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Autore: gabryweasley    16/12/2020    3 recensioni
Potrei dire mille cose, adesso ... Ma per una volta resto in silenzio. Ho la testa appoggiata sul suo petto, appena sotto il collo, e sento il suo cuore che batte forte, il respiro regolare.
Shhh. Sta zitta Sana. Senti che bel rumore.

{Fa parte della serie: "Always" scritta con Deb}
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Sana Kurata/Rossana Smith | Coppie: Sana/Akito
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Always'
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Fanfiction precedente: Evidence di gabryweasley
e anche: Really di Deb




Strays

Akito mi tiene stretta nel suo letto. Una mano sotto la mia testa, l'altra in una continua carezza che dalla spalla scende sul fianco e poi sulle gambe, prima di tornare su.
Potrei dire mille cose, adesso. Potrei parlare di ieri e del suo mutismo di oggi. Di quanto fare l'amore poco fa abbia cancellato tutto. Della sua proposta assurda e perfetta. Ma per una volta resto in silenzio. Ho la testa appoggiata sul suo petto, appena sotto il collo, e sento il suo cuore che batte forte, il respiro regolare.
Shhh. Sta zitta Sana. Senti che bel rumore.
Eppure, poco dopo, percepisco un movimento quasi impercettibile della sua mascella, come se stesse digrignando i denti. E proprio non ce la faccio a stare in silenzio se c'è il suo silenzio da combattere ancora.
«Akito…»
«Mi dispiace.» dice, in un soffio. Talmente piano che se non fossi stata qui, attaccata a lui, forse non avrei nemmeno sentito. «Avrei dovuto… esserci. Avrei dovuto…»
Niente più mutismo. Continua a carezzarmi, in un movimento lento e deciso.
«Non importa più.» dico, abbracciandolo più forte. Non voglio più parlare di quell'uomo, di quello che ha fatto né del modo in cui lo ha fatto. Abbiamo cancellato tutto.
«Sana.» E invece le carezze si fermano. La sua mano smette di cancellare.
Perché quando ti vorrei silenzioso decidi di parlare, Hayama?
So dove vuole arrivare. E so che quello che io potrei dire non è ciò che si aspetta.
«Non ho pensato a nulla, se è questo che vuoi sapere. Non mi sono quasi resa conto di quello che succedeva.»
«Come puoi dire una cosa del genere?» si sposta un po’ per cercare di guardarmi, ma infilo la testa ancora più a fondo, verso il suo collo.
«È la verità. Ho provato fastidio quando ho capito cosa fosse successo e lui era già stato portato via.»
Ricordo di essere stata urtata anche dalle guardie arrivate in soccorso, di aver quasi perso l’equilibrio. Ricordo il silenzio dei secondi successivi e il bisogno di tranquillizzare tutti e tenere fermo il controllo su me stessa. Non volevo crollare. Non sono crollata.
Lo sento respirare più affannosamente, la mano ancora ferma sul mio fianco.
«Ho pensato a te, all’inizio.» dico. E lo sento sbuffare sulla mia testa.
«Non sono io il randagio stavolta.»
Alzo la testa e lo guardo. Ho la sensazione che i suoi occhi stessero proprio aspettando i miei. Finalmente sei uscita da lì. Questo stanno dicendo, mentre cerco di fare mente locale e capire di quale randagio stesse parlando. C’erano cani ieri alla presentazione? Non ricordo.
«Di quale randagio stai parlando?» glielo chiedo perchè non lo capisco. E non lo capirò mai, forse, perchè per tutta risposta alza gli occhi al cielo e sospira.
Ti odio. Posso odiarti almeno un po’?
Per aver smesso di cancellare, per le parole che gli vengono fuori quando io lo vorrei silenzioso, per avere annientato la mia pace mentre fantasticavo di essere la signora Hayama.
Mi alzo, mi metto seduta e comincio a guardarmi intorno in cerca di qualcuno dei miei indumenti. Avevo delle mutandine vero? Avevo un reggiseno, una gonna, delle scarpe. Li raccatto da terra, dal letto, e comincio a rivestirmi.
«Dove vai?» Sento il suo sguardo che mi segue per la stanza.
«A casa!» dico, mentre infilo la maglietta. «Tu puoi riprendere a studiare Fisioterapia evidenziata e io potrò risolvere i tuoi rebus. Da sola.»
Sposami. Parlami. Non sono un cane.
Magari vuol dire che salverà il mondo dal riscaldamento globale. Con una mossa di karate. Si siede al centro del letto. «Fisioterapia basata sulle evidenze»
«Quello.» Mi siedo al bordo del letto per allacciare le scarpe.
«Tu... aiuti i randagi.» lo sento che parla alle mie spalle. È come se lo vedessi, nonostante sia dietro di me. La testa bassa, i capelli a coprirgli gli occhi e quel suo tono di voce basso e lento, mentre sceglie le parole giuste. «Non i tuoi cani. Rei era un randagio. Io ero un randagio.» Fa una pausa, Akito. C'è qualche ricordo che bussa prepotente fra le sue parole. E io comincio a capire. «Continui a farlo, a mettere gli altri davanti a te. Non puoi dire di aver pensato a me quando quel pazzo ti ha raggiunta. Non ero io ad aver bisogno di aiuto… Dovresti essere scossa… e io...»
«Chi lo dice?» mi giro, per niente sorpresa di trovarlo esattamente come lo avevo immaginato. «Che dovrei essere scossa? C'è uno scossometro nella tua testa?»
«Sei stata aggredita… e io non c'ero. E poi sei arrivata e non ho...»
Basta. Allungo le mani verso le sue. Sono di nuovo al centro del letto davanti a lui. Ai piedi una scarpa sola.
«Non hai fatto nulla, perché non mi hai vista scossa. Avresti continuato a stare in silenzio, a prendertela con il mondo, se io fossi arrivata da te in lacrime?» Mi guarda, finalmente. Mai, non sono mai stata sola. «Sono stata anche io un randagio… e tu mi hai aiutato, sempre.»
Le mie parole suonano come una rivelazione alle mie orecchie e anche alle sue. Sono il motivo per il quale siamo mezzi nudi su un letto a parlare e a stringerci le mani.
Ero un randagio quando volevo scappare da casa mia per non vedere Rei, quando siamo caduti insieme nel dirupo, quando mi ha portato via dai paparazzi dopo l’uscita del libro di mia madre. È una lista lunga. C’eri tu in ogni punto.
«Non ho avuto modo di rendermi conto di nulla, ieri.» Continuo a parlare, a spiegargli. Perché forse può memorizzare un libro pieno di nozioni ma non riuscirà mai a trovare una spiegazione a me. Sei un genio a metà Hayama. «Non ho avuto nessun tremendo presentimento di pericolo, nessun preavviso. E tutto è finito così in fretta da lasciarmi stordita… lo scossometro si sarà alzato... così» lascio una sua mano per avvicinare pollice e indice a poca distanza. Scuote la testa, Akito, e si porta la mano libera a strofinarsi gli occhi. Lo so, è frustrante non capire le cose, vero? «Avevo bisogno di baciarti… e fare l'amore. E lo hai fatto, e mi hai addirittura ordinato di sposarti! Quello si che ha mandato in tilt lo scossometro!» Rido. Rido così tanto immaginando questo aggeggio inesistente che suona impazzito e poi ricordando l'Akito di poco prima che pensa a sposarsi durante un orgasmo. Sposami.
«E adesso di cosa hai bisogno?» chiede, quando mi sono calmata un po’ «Signora Hayama… Vuoi davvero prendere il mio cognome?» Akito, fai l’amore con la futura signora Hayama, così gli ho detto poco fa.
Lo guardo con aria interrogativa, portando una mano al mento. Non è così che si fa? Sto di nuovo scordando qualcosa? Oppure sta ritrattando?
«Ho sempre pensato che avresti mantenuto il tuo, Kurata.» continua, rispondendo alla mia espressione.
Akito Kurata. Sento una nuova risata che parte dallo stomaco e sale per esplodere nella gola e poi sulla sua faccia, facendolo sussultare all’indietro.
«Akito Kurata?!» Non riesco a fermarmi, mi piego sul letto e ci appoggio la testa mentre mi tengo la pancia. Immagino Akito fare moine da un cartellone pubblicitario al posto mio e poi dietro un microfono a presentare un programma per bambini. «Basta, per favore basta!» agito una mano nella sua direzione, quando avverto la calma tornare.
«Non ho fatto niente! Sei impazzita!» dice. Sento le sue braccia che mi raggiungono, cercando di rimettermi seduta. Devo andarmene. O ricomincerò a ridere e non riuscirò a smettere più. Akito Kurata.
Scendo dal letto e mi rimetto la scarpa mancante, mentre ancora vengo scossa dai residui della risata che cerco di controllare. Mi dirigo alla scrivania e prendo il libro che doveva studiare. È un mattone. La sola vista mi rende più facile gestire gli spasmi. Vado verso il letto e glielo lancio.
«Il mio futuro marito è un genio. Buon proseguimento.»
Allunga un braccio a prendere il mio e si avvicina a me. Le sue labbra sono sulle mie, la sua lingua le sfiora e sento le sue dita che mi accarezzano il viso. Si stacca, solo un pochino. «Ti amo.» sussurra. E penso che ci siano così tanti discorsi in queste due parole, così tante dichiarazioni e sensi di colpa e paure e promesse che rispondergli allo stesso modo, adesso, mi sembra riduttivo.
«Lo so» gli dico, e sorrido.





Ciao a tutti!
Questa shot è il seguito di Really, che è il seguito di Evidence, che al mercato mio padre comprò. XD
Abbiamo ragione di credere - si, parlo al plurale perchè io e Debbina ormai viviamo una sorta di osmosi - che stia nascendo qualcosa che non ha ancora nome nè definizione. Boh, vedremo, prossimamente su questi schermi. Il fatto è che ogni cosa che scriviamo diventa headcanon nella testolina dell’altra e non riusciamo a fare a meno del collegare le fic... :D Lov iuh Debbina! ♥
Questi due cominciano a fare i conti con quello che è successo a Sana e le reazioni derivate dal fattaccio.
Akito non ha ripensamenti, ovviamente, ma si ferma un attimo dopo la furia che lo ha attraversato nelle ore precedenti e pensa di essere stato un po’ troppo avventato e aver pensato più a sè stesso che a Sana. Lei invece lo rincuora... come c’era da aspettarsi, ha preso tutto molto più alla leggera! ♥
Spero che possiate apprezzare, i panni di Sana me li sento ancora strettini!
Gabry




   
 
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