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Autore: Vuli Anso    15/12/2020    1 recensioni
Marta, 17 anni, è odiata da tutti per la sua omosessualità. Beatrice, la fortunata, scappa dagli ostacoli della vita, rendendo quella di Marta insopportabile.
Sarà grazie all'aiuto della sua migliore amica Elisabetta e della grande tenacia della protagonista stessa, che Marta riuscirà ad andare oltre al muro dell'odio.
Nove capitoli intensi, pieni di sentimenti e scene forti.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Il divano è morbidissimo e grazie al tessuto che lo ricopre è ancora più gradevole. Mentre questo è sotto di me io sono tra i due: le sue labbra sfiorano il mio collo accarezzandolo dolcemente e io sono talmente stanca che mi sto per addormentare, d'altronde è mezzanotte.

Non dico nulla e non faccio nulla, non riesco a provare nulla. Con il viso immobile, serio e pensieroso lascio che lo sguardo si fissi in un punto indefinito del soffitto bianco del salotto. Attorno a noi tutto è fermo e immobile, come il riflesso dei nostri corpi sdraiati sul televisore addosso al muro rosa scuro. Oggi stranamente non si sentono nemmeno le macchine correre per strada, attraverso le due finestre di questa stanza. È strano che, pur essendo molto grande, quando parliamo si senta così poca eco. Il mio braccio sinistro mi circonda la testa mentre la mia mano destra, appoggiata al viso di Matteo, lo sente staccare le labbra dal collo e venire avanti posizionandosi davanti al mio.

"Tutto ok?" Ci guardiamo negli occhi, ma ci conosciamo da cinque anni e mentire oramai per noi è impossibile.

"Non lo so…" effettivamente non sono sicura che quello che ho detto sia vero, che lo pensi davvero, e probabilmente non lo voglio nemmeno sapere. Cerco di non pensare a nulla, anzi, solo a quando lo facevamo la notte, ma mentirsi da soli non fa bene.

"Sicura?" Lo vedo: cerca di scavare nei miei occhi le emozioni più profonde, quelle sepolte dalla sabbia dell'infanzia, ricoperte di macerie di vita buttate volutamente dalla sottoscritta per provare a mascherare il disagio.

"Non lo so..." Spero davvero che non diri fuori argomenti scomodi, forse anche per questo non aggiungo altro. E lui è speciale: sa che quando ripeto la stessa frase sono ferma al punto di partenza, purtroppo, però, sono contemporaneamente travolta da una serie di domande che mi fracassano le idee.

"È un lui... O una lei?" Il fatto che me lo chieda con le labbra ancora umide che si muovono lente su di me, mi fa capire che nemmeno lui è particolarmente interessato sul tema. Questa domanda non me l’aspettavo. Non lo so, giuro, ma non penso che sia nessuno dei due.

Non voglio che sia Matt il problema, non lo è sicuro! Anche se... "Ma sì, dai, è solo un periodo un po' così, non facciamoci caso."

"Sappi che ti conosco fino al midollo, non mi scappa un solo tuo movimento." Cosa... Fa per tornare alla posizione di prima ma poi si blocca rendendosi conto dell’inquietudine che c’è in quello che ha detto. "Voglio dire... Non ti preoccupare perché quando vuoi ci sono, non aver paura di nasconderti."

Questa frase mi tranquillizza di più.

 

Sono passate alcune ore, oramai si vede il sole salire da dietro la siepe che delimita l’orto fuori di casa mia. Le nuvole rosse e rosa creano un contrasto paradisiaco con il cielo azzurro. Le foglie degli alberi, nel loro verde intenso, in contro luce diventano macchie luminose richiamando l’autunno in arrivo.

Matteo è sull’uscio, non esce e non voglio che esca, ma è tardi.

Rimane per qualche minuto fermo di spalle, è estate quindi non mi dà fastidio la porta aperta, ma perché fa così?

Si gira. "Abbiamo perfettamente capito entrambi che sotto sotto qualcosa ci sta." Aggrotto le sopracciglia non riuscendo a capire. Mi prende il viso tra le mani e lo avvicina. Non mi vuole baciare, lo so perché so altrettanto bene quanto sia importare ciò che mi vuole dire. "Tu mi piaci, non posso ancora dire che ti amo perché siamo morosi, e non fidanzati," ecco, una cosa che amo di lui è la concezione dei sentimenti; capisce sempre quando è il caso o meno, sa cosa è giusto o meno e per me è fondamentale peer una relazione stabile. "ma percepisco che tra noi c'è qualcosa che non funziona. Io lo sento poco e ho bisogno di certezze da parte tua." Mi lascia il viso ma rimane vicino al mio corpo. "Ho bisogno di sapere cosa provi, cosa senti e cosa pensi. Poco per volta, ma ne ho bisogno."

Rimango immobile per cercare di mostrargli quello che sento con lo sguardo: le parole non hanno voglia di uscire e io non ho voglia di farle sentire. Non sono brutte, quello solo da un lato, più che altro sono strane e mi fanno paura.

"Ti prego." È l'unica cosa che riesco a dire. Sento che ha capito che quello che ho appena detto non significa nulla di male: non prego lui, ma che i miei sentimenti siano abbastanza forti da non cambiare e che rimangano costanti.

Voglio stare con lui, è speciale, non ho mai incontrato una persona tale, è quasi la mia metà perfetta. Infatti il problema non è lui, e la frase "segui quello che ti dice il tuo cuore" non la voglio prendere alla lettera. Sappiamo entrambi cosa mi sta succedendo e il minuto in cui rimaniamo con la fronte appoggiata sembra un'ora; una lunghissima ora durante la quale la nostra pelle si lacera sentendo i primi sintomi della separazione. Come se il caldo ci incollasse i due corpi fino a crearne solo uno, portandoci a provare fastidio e a separarci.

"Ho paura."

Mi prende la mano. "Quando vuoi sai dove trovarmi." E questa frase è la goccia che fa traboccare il vaso: non avrei mai voluto sentirla. Andava tutto così bene fino a qualche ora fa. Incredibile.

"Vale anche per me." So che ha fatto la cosa giusta e che non intendeva ferirmi, ma il mio cuore mi sta dicendo cose che non ho né il coraggio né la voglia di ascoltare.

Non so quale sia la scelta corretta, ma Matteo ha ragione: abbiamo bisogno di tempo. Non era nulla di serio il nostro rapporto, alla fine.

 

Salgo le scale fino alla mia cameretta e mi butto sul letto. Sono stanca e fiacca, ma i miei occhi si obbligano da soli a rimanere aperti e la mia mente attiva. Non mi preoccupo nemmeno di avere la testa comoda sul cuscino, o di togliermi le ciabatte prima di impolverare le lenzuola pulite. Il mio letto è circondato da una parete alla quale è appoggiato e dall’armadio, solitamente usato per non farmi vedere mentre mi cambio i vestiti. Il soffitto è azzurro, apparentemente perfetto; al centro la plafoniera rotonda è circondata da stelline che la notte si illuminano, avendo raccolto la luce diurna. Ma nemmeno questi piccoli oggettini così allegri riescono a spegnere il vuoto che sento mentre cerco di rispondere alle innumerevoli domande, sepolte dalla sabbia, costringendo il mio sguardo a cercare ogni minima imperfezione nell'azzurro sopra di me.

Nel frattempo la mia mente scava sotto tutti i detriti buttati tra le linee delle mie iridi. Piccoli filamenti sottili fragili e vulnerabili, capaci di spezzarsi al primo tocco. Ogni centimetro è buono per una spiegazione in più, ma queste non sono sufficienti per capire la motivazione di questo mio stato d'animo.

Lo sento che questa non è pazzia. Anche quando in classe ne parlavamo, a nessuno sembrava turbare. Perché non lo stanno vivendo: è complicato passare le giornate con questa perenne fissazione che il tuo istinto verso il sesso maschile stia diminuendo. Ancora più terribile è immaginare quanto la società si dimostri aperta e comprensiva quando poi basta una parola fuori posto e ti vedono in modo diverso, con quello sguardo diffidente e omofobo pieno di disprezzo. Questo è quello che hanno in mente: una ragazza che compie atti sessuali, magari anche osé, con una persona del suo stesso sesso. E magari hanno anche ragione, magari è la mia mentalità quella sbagliata, magari sono io quella sbagliata.

Mentre i miei occhi trovano sempre più punti di imperfezioni, la mia mente ha scavato tutto, fino all'osso.

Però lo sento. Essere lesbiche non è facile, ma nemmeno un problema.

 

In classe sento alcuni sguardi incuriositi guardare nella mia direzione. Dopo ciò che è successo ieri non riesco a guardare in faccia nessuna ragazza, l’unica che proprio non posso eliminare dalla mia vista è Elisabetta, la mia migliore amica, colei che mi ha sempre capita. Per questo non vedo l’ora di potermi confidare e sfogare, anche se provo imbarazzo anche davanti a lei, ho paura che qualcuno di terza o quinta le abbia messo in testa cose non vere o delle cattiverie.

Così, mentre mi faccio spazio nella classe, invasa da ragazzine dagli ormoni schizzati e mono neuroniche che pensano a fare le sciocche, incontro il suo sguardo. Ha degli occhi pazzeschi, ma so che per lei non proverei mai nulla di particolare. Non le darei più attenzioni di quelle che già le riservo.

Quando mi guarda la sia espressione non mi piace e non la riconosco, sinceramente speravo in altro. A questo punto tutto il coraggio di parlarle che avevo raccolto nell'entrata è stato sbriciolato da lei stessa. Come se sapesse già tutto e ne fosse schifata.

Quando mi siedo al mio posto, la sedia è quasi più calda e confortevole dello sguardo di Eli. Lascio cadere i miei occhi di peso verso il banco, con la tentazione ogni tanto di alzarli per vedere come reagisce alle mie azioni, ma bloccati dalla stanchezza improvvisa, dalla tensione che si è infilata tra le cellule della mia pelle e dalla paura.

Preferisco non guardare che avere la terribile certezza del fatto che la mia migliore amica si sia fatta impressionare da queste mie possibili caratteristiche. Perché sono possibili: chiunque potrebbe essere al mio posto ora, e non credo che se avessi incontrato una ragazza omosessuale avrei reagito schifata.

Passo tutte le due ore a guardare i libri, i quaderni e i prof. Tutto il resto e tutti gli altri li ho totalmente eliminati dal mio campo di percezione.

Voglio che sia lei a capire il suo errore perché è lei quella in torto ed esigo che, quando lo avrà capito, faccia il primo passo verso di me, magari chiedendomi scusa. Il tutto senza trattarmi come se fossi un alieno o una persona disabile.

Durante la ricreazione ne approfitto per scaricare l’ansia mangiando qualcosa, ma questa volta si sono finiti la mia merenda preferita, quindi decido di comprare solo un po’ d’acqua. Con la coda dell’occhio vedo gente mai vista prima lanciarmi sguardi attenti, piccole frecce nella mia direzione che scivolano nella loro traiettoria senza mai colpirmi. Probabilmente prima di ieri non sapevano nemmeno della mia esistenza.

Matteo, cavolo, sono sicura che c'entra. "Quando vuoi ci sono." Non mi servi, grazie.

Mi giro dopo aver raccolto la bottiglietta dallo spazio sottostante e trovo Eli che mi fissa. Io non faccio nessuna espressione: non sono arrabbiata, perché non servirebbe a nulla, se lei pensa che sia negativo avere preferenze diverse dalle sue è un suo problema; ma nemmeno felice, pensavo che almeno su di lei, in quanto migliore amica, avrei potuto contare. Quindi dare l’impressione di essere apatica in questo caso serve.

Si avvicina velocemente, quasi come se qualcuno le avesse dato una lieve spinta. "Scusa." I suoi lunghi capelli lisci rossi le cadono lungo il viso coprendolo per metà, ha le mani dentro le tasche, evidente segno di imbarazzo e non si è messa le scarpe arancioni. Tutto ciò mi sembra molto strano. Rimango comunque impassibile. "Scusa per i messaggi" continua lei con un volume di voce relativamente alto. La guardo storta non capendo cosa stia dicendo. "I messaggi che ho mandato alla scuola..." Mi guarda come se fossi stupida.

"Ma di che parli?" Vedo che dalle tasche, assieme alle mani fa uscire il suo telefono. Spero di non aver capito male... Anzi, tutto il contrario, così che possiamo ritornare ad essere amiche del cuore come prima.

"Simone mi ha mandato degli screen-shot di una chat tra te e Luca, il falso di quinta, e mi ha detto che vi eravate messi insieme un mese fa." Quando leggo le foto realizzo quanto sia patetico tutto ciò, che bambini.

"Queste conversazioni non sono vere. Non ne ho mai avuto una del genere con nessuno. Nemmeno con Matteo perché entrambi odiamo le smancerie smielate, e lo sai." La guardo male perché mi aspettavo che mi conoscesse abbastanza, ma sotto sotto sono felice che abbia preso le distanze per un fatto non vero. Così almeno ho una possibilità in più per confessarle il mio reale "problema".

Lei ha sempre odiato Luca, fin da quando si sono lasciati. Era innamorata del suo aspetto, lui era un grande seduttore, sono andati a letto mentre, a sua insaputa lui lo faceva con altre tipe. Quindi era evidentemente – e fortunatamente – preoccupata e delusa da me. Sono solo felice che abbia avuto il coraggio di parlarne, così ha scoperto prima che fosse troppo tardi che era tutta una sciocchezza.

"Piuttosto io ti devo confidare una cosa importante,” mi guardo attorno per cercare di dare meno all’occhio possibile e vedo che ora gli sguardi si sono fatti stupiti in direzione sia mia che di Eli, “ma prima usciamo che dentro sta scuola fa troppo caldo." O forse non è la scuola: troppa ansia.

Il corridoio che porta all’uscita è lungo, ma oggi sembra ancora più infinito: un tunnel d’argento e ferro liscio dentro cui scivolare e che non sai dove ti può portare. I miei passi svelti sfiorano il metallo sottostante cercando di non inciampare tra le mattonelle, stritolando le caviglie per poter rimanere stabile, abbassando lo sguardo per concentrarmi su me stessa. Le luci neon riflettono il loro percorso fino al portone da raggiungere.

*

Appena uscite l’aria calda e umida ci investe il viso rendendo la situazione ancora più soffocante. Le parlo con un po’ di difficoltà ma lei per fortuna riesce sempre a mettermi a mio agio, è una persona assolutamente empatica.

"Capisco benissimo ciò che stai passando, o meglio, posso immaginarlo, ma guarda che non è un problema... Solo ti prego non innamorarti di me o mi tocca friendzonarti!" E scoppiamo entrambe a ridere. Per fortuna che c'è lei a strapparmi il primo sorriso della giornata!

"Grazie mille davvero, sono fortunata ad averti come amica.” Tiro un sospiro di sollievo mentalmente: senza di lei avrei molte più probabilità di cadere in depressione. Solo mi dispiace che sia sempre io quella da supportare – e sopportare -, non riesco a capire come riesca Eli ad avere sempre tutto regolare nella sua vita.

“Spero, di abituarmi in fretta." Giocherello per il nervoso con il mio ciondolo preferito: una chiavetta, ma per me è un simbolo della mia vita e l'oggetto a cui tengo di più.

Me lo aveva regalato mia mamma per la cresima e comunione. "Usala bene, conservala!" Fino a che non mi è arrivato un tumore ed ho iniziato a scrivere e ad ascoltare musica. Non esisteva più nulla se non l'arte e tutto quello che facevo lo salvavo dentro quella chiavetta. Poi ho avuto anche ispirazioni per strumenti musicali. Volevo evadere dal mondo pieno di negatività ed entrare in uno creato interamente da me. Successivamente il periodo della riabilitazione, in cui mi dovevo riabituare a camminare anche senza il mignolo del piede sinistro – perché, per fortuna, non si è espanso lungo tutto l’arto. Ho tanti video di tanti miei testi che non verranno sicuramente mai pubblicati, perché non lo voglio.

Quindi tutt'ora so suonare il pianoforte, il flauto, la chitarra, il tamburo, alcune cose basi del violino e la pianola. Molte volte vado in sala registrazione e creo canzoni totalmente suonate e cantate da me. La maggior parte delle volte uso quasi tutti questi strumenti.

"Bea mi ha riso in faccia quando le ho detto di quella chat. Mi ha risposto «Tanto so perfettamente che le piaccio» con la sua espressione da smorfiosa." So che mentre lo dice, Eli sta cercando di capire come faccia ad attrarmi.

"Incredibile quanto una persona possa montarsi la testa grazie ad un semplice orientamento sessuale diverso… però devo ammettere che mi aspettavo una reazione diversa dalla sua.” Guardo l’ora per non rischiare di fare ritardo per la lezione successiva.

“Marta, credo che dovremmo rientrare.”

 
   
 
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