afferrò le spalle, cercando di scostare la sua figura per fargli mollare la presa, ma l’altro non si mosse di un millimetro davanti alle sue implorazioni.

Alla fine la donna si arrese, crollando in ginocchio a fianco del fratello, la testa abbandonata alla sua spalla e le mani guantate che correvano sotto il velo per sopprimere i sospiri strozzati che le uscivano dalla bocca.

-Ora siete liberi- parlò il soldato rompendo il silenzio e volgendo lo sguardo in direzione dei due fratelli, ora così vicini che i loro gomiti si sfioravano -Potreste fare altro- gli suggerì indicando la parete a destra del letto con un cenno del capo.

Era lì che Wei Ying aveva sempre tenuti appesi i due certificati che aveva fatto stampare quando aveva concesso la libertà al giovane ad a sua sorella.

Quando Nie MingJue gli aveva domandato perché li mettesse così in bella mostra, incorniciati e protetti da uno strato di vetro spesso, il fumatore aveva riso coprendosi la bocca con le dita sottili. Aveva scosso la testa, sorridendo con le labbra carnose.

Meglio che ostentino per bene la propria possibilità di scappare davanti a me, l’uomo più egoista del mondo, aveva detto prendendo un fiato dal narghilè e soffiando in faccia al cavaliere una nuvola di fumo.

Poi aveva scosso il capo e aveva fissato con iridi vuote i due fogli affissi al muro.

Se mi ricordo che possono lasciarmi, probabilmente farò in modo che non accada. So cosa si prova e non voglio ripetere l’esperienza.

-Non ce ne andremo, questo era il suo ultimo desiderio. Lui ci ha difesi da quelli che ci avevano catturati, che avevano invaso i nostri villaggi e ucciso la nostra gente- mormorò Wen Qing interrompendo i suoi pensieri e strappandolo dai ricordi -Eppure io non ho saputo aiutarlo- ammise con voce piegata sotto il peso del senso di colpa, corrosa dal pianto.

-Nella vostra terra vi insegnavano cose utili, ma non a difendervi dagli invasori?- chiese allora Nie MingJue senza far trasparire alcuna emozione.

Era un tentativo di conversazione molto mal riuscito, ed il cavaliere si stupì di non ricevere uno schiaffo.

Non era dell’umore adatto per conversare, ma stuzzicare la gente lo rendeva egoisticamente fiero di sé, in qualche modo. Sentiva meno il buco che aveva nel petto e lo sgomento che gli intorpidiva i sensi, se discuteva con qualcuno.

Litigare era un suo diletto, quando non poteva picchiare a sangue il suo interlocutore.

A sua discolpa, era ubriaco da quando aveva ricevuto la tragica notizia, quindi da circa dieci ore. La sua fiaschetta era vuota da metà pomeriggio, nonostante l’avesse riempita solo quella mattina.

-Era la nostra terra nel senso che l'abitavamo, non che la possedevamo- gli rispose severamente la donna, stringendosi le mani in grembo mentre alzava il capo per fronteggiarlo -Nessuno possiede la terra- affermò sicura attraverso il velo.

Le lacrime non versate che aveva trattenuto per ore le illuminavano gli occhi facendoli risplendere come pietre preziose. Il profondo dolore che li incupiva, però, rendeva tetro ogni suo sguardo.

Nemmeno il drappo scuro riusciva a mascherare tutto quel cordoglio.

-Su questo ho da ridire- la contraddisse il cavaliere con un sospiro, incrociando le braccia al petto e lanciando uno sguardo a Wen Ning, che rimaneva in silenzio ignorando la scena.

I suoi occhi erano ancora fissi sulla mano pallida dell’ex padrone, stretta fra le sue dita tremanti.

-Ah, l’uomo bianco e la sua arroganza- sbottò intanto la giovane con un ringhio a metà fra una risata ed un lamento.

Calò il gelo, dopo quelle parole.

Nie MingJue avrebbe potuto accusarla di scortesia, a quel punto, ma non aveva né voglia né motivo per farlo. Anche lui era stato più che maleducato, quindi cucirsi la bocca sarebbe stata l’opzione migliore.

Perciò si morse la lingua, ingoiando il veleno e ritornando con lo sguardo sul corpo disteso dell’amico.

Wen Qing non aveva finito, però. Con gli occhi persi nel vuoto della camera, la donna prese fiato prima di parlare ancora, questa volta con calma e cortesia.

-Sapete, c’era una cosa che soleva dirmi mia madre quando metteva a letto me e mio fratello, prima che la luce calasse oltre le colline- iniziò prima di interrompersi, mordendosi il labbro inferiore con incertezza che non era da lei.

Esitò per qualche attimo, riflettendo sulle parole da usare prima di pronunciarle per evitare fraintendimenti. 

Forse si trattava di una semplice svista di traduzione, pensò il soldato. In fondo, sapeva bene che quella che i due fratelli usavano con lui non era la loro madre lingua, e che doveva essere una fatica continua il dover riflettere su ogni parola pronunciata. 

Una concentrazione costante di coi il cavaliere non sarebbe stato capace.

Si spazientì presto di attendere, però, quindi insistette.

-E cosa, sentiamo- la spronò a continuare con maleducazione, piantando le dita sulla soffice stoffa del fazzoletto che teneva in mano. Strinse così forte che i ricami si strapparono, ma non se ne accorse neppure.

La donna si rifiutò di rispondere, scuotendo il capo con condiscendenza per non cedere alla rabbia come il soldato.

Fu Wen Ning a parlare, la voce cavernosa che riempiva l’aria come un denso profumo avvolgente. Si rialzò facendo un silenzioso passo indietro, scostandosi dalla figura del morto che pareva addormentata e fissandola senza sbattere le palpebre.

-"Non importa da quale tribù provengano: quando muoiono, diventano tutti cibo per gli avvoltoi"- decantò prendendo un respiro profondo dal naso, le mani che gli si andavano ad intrecciare in grembo come se non sapesse più dove metterle, ora che non stringevano più quella del defunto -É la traduzione più prossima- aggiunse dopo aver borbottato qualcosa di incomprensibile nella sua lingua natia.

Nie MingJue rise senza provare alcun divertimento, lasciandosi scappare quel suono simile ad un latrato fra un colpo di tosse e l’altro. Scosse il capo e si strinse nel cappotto alla disperata ricerca di calore, il freddo che gli penetrava nelle ossa senza che potesse impedirlo.

-Noi usiamo una metafora molto più dolce: quando si passa all’altro mondo, si "torna alla terra"- gemette con la gola che gli doleva. 

Wen Qing gli lanciò un’occhiata da sotto le ciglia scure, fissandolo attraverso il velo con interesse crescente man mano che gli attacchi di tosse diventavano più intensi. 

Quando poi i suoi rantolii furono così forti da costringerlo ad estrarre dalla tasca un fazzoletto per nascondere le gocce di sangue che gli colavano dalle labbra, la donna si lasciò sfuggire un sussulto sorpreso.

Il petto le si alzò mentre prendeva fiato per parlare, le parole che le scivolavano fluide fuori dalla bocca, seppur colorate da un tono preoccupato. 

-Che vi mangino i vermi o gli animali selvatici non ha importanza, resta il fatto che se morite non c’è nulla che vi distingua da tutti gli altri nella vostra stessa situazione. Il Freddo 5 non risparmia nessuno- affermò severamente.

Non fece accenno all’evidente malore del soldato, capendo che lui non ne avrebbe parlato né ora né mai, anche se avesse insistito.

Nie MingJue apprezzò quella discrezione, esprimendo la sua approvazione con un cenno del capo. Per uno come lui era un comportamento fin troppo cortese, seppur pieno di irritazione.

-Già, proprio nessuno- le rispose rimettendosi in tasca il fazzoletto macchiato e riservandole uno sguardo penetrante.

Nemmeno il Primo Cavaliere della Regina, a quanto pare.

 

Il funerale si era svolto con una discrezione impeccabile. 

L’aveva officiato il vescovo più conosciuto nel paese, anche se il Primo Cavaliere non aveva il coraggio di chiedere a Jin GuangYao come lo avesse convinto a celebrare i riti funebri di qualcuno così blasfemo come Wei WuXian. Non gli sarebbe piaciuta la risposta, ne era certo.

La bara scelta per l’occasione era semplice ed elegante, i fiori di buon gusto e profumati. 

A Nie MingJue non piacevano, ovviamente, ma erano stati una scelta della sorella del defunto in persona, che aveva intrecciato i lunghi gambi delle piante di loto in complicate corolle bianche e viola.

Aveva passato così i tre giorni successivi alla morte del fratello, gli era stato detto: scegliendo i petali più belli per la sua tomba. Nie MingJue non aveva mai visto piangere tanto qualcuno davanti a dei fiori come YanLi.

Insieme a lei, dalla città natia dell’uomo erano arrivati tutti i suoi parenti adottivi, presenziando al suo funerale al posto della famiglia che non aveva mai potuto avere per via della loro prematura ed improvvisa dipartita. 

C’erano i due genitori, Lord e Lady Jiang, che erano giunti a bordo di una carrozza lussuosa ed erano restati in disparte per tutta la cerimonia funebre, le spalle vicine e le mani giunte in grembo, lontane l’une dalle altre. 

Sembravano in qualche modo infelici, ma il cavaliere non riuscì a comprendere a pieno la smorfia rabbiosa sul viso della matriarca.

Subito dopo il loro ingresso erano giunti i due fratelli, entrambi devastati e stanchi. 

Le occhiaie che solcavano i due giovani visi erano simili a quelle di Nie MingJue a tal punto che per un attimo provò empatia per loro, prima di tornare a barricarsi nel suo dolore. I due erano stati in prima fila, anche se solo la donna aveva pianto.

Jiang Cheng aveva mantenuto un’espressione smarrita per tutto il tempo, facendo dondolare la testa come se fosse annoiato e allo stesso tempo confuso. 

Quando poi era iniziata la cerimonia funebre vera e propria, nel sentire il nome del fratello seguito da un "ci ha lasciati", aveva girato i tacchi e se n’era andato senza dare spiegazioni, il viso rigido e i pugni serrati lungo i fianchi.

Questo aveva suscitato dei sussurri, ma il vescovo non aveva voluto interrompere la sua cantilena, perciò i presenti erano tornati a mormorare con lui a capo chino. Tutti i presenti avevano recitato le loro preghiere sottovoce e poi avevano continuato la cerimonia in religioso silenzio, i visi apatici nascosti da cappelli scuri o veli neri come la notte.

Nie MingJue l’aveva odiata tutta, dall’inizio alla fine. L’aveva odiata come l’avrebbe detestata Wei Ying, se fosse stato lì per vederla. 

Il fumatore avrebbe scostato tutti dall’orlo della sua fossa e avrebbe lanciato un’occhiata scettica alla bara di legno in fondo al buco nella terra, magari alzando le sopracciglia e sorridendo come solo lui sapeva fare.

-Sono quelli i più pregiati intarsi in oro che sapete regalarmi?- avrebbe detto, girandosi verso la folla con le braccia sui fianchi snelli in una posa ammiccante che avrebbe fatto invidia alla migliore cortigiana -Spendete un po’ del mio patrimonio per seppellirmi in qualcosa di classe, per l’amor del cielo. Suvvia, che facce serie, signori! Non è morto nessuno… beh, nessuno che si curi realmente della vita, sia chiaro- avrebbe scherzato.

Si sarebbe sbellicato dalle risate davanti alle loro lacrime, Nie MingJue l'avrebbe potuto scommettere. Non ne avrebbe desiderata al suo funerale, di gente che piange e prega per lui. Lo avrebbe trovato patetico.

Eppure il cavaliere non riuscì a fare altro, se non singhiozzare come un bambino.

 

 

La tristezza lo portò all’essere sentimentale. Il sentimentalismo all’essere curioso. La curiosità alla rabbia. E la rabbia non era un buon sentimento per Nie MingJue, o per lo meno non ora che avrebbe dovuto mantenere un certo controllo di se’.

Questo suo desiderio di calmarsi lo costrinse a decidersi: restare davanti al prete che continuava a vomitare cazzate sulla vita eterna dell’anima oppure correre dietro a Jiang Cheng per capire cosa lo avesse allontanato dalla possibilità di dare l’ultimo saluto al fratello.

Non fu difficile scegliere.

-Perché siete qui?- gli domandò con tono stanco quando lo raggiunse, trovandolo fermo nel bel mezzo del viale ghiaioso del cimitero. 

L’uomo di Yunmeng aveva gli occhi rivolti al cielo nuvoloso, il capo piegato all’indietro e le labbra strette in una linea sottile, premute fra loro fino ad essere bianche come il viso pallido che le ospitava.

Nie MingJue l’avrebbe scambiato per una statua, se non fosse stato per il cappotto elegante di stoffa ruvida che gli copriva il corpo, mosso dal vento tiepido di metà primavera. Il lungo strascico che si agitava al vento come una bandiera aveva il tono di viola più cupo che il cavaliere avesse mai visto.

Storse il naso per il capo d’abbigliamento così evidentemente da lutto. 

A Wei Ying non sarebbe piaciuto che suo fratello avesse tinto una delle sue giacche solo per partecipare al suo funerale, e forse neppure che ne avesse comprata una nuova. 

I colori scuri sono così belli, perché sprecarli per i morti? era solito dire.

Il soldato non ritenne necessario presentarsi, dato che a quel funerale era stato l’unico ad essere annunciato all’arrivo. I mormorii sorpresi che aveva suscitato la sua presenza andavano giustificati, insomma.  

La notizia della partecipazione del Primo Cavaliere della Regina al funerale di un eretico avrebbe fatto presto il giro della Corte, ne era certo.

-Non sono affari vostri- si sentì rispondere dalla voce graffiante dell’uomo dagli occhi violetti, stretto nel cappotto che gli sfiorava il mento col colletto alto e rigido.

-Non gli avete parlato per anni- insistette Nie MingJue, ignorando il tono sgarbato dell’altro e reggendosi al suo bastone da passeggio fino ad incidere il legno robusto con le unghie -Lo odiavate- affermò, senza nemmeno sforzarsi di farlo apparire come un quesito.

Jiang Cheng prese a scuotere il capo con veemenza, agitando al vento le due corte ciocche castane che gli incorniciavano il viso.

L’aria gli accarezzò le guance, scompigliandogli i capelli e costringendolo a scostarsi i fili scuri dagli occhi con le mani coperte dai guanti. Aderenti come una seconda pelle, quegli indumenti portavano lo stemma della sua casata sul dorso, decorando le nocche del giovane uomo con un delicato loto lilla che sbocciava.

Il cavaliere si domandò il perché di tanta ostentazione. Poi si ricordò quanto fosse ricca ed importante la famiglia Yunmeng per il Regno e fu tentato di alzare gli occhi al cielo.

La sua affermazione non cadde nel vuoto come aveva ipotizzato, ma aleggiò attorno a loro fino a che l’erede della Regione dei Laghi non ebbe deciso come rispondergli. 

Gli ci vollero minuti interi, ma il risultato non fu comunque soddisfacente.

-Si- asserì infine con voce roca, schiarendosi la gola con un colpo di tosse prima di continuare -No, in realtà no. Non si tratta di odio… è… era solo complicato- articolò con difficoltà.

-Come con tutti i fratelli- ribatté il cavaliere ripensando al suo, di consanguineo, che se ne stava rinchiuso nel castello di loro padre con il terrore di uscire e vedere cosa c’era oltre i suoi preziosi ventagli -É così che funziona- disse.

Jiang Cheng si lasciò sfuggire dalle labbra sottili una risata amara ma sincera e incrociò le braccia al petto, stringendosi su se stesso come se avesse freddo. Socchiuse le palpebre, girandosi finalmente per guardare Nie MingJue negli occhi.

Una rabbia improvvisa gli infiammò le iridi acquose, spazzando via il divertimento di poco prima.

-Lui era troppo esagerato, senza alcuna disciplina o rispetto per nessuno. Un egocentrico pezzo di merda, ecco- ringhiò con disgusto malcelato, affondandosi le dita nei bicipiti e piantando le unghie nella stoffa.

-Ed è per questo che non lo avete voluto contattare né vedere?- fu la pronta replica del soldato, che avanzò di un passo e strinse i pugni guantati così forte da far gemere il cuoio -Mai una lettera, una visita o qualunque cosa che lo informasse che eravate vivo e che tenevate a lui- lo rimproverò sdegnato.

Nie MingJue aveva odiato molte persone, nella sua tutto sommato breve vita, eppure non trovò nessun altro precedente da paragonare alla sensazione di amaro che gli invase la bocca mentre parlava con l’uomo di Approdo del Loto.

La sua furia non fece altro che alimentarsi, pian piano che la conversazione proseguiva, nutrendosi affamata delle scuse che l’altro gli lanciava contro.

-Mi importava invece!- sbraitò l’uomo dal lungo cappotto viola, storcendo le labbra come se avesse ingoiato qualcosa di aspro -Ma cosa potevo fare? Se n’era dato, ci aveva lasciati perché "non lo capivamo"- recitò con voce petulante.

Il cavaliere decise di ignorare quella ridicola imitazione dell’amico e scosse la testa, deluso dalla bassezza in cui stava cadendo il gentiluomo davanti a lui. 

Sapeva di fama che il futuro Barone Jiang fosse una testa calda, ma non credeva a tale livello. Lui stesso era addolorato e sconvolto, ma sapeva di aver compiuto degli sbagli e non si sarebbe mai azzardato a rinnegarli solo per convenienza.

Dare la colpa a qualcun altro, che fosse un uomo o lo stesso Dio, non era proprio nel suo stile.

-No, non lo capivate- gli rispose con tono basso e minaccioso, il rancore che traspariva dalle sue parole ricche di veleno.

In un’altra situazione avrebbe evitato di infierire, ma in quel momento era troppo preso dal suo dolore personale per preoccuparsi di coloro che avevano reso un inferno la vita di Wei Ying.

Jiang Cheng scattò in avanti, afferrandolo per il colletto della camicia che spuntava dal panciotto e scuotendolo come una bambola. Tuttavia Nie Mingjue non si mosse di un millimetro, rivaleggiando a testa alta contro l’uomo che lo fissava pieno di furia.

Come una montagna davanti ad una tempesta, lo osservò agitarsi febbrilmente davanti a lui, che invece rimase immobile e freddo.

Gli tremavano le mani dalla voglia di colpirlo, ma si trattenne, mordendosi l’interno delle guance fino a sentire il sapore del sangue sulla lingua. Se avessero iniziato una rissa per davvero, il fratello del defunto non se ne sarebbe andato da lì sulle sue gambe.

Davanti al suo sguardo di puro gelo, l’uomo di Yunmeng si infervorò ancor di più.

-E voi invece sì?- sbraitò senza più controllo, mollando la presa e spalancando le braccia mentre indietreggiava per allontanarsi da quel silenzio -Magari avete ragione, ma guardate a cosa l’ha portato il "seguire la sua strada". Abbandonarsi a questa città ed ai suoi vizi… se n’è andato di nuovo, e questa volta…- si interruppe senza fiato, forse anche senza parole.

Il cavaliere lo lasciò sfogare, appoggiando lo sguardo sull’orizzonte e permettendosi di sospirare piano. Era affaticato dalla situazione, ma non poteva cedere davanti al futuro Barone.

-E questa volta non potrete odiarlo più di quanto odiate voi stesso per non aver cercato anche un singolo contatto con lui, in tutti questi anni- continuò per lui, incalzandolo -Perché ai morti si perdona tutto- mormorò.

Si guardarono negli occhi, all’improvviso consapevoli di aver voluto bene, a modo loro e per quanto gli fosse possibile, ad una persona così complessa da non poter essere né odiata né amata a pieno. Si trovarono in sintonia per la prima volta, il soldato ed il nobile.

Perché Wei WuXian poteva essere sparito dal mondo, ma non se ne sarebbe andato dai loro cuori finché avessero vissuto.

-Non si merita il mio perdono- sospirò Jiang Cheng con amarezza, stringendosi le mani al petto e chiudendole a pugno.

Nie MingJue iniziò a scuotere il capo ancor prima che l’altro finisse di parlare. Sorrise con rammarico, sistemandosi i guanti e le maniche del cappotto nero che gli copriva il corpo fino alle caviglie.

Anche lui ne aveva comprato uno per quell’occasione, alla fine.

-Magari no, ma non potete fare altro- gli ricordò stringendo il pomello del bastone fra le dita coperte dal cuoio spesso -Urlate pure il vostro rammarico sulla sua tomba. Non sarà la sua lapide a rispondervi- concluse dandogli le spalle e tornando alla cerimonia, deciso a riprendere il suo posto al fianco dei due Wen in prima fila.

Jiang Cheng rimase solo a guardare il cielo gonfio di nubi, permettendo che il pianto lo squassasse mentre fissava il grigiore che lo sovrastava. Si lasciò semplicemente andare, per una volta, ma non volle farsi sentire.

In silenzio, inghiottì le lacrime per non disturbare coi suoi singhiozzi il cimitero silenzioso.

 

 

Da quando il suo più caro amico era morto, Nie MingJue aveva iniziato a passare a visitare la sua tomba per lo meno due volte a settimana.

Solitamente ci andava accompagnato da Wen Qing e suo fratello, ma alcuni giorni erano troppo duri per poter affrontare anche il silenzio angosciante che seguiva i due americani dovunque andassero. 

Il velo nero che portava la donna gli metteva una certa soggezione, poi. Una volta aveva creduto di vedere la Morte in persona, tra le pieghe di quel tessuto color pece.

Poi si era reso conto che si trattava solo del viso scavato della giovane, dei suoi occhi scuri gonfi dal pianto e delle sue labbra esangui.

Dopo quella tragica esperienza aveva deciso di lasciare che i due Wen visitassero il cimitero da soli, preferendo la compagnia dell’altra coppia di consanguinei di sua conoscenza. I Lan si erano dimostrati più che disponibili a seguirlo.

Non si erano nemmeno lamentati della frequenza quasi preoccupante con cui il loro amico si presentava davanti all’epitaffio dedicato a Wei Ying.

Lan XiChen gli teneva stretta la mano ogni volta che sentiva l’umore del cavaliere diventare peggiore di quanto già non fosse, intrecciando le dita fra le sue per confortarlo come poteva.

Anche attraverso la stoffa spessa dei guanti candidi, Nie MingJue riusciva a percepire il calore terapeutico dell’amico, dell’amante, penetrargli nella carne e nelle ossa.

E proprio quando quelle visite alla tomba del loro amico comune erano diventate abituali, a palazzo scoppiarono dei disordini che fecero tardare più di una volta il cavaliere a quell’appuntamento. Si trattava di futili litigi fra nobili, ma presenziare per sedare gli animi era pur sempre un suo dovere.

Non importava quanto ritardasse, comunque, perché i due Lan erano sempre lì ad attenderlo.

E poi, come avrebbe detto Wei WuXian, non c’è fretta. I morti non scappano.

Quel giorno c’era qualcosa di diverso, però. Nell’aria fresca della mattina il Primo Cavaliere della Regina aveva percepito una tensione appena accennata, come se ci fossero mille fili tesi tra lui ed il cielo ad impedirgli di respirare per bene.

Quella spiacevole sensazione di malessere simile alla claustrofobia lo aveva perseguitato per tutto il giorno, ma nonostante questo si era diretto comunque verso il cimitero all’orario stabilito, rimandando i suoi impegni a quando gli sarebbe interessato realmente svolgerli.

Arrivato a destinazione, la sorpresa prese per un attimo il posto del mal di testa opprimente che lo angosciava.

C’era solo Lan WangJi sulla tomba, inginocchiato vicino al sepolcro con le mani strette al cuore e il capo chino. I capelli neri acconciati in una treccia ordinata lunga fino alle scapole gli scivolarono oltre la spalla, ondeggiando davanti al suo viso inespressivo.

Sembrava un angelo caduto che supplicava il cielo di riaccoglierlo.

-Perché vostro fratello non è qui?- avrebbe voluto chiedergli il cavaliere, eppure vedendolo in ginocchio davanti alla lapide non non ebbe il coraggio di avvicinarsi ed interrompere le sue preghiere.

Pregava cosa, poi? 

Sapeva che i due medici non erano praticanti, perciò avrebbe tanto voluto sapere quale fosse l’immensa disperazione che aveva portato uno come Lan WangJi a rivolgere le sue suppliche ad una divinità in cui non credeva.

Ma forse aveva già la sua risposta, pensò guardando gli occhi dorati del giovane uomo farsi acquosi mentre fissava il nome inciso sul pezzo di pietra.

Sapeva che i due si erano visti spesso, nelle settimane successive al loro primo incontro. Lan XiChen era infatti troppo impegnato con la terapia del soldato e con la bottega per poter sorvegliare attentamente il progredire dell’intossicazione da oppio di Wei Ying. 

Aveva perciò incaricato il fratello minore di gestire il nuovo paziente.

E grazie al rossore che gli infiammava le orecchie ed al calore che gli liquefaceva lo sguardo quando parlava di lui, Nie MingJue aveva compreso che a Lan Zhan non era servito così tanto tempo per innamorarsi di Wei WuXian. Anche se non aveva voluto insistere, l’aveva capito.

Fu anche per questo che lo lasciò solo davanti alla tomba fredda, voltandosi con un sospiro che si perse nel vento.

Invece di aspettare che la sua carrozza lo venisse a riprendere, il cavaliere decise di raggiungere la città a piedi, godendosi la passeggiata all’aria aperta e tentando al contempo di scacciare la sensazione di malessere che non l’aveva ancora lasciato.

Si inoltrò fra le viuzze affollate e si fece strada col suo fisico imponente tra le persone che si accalcavano per le più varie commissioni. 

Si permise di vagare con lo sguardo sui guanti di pizzo bianco di una donna che portava una crinolina grande ed ampia come una principessa. Odorò ammirato i profumi provenienti dai banchi ai lati della strada pieni di merci esotiche e spezie. Lasciò che il vento leggero gli baciasse il viso con la sua frescura, mentre camminava.

Sentì di stare bene nonostante tutto, per un attimo in pace con i sensi.

-Una bottega sta andando a fuoco- sentì però mormorare da uno dei commercianti che osservava preoccupato la colonna di fumo che Nie MingJue non aveva notato in cielo -Qualcuno di quei fanatici conservatori ha appiccato un altro incendio stamani…- continuò a dire.

Il cuore del cavaliere prese a battere furiosamente nella sua cassa toracica, rendendolo sordo al resto della frase. Alzò gli occhi verso il cielo azzurro con una lentezza esasperante, le dita che perdevano la presa sul bastone da passeggio e lo lasciavano cadere a terra.

Cominciò a correre tra la gente senza curarsi di quanti insulti questa gli riservasse per la sua fretta di passare. Spintonò più di una persona, cadendo quasi a terra nell’impeto della corsa che lo condusse per la strada che portava alla farmacia dei Lan. 

Eppure non si fermò mai, neanche quando i suoi polmoni in via di guarigione presero a dolergli e il naso a sanguinare per lo sforzo. Ma arrivò troppo tardi, quando le urla si furono estinte insieme alle fiamme del rogo.

La folla che si era accalcata per spegnere l’incendio o alimentarlo si stava disperdendo con mormorii confusi.

Nie MinGjue potè solo raggiungere le braci roventi che sbiadivano il loro vermiglio calore, trovandosi a respirare cenere e odore di carne bruciata. La testa prese a girargli e dovette fermarsi per vomitare in un angolo.

Quasi si stupì di quell’improvviso sintomo, osservando sbalordito le proprie mani che tremavano come foglie davanti al viso sudato che erano andate a coprire.

Gli era capitato altre volte di vedere uomini morti, cadaveri mutilati e molto di peggio, ma mai qualcosa lo aveva sconvolto così tanto. Le ginocchia non ressero il suo peso e crollò in ginocchio sul selciato sporco di grigio, affondando le dita fredde nella cenere tiepida.

Forse dipendeva dalla condizione ormai avanzata della sua malattia che gli divorava il corpo dall’interno come un parassita, anche se indebolita dalle cure. Forse aveva mangiato qualcosa di avariato a pranzo e lo stress di quei giorni glielo aveva fatto rigettare nonostante il suo stomaco d’acciaio.

O forse, semplicemente, non tollerava la vista di quel nastro una volta bianco, ora carbonizzato e lasciato fra le mattonelle disconnesse della piazza che odorava di morte.

 

 

Un incendio casuale, dicevano i giornali con grandi scritte grigie, nere e bianche.

Una punizione adatta ad un eretico che usava le arti del Demonio per corrompere il piano di Nostro Signore, sussurrava la gente, incitata dal clero e dai ferventi fedeli.

Un ciarlatano in meno nelle nostre strade, mormoravano i nobili a corte, le espressioni di freddo cordoglio simulato.

L’hanno bruciato perché curava la gente, urlava il suo cuore sanguinante.

Lo stato di stupore catatonico che lo aveva sorpreso quel giorno non lo abbandonò per tutta la settimana seguente, anestetizzando il suo dolore in una bolla ovattata di suoni e voci.

Aveva presenziato a ben tre assemblee, a quanto diceva la sua agenda, eppure non ricordava neppure di essere uscito dalla sua stanza, in quei giorni. Di sicuro non aveva mangiato, date le fitte dolorose che gli artigliavano lo stomaco.

Vagò come un fantasma senza meta o ragione per il lungo corridoio della sua tenuta e raggiunse la porta principale solo grazie alla memoria muscolare. Il suo domestico più fidato gli infilò la giacca quasi senza toccarlo e lo informò che suo fratello era ancora rinchiuso nei suoi appartamenti, disperato ed il lacrime per il lutto.

Nie MingJue non rispose neppure, mentre si dirigeva a passo spedito verso la carrozza già pronta.

Il viaggio verso il cimitero gli parve troppo breve ed allo stesso tempo eterno. Potè infatti pensare a molte cose durante il tragitto, ma nessuna di esse si concretizzò in un pensiero razionale.

E fu così che si ritrovò in piedi tra la folla riunita attorno alla fossa appena scavata, le mani ancorate sul al pomolo del bastone e le labbra strette in una linea sottile.

-…lasciando i suoi cari con infinito rammarico, ma diretto verso la Grazia di Dio…- stava dicendo il sacerdote con voce desolata, le mani giunte al petto e strette sul rosario che gli pendeva dal collo -La sua gentilezza si è compiaciuta di far dono ed onore al nostro Paese delle sue conoscenze- lo elogiò ancora, in piedi di fianco alla lapide cinerea, semplice ed elegantemente rifinita.

Parlava della sua medicina come se fosse una benedizione, eppure non era per questo che era morto? Non era per questo che lo avevano bruciato insieme al suo negozio di erbe?

A Nie MingJue si rivoltarono le budella, sentendo quelle parole. Il ronzio che gli rimbombava nelle orecchie si fece più intenso e dovette appoggiarsi al bastone da passeggio per non cadere in avanti.

Stanco ed affaticato, si rimise dritto con un respiro tremante e lasciò che la rabbia gli inondasse il cuore.

Quanto sarebbe stato bello poter avanzare verso il prete che ancora parlava per tirargli un pugno in pieno viso? Urlargli contro che Dio avrebbe dovuto vedersela con lui, una volta che fosse finalmente morto, non sarebbe stato poetico, in fin dei conti?

Nie MingJue immaginò se stesso sfoderare la Colt e sparare al cielo, gridando che non era giusto e che non lo avrebbe mai accettato. Si domandò chi l’avrebbe potuto fermare dall’uccidere tutte quelle persone che si fingevano dispiaciute ed addolorate, a quel funerale, per poi sparare a se stesso.

Invece scappò via.

Diede le spalle alla cerimonia e corse a perdifiato lungo il viale ghiaioso costeggiato da cipressi verde petrolio, raggiungendo il cancello del cimitero ed aggrappandovisi con le unghie.

Poi si piegò in due e vomitò per la seconda volta in quella settimana. Il suo stomaco era però vuoto come il suo cuore, e potè rigettare solo acido e acqua. 

Si volle convincere fosse a causa della malattia e non del suo cuore spezzato.

 

 

-Hai sentito la notizia? Lord MingJue si è impiccato- sussurrò uno dei due uomini prendendo un abbondante sorso della sua birra scura.

-Dici davvero?- gli chiese di rimando l’altro, imitando il suo gesto con una smorfia scontenta dopo l’amaro boccone.

-Me l’ha riferito una fonte sicura- confermò l’amico annuendo con fare cospiratorio -Ho saputo che è stato rinvenuto questa mattina, nelle stanze del palazzo di suo padre… forse l’ha trovato quel codardo di suo fratello- ipotizzò ironicamente.

-Che comportamento disdicevole- si permise di commentare il compagno, bevendo ancora dal proprio boccale e schioccando le labbra per far sparire la sensazione di allappato dalla bocca -C’è un posto per lui all’inferno, così come per quell’eretico che praticava la stregoneria- predisse.

-Beh, almeno quel medico da strapazzo non ha infangato il nome di una delle famiglie più importanti del regno- lo difese suo malgrado l’uomo che per primo aveva parlato, pentendosi di aver aperto un argomento così gustoso con così poca birra disponibile.

-I Nie sono caduti ancora più in basso- gli diede ancora ragione l’amico -Sai che ora è Nie Huaisang il Lord? Quella donnetta che preferisce il cucito alla guerra… con tutti quei ventagli poi! Ho sentito che era affascinato da… sai, il proprietario della fumeria, e che dopo la sua morte sia diventato ancora più debole di mente- lo informò con un ghigno disgustato sulle labbra sporche di schiuma chiara.

-Dici la fumeria Yiling? Parli di Wei WuXian?- domandò l’altro intuendo dove il compagno stesse andando a parare.

-Si, proprio lui- confermò infatti l’uomo -É un vizio di famiglia essere dei sodomiti, a quanto pare- chiarì una volta per tutte rubando alla sua birra un sorso generoso.

-Quelli così meritano le fiamme eterne- lo incitò il compagno di bevute.

-C’è un posto all’Inferno per loro- ripeterono in coro come se fosse una cantilena, ridendo e facendo scontrare i loro boccali in aria con un rumore sordo.

Brindarono mentre la notte calava sulla città, mandando all’altro mondo con irripetibili maledizioni chi per loro non era degno di quell’esistenza.

 

 

Ma forse è vero.

Magari tutti quelli che nella loro vita sono stati abbastanza pazzi da rischiare

finiscono all’Inferno, dove ad accoglierli c’è un girone intero per quelli che

sognano, amano e odiano con tutto il loro cuore.

Per coloro che pregano quando serve anche se mai nel modo giusto, che si

sporcano le mani per se stessi ma soprattuto per chi è al loro fianco.

Dove le fiamma sono alte ed inestinguibili ma non bruciano, accarezzando le loro anime come solo le braccia di un’amante potrebbe fare.

E c’è da chiedersi se per questo, in fondo, il Paradiso non sia il sogno un po’

noioso di chi non ha capito nulla.

 

 

 

 

ANGOLINO D’AUTRICE

1. Argento vivo: è un vecchio nome per il mercurio, usato come sinonimo insieme a "idrargirio"

2. Colt: è uno dei nomi più comuni usati per descrivere il primo revolver, una tipologia di pistola brevettata nel 1835 (se non erro) da Samuel Colt, per l’appunto. Un’arma da fuoco, a quel tempo, se la poteva permettere solo uno pieno di soldi da far schifo, e per di più quel modello era pressoché nuovo… *tira fuori la carta di credito* 

3. Erba cornacchia: tutto ciò che ho scritto riguardo agli infusi e alle piante medicinali è vero (grazie nonna per avermi istruito -.-). Il nome semi-scientifico è erismo, ma viene comunemente chiamata "erba cornacchia" o "erba dei cantanti" e serve per calmare la tosse.

4. Tasso… decotto: si tratta sempre di medicina popolare, proprio quella che era meglio non vantare di conoscere nel periodo storico in cui è ambientata questa OS. Vi consiglio comunque di affidarvi ad un erborista se volete provare a produrre queste "ricette"… non uccidetevi mettendo bacche di vischio nel the per sbaglio, grazie. Se siete allergici all’aspirina, evitate anche i fiori d’olmaria (possono provocare reazioni di rigetto)

5. Freddo: in alcune popolazioni del Sud America, la morte veniva chiamata "freddo/ghiaccio" o qualcuno altra parola ricordasse il gelo, dato che le persone perdono la loro solita temperatura corporea una volta decedute (Twilight in fondo non si sbagliava XD)

 

AUGURI ATHE! Questa è decisamente per te, per farti soffrire il giorno del tuo compleanno. So che lo ami e che adori l’età Vittoriana, quindi… tanti auguri!! XD

Ribadisco che questa fanfiction non vuole offendere chi crede, è una storia, relax. La mia o la vostra opinione sulla religione non contano, in questo caso. Il punto è tutt’altro.
C’è da dire che non si può negare il trattamento che subirono tutti coloro che erano ritenuti "estranei alla società" e non conformi alla visione cristiana del tempo. Venivano uccisi, nel migliore dei casi, quindi non ho scritto nulla di inverosimile, alla fine  ̅\_°-°_/ ̅
Nota che ho sentito il bisogno di specificare: i telegrammi sono stati messi in uso nel 1844, anche se c’erano state precedenti prove… insomma, inquadrate più o meno il contesto storico.
Parliamo anche del discorso sui libri religiosi e scientifici: è un dialogo liberamente tratto da una riflessione che il comico Gervase ha fatto in uno dei suoi spettacoli. Mi aveva colpito molto ed ho deciso di inserirlo.
So che ci ho messo molto a scriverla, in effetti quasi cinque mesi dalla prima bozza, ma capite che è troppo lunga per essere una one shot normale, no? Sono andata sul tragico forte, ne sono conscia e mi pento di tutto (non è vero, soffrite con meeee!)
L’ho corretta da sola, quindi biasimate me se ci sono errori, la mia Beta non ha colpe. Tutta roba del mio sacco, purtroppo ;3 (e un po’ del correttore lo devo dire) Grazie per aver letto, miei cari.

Baci a tutti, Sarah_lilith

   
 
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