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Autore: Bored94    14/12/2020    0 recensioni
Dopo essere stato liberato da Ikeda Yaemon, Gin è fuggito dalla prigione in cui era rinchiuso ed è arrivato nel cimitero in cui ha conosciuto la vecchia Otose. Missing moments: ciò che è successo nei giorni a seguire il loro primo incontro.
Genere: Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gintoki Sakata, Otose
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Dove regna l'onore, la parola data sarà sempre sacra.

- Publilio Siro



 

Gintoki si accasciò sulla neve, appoggiando la schiena contro una lapide. Le cose non erano andate affatto come aveva pianificato.

Sbuffò divertito e si lasciò sfuggire un colpo di tosse.

In realtà le cose non andavano mai come pianificava, ma ormai non importava più. Il boia del bakufu, Ikeda Yaemon, lo aveva lasciato fuggire, ricordandogli che aveva promesso a quella bambina che sarebbe sopravvissuto fino a quando lei non fosse diventata la tagliatrice di teste perfetta, a quel punto sarebbe stata lei a decapitarlo e a mandarlo in paradiso serenamente.

Gin si mosse leggermente e il dolore si risvegliò in tutto il suo corpo: lo avevano picchiato per settimane, non sapeva ancora come avesse fatto a percorrere la strada che dal palazzo portava al cimitero senza svenire per il dolore, il freddo e la fame. Anche in quel momento, sapeva che avrebbe dovuto fare di tutto per restare sveglio nello condizioni in cui si trovava, ma le sue palpebre erano così pesanti e i suoi pensieri così lenti...

“Mi dispiace, piccola” si limitò a pensare mentre sentiva la propria coscienza vacillare. “Temo che non potrò mantenere la promessa... ma dopotutto anche questo è un modo sereno per andarsene, non trovi?”
Appoggiò la testa alla lastra di pietra alle proprie spalle e sospirò mentre gli eventi dell'ultimo periodo gli inondavano la mente.

Era così stanco.

 

***

 

L'epurazione dei samurai e dei patrioti jōi stava diventando di giorno in giorno sempre più brutale, Gintoki ne era consapevole. Il bakufu non si limitava più a condannare a morte i ronin accusandoli di alto tradimento, ma aveva iniziato ad arrestare e giustiziare anche le loro famiglie e chiunque avesse collaborato con loro.

Non poteva permettere che andasse avanti così.

Era consapevole di non poter sgominare quel governo corrotto con le sue sole forze, ma forse sarebbe stato in grado di salvare ancora qualcuno dei suoi compagni se avesse scambiato le loro vite con qualcosa che al bakufu interessava molto di più.

E cosa poteva essere più interessante per quei cani traditori di uno dei Quattro Re Celesti? Quello stupido titolo sarebbe finalmente valso a qualcosa. La vita dello Shiroyasha doveva pure valere più di quella di qualche ronin sconosciuto. E dopotutto lui che ragione poteva mai avere per continuare a vivere?
Aveva infranto la promessa fatta al suo maestro, una promessa fatta quasi una vita prima, all'inizio di quell'incubo.
Non era riuscito a proteggere i suoi compagni. Takasugi e Katsura ormai lo odiavano, a buona ragione. Sakamoto aveva deciso di lasciarsi tutto alle spalle, pianeta compreso. Era solo.
Non era riuscito a proteggere il suo mentore. Nel tentativo di salvarlo, era stato lui stesso a causarne la morte. No. Non ne aveva solo causato la morte. Lo aveva ucciso. Quando chiudeva gli occhi, poteva ancora vedere la propria spada spiccare la testa dal corpo di Shōyō, i lunghi capelli chiari imbrattati di sangue e un'espressione serena dipinto sul viso, così come poteva ancora vedere l'orrore stravolgere i volti di Katsura e Takasugi.
Quel sacrificio era stato inutile. Aveva ucciso ciò che di più simile a un padre avesse mai avuto per cercare di salvare almeno quelli che ormai erano i suoi fratelli e aveva perso tutto. Se con la sua vita questa volta fosse stato in grado di salvare qualcuno, si sarebbe ritenuto soddisfatto. E poi era la giusta punizione. Venire decapitato dal boia del bakufu era la morte più adatta per uno come lui, un samurai in disgrazia che non era riuscito a proteggere nessuno e che aveva ucciso il suo stesso maestro non era degno di un seppuku volontario. Quale onore avrebbe mai dovuto salvaguardare?
Si ridestò da quei pensieri quando sentì un uomo discutere con un gruppo di Hitotusbashi in un vicolo.

«Salvatemi almeno la vita! Ma certo, come prova della mia lealtà vi darò mia figlia! Tanto è solo una parassita, nata da una qualche baldracca e abbandonatami tra i piedi!» il braccio di Gintoki si mosse quasi in automatico, afferrò il bokken e colpì con forza quello scarto d'uomo che aveva appena terminato di vendere la propria figlia per salvarsi la pelle. Ce n'erano molti come lui in giro in quel periodo: delatori, traditori, codardi pronti a vendere la propria famiglia e i propri compagni per provare a guadagnarsi la libertà. “Feccia” si limitò a pensare mentre rivolgeva lo sguardo agli uomini di fronte a sé.

«Salve» disse con tono tranquillo, mentre i tre sgherri lo guardavano sconvolti. «Chi sono io? Io sono la figlia di questo idiota. Non ricordo di aver mai litigato con gli Hitotsubashi, ma vi darò la testa di questo verme e anche la mia, del Demone Bianco. In cambio... non azzardatevi mai più a cercare gli altri miei compagni.»

Quei tre non se lo erano fatti ripetere due volte, sapevano bene chi fosse lo Shiroyasha ed erano ben consapevoli che consegnandolo al proprio signore avrebbero ricevuto una ricompensa che li avrebbe sistemati per un bel po'.

Il samurai dai capelli d'argento si era lasciato portare via senza fiatare, non disse nulla nemmeno quando venne condannato a morte, né quando lo sbatterono in cella e le giornate diventarono un susseguirsi di cibo scadente, quando le guardie si ricordavano di dargli da mangiare, e di botte, quando le guardie decidevano che non gli piaceva come li aveva guardati o come gli aveva risposto o come aveva respirato. Aveva deciso di morire, ma non per questo aveva intenzione di dare soddisfazione ai suoi aguzzini, avrebbe incassato tutti i loro colpi in silenzio.
Fu in una di quelle occasioni che conobbe Ikeda Yaemon, il boia del bakufu. Era un uomo bizzarro che credeva che anche i prigionieri avessero diritto alla loro dignità e che il suo compito fosse quello di salvare le loro anime, non di punirli.
La sua concezione della giustizia lo aveva stupito, così come vedersi comparire davanti una bambina che gli aveva promesso di diventare un boia perfetto e che lo avrebbe ucciso senza fargli sentire alcun dolore. Si scoprì a sorridere, non si sarebbe mai aspettato di trovare gente del genere in quel posto. “Maestro, credo che ti sarebbe piaciuto discutere con il boia Ikeda” si era ritrovato a pensare una notte mentre era seduto nella sua cella, ma se pensava che Yaemon non fosse in grado di stupirlo ancora di più, si sbagliava di grosso.
 

Sentì dei passi avvicinarsi. Chi poteva essere? Avrebbe dovuto essere notte fonda...
«Sakata Gintoki» il samurai riconobbe subito la voce del boia che fece una pausa e si sedette appoggiando la schiena alle sbarre della cella. Gin si chiese come facesse quell'uomo a essere così tranquillo seduto accanto allo Shiroyasha, separato da lui soltanto da delle aste di metallo. Gin avrebbe potuto tranquillamente far passare le braccia tra di esse e spezzargli il collo. «Quanti anni hai?» chiese il boia, prendendo in contropiede il ragazzo. «Una ventina? Per quanto sei stato in guerra?»
Gintoki restò un attimo in silenzio prima di rispondere, non capendo dove volesse andare a parare quell'uomo. «Ventidue, mi sono offerto volontario ormai quattro anni fa» si limitò a rispondere. L'altro sospirò, a quanto pareva la sua risposta non lo aveva soddisfatto. «Così giovane...» lo sentì scuotere la testa. «Perché ti sei offerto volontario? Era ormai chiaro che la situazione era disperata.»

Il samurai si trovò a stringere i pugni e deglutì il nodo che gli si era formato in gola. «Dovevo salvare una persona» rispose.

«Mi dispiace» Yaemon si voltò leggermente verso di lui. «Sei troppo giovane per terminare i tuoi giorni in questo modo... e non sei un uomo malvagio.»

«Infatti sono un demone, ricordi? Il Demone Bianco.»

Il boia rise. «Beh questo semplifica le cose. A poter riportare alla condizione umana coloro che sono diventati dei demoni a causa dei loro crimini, è solo un altro essere umano. Per questo io non ho il diritto di ucciderti. Un demone non ha diritto di uccidere un suo simile.» Che stesse cominciando a pentirsi delle donne e dei bambini che il bakufu aveva fatto giustiziare? O era anche qualcos'altro? Quanto meno ora sapeva chi era stato a dire a quella bambina che lui non era malvagio... «Bene... hai fatto un promessa, no?» disse l'uomo alzandosi e aprendo la porta della cella sotto lo sguardo sbigottito di Gin. Quindi aveva anche ascoltato la loro conversazione. Si alzò con cautela e si diresse verso la porta con passo malfermo, il boia Ikeda lo afferrò al volo prima che crollasse al suolo e si passò un braccio del ragazzo attorno alle spalle, gli cinse i fianchi con il braccio libero e iniziò a percorrere il corridoio in penombra.
«Sembri avere una certa dimestichezza con questo genere di cose» disse Gin alludendo a quella specie di fuga improvvisata di cui ancora non capiva del tutto il motivo.

«Sì, beh... non è la prima volta. Non potevo lasciar giustiziare delle persone che non avevano commesso alcun crimine. E quelle donne e quei bambini...» gli morì la voce in gola e scosse la testa. «Mi dispiace di non averti portato fuori prima, ma pensavo saresti riuscito a resistere, così ho dato la precedenza a quelli la cui sentenza era più vicina. Poi ho dovuto aspettare la notte giusta... fermo» si interruppe appiattendosi contro una parete dopo l'ennesima svolta. Stavano percorrendo passaggi secondari che davano su celle completamente vuote, chissà se gli occupanti erano tra quelli che erano stati fatti fuggire o se erano già stati giustiziati. Lasciarono passare una delle guardie, restando totalmente immobili, solo quando sentirono i passi sparire in lontananza, si rimisero in cammino. «Stanotte sul lato nord della cinta esterna ci sono due miei uomini di guardia, ci lasceranno passare senza problemi.»

Il samurai annuì. «Li hai comprati?»

«Non solo» rispose l'altro soffocando una risata. «Qualcuno che è stato comprato può sempre essere ricomprato e in un attimo rischierei di venire pugnalato alle spalle. No, queste sono persone fidate, le loro famiglie hanno lavorato al fianco della mia per generazioni, ho ritenuto che fosse saggio infiltrarne alcune in punti strategici quando sono diventato Yaemon» fece una pausa. «E poi li ho comprati.»
I due uomini risero piano e rimasero in silenzio fino a quando non arrivarono all'uscita. Ikeda bussò un paio di volte e dopo qualche minuto la spessa porta di legno venne aperta dall'esterno. Gin sentì il boia sussurrare qualcosa e un altro paio di braccia sorreggerlo mentre l'uomo lo lasciava andare, si voltò verso di lui un'ultima volta, non sapendo cosa dire a quel tizio bizzarro. Yaemon gli rivolse un sorriso comprensivo. «Ricordati della promessa» si limitò a dire, prima di richiudere la porta.

Le guardie, rimaste sole con Gintoki, si guardarono attorno con circospezione, non si vedeva nessuno nei paraggi. Non che ci fosse qualcosa di cui stupirsi: a quell'ora e con quel tempo, nessuno sarebbe mai uscito di casa volontariamente.

«Riesci a reggerti in piedi?» chiese l'uomo che lo aveva aiutato a uscire. «Riesci a camminare?»
Gin annuì e l'altro lo lasciò andare lentamente, per assicurarsi che le sue gambe non gli giocassero brutti scherzi all'improvviso. Il samurai mosse qualche passo incerto e si incamminò lungo una delle strade innevate.

Gintoki non sapeva quanto lontano sarebbe riuscito ad arrivare nelle condizioni un cui si trovava, non faceva un pasto decente da settimane ed era coperto di lividi a causa delle botte, era un miracolo che riuscisse anche solo a mettere un piede davanti all'altro. La neve continuava a cadere incessante e un brivido lo scosse da capo a piedi: i vestiti che indossava non sarebbero mai stati sufficienti contro il freddo di quella notte, ma pensarci in quel momento era inutile. Non sapeva dove fosse diretto, sapeva solo che doveva continuare a camminare: se si fosse fermato, non sarebbe più riuscito a muoversi. Era così che era giunto in quel cimitero, con lo stomaco che si contorceva per la fame, i piedi resi insensibili dal contatto con la neve e il freddo che gli entrava fin dentro le ossa. Zoppicando e appoggiandosi alle pareti per reggersi in piedi, si era addentrato nel cimitero e si era lasciato cadere vicino a una tomba, esausto.

 

***

 

Aprì lentamente gli occhi, stupito: evidentemente non era ancora morto. Non sapeva se esserne felice o no. In ogni caso era solo questione di tempo, non sentiva più le dita delle mani e dei piedi, aveva provato ad incrociare le braccia sul petto per scaldarsi, ma con scarso successo, i vestiti leggeri che indossava erano ormai zuppi, così come i suoi capelli.
Era ancora immerso nei propri pensieri, scosso dai brividi, quando si accorse che qualcuno si stava avvicinando: era una donna di una certa età e si stava dirigendo verso una tomba poco distante da quella alla quale lui era appoggiato. Era già mattina? Il cielo era ancora coperto di nubi e stava continuando a nevicare. Quando lo aveva fatto scappare il boia? Quanto era rimasto seduto lì? La sua attenzione venne attirata nuovamente dalla donna che in quel momento si era inginocchiata e stava preparando l'offerta. Sentì lo stomaco contrarsi in maniera quasi dolorosa.

«Ehi vecchia» la chiamò senza quasi rendersi conto di ciò che stava facendo. «Hai qualcosa da mangiare? Ti prego, sto morendo di fame.»

Lei si voltò nella sua direzione e lo guardò per un attimo. «Questi dolci non appartengono a me, li ho fatti per mio marito. Chiedi a lui se vuole darteli.»

Gintoki si alzò, nascondendo lo sforzo di doversi muovere. «D'accordo, come credi» rispose iniziando a salire carponi le scale di pietra, si avvicinò alla tomba e iniziò a mangiare con foga.

«Allora, cos'ha detto mio marito?» gli chiese la donna, poco distante. Gin tokiper poco non si strozzò con uno dei manjū e bevve dell'acqua dal secchio lì accanto.

«Perché? I morti parlano forse?» si limitò a chiedere a sua volta il samurai. Si alzò lentamente, continuando a dare le spalle alla sconosciuta. «Non dimenticherò questa gentilezza. Non credo che ti rimangano molti anni, vecchia» rivolse di nuovo la sua attenzione alla lapide. «Non preoccuparti, la proteggerò io al tuo posto ora che non ci sei più.»

La donna sorrise. «Vediamo cosa sai fare, anche se in quelle condizioni non sei molto convincente» si allontanò di qualche passo e si voltò di nuovo verso di lui. «Vieni, vediamo di darti una sistemata.»

 

***

 

Sapeva che non stavano camminando da molto, ma Gin iniziava già a far di nuovo fatica a muoversi, restare fermo al freddo non aveva aiutato il suo fisico già provato e si sentiva rigido. La donna che si era presentata come Otose, camminava lentamente, pochi passi davanti a lui. Gin cercava di tenere il passo, appoggiandosi ai muri degli edifici. Era abbastanza sicuro che la vecchia lo stesse tenendo d'occhio senza darlo a vedere, già in un paio di occasioni aveva rallentato, accorgendosi che le gambe di Gin rischiavano di cedere. La conferma gli arrivò quando, in un tentativo di non perdere l'equilibrio, il samurai aveva istintivamente allungato un braccio davanti a sé e afferrato la spalla della signora Otose, che non si era affatto stupita: sembrava aver deciso che quella era la cosa più simile a una richiesta di aiuto che avrebbe ricevuto da quel ragazzo, così aveva portato il suo braccio attorno alle proprie spalle e gli aveva cinto la vita con il proprio braccio destro.

«Avanti, siamo quasi arrivati. Manca poco» si limitò a dire, indicando un bar qualche metro più avanti.

 

***

 

Otose appoggiò con cautela il ragazzo su uno dei divanetti e sospirò, quella giornata aveva preso una piega decisamente inaspettata.

«Forza, spogliati» ordinò al giovane dai capelli argentati, che la guardò perplesso. «Zoppichi, ti tieni il fianco e fai smorfie, è chiaro che non è stata la neve a ridurti in questo stato. Hai forse fatto a botte?»

«Qualcosa del genere» svicolò Gintoki e aprì la parte superiore del kimono, mostrando svariate ferite. Otose si avvicinò per controllare, disinfettò alcune delle ferite più serie e passò a ispezionare il torace, tastando lievemente all'altezza dalle costole e strappando qualche lamento al samurai.

«Hai qualche costola incrinata, dovrai stare a riposo per un po'» si limitò a constatare, mentre si alzava e andava a recuperare dei vestiti asciutti. Il ragazzo stava ancora tremando visibilmente e aveva le dita intorpidite, la padrona di casa dovette aiutarlo a cambiarsi, fingendo di ignorare l'imbarazzo del suo ospite nel dover essere assistito in azioni così semplici. Una volta terminato, la donna si alzò e uscì dalla stanza, tornando poco dopo con una tazza tra le mani. «Bevi» gli ordinò porgendogli il tè appena fatto, dopodiché gli mise una coperta sulle spalle.

Rimase ad osservare quello strano ragazzo mentre lui beveva con calma, ad occhio e croce avrà avuto una ventina d'anni, i vestiti che indossava quando lo aveva trovato erano troppo leggeri per quel tempo e poco prima, quando era rimasto a torso nudo per cambiarsi, aveva notato che il suo corpo era coperto di cicatrici più o meno recenti. Altro che risse, il giovane uomo dai capelli d'argento doveva essere stato in guerra e, a giudicare delle condizioni in cui si trovava, doveva essersi trovato dalla parte sbagliata della barricata.

«Come ti chiami?» chiese ad un certo punto. «Tu sai il mio nome, ma io ancora non conosco il tuo.»

L'altro abbassò la tazza ormai vuota e rimase un attimo in silenzio, sembrava stesse valutando la situazione. Otose restò in attesa, se quel ragazzo era davvero un samurai sfuggito all'epurazione, come stava iniziando a sospettare, insistere lo avrebbe solo messo sulla difensiva perché avrebbe probabilmente pensato che lei era interessata a sapere il suo nome per venderlo di nuovo al bakufu.

«Sakata Gintoki» rispose finalmente il giovane con i capelli argentati. A quanto sembrava, aveva deciso che la padrona di casa non rappresentava una minaccia. Gintoki appoggiò la tazza sul tavolino e si appoggiò un momento allo schienale: il torpore che aveva scacciato al cimitero quando aveva visto quella donna si stava riappropriando di lui, complici i vestiti asciutti e il tè caldo appena bevuto. Otose lo vide sospirare, togliersi la coperta e alzarsi lentamente dal divano, per poi muovere qualche passo verso l'uscita, prima di barcollare e appoggiare una mano allo stipite della porta della stanza per reggersi in piedi.

«Dove pensi di andare?» gli chiese tranquillamente, quello sciocco non era ancora nelle condizioni di tornarsene a vagare per le strade di Edo. «Hai fretta di tornare a morire di fame e di freddo al cimitero?»

Gin si fermò. «Non posso restare qui» si limitò a rispondere, senza staccarsi dalla parete.

«Perché mai? È casa mia, decido io chi può restare e chi no» commentò la donna alzandosi in piedi e avvicinandosi a lui. «E poi in questo stato non dureresti a lungo là fuori.»

«Sto bene» tagliò corto lui, soffocando un colpo di tosse.

«Davvero? Allora non dovresti avere problemi a stare in piedi da solo, puoi staccarti dal muro» osservò lei con sguardo divertito. Perché mai gli uomini dovevano essere così testardi? Il suo povero marito si comportava allo stesso modo quando era in vita, mai che ammettesse di non riuscire a fare qualcosa. Gintoki tossì di nuovo e, per quella che Otose immaginò essere pura e semplice ostinazione, si staccò dallo stipite e se ne allontanò di qualche passo, rivolgendole uno sguardo di sfida. La donna rimase davanti a lui a braccia conserte, osservandolo in silenzio finché un accesso di tosse non sforzò le costole incrinate, lo vide sbiancare e fare una smorfia di dolore, essersi concesso qualche momento di relax era stato un errore: tutta la stanchezza accumulata e le botte prese nel periodo precedente si stavano facendo sentire di colpo. Quando lo vide oscillare e allungare un braccio verso la parete, Otose ne approfittò per afferrare il ragazzo e trascinarlo in un'altra stanza, solo una volta chiusa la porta della camera lo lasciò andare, assicurandosi che riuscisse a restare in piedi, e srotolò un futon pulito appena tirato fuori dall'armadio, tornò da Gin, che ormai aveva rinunciato a protestare, e ve lo fece sdraiare sopra. Il samurai rabbrividì di nuovo e si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo quando la padrona di casa gli rimboccò la coperta del futon fin sotto al mento. Lei scosse la testa esasperata da quel giovane testardo, per precauzione gli appoggiò una mano sulla fronte e non rimase sorpresa: gli era salita la febbre.

Otose grazie a Tatsugorō sapeva bene come funzionassero le loro prigioni, così come sapeva quali fossero i metodi di svolgimento degli interrogatori, dopotutto suo marito era stato a lungo un poliziotto prima di partire per la guerra e non le aveva mai nascosto nulla del proprio lavoro. Se quel ragazzo era un samurai che aveva combattuto contro gli Amanto, come ormai era convinta dalle sue cicatrici e dalla sua diffidenza, era stato condannato a morte come traditore e gettato in qualche cella umida in attesa che venisse applicata la sentenza; con ogni probabilità le guardie si erano sfogate su di lui in più occasioni, da quanto poteva dedurre dai lividi presenti ovunque sul suo corpo e dalle costole incrinate. Il tempo passato sotto la neve doveva avergli dato il colpo di grazia. Otose si stupì che fosse stato in grado di percorrere la strada fino all'appartamento e di provare ad andarsene. Lo osservò ancora per qualche secondo: era così giovane... se lei e suo marito fossero riusciti ad avere figli, prima che Tatsugorō morisse, avrebbero avuto circa la sua età. La donna riemerse dai propri pensieri e andò a riempire una bacinella con dell'acqua, prese delle pezze pulite e ne mise una umida sulla fronte del ragazzo mezzo addormentato che dischiuse un attimo le palpebre e sollevò lievemente un angolo della bocca come ringraziamento, gli occhi lucidi per la febbre.

 

***

 

Gintoki dormì per la maggior parte dei giorni seguenti, Otose in più di un'occasione lo aveva sentito mormorare il nome di Shōyō nel sonno, ma la sua espressione afflitta le aveva impedito di indagare oltre al suo risveglio. Probabilmente si trattava di un compagno perduto durante la guerra, non aveva senso rigirare il coltello nella piaga.

La padrona di casa lo svegliava soltanto agli orari dei pasti, quando ne approfittava anche per farlo cambiare o per cambiare il futon; aveva anche dovuto aggiungere qualche cuscino, in modo che Gin potesse stare più dritto e riuscisse a dormire nonostante gli attacchi di tosse. Fortunatamente il samurai dai capelli d'argento sembrava avere ottime capacità di ripresa: adesso che poteva mangiare con regolarità e riposare, la febbre e la tosse causate dall'esposizione al freddo della cella e alla permanenza nella neve stavano migliorando rapidamente.

 

Con il miglioramento delle sue condizioni però, arrivò anche un peggioramento della sua pazienza. Gin era consapevole di non essere totalmente guarito, ci pensavano le costole incrinate a ricordarglielo ogni volta che tossiva o respirava più profondamente del normale, e di non poter ancora fare ciò che voleva. Naturalmente era anche riconoscente alla vecchia Otose per averlo aiutato in quel periodo, doveva ammettere che non era stato così orribile avere qualcuno che si occupasse di lui per un po', ricordava ancora le volte in cui il suo maestro si prendeva cura di lui, di Zura, di Takasugi o uno degli altri loro compagni quando avevano l'influenza o si facevano male giocando o durante l'allenamento... era da molto tempo che non si permetteva di abbassare la guardia fino a quel punto, ma in quei giorni aveva avuto la sensazione di essere al sicuro, qualcosa, non sapeva nemmeno lui cosa, gli diceva che quella donna non lo avrebbe venduto allo shogun. Sapeva tutto questo, ma non poteva fare a meno di sentirsi impaziente, non era più da lui restare in un posto troppo a lungo. Cosa sarebbe successo se fossero arrivati i soldati del bakufu e lo avessero trovato lì? Avrebbe messo in pericolo la signora Otose. Non poteva restare, aveva fatto una promessa.

Seguendo questo treno di pensieri, Gin si alzò dal futon e si diresse verso il bagno dove si lavò per la prima volta dopo... scacciò quel pensiero, non voleva pensare a quanto tempo aveva passato senza lavarsi. Un altro punto a favore della vecchia: si era presa in casa un estraneo sporco e malconcio senza fare domande.

Finalmente pulito, recuperò dei vestiti da uno degli armadi, li avrebbe ripagati appena gli fosse stato possibile, e si incamminò verso l'uscita. Si fermò vedendo la signora Otose sulla soglia. Non sembrava affatto stupita nel vederlo vestito e pronto a partire. Per un momento Gin si sentì in colpa, dopotutto stava per andarsene senza nessun preavviso, la donna sembrò capire e sorrise.

«Vuoi partire senza nemmeno fare colazione?» chiese lei entrando e appoggiando il vassoio sul tavolo. Il samurai dai capelli d'argento stava per rispondere che non aveva fame, ma il suo stomaco protestò rumorosamente prima che potesse aprire bocca, così si sedette e iniziò a mangiare. «Hai già una meta?»

Il ragazzo scosse la testa, non aveva davvero una destinazione, né uno scopo. Ormai la guerra era terminata, il suo maestro era morto e i suoi compagni se n'erano andati. Cosa avrebbe potuto fare?

«Se non sai dove andare e non c'è nessuno che ti aspetta, puoi restare» chiarì lei. «Io possiedo l'intero edificio, composto da questo appartamento, il bar al piano di sotto e un appartamento sul retro. Questo posto verrebbe comunque affittato, anche se non ci fossi tu.»

«Non posso pagarti» si limitò a rispondere Gintoki, senza alzare lo sguardo e continuando a mangiare. Non voleva illudersi, dopotutto era vero che non aveva un posto dove stare, ma con che diritto poteva pretendere di stravolgerle la vita e metterla in pericolo dopo che era stata gentile con lui? Non sapeva ancora se l'epurazione fosse terminata o stessero ancora cercando i jōi e i loro alleati.

La signora Otose non batté ciglio e gli rivolse un sorriso materno, Gin realizzò che dal suo punto di vista doveva apparire davvero incredibilmente giovane, specialmente dopo la sua permanenza in prigione, dove era sicuro di aver perso diversi chili. «Per quello possiamo metterci d'accordo e trovarti qualcosa da fare per ripagarmi.»

Il giovane samurai scosse la testa, sebbene fosse sollevato che la donna non gli avesse proposto di vivere in quell'appartamento gratuitamente, sarebbe stato troppo umiliante... probabilmente lo sapeva anche lei. «Non posso, ho fatto una promessa. Non posso restare qui, è pericoloso.»

«Perché sei lo Shiroyasha?» chiese la padrona di casa a bruciapelo. Gintoki alzò lo sguardo di colpo e si irrigidì. Come lo aveva scoperto? La signora Otose rise. «Non ti preoccupare, non ho intenzione di denunciarti allo shogun. Un ragazzo di circa vent'anni può procurarsi il genere di cicatrici che hai tu solo in guerra, di questi tempi. Ti ho trovato nascosto in un cimitero e coperto di lividi... ti avevano catturato, vero?»

Gin tentennò, poi rispose. «Mi sono consegnato» fece una pausa. «Stavano portando via i miei compagni, inclusi donne e bambini che non avevano partecipato e...» non terminò la frase. Che importava ormai?

«E hai pensato di poterti offrire al posto loro, essendo il Demone Bianco. In effetti devi essere un prigioniero molto interessante per il bakufu, se le storie che si raccontano sul tuo conto sono vere» terminò Otose. Gintoki annuì.
«Non pensavo di scappare, sono stato liberato di nascosto» precisò, come cercando di giustificarsi. La donna fece un cenno con la testa. «Ma come hai capito chi sono?»
«Non ci sono molti samurai della tua età con i capelli argentati. E poi ti sono venuti a cercare, mentre ti stavi ancora riprendendo.»

Gin le rivolse uno sguardo allarmato. «Sono venuti qui?»
«Sì, ma come puoi vedere non è successo nulla. Per ora sospettano che tu sia da qualche parte in questo distretto, ma non hanno ottenuto prove. Non penso torneranno presto da queste parti» rispose divertita, vedendo l'espressione confusa del ragazzo.

«Ma... perché? Perché rischiare? Non ne vale la pena...» perché quella donna lo aveva protetto? Se fossero stati scoperti, l'avrebbero uccisa! Sentì un accenno di paura iniziare a farsi strada strisciante nel suo petto.

«Non ne vale la pena? Quanti anni hai? Venti? Ventidue? Non ti pare un po' troppo presto per questi discorsi? Sei troppo giovane per gettare via la tua vita in questo modo.»

«Non ti sarò di nessuna utilità, vecchia» rispose categorico. «Se resterò qui, non sarò in grado di mantenere la parola che ho dato a tuo marito. Ho già infranto abbastanza promesse» rispose il giovane samurai a testa bassa.

Otose rischiò il tutto per tutto. «Shōyō» disse semplicemente. «Lo hai chiamato in sogno in questi giorni.»

Gintoki si irrigidì e distolse lo sguardo. «Era il mio maestro. Mi aveva fatto promettere di proteggere i miei compagni e io...» scosse la testa senza terminare la frase.

«I tuoi compagni sono ancora vivi?»

Il ragazzo annuì.

«Allora la promessa è stata mantenuta e-»

«L'ho ucciso» vomitò il giovane dai capelli argentati tenendo lo sguardo fisso a terra, la voce spezzata. Non sapeva nemmeno lui perché stesse raccontando queste cose a un'estranea, normalmente sarebbe rimasto sul vago e se ne sarebbe andato senza troppi complimenti. In quel momento però si sentiva come se tutti gli eventi dell'ultimo periodo si fossero abbattuti sulle sue spalle. Era così stanco di portare tutto quel peso da solo. Sentiva che se non avesse parlato sarebbe esploso. «Ho ucciso il maestro, ho dovuto. Per provare a salvarli. Ma...»

«Se ne sono andati» dedusse Otose. «Ma vedi, Gin, tu hai mantenuto la parola. I tuoi compagni sono ancora vivi. Non puoi addossarti anche la responsabilità di ciò che gli accadrà d'ora in poi, il loro destino non è affar tuo, ora che vi siete separati. Tu hai tenuto fede alla tua promessa come hai potuto, tanto basta. È ora di voltare pagina. O se vuoi vederla diversamente, hai un'altra promessa da mantenere adesso» come faceva quella donna ad essere così calma? Gintoki aveva appena ammesso di aver ucciso il suo maestro e di essere uno dei ribelli più ricercati del Paese, eppure lei era seduta lì ad osservarlo come se fosse l'ennesimo ragazzino testardo entrato nel suo locale e che si ostinava a farsi servire alcolici che non sarebbe mai stato in grado di reggere.

«E se... e se dovessero tornare?» le chiese alla fine, lasciando trasparire la paura che aveva cercato di nascondere.

«Li manderemo via di nuovo. Kabuki-chō ha le proprie regole, la gente che ci vive non si lascia intimidire facilmente, nessuno ti venderà allo shogun fintanto che sarai qui.» Gintoki esitò per un momento: Otose stava cercando di essere rassicurante, ma lui poteva cogliere la velata minaccia nascosta dietro le sue parole. "Fintanto che sarai qui"... intendeva dire che nessuno avrebbe provato a tradirlo perché nessuno si sarebbe permesso di pestarle i piedi. Chi era quella donna? «Allora? Vogliamo trovarti qualcosa da fare per guadagnarti l'affitto per questo posto?»

Gin si arrese e annuì. Avrebbe provato a farsi una vita e a trovare un nuovo scopo.

“Vivere alle proprie regole non suona così male... forse potrei provarci anche io” pensò Gin e finalmente sorrise.


















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Note:
Gli headcanon presenti in questa fanfiction sono condivisi con Quasar93 e Magnetic_Ginger, quindi se avete letto (o leggerete, molte sono in wip) più fanfiction nostre e trovate delle somiglianze è normale, siamo d'accordo per riempire a turno i vari missing moments (ci conosciamo irl, quindi nessun plagio all'orizzonte).

Le nostre fanfiction che rientrano al momento nel progetto sono, in ordine cronologico:
- Sometimes the only choices you have are bad ones. But you still have to choose - Quasar93
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- Il peso di una promessa - Bored94
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Mentre la timeline su cui ci basiamo, ricavata dai riferimenti canon e adattata un pochino è questa (basata sull'età di Gintoki):
- 8 anni Gintoki viene trovato da Shoyo
- 10/11 anni Takasugi e Katsura arrivano alla Shoka Sonjuku
- 16/17 anni Shoyo viene catturato e i ragazzi entrano in guerra
- 21 anni morte di Shoyo, i joi4 si separano, Gintoki si consegna agli Hitotsubashi
- 22 anni Gintoki si stabilisce a Kabuki-cho
- 27 anni incontro con Shinpachi e Kagura
- 30 anni guerra contro l'esercito della liberazione
- 32 anni arco dei due anni dopo
- 34 anni epilogo del manga

  
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