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Autore: Roberto Turati    17/12/2020    1 recensioni
Una storia che dedico a Maya Patch, mia amica e mentore.
 
Per capire del tutto questa storia del mio AU, è meglio se leggete la storia di Maya, prima di questa.
Mentre la tribù dei Difensori si sta ancora riprendendo dall'assedio dei Teschi Rossi, Aurora attende con impazienza il ritorno di Lex da Ragnarok per poter continuare ad indagare con lui sugli indizi sparsi per l'Isola. Tuttavia, fa una scoperta inaspettata: rinviene un antico oggetto portato nel mondo delle Arche da un'altra dimensione. Studiandolo, scopre il luogo d'origine del suo defunto proprietario: ARK, l'isola preistorica.
 
Aurora e Lex vi si perderanno loro malgrado. Saranno in grado di trovare un modo per ritornare sulle Arche, nonostante tutti gli ostacoli che ARK riserva per loro?
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'Isola Unica al Mondo'
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Aurora si svegliò sotto un cielo mezzo coperto. La prima cosa di cui si rese conto fu che aveva già fame, come se non avesse mai fatto la mangiata della notte prima. Strofinandosi gli occhi, si mise seduta e coprì uno sbadiglio con una mano. Quando uscì dal suo sacco a pelo, si stirò e si guardò intorno, ancora assonnata. Le creature del contingente misto degli amici di Drof guardavano tranquillamente i dintorni o mangiavano qualcosa. Aurora rimase di sasso: come aveva fatto a dormire così tanto?

“Immagino che quell’arma chimica di un piatto sia bella pesante” si disse.

Un parasauro le passò accanto mentre si dirigeva verso un cespuglio e si fermò per annusarle la testa prima di proseguire. Aurora sorrise e gli accarezzò il collo e il fianco, prima che l’erbivoro proseguisse. Sentì delle voci e si voltò: vide Lex che aiutava gli amici di Drof a sistemare alcune selle, mentre conversavano. Allora si avvicinò e il suo compagno, quando la vide, la salutò:

«Buongiorno, dormito bene?» le chiese, con un sorriso scherzoso.

La rossa levò gli occhi al cielo e stette allo scherzo, fingendosi indispettita:

«Perché non mi hai svegliata, piuttosto?»

Lex fece spallucce:

«Acceber stava per farlo, ma a me dispiaceva svegliarti, vedendoti così, rilassata e le ho detto di aspettare»

Aurora scosse la testa:

«Sì, certo. Allora, adesso torniamo da quei due?»

Le rispose Drof, che stava stringendo la sella di Onracoel e assicurando le sacche con attrezzi e provviste ai ganci:

«Sì, vi accompagneremo io e Acceber tra poco. Vi porteremo fino alla casa di quei due sfruttatori sulla costa a Est, poi finché sarò lì insegnerò qualche dritta sulla pesca nelle acque basse ad Acceber: deve ancora fare pratica per quando le insegnerò a cacciare nella palude»

Acceber, mentre dava dei pezzi di carne ad un kaprosuco, si voltò e chiese all’amica:

«Ora che ci penso, so che Bob Braddock si addestra da Logan. Ieri l’hai incontrato?»

Improvvisamente, ad Aurora tornò alla mente quel momento incredibilmente imbarazzante del giorno prima, quando Bob le si era avvicinato e le aveva praticamente imposto di guardare la collezione di statue di legno di lui, dopo che avrebbero mangiato con lui e Jonas a casa loro per discutere di nuovo sul loro accordo; la rossa diventò paonazza e si coprì la faccia con entrambe le mani, immaginando già il momento. Lex la guardò, divertito:

«Oh, hai rivisto quel donnaiolo ancora più spassoso di Kilani? E perché non me l’hai detto?»

«Secondo te?» sbuffò Aurora.

«Cosa ti ha detto?»

«Mi ha chiesto di guardare delle statue con la sua faccia e non ho potuto dire di no»

Lex sollevò le spalle:

«Be’, a me non sembra poi così male. Poteva chiederti di molto peggio, per come la vedo io»

«Sì, il fatto è che mi toccherà stare a sentire tutti i “complimenti” che mi fa in continuazione»

«Ignoralo, sopravvivrai»

Aurora rimase interdetta. Di lì a poco, i preparativi per la partenza furono terminati. Acceber e suo padre presero Onracoel e un allosauro, mentre ai due sopravvissuti furono concessi due velociraptor dagli amici di Drof, per ringraziare Lex per l’aiuto che aveva dato loro il giorno prima contro il giganotosauro. I due salutarono il gruppo e li ringraziarono ancora per la serata, per poi partire seguendo le loro due guide arkiane. Aurora passò tutto il tragitto a supplicare mentalmente che la cosa fosse il più rapida possibile, così che l’imbarazzo di stare insieme a Bob non superasse una certa soglia di sopportabilità. Lex le garantì che avrebbe fatto in fretta con Jonas senza che lei gli chiedesse nulla, perché leggeva già il disagio crescente nei suoi occhi, ma lei rispose che non si sapeva mai.

“Speriamo. Mio Dio, sarà terribile” sospirò la rossa.

Cavalcarono al galoppo fino alla costa orientale, a Sud dell'Apoteosi e della Foce Cremisi. Si trovavano accanto alla muraglia boscosa che precedeva la Valle Vasta, una labirintica giungla racchiusa in una conca e circondata da una malsana palude disseminata di carcasse. Mentre aggiravano la rigogliosa vallata, Lex continuò a interrogare Drof sulla cultura arkiana: confidò di essere confuso dall'uso dei ciottoli come valuta arkiana e che gli sembrava una moneta insensata, essendo facile da ottenere per chiunque. La spiegazione fu che in realtà non erano dei comuni sassi di fiume, ma dei ciottoli bianchi a cui veniva data una forma specifica da degli speciali artigiani che li levigavano per farli diventare le monete usate dall’isola, che poi la gente si doveva guadagnare. Un altro argomento fu uno che Lex aveva sentito menzionare il loro primo giorno sull’isola: il “mostro acido”.

«Nessuno sa esattamente cosa sia – spiegò Drof – Ma è da parecchio che infesta la foresta di sequoie molto spesso. Caccia solo di notte e attacca di sorpresa persone e animali. Dai racconti, sembra che viaggi sottoterra e che abbia il corpo simile a quello di un teropode, ma il sangue acido come un’artropleura»

«Kong è molto arrabbiato, ultimamente. Si aggira sempre più spesso per la zona delle sequoie alla ricerca del mostro, ma non l’ha ancora trovato. Non sopporta quando qualcosa minaccia l’ordine sull’isola»

«Kong?» chiese Lex.

«È quella specie di enorme gorilla pieno di cicatrici di cui ti ho parlato, quello che ho visto quando mi sono salvata dal giganotosauro» gli rispose Aurora.

«Uhm, capisco, la versione di quest’isola del Megapiteco. È come i guardiani delle Arche, solo che è sempre attivo e a piede libero»

«Non so di cosa tu stia parlando, ma immagino che sia così» disse Acceber.

«Be’, intrigante! Spero di riuscire a vederlo» sorrise il biondo.

«Comunque, i miei amici sono tra i cacciatori che cercano di stanare il mostro acido. Mi sono accordato per unirmi a loro, dopo che vi avremo riportati indietro da questo incontro coi Braddock» concluse Drof.

«Allora buona fortuna» augurò Lex.

Poco dopo, raggiunsero un golfo all'estremità sud-orientale di ARK. C’erano palme sparpagliate ovunque, non molto vicine a loro. La sabbia dorata sembrava un ampio nastro brillante che separava la distesa blu del mare e le imponenti e la muraglia verde della giungla. Dove non c’erano palme o sabbia, c’erano cespugli di bacche dove i dodo e i listrosauri mangiavano o stavano sdraiati all’ombra. Sul bagnasciuga zampettavano i trilobiti, che setacciavano la sabbia bagnata e le conchiglie in cerca di qualcosa da mangiare. La brezza che soffiava dall’oceano verso l’entroterra era molto fresca ed era molto piacevole sentirsela addosso, sotto il sole che batteva. Nel golfo, al largo, nuotavano alcuni sarcosuchi.

«Ci siamo quasi, ora svoltiamo a Sud» annunciò Drof.

Aurora e Lex seguirono padre e figlia lungo la costa, nella direzione indicata. Il paesaggio diventava sempre più tropicale, procedendo verso meridione. Passarono accanto ad un paio di moli dove delle barche degli Squali Dipinti o animali marini domati attraccavano o salpavano e incontrarono dei dilofosauri che cercavano piccole prede sulla spiaggia e si affrettavano a lasciarli passare quando li vedevano. Alla fine, raggiunsero la casa dei fratelli Braddock. Al contrario di quello che si aspettava, Aurora dovette ammettere che non era affatto male: era un’allegra villetta di discrete dimensioni, che ricordava una casa da villeggiatura sul mare per ricchi. Era costruita in mezzo al palmeto, poco lontano dal mare. Aveva due piani ed era fatta in pietra bianca, come le case greche, il tetto era piatto e fungeva da terrazza. Ad ogni piano si contavano cinque finestre. L’ingresso era su un portico rialzato che si raggiungeva con una scaletta e, sotto di essa, si intravedeva un seminterrato da cui emergeva un invitante profumo di cibo e si sentivano delle voci: una cucina. Tutt’attorno, c’erano le varie guardie del corpo dei due fratelli, che conversavano, giocavano ad un gioco di carte che i due sopravvissuti non avevano mai visto e si prendevano cura delle loro cavalcature, le quali bazzicavano per l’area o riposavano in una stalla lì vicino.

«Che dire, si sono sistemati bene» disse Lex.

«Be’, se hanno anche un giro d’affari...» gli ricordò Aurora.

«Giusto. Grazie per il passaggio, voi due!»

«Di niente. Ci vediamo dopo!» li salutò Acceber.

«Quando avete finito, aspettateci qui, vi raggiungeremo. Non ci metteremo troppo» spiegò Drof.

Quando lei e suo padre si allontanarono, Aurora tirò un sospiro di tensione: era ora di rivedere Bob, doveva stare pronta. Una delle guardie del corpo riconobbe i due sopravvissuti dalle terme delle Aquile Rosse, quindi si avvicinò e diede loro il benvenuto. Lex chiese se potevano parlare coi fratelli Braddock e gli fu risposto che Jonas e Bob stavano aspettando proprio loro per il pranzo. Quindi aprì la porta e si fece seguire all’interno. Subito dopo l’ingressso c’era un ampio soggiorno con un tavolo e delle sedie da una parte e una libreria piena di fogli cosparsi di bozze e taccuini dall’altra. Alle pareti erano appesi disegni al carboncino di vari scorci di ARK, firmati da Jonas.

«Buffo, non lo facevo un disegnatore» confessò Aurora all’orecchio dell’amico.

«Io un po’ sì»

«Come no»

«Sul serio, quando l’ho visto me lo sono sentito per un attimo»

«Ci sto credendo» sorrise lei, trattenendo una risatina.

Il buttafuori arkiano li accompagnò attraverso un anticamera a sinistra del soggiorno che conduceva ad una sala da pranzo. Da lì sentirono le voci dei due fratelli che discutevano del più e del meno. Aurora sbirciò oltre le spalle della guardia del corpo e li vide, seduti ad un tavolo a quattro posti: Bob aveva i capelli pettinatissimi e indossava un abito di tessuto dipinto di un vistosissimo e pacchiano giallo canarino, con una rosa appuntata sul petto. Quella scena la fece ribollire dentro: aveva preso quella proposta molto fin troppo sul serio. Jonas, invece, era ancora preso a leggere lettere e documenti come quando l’avevano incontrato al villaggio delle Aquile Rosse. Sempre tutto d’un pezzo, sempre concentrato solo sui suoi affari, anche se era confinato su un’isola sperduta e separata dal resto del globo, in cui vivere come l’imprenditore che era non aveva più lo stesso senso di prima. Bob stava sommergendo suo fratello di aneddoti e opinioni su qualcosa che la ragazza non afferrò bene, ma Jonas non lo guardava nemmeno negli occhi. Quando entrarono nella sala da pranzo, Aurora colse le parole che il fratello grasso stava dicendo in quel momento:

«E a quel punto mi ha detto che sono uno scherzo della natura, perché normalmente nessuna andrebbe mai a letto con un “tricheco diabetico”! Ti rendi conto, Jonas? Che razza di ipocrita! E perché, lui che ha la faccia più picchiabile del mondo si crede più affascinante di me?! È il bue che dà del cornuto all'asino!»

«Dal Manzanarre al Reno, Bob» rispose Jonas.

«Eh?»

«È l’estensione dell’accidente che me ne sbatte. Sai come so citare Manzoni? Mentre tu hai sprecato tutti i soggiorni d’affari di papà in Italia a fare il pavone con svariate donne del posto, io ne approfittavo per studiare la letteratura. Ed ecco uno dei tanti motivi per cui non è giusto che ci siamo divisi la sua eredità»

«Bah, come sei pedante!»

«Scusate, è tornato quel Gutenberg» li interruppe il buttafuori, mostrando loro Lex e Aurora.

I due smisero di discutere e Jonas alzò subito gli occhi, accogliendo i due ospiti con un sorrisetto compiaciuto. Bob, invece, balzò in piedi con un sorrisone a trentadue denti e gli occhi spalancati, puntando tutta la sua concentrazione sulla rossa, la quale si affrettò a guardare da un’altra parte e ad accostarsi il più possibile a Lex. Il biondo incrociò le braccia e ricambiò con del sarcasmo pungente:

«Sì, e “quel Gutenberg” ha ripulito il vostro giacimento, come volevate. E con lui c’era anche “quell’Aurora”, che ha dovuto sopportare uno shock allergico per il morso di un araneomorfo»

«Molto avvincente» lo provocò Jonas, infastidito dal tono del Tedesco.

A sentire quel particolare, Bob sobbalzò all’indietro e sbarrò gli occhi, con fare oltraggiato, per poi alzare il pugno e stringere i denti:

«Cosa?! È vero che un ragno gigante ti ha morsa?!»

Aurora, dopo essere rimasta spaesata per alcuni secondi, si strinse nelle spalle e rispose:

«Be’, sì: ho fatto fatica a respirare per tutto il giorno, ma ora sto bene»

«Dannato mostro! Te lo giuro, rosa italiana, se incontro quello schifo a otto zampe, gli strappo le tenaglie con le mie mani e gliele infilo su per il…»

Jonas si alzò e gli tirò una gomitata per zittirlo:

«Bob, smetti di renderti ridicolo. Ti ricordo che, da bambino, ogni volta che vedevi un ragno in casa non entravi più nella stanza in cui l’avevi trovato per una settimana»

«Cosa c’entra? Eravamo piccoli! Comunque, sono contento che sia tutto passato: ti trovo più in forma e splendida che mai! Ehi, che fate ancora in piedi? Mettetevi comodi, siete ospiti! Ehi, Ymmij, vai a dire alla cuoca che può portare da mangiare ora» si rivolse alla guardia.

Il buttafuori annuì e si allontanò, mentre i due sopravvissuti si sedettero al tavolo. Sfortunatamente, Jonas volle che Lex si sedesse al capo del tavolo opposto al suo per guardarlo negli occhi, quindi Aurora fu costretta a fare lo stesso con Bob. Per questo, si ritrovò a fissare continuamente le proprie mani appoggiate sul tavolo per non dover incrociae gli occhi perennemente puntati su di lei di Bob, mentre Jonas tornò a leggere le sue carte e a punzecchiare Lex:

«Mio fratello racconta di aver incontrato la tua amica al campo di allenamento di quello zotico chiamato Logan, nel deserto. Dimmi un po’, Gutenberg, per caso sei meno affezionato a quella tua palla di rame di quello che cerchi di farmi credere? Perché se è così importante, io non perderei tempo così: il mondo degli affari non aspetta nessuno. Tu dov’eri mentre la tua compagna si faceva umiliare da Logan? Qualcosa che non c’entrava con la mia commissione, suppongo»

Lex trattenne un sospiro irritato, ma replicò comunque a tono con voce ferma:

«Diciamo solo che su quest’isola ci sono altre cose oltre a quello che ci hai costretti a fare. E, per inciso, sei tu l’uomo d’affari tra noi due»

«Non è una scusa, Gutenberg. Comunque, da dove viene fuori questo ragno di cui hai parlato? Pensavo che i miei dipendenti indigeni fossero stati cacciati da un megalosauro. Chi è il bugiardo fra te e loro?»

«Il megalosauro era stato ucciso da un’artropleura, gli araneomorfi sono arrivati dopo e hanno fondato una colonia. Sappi solo che ora possono tornare a lavorarci: abbiamo ripulito tutto»

«Capisco. Dunque sai portare a termine gli incarichi, oltre a fare la voce grossa con me senza un minimo di ritegno. Non che ci sia da sorprendersi: ho imparato molto tempo fa che i Tedeschi sono sempre all’altezza delle aspettative»

«Immagino che sia una versione tutta tua di un complimento, quindi immagino di doverti ringraziare»

In quel momento, furono raggiunti da quella che capirono essere la cuoca arkiana dei due fratelli: una vecchia ingobbita coi capelli grigi che, nonostante l’età, si muoveva ancora a passo agile e scattante. Stava portando due piatti di legno con sopra il pranzo ed era seguita da un’altra delle guardie, che la stava aiutando a portare anche gli altri due piatti. Bob richiamò l’attenzione di Aurora, le strizzò l’occhio e le confidò che aveva scelto di persona cosa far preparare alla cuoca per il pranzo coi due ospiti, certo che a lei fosse di gradimento. La ragazza arrossì e Lex rispose a Bob per lei che non avrebbe dovuto “disturbarsi”. Quando il pranzo fu servito, però, Aurora si sentì quasi mancare: quello era salmone zannuto affumicato nell’essiccatoio. Ripensò in un lampo a quello che aveva appena sentito: Bob aveva detto di essere certo di sapere che lei avrebbe gradito la sua scelta e, la sera prima, la rossa aveva raccontato ad Acceber che il suo piatto preferito era il salmone affumicato dopo che la figlia di Drof le aveva chiesto quale fosse, la sera prima. Bob aveva così tanto interesse per lei… sospettosa, si schiarì la voce e gli domandò timidamente:

«Ehi, scusami per la domanda stupida, ma per caso mi stai spiando? Come sai che è il mio cibo preferito?»

Bob fece la faccia più confusa e perplessa che la ragazza avesse mai visto:

«Cosa? No! Assolutamente no! Cosa te lo fa pensare?»

Jonas si voltò verso il fratello e lo fissò con uno sguardo diffidente, cosa che fece aumentare a dismisura la preoccupazione di Lex e il disagio di Aurora:

«Bob, c’è qualcosa che non mi stai dicendo?»

Bob andò nel panico:

«Ehi, si può sapere che vi prende? Non mi sognerei mai di spiare qualcuno! Per quale razza di pervertito mi avete preso? Ho solo scelto il salmone perché sono pochissimi quelli a cui non piace e quindi davo per scontato che avrebbe fatto bella figura! Mi fa piacere sapere che è il tuo cibo preferito, Aurora, ma è stato un caso!»

«Uhm… sì, dice la verità» confermò Jonas, dopo aver guardato il fratello negli occhi per molti secondi.

I due sopravvissuti tirarono un sospiro di sollievo, specialmente Aurora, quindi tutti e quattro decisero di fare finta che niente fosse successo e cominciarono a mangiare. Nonostante i vari e goffi tentativi di Bob di iniziare una conversazione con Aurora, resi evidentemente più difficili dall’inaspettato imbarazzo che l’aveva appena investito, mangiarono senza spiccicare parola, immersi in un silenzio carico di tensione. Più i secondi passavano, più Aurora non vedeva l’ora che finissero. Doveva ammettere, però, che quel salmone era squisito: affumicatura inebriante, condimenti ben equilibrati, sapore deciso… lo mangiò così volentieri che lo finì per prima e Bob, vedendolo, fece un sorriso soddisfatto e sollevato al contempo. Quando terminarono, Jonas si versò dell’acqua, si dissetò ed esordì:

«Bene, ora che ci siamo sfamati, vogliamo discutere di nuovo sui nostri interessi, Gutenberg? In fondo, parlare di affari riesce molto meglio a stomaco pieno»

«Certamente» ribatté Lex.

Bob, allora, si alzò sorridente e porse la mano ad Aurora:

«Ah, allora posso finalmente passare del tempo con Aurora e la mia collezione! Vuoi concedermi l’onore di farti godere della vera arte, rosa italiana?»

La ragazza guardò l’amico con le labbra serrate e uno sguardo supplicante, ma lui le disse solo con lo sguardo di stare al gioco e avere pazienza. D’altronde, le aveva già promesso che avrebbe fatto più in fretta che poteva con Jonas per risparmiarle il più possibile tutto quell’imbarazzo. Quindi Aurora si rassegnò e si alzò, senza prendere la mano di Bob. Il Braddock grasso ci rimase un po’ male, ma le disse comunque raggiante di seguirla al piano di sopra.

Aurora seguì Bob fino alla terrazza sul tetto della villetta. Da lì la vista sulla spiaggia e sul mare non era affatto male, anche se il bianco dell’edificio rifletteva il bagliore del Sole così tanto che lei era costretta a tenersi continuamente una mano sulla fronte per ripararsi gli occhi. E quando si abituò meglio alla luce accecante, vide “finalmente” le statue di legno di cui aveva tanto sentito parlare e rimase a dir poco interdetta: erano tutte allineate lungo il muretto della terrazza e ciascuna di loro era una versione lignea e levigata con incredibile maestria delle più celebri sculture dell’antichità classica o del manierismo, solo che avevano la faccia di Bob. L’impressione che facevano era bruttissima, quasi destabilizzante. Bob, emozionato e fierissimo, iniziò a farle da cicerone:

«Aurora, ti presento l’orgoglio di questa casa, di questa spiaggia e di quest’isola: il posto dove l’arretratezza e la bassezza culturale degli indigeni cede il posto alla più ideale delle bellezze e delle armonie. Una raccolta di statue perfette, rese ancora migliori col mio irresistibile profilo!»

«Si vede» mormorò lei, con un sorriso imbarazzato e tenendo le braccia incrociate.

Bob compì il giro facendole vedere tutte le statue in senso orario: il Discobolo con la faccia di Bob, il David di Michelangelo con la faccia di Bob, il Doriforo di Policleto, il ratto delle Sabine compiuto da Bob e, infine, si trovarono di fronte a quello che Bob definiva il pezzo forte della sua collezione:

«Ohohoho, questa è quella che chiamo vera arte! – esclamò – Ah, mi commuove sempre: mi ricorda quanto in realtà sono fragile ed empatico, nel profondo dell’animo»

Aurora non poteva credere ai suoi occhi: stava osservando la pietà di Michelangelo con Bob al posto di Gesù, morto tra le braccia di Maria, che era sempre Bob. Quella statua rasentava il grottesco e l’imbarazzante. La rossa era pronta a giurare di non aver mai visto un ego così spropositato. Quando Bob le chiese un commento, sudò freddo e andò nel panico: era inorridita, ma cosa avrebbe potuto dirgli? Cercò rapidamente nella sua immaginazione, in cerca della frase di circostanza più adatta, ma alla fine tutto quello che le venne in mente fu una domanda:

«Ho una curiosità: chi ha scolpito queste per te?»

Bob schioccò le dita, soddisfatto:

«Speravo che me lo chiedessi! Ho un fornitore, uno scultore di fiducia. È il falegname e l’artista più incredibile che abbia mai visto, ecco perché ho deciso di commissionargli le mie statue! A dire il vero, avevo ordinato una statua di Laocoonte con le mie sembianze proprio per oggi, dovrebbe arrivare a breve. Così vedrai anche chi ha creato queste bellezze!»

«Davvero?»

Aurora non se l’aspettava, ma non ci trovava niente di male. Non c’era niente di male nell’incontrare altra gente. Quindi, cercando con tutta se stessa di ignorare il fatto che quelle statue avessero degli attributi leggermente esagerati per volere dichiarato di Bob, passò il successivo quarto d’ora fingendo di ascoltare le dettagliate “lezioni” di storia dell’arte di Bob su come i suoi lineamenti si intrecciavano con lo sfondo storico delle sculture: mentre lui blaterava, la rossa pensava a quali posti avrebbe potuto visitare con Acceber in futuro. Dopo un po’, Bob sentì le guardie chiamarlo dalla spiaggia e si affacciò al bordo della terrazza, chiedendo cosa c’era. Gli dissero che un tale Axel era arrivato e che era appena entrato col suo carico.

«Oh, magnifico! Grazie. Aurora, stai per incontrare il creatore di questi capolavori!» esclamò allora Braddock.

«Oh, va bene» rispose semplicemente lei.

Poco dopo, difatti, Aurora iniziò a sentire dei tonfi e due voci salire le scale che conducevano alla terrazza. Nel giro di qualche minuto, vide apparire un telo di lino grezzo che avvolgeva quella che doveva essere la nuova statua. Una volta che fu portata in cima, vide le due persone che la stavano trasportando: un uomo e una donna, entrambi caucasici. Lui dimostrava fra la trentina e la quarantina d’anni, aveva i capelli spettinati che gli coprivano le orecchie e la barba incolta castano chiaro. Aveva gli occhi verdi e un’espressione strana: sembrava che si fosse appena svegliato da un terribile incubo e sembrava continuamente turbato. Lei, invece, aveva le lentiggini, gli occhi verdi i capelli rossi come Aurora, ma lisci, e sembrava avere circa vent’anni. Al contrario del suo compagno, lei aveva uno sguardo radioso e confidente, quasi caloroso. Le sembrarono un duo così strano che ad Aurora venne spontaneo provare ad immaginarsi come si fossero ritrovati a lavorare insieme.

«Ecco, Braddock, Laocoonte è arrivato» disse la ragazza, battendo una mano sulla statua coperta.

«Uh… è stato un po’… ehm… complicato fare i serpenti, ma… uh… alla fine è riuscito tutto bene. Spero che ti piaccia» balbettò l’uomo, deglutendo e torcendosi le mani.

Aurora fece quasi un sorriso intenerito: il modo impacciato, timido e balbuziente con cui parlava era così buffo che glielo fece stare subito simpatico. La donna, mentre il suo compagno toglieva il telo e rivelava la nuova scultura lignea di Bob, notò Aurora e incrociò le braccia:

«Guarda guarda, ne hai già adocchiata un’altra? Che fine hai fatto fare alla Portoghese?» lo punzecchiò.

Aurora diventò paonazza all’istante, ma questa volta Bob arrossì più di lei. Dapprima cercò di trovare una scusa valida, ma alla fine decise di ignorare la provocazione per darsi un contegno e prese ad osservare la statua con le mani incrociate dietro la schiena, senza più proferire parola né voltarsi. L’altra rossa si avvicinò ad Aurora e la salutò:

«Ciao, io sono Nadia e lui è Axel. Come vedi, siamo quelli che viziano Bob con queste statue più belle di lui. Tu chi sei?»

«Aurora, molto piacere»

Bob interruppe il suo silenzio per un attimo e si intromise:

«Un falegname olandese e un’infermiera russa bolscevica: una coppia sgangherata, ma io e Jonas non ci lamentiamo di averli incontrati e averne fatto dei contatti!»

«Sgangherati? Non direi» protestò Axel.

Nadia sbuffò, lo corresse dicendo che era menscevica e tornò a parlare con Aurora, con le mani sui fianchi: 

«Quel belloccio biondo invischiato nelle “proposte” di Jonas al piano di sotto sta con te? Credimi, vi capiamo: agli inizi è stata una vera rottura anche per noi, è stata dura superare la tentazione di mandarli a farsi fottere»

«Ehi!» si lamentò Bob.

Aurora fece una risatina e rispose:

«Sì, lui è Lex. Siamo compagni di tribù»

I due la guardarono con aria confusa:

«In che senso? Siete su ARK da così tanto che avete cominciato a vivere con la gente del posto?»

Aurora si sistemò meglio i capelli dietro le orecchie col braccio sinistro e cercò le parole più adatte per spiegare tutto senza gettare in confusione i due nuovi arrivati:

«Allora, è una storia lunga. Veniamo sempre da ARK, ma non questa: tempo fa mi sono svegliata senza nessun ricordo su una spiaggia di un’isola, sono stata accolta in una tribù chiamata “i Difensori” e adesso sto cercando di capire meglio cosa…»

Improvvisamente, però, Axel urlò dallo spavento facendo stranire tutti i presenti e cominciò ad indietreggiare, terrorizzato e pallido, indicando il braccio di Aurora. La rossa guardò cosa stava indicando: aveva notato il suo innesto nel polso sinistro e, per qualche motivo, la cosa l’aveva scioccato. Axel continuava ad indietreggiare e puntava un dito tremante sull’innesto della rossa, delirando:

«No! No, no, no! Non di nuovo! Non ne voglio sapere più nulla! Lui non mi riavrà!»

E, a quel punto, scese di corsa le scale e sparì. Poco dopo, sentirono la porta d’ingresso della villetta aprirsi di colpo e lo rividero scappare di corsa nella spiaggia, urlando, mentre le guardie lo guardavano senza parole e reagivano ridendo e toccandosi le tempie con l’indice. Nadia si sbatté una mano in faccia e sbuffò:

«Oh no, ci sta ricadendo! Dopo tutti i progressi che ha fatto!»

Bob fischiò, colpito:

«Accidenti, Nadia! Ho sempre sospettato che ad Axel mancassero delle rotelle, ma questo...»

«Non commentare, Braddock, per piacere»

Bob alzò le mani e fece il gesto di cucirsi le labbra, indispettito. Nadia, a quel punto, si rivolse ad Aurora, che era rimasta immobile come le statue di legno intorno a lei per quanto era rimasta interdetta da quello che era appena successo. Guardandosi in giro disorientata, chiese se aveva detto o fatto qualcosa di male, ma la Russa le disse di non preoccuparsi e iniziò a fissare il suo innesto.

«Non posso crederci! Anche voi?»

«Che vuoi dire?» domandò Aurora.

Nadia alzò il braccio sinistro e si arrotolò la manica dell’abito in cuoio che stava indossando, rivelando di avere a sua volta l’impianto nel polso. Non era la versione “artigianale” degli Arkiani, fatta di ossidiana e con strati di pietre preziose levigate: era identico a quello di lei, di Lex e di tutte le altre persone sull’Isola. Aurora era più che sorpresa:

«Venite dalle Arche» mormorò.

«Proprio così. Hai parlato di una spiaggia, quindi dubito che veniate dall’Aberrazione; ma in ogni caso, siete dei sopravvissuti!»

Aurora stava per chiederle cosa fosse l’Aberrazione, ma decise di non cambiare argomento, anche perché la risposta era abbastanza scontata: doveva essere sicuramente un’altra delle tante Arche. Magari dopo avrebbe chiesto a Lex, per una conferma. Prima che potesse aggiungere altro, Nadia le chiese:

«Come siete venuti qui?»

Aurora aveva troppa curiosità di indagare sull’incredibile scoperta appena fatta, quindi replicò con la stessa domanda:

«Prima potresti dirmi come avete fatto voi, per favore?»

«Ohohoho, sembra che la trama si stia infittendo» commentò Bob, alquanto divertito.

Nadia lo fulminò con lo sguardo, cosa che lo fece subito stringere nelle spalle e allontanare, e prese a spiegare:

«Tre anni fa abbiamo trovato un…»

«Nadia! Nadia, sei ancora lì? Andiamocene! Ti supplico! Torniamo alla bottega!»

Axel era riapparso: tornando indietro dalla sua corsa da internato evaso, si era riavvicinato titubante alla villetta dei fratelli Braddock e, mentre le guardie ridevano a crepapelle guardando come si atteggiava, fissava la sua compagna dalla spiaggia stringendosi nelle spalle, tenendo i pugni serrati e congiunti e urlando a pieni polmoni, stando nascosto tra i cespugli che circondavano le palme come se pensasse di essere occultato. Nadia sospirò, con uno sguardo dispiaciuto e sconsolato e gli rispose che stava arrivando.

«Ehi, aspetta, voglio capire! Dammi almeno una spiegazione!» protestò Aurora.

Nadia le sorrise e la rassicurò:

«Tranquilla, lo farò! Ho una bella idea: perché tu e il tuo amico non venite a trovarci alla nostra bottega? Così potremo stare tranquilli e farci tutte le domande e spiegazioni che vogliamo, senza fretta! Inoltre, Axel si sente più al sicuro lì, parlare delle Arche lo turberà meno. Sono certa che abbiamo entrambe un sacco di cose che ci stiamo chiedendo»

«Già, non ne dubito. Dove possiamo trovarvi?»

«Dammi un secondo»

Ignorando le grida di Axel, che non smetteva un secondo di richiamarla dalla spiaggia e che Aurora stava facendo di tutto per ignorare, Nadia si frugò in una borsa di iuta che aveva a tracolla e ne tirò fuori una mappa piegata dell’arcipelago di ARK, lo aprì e indicò ad Aurora un punto su cui aveva disegnato un cerchio rosso:

«Vedi questa rete di crepacci, nella foresta di sequoie nel Nord-Ovest dell’isola?»

«Sì»

«L’abbiamo costruita in una caverna, in una di queste gole attraversate da torrenti. Cercate una doppia cascata, non potete sbagliare. Se avete amici arkiani, farete ancora meno fatica»

«Benissimo, grazie. Sono certa che anche Lex non vedrà l’ora di parlare con voi!» sorrise Aurora, entusiasta.

«D’accordo. Abbiamo sicuramente molte storie da raccontarci. Vi aspettiamo, siete liberi di venire ogni volta che vi pare! Arrivo, Axel!»

A quel punto, anche Nadia scese le scale e uscì dalla casa. Quando uscì, Axel le si avvicinò tirando un sospiro di sollievo e si allontanarono insieme, dirigendosi verso Ovest. Aurora non fece in tempo a vedere dove stavano andando o che cavalcatura avevano portato con loro, perché Bob attirò la sua attenzione toccandole la spalla:

«Allora, la collezione ti è piaciuta? Scusa per il disagio, non pensavo che Axel fosse così fuori di testa!»

Aurora rimase interdetta per un secondo, poi si riscosse:

«Be’, credo di averla gradita»

Gli occhi di Bob si illuminarono:

«Davvero? Mi fa molto piacere! Lieto di sapere che non ti ho invitata per niente»

«Per niente? No no no, figurati»

Pochi secondi dopo, sentirono dei passi sulle scale e apparve Lex: la sua discussione con Jonas doveva essere terminata.

«Abbiamo finito, possiamo andare» disse.

«Va bene»

«Buona fortuna con qualunque cosa mio fratello vi abbia chiesto di fare!» augurò loro Bob.

«Grazie» rispose velocemente Lex, mentre lui e Aurora scendevano le scale.

PIÙ TARDI…

Aurora e Lex erano seduti su una roccia che sporgeva dalle acque basse della barriera corallina, a qualche centinaio di metri dalla villetta dei fratelli Braddock, in attesa del ritorno di Drof e Acceber. La rossa teneva i piedi immersi nel mare e li muoveva avanti e indietro dolcemente, godendosi la freschezza dell’acqua mentre il Sole continuava a scaldarle la testa. Lex, invece, era seduto accanto a lei voltato nella direzione opposta e osservava un trio di compsognati che gironzolavano per la spiaggia in cerca di crostacei o insetti da mangiare. Nel frattempo, si raccontarono quello di cui avevano parlato mentre erano stati in parti diverse della casa:

«Non si sa ancora niente della sfera?» chiese Aurora.

«Purtroppo no, Jonas si è rifiutato ancora di restituirla. La cosa comincia a darmi veramente fastidio»

«Anche a me. Non potremmo costringerlo, rubarla o qualcosa di simile?»

Lex sembrò sul punto di approvare il suggerimento per un istante, ma poi scosse la testa:

«Resta sempre un’opzione, ma per ora direi di aspettare e vedere cosa succede. Accontentiamolo ancora una volta, se poi si ostinerà a tenerci nascosta la via d’uscita da qui la risolveremo a modo nostro»

«D’accordo. Cosa vuole che facciamo, stavolta?»

«Mi ha detto che siccome è rimasto impressionato dal nostro successo con la miniera infestata, ha deciso di affidarci un incarico da cui, da quello che dice, dipende tutta la loro attività col petrolio. In pratica, c’è qualcuno che ruba i loro carichi mentre vengono trasportati e vuole che ce ne occupiamo, perché sia i capivillaggio che qualunque arkiano non è interessato ad aiutarli»

«E così siamo la sua ultima speranza? Non mi dire»

«Eh già. Ci ha suggerito di seguire il gruppo che trasporterà il loro prossimo carico di petrolio, così potremmo scoprire chi lo ruba. Partiranno da un giacimento nella foresta di sequoie e porteranno l'olio alla giungla coi cristalli rossi, mi ha disegnato il tragitto della carovana su una mappa. Mi sembra un lavoro fattibile»

«Trovo anch’io: di certo non potrà superare la colonia di ragni preistorici, su questo non ci piove!» ridacchiò Aurora.

«Sì, hai ragione. Comunque, a te com’è andata col casanova? E chi erano quei due che ho visto entrare? Uno di loro è scappato urlando come un pazzo»

Aurora, a quel punto, cercando di contenere la foga di condividere l’ennesima incredibile scoperta, liquidò molto velocemente la parte delle statue e gli rivelò di Axel e Nadia, della loro vera provenienza e dell’invito della menscevica. Lex fu così sorpreso che si voltò di colpo per guardarla negli occhi:

«Due sopravvissuti dal sistema delle Arche come noi? Perché non me l’hai detto subito?»

Aurora fece spallucce:

«Prima ho voluto lasciarti dire cosa ti ha detto Jonas. Sai, nella remota speranza che avessimo riavuto la sfera. A proposito di quella, credi che anche loro due ne abbiano trovata una uguale?»

Lex rifletté attentamente:

«Be’, a meno che non esistano altri modi per viaggiare dalle Arche a quest’isola, presumo che anche loro o uno dei due abbia fatto la tua stessa scoperta»

«Sai dirmi com’è l’Arca da cui vengono, questa “Aberrazione”?»

«Mai sentita nominare, dovremo fargliela descrivere. Credo di avere un nuovo posto in cui ho in programma di fare un salto, quando torneremo sull’Isola»

«Certo, certo. Allora, mettendo che davvero queste sfere siano due o di più, cosa sono? Chi le ha fatte? Sono parte del sistema o vengono da qui o…»

«Ehi, ne so quanto te»

«Hai ragione, scusa. Andiamo prima da loro o dobbiamo fare la missione per quei due ricattatori? Perché in tutta onesta, io mi vorrei fiondare da quei due e inondarli di domande. Sempre che sappiano rispondere a tutto»

Lex le sorrise:

«Abbiamo fortuna, allora: Jonas mi ha detto che quel trasporto avverrà fra cinque giorni. Abbiamo tutto il tempo del mondo per andare a scoprire di più su questa faccenda e, se vuoi, aiutare Drof e i suoi amici nella caccia al “mostro acido”: mi hanno incuriosito, vorrei vedere anch’io di che si tratta. Se nemmeno i nativi di questo posto sanno cos’è, dev’essere tanta roba»

Aurora ridacchiò:

«Già, decisamente pane per i tuoi denti, eh? Sai, in realtà io preferirei usare questi giorni liberi per passare altro tempo con Acceber: finora, le migliori esperienze su quest’isola le ho fatte con lei. E anche le migliori conversazioni»

«Perché, io sono noioso?» la punzecchiò Lex.

«Cosa? Ma va’! Sai com’è, però: tra ragazze ci si intende»

«Sì, ho avuto modo di vederlo. Più di una volta»

«Ah, sì? Per caso c’è qualche esperienza scottante che non mi racconterai finché non insisterò abbastanza?» lo stuzzicò lei.

«Chi può dirlo?»

«Eddai, dammi almeno un indizio!»

«No»

«Non mettermi alla prova, sai?»

«Se te lo racconto, rinuncerai al volermi obbligare a portarti con me quando vorrò tornare su quest’ARK?»

«Assolutamente no!»

«Allora niente»

«Uffa»   

Rimasero in silenzio per alcuni minuti, ascoltando le onde dell’oceano e i versi lontani degli ittiorniti. Poi, Lex si ricordò di aver visto Axel scappare via urlando e chiese ad Aurora cosa l’aveva fatto uscire di senno. Lei, ripensando alla scena, si ricordò anche di quanto era rimasta interdetta e rispose di non avere la minima idea di perché avesse avuto quella crisi di panico, sapeva solo che l’aveva avuta non appena aveva visto il suo innesto. Lex ipotizzò che dovesse avere avuto per forza qualche esperienza traumatica sulle Arche, anche se non sapeva pensare con esattezza a cosa potesse mai lasciare un disturbo da stress post-traumatico così “spettacolare”. Di lì a poco, comunque, sentirono le voci di Drof e Acceber che li chiamavano in lontananza. Si voltarono e li videro a qualche centinaio di metri da loro che li aspettavano con le cavalcature. Quindi si alzarono e si incamminarono per raggiungerli, pronti a proseguire nella loro avventura.

NEL FRATTEMPO…

«Mio Dio! Mio Dio, dei sopravvissuti! Non può essere! Come hanno fatto a venire qui?! Come?!»

Axel non si era ancora ripreso e continuava a delirare, terrorizzato. Era pallido e tremava come una foglia. I due compagni giunti dall’Arca chiamata “l’Aberrazione”, adesso, si trovavano ai piedi di uno dei colossali alberi morti che torreggiavano in giro per la Valle Vasta, in compagnia di Ruchka, il drago delle rocce di Nadia. Dopo aver lasciato la spiaggia, i due avevano richiamato la loro cavalcatura nativa dell’Aberrazione, nascosta agli occhi di tutti con la sua capacità di mimetizzarsi perfettamente, e avevano preso a dirigersi verso la loro bottega planando da un pendio all’altro e scalando rocce e crinali. Tuttavia, la crisi di Axel non stava dando segni di attenuarsi, così Nadia aveva pensato di fare una sosta per calmarlo: solo lei era in grado di aiutare il povero Axel a superare i quasi ridicoli attacchi di panico che lo affliggevano dai tempi dell’Arca aberrante.

«Axel, calmati»

«Non sono più al sicuro, Nadia: lui mi ha trovato! Sì, è così! Loro non sono qui per caso, li manda lui! Li manda lui! Non ha potuto inseguirmi, così ha mandato altri perduti a prendermi: non sopporta che gli siamo sfuggiti! Devi credermi!»

Nadia gli afferrò la testa e lo costrinse a fissarlo, inginocchiandosi davanti a lui; nel mentre il drago delle rocce li guardava preoccupato, anche se non smetteva un secondo di tenere gli occhi e le orecchie aperti per stare certo che non ci fosse qualcuno nei paraggi: era meglio evitare che li scoprissero o sarebbe stato un casino.

«Axel, ti stai immaginando tutto. Rockwell non ce l’ha con te, non c’è più! Non è su quest’isola!»

«Non me lo scorderò mai: lo voglio dimenticare, ma non ci riesco! mi parlava, lo vedevo, mi ha detto lui che quel posto si chiamava Aberrazione. Ehi, ehi, ascolta! Se non fosse stato per la sua voce, come avrei fatto a sapere che i terremoti erano opera sua? Me l’ha detto lui! E… e… voleva che lo ascoltassi per…»

«Smetti di ripetermelo, ho capito che hai le prove che era reale! Ho visto come sei cambiato col tempo, ti credo. Ti credo, hai capito?»

«Sì, grazie»

«Comunque, leggi le mie labbra: è im-pos-si-bi-le che quei due sopravvissuti siano qui per te. Voglio dire, non sanno nemmeno cos’è l’Aberrazione!»

«Ne sei davvero sicura?»

«Sì, te lo garantisco. E poi io torno regolarmente sull’Aberrazione e posso dirti che non c’è alcun segno che lui ti sta cercando. Ti ha lasciato perdere, Axel!»

«Torni ancora là? Credevo che non lo facessi più. Non ti fa paura?»

«No, certo che no! Pensa al lato positivo: se quei due sono venuti qui come abbiamo fatto noi, forse hanno una sfera come quella che hai trovato, ma che funziona! Potremmo tornare a casa!»

«Tornare?»

«Sì! Rifletti: potrebbe essere un modo per uscire da quest’isola! L’anno scorso non abbiamo fatto in tempo ad andarcene prima che la barriera si richiudesse, ma forse se collaboriamo con loro potremmo trovare una soluzione alternativa!»

«O forse no. Perdonami se ho avuto troppa paura di andare via e ci ho trattenuti qui»

«Ti ho già perdonato per quello, dimenticalo. Ma anche se non servisse a niente parlare con quei due, almeno avremmo delle persone che potranno davvero capirci! Che sanno cos’abbiamo passato e provato! Non credi che farebbe bene a entrambi?»

«Uhm…»

«Fidati, Axel! Mi prometti che accetterai di incontrarli, se verranno?»

L’Olandese rimase in silenzio e fissò il vuoto per degli interminabili minuti. Ci volle molto prima che, in modo molto titubante, annuisse con uno sguardo incerto. Nadia gli sorrise e gli batté una pacca sulla spalla:

«Ecco, vedi che ce la puoi fare? Coraggio!»

«Sì, coraggio»

«Bene. Andiamo a casa, Ruchka!»

Il drago delle rocce emise un verso amichevole. Quando i due sopravvissuti montarono sulla sua sella, tornò invisibile e riprese a planare aggraziato e silenzioso attraverso i meandri della palude, fendendo l’aria come un grosso aquilone.

   
 
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