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Autore: Hoel    17/12/2020    5 recensioni
20 febbraio 1508: l'armata dell'Imperatore Massimiliano I d'Asburgo, in viaggio verso Roma per la sua incoronazione, ignorando gli avvertimenti della Serenissima Repubblica di Venezia entra in Cadore. Una vera e propria guerra lampo ante litteram, conquistando facilmente i tedeschi tutte le roccaforti veneziane in appena una settimana.
Spazzata via ogni resistenza e sicuri della conquista, le truppe comandate da Sixt von Trautson s'accampano vittoriosi a Valle di Cadore in attesa degli ordini dell'ambizioso Imperatore per scendere e occupare Belluno e Feltre, antichi feudi imperiali che Massimiliano ha intenzione di riprendersi a scorno della Signoria.
***
Pensieri e impressioni di un Cadorino durante questa guerra, giocatasi in pieno inverno ai piedi delle Dolomiti, laddove i lupi delle sue foreste non sono necessariamente a quattro zampe.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Epoca moderna (1492/1789), Rinascimento
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Raccontino “lampo” che m’è venuto in mente osservando le cime innevate dalla finestra.

Per la precisione: per “tedeschi” s’intendeva all’epoca di questa storia gli “imperiali”, ossia tutti i sudditi del SRI. Ai potenziali lettori germanofili: il comportamento degli imperiali nel seguente racconto NON è frutto della mia fantasia, né di generalizzazioni da fiction di bassa lega dove "tedeschi = unni" perché? Perché in Cadore i "todeschi" si comportarono proprio da Unni, le cronache del Sanudo sono lapidarie a riguardo. Ricordiamo inoltre che Sanudo non indorava mai la pillola e le testimonianze che raccoglieva erano dirette, provenienti dalle lettere e rapporti che i capitani e provveditori inviavano alla Signoria.

V’auguro una buona lettura,

H.

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Homo homini lupus

 

 

 

 

 

Val di Zoldo, tra il 29 febbraio e il 1 marzo 1508

I.

Vittore spazzava la neve mentre i compagni spingevano i buoi per sgomberare la strada all’esercito, il viso bruciante dalle sferzate della tormenta e dal ricordo della casa in fiamme.

“Prendete il Passo Cibiana: è nascosto, veloce, li sorprenderete alle spalle!”

Allora il Generale, compiaciuto, così aveva arringato i soldati: “Mai arretrare, nessun prigioniero; una testa, un ducato!”

Anche Vittore avrebbe decollato qualche imperiale e non solo per danaro. Questi diavoli incarnati gli avevano tolto la moglie e la roba, ma il Dio dei Poveri l’avrebbe risarcito. Dammi la loro vita, pregava, dammi un’Enrosadira di sangue.

Il Boite, infine, e poi Venas: li stavano raggiungendo.

 

II.

Una volta c’era un lupo.

Ogni inverno stragi di pecore e pollame, di boscaioli e minatori, cercava prede facili, indifese. Vittore ancora sognava quei corpi mangiucchiati, gli occhi vitrei, atterriti, supplicanti il Padreterno.

Un giorno, mentre stava legando alcuni tronchi d’albero alla slitta, legname per la Signoria, il lupo l’attaccò all’improvviso. Rapidissimo Vittore indietreggiò voltandosi, il morente sole vespertino oscurato dall’ombra di tal creatura infernale, che balzando a fauci spalancate puntava alla sua gola.

“Dio soccorso!” gridò, protendendo di riflesso il bastone contro la bestia, confidando nella forza dei suoi vent’anni. “Non oggi, Signore!”

 

 

Tai di Cadore, 2 marzo 1508

III.

Tetti di paglia in fiamme e tanfo di carne bruciata: incominciava la battaglia improvvisata.

Accerchiati, gli invasori si strinsero in formazione: vincere o morire, nessuna via di fuga. I Veneziani l’assediarono impetuosi, pressando da ogni lato onde sfondare il quadrilatero. I denti ben in mostra, l’alito caldo sui rispettivi volti, ringhiando, infilzando e fendendo, colava il sangue bollente sulla neve unendosi all’acqua del Rusecco.

Il Comandante nemico si gettò temerario sull’Alfiere, lo ferì al viso, rubandogli un urlo di dolore e rabbia. Sorrise all’umiliazione dell’italiano, incurante della pericolosa vicinanza. “Sulla mia vita, non avrai il vessillo!”, contraccambiò l’Alfiere, affondando la picca nel collo del tedesco. Cadde disarcionato l’avversario nella rossastra fanghiglia in un sinistro scricchiolio d’ossa ed armatura.

Un guaito acutissimo sovrastò il rimbombo delle schioppettate e il digrignare di lance: senza il loro Comandante, una folle paura aveva sconvolto gli imperiali. Allo sbaraglio ruppero la formazione, scapparono, si dispersero e se n’approfittò il nemico, braccandoli animalescamente.

In ginocchio i Tedeschi implorarono pietà ai sordi Veneziani.

Gocciolanti teste spiccate esibite a trofeo; cadaveri depredati; artiglierie incamerate: un’atroce pugna lunga un’ora d’inferno.

Pochi fortunati scamparono a quel mattatoio.

 

IV.

Vittore non sentiva né fame né stanchezza, dall’infanzia rotto ad ogni fatica, specie camminare per ore affondando nella neve alta. Poteva quasi annusare l’odore della preda: polvere da sparo, sudore misto a paura.

Cacciava sicuro nel suo territorio.

Il lupo da lui stordito gli era scappato, rifugiandosi ferito nella foresta. Il cadorino allora l’aveva inseguito per infliggergli il colpo di grazia, la ruvida pelliccia un degno dono di nozze per la sua donna.

Similmente, i fuggiaschi stavano tentando di ricongiungersi al grosso dell’esercito imperiale, ma per farlo dovevano attraversare il Zoldano o la Piave. Alcuni nell’impresa morirono assiderati; altri annegarono nel vorticoso e indomito fiume. Altri ...

“Trovato, bestia!”

Vittore calò la scure: uomo o lupo, sempre rosso sgorgava il sangue.

 

 

Pieve di Cadore, 4 marzo 1508

V.

“Cate!”

“Marito!”

“Torniamocene a Selva. È finita.”

Tre ore per riprendersi il Castello. Vittore non aveva recuperato la sua roba, ma Deo gratias! sua moglie sì.

Pazienza.

Una testa, un ducato. Vittore ne possedeva ora a sufficienza per risarcirsi di ogni torto.

 

 

 

 

-     FINE –

 

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Le vicende qui narrate sono gli episodi salienti della Guerra del Cadore, culminante il 2 marzo 1508 con la battaglia Tai di Cadore (o Rusecco se si considera il torrente) e l’espugnazione del Castello di Pieve di Cadore il 4 marzo 1508, previamente occupato dalle truppe imperiali.

Bartolomeo d'Alviano (il Generale) assieme ad altri condottieri e provveditori guidò alla vittoria le truppe veneziane contro quelle tedesche di Sixt von Trautson (il Comandante), ucciso a singolar tenzone da Rinieri della Sassetta (l’Alfiere), condottiero e vessillifero. Fu una battaglia “improvvisata” perché degli stradioti, contravvenendo all’ordine dell’Alviano, avevano appiccato il fuoco ad alcune capanne di paglia a Tai, dove s’erano rifugiati dei soldati tedeschi. Scoperti, i veneziani ingaggiarono battaglia prima che gli imperiali trovassero una via di fuga.

La battaglia di Tai / Rusecco arrestò definitivamente l'invasione tedesca nel Cadore, iniziata il 20 febbraio 1508, permettendo ai veneziani sia la riconquista di tutte le piazzeforti perdute sia l’estensione dei propri domini  nel resto della Val di Grestra, Gorizia, Cividale, Cormons, il triestino e Fiume, in un’imprevista contromossa d’invasione, costringendo Massimiliano d’Asburgo a rinunciare a quei suoi territori in un umiliante trattato di pace – proprio lui che voleva umiliare Venezia per avergli negato ogni supporto contro la Francia nonché di transitare nei suoi territori per scendere a Roma. Ad aggiungere l’insulto all’ingiuria, Massimiliano dovette rinunciare, oltre alle sue terre e alle sue mire espansionistiche, anche ad ogni pretesa d’incoronazione a Re dei Romani – lo sarà de facto ma non de iure.

L’asso nella manica di Bartolomeo d’Alviano, che favorì la celerità con cui si mossero le truppe veneziane malgrado fosse pieno inverno, fu l’impagabile aiuto dei fedeli Cadorini i quali, per vendicarsi dei saccheggi subiti, fecero da guida all’Alviano, scortando l’armata lungo gli impervi sentieri del Passo Cibiana mentre spalavano coi buoi la neve altissima. In questo modo l’Alviano guadagnò tempo prezioso e sbucò praticamente alle spalle degli imperiali. La battaglia, durata un'ora, fu effettivamente cruentissima, soltanto alla fine e assicurata la vittoria l'Alviano permise di far prigionieri. Chi fuggì venne rincorso e ammazzato, tra gli stradioti e i Cadorini fecero a gara, neanche fossero a caccia di lepri. Durante l'assedio del Castello di Pieve ci si limitò a dimezzare solamente la guarnigione tedesca, mentre l'altra metà, spogliata di ogni loro avere, venne rispedita a Massimiliano. Nel Castello si ritrovarono gran parte dei beni rubati alla popolazione locale nonché 1500 ducati, che vennero subito distribuiti tra i soldati.  

Ovviamente, Massimiliano d’Asburgo non accettò lo schiaffo ricevuto e nel dicembre del medesimo anno sponsorizzò in nome della vendetta la Lega di Cambrai, in funzione antiveneziana. Anche in quel frangente, i Cadorini respinsero nel 1509 una prima invasione tedesca e anche quando vennero occupati nel settembre/ottobre del 1511, si sollevarono con tale impeto che il provveditore Gian Paolo Gradenigo scriveva come gli risultasse difficile tenerli disciplinati, perennemente costoro a caccia del “todesco”. Finita la guerra, il Cadore seguì fedelmente le sorti di Venezia fino alla fine.

Vittore, il protagonista, pur di fantasia può esser stato verosimilmente uno di questi Cadorini che aiutò l’Alviano. Poiché è una mia creatura/figliolo, arbitrariamente ho deciso che è sopravvissuto a questa guerra e a quella di Cambrai, invecchiando sereno con la sua moglie Cate e i suoi pargoli, generi, nuore e nipoti.



  
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