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Autore: Fiore di Giada    18/12/2020    1 recensioni
[Sandokan]
– Mandami un segnale, amico mio… Questo silenzio è peggiore della morte. Dimmi che cosa desideri e ti aiuterò. Te lo prometto – sussurrò. Aveva bisogno di capire le sue volontà, per poterlo aiutare.
Se glielo avesse domandato, avrebbe posto fine alla sua esistenza e lo avrebbe lasciato passare oltre.
Pur col cuore oppresso dalla pena, non avrebbe mai desiderato fare soffrire il suo migliore amico, per non affrontare il dolore di una perdita straziante.
Il lamento rauco di una fregata echeggiò nel silenzio.
[26 puntata/III stagione/missing moment]
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La luce del sole calante incendiava d’oro e porpora l’orizzonte marino, lambendo le rare nuvole, sparpagliate nell’immensità del cielo.
Il mare, lambito da un refolo di vento, scintillava, come fosse ricoperto di bronzo fuso e le sue deboli onde sfioravano la spiaggia, mentre i gabbiani ora volavano, ora si precipitavano nell’acqua in cerca di prede.
Di tanto in tanto, le imponenti sagome delle balene emergevano, poi si inabissavano, sollevando imponenti muraglie d’acqua.
Sandokan, in piedi sul balcone del suo palazzo, lasciava vagare lo sguardo. Presto, in quell’angolo d’Asia, sarebbe scesa la notte.
Il palazzo, in quel momento fremente delle ultime attività, presto sarebbe precipitato nel silenzio.
E, per lui, il flusso delle ore si sarebbe tramutato in un lento, orribile calvario.
Sospirò e, in un gesto istintivo, strinse le mani attorno alla parte superiore della ringhiera. Non sarebbe riuscito ad addormentarsi, malgrado la stanchezza di quelle giornate.
Il pungolo dell’angoscia penetrava nel suo cuore e gli impediva di abbandonarsi al ristoro del sonno.
Si passò una mano tra i lunghi capelli neri e sbatté le palpebre. Ventiquattro ore erano trascorse dall’ultima battaglia contro Suyodhana, capo della sanguinaria setta dei thugs.
Certo, era stato sconfitto, ma il suo spirito demoniaco si era impadronito del corpo di Yanez e lo aveva portato a compiere azioni discutibili.
Posseduto dallo spirito di Suyodhana, il suo amico non aveva esitato a definire sua sorella Morugan un’estranea, che mai sarebbe riuscita ad entrare nel loro gruppo.
Di scatto, girò la schiena, rientrò nel palazzo e si avvicinò al divano, su cui era disteso Yanez.
Il rajà del Kiltar, per alcuni istanti, fissò il corpo esanime del compagno, lo sguardo serio. I medici avevano curato le lesioni del suo corpo, eppure il suo spirito ancora non emergeva dalla nerezza di quel sonno.
I suoi occhi cerulei, di solito così scintillanti di vita, erano forzatamente chiusi.
Tutti i medici consultati gli avevano detto di aspettare e sperare in un esito favorevole.
Ma il tempo di quell’attesa era un pendolo oscillante tra angoscia e speranza.
Dove è la tua mente, amico mio? – domandò, turbato. Di solito, lui e Yanez riuscivano a comprendersi con un semplice sguardo.
Questa loro connessione mentale aveva permesso il compimento di varie imprese, quali la riconquista del Kiltar.
Eppure, in quel momento, il suo migliore amico giaceva inerte su un divano, come un morto in una bara aperta.
E lui non riusciva a comprendere la ragione del suo stato.
Tra lui e Yanez, in quel momento, si era frapposto un muro invisibile e non riusciva a superarlo.
Perché? Quale ostacolo impediva allo spirito del suo migliore amico di ritornare alla realtà?
Sto impazzendo… Non posso andare avanti così. – mormorò. Forse, doveva accettare l’avvenuta morte del suo amato fratellino.
Avrebbe dovuto lasciarlo andare e dargli la pace dell’oblio.
Ma nemmeno questo era possibile.
Il cuore di Yanez palpitava nel suo petto e il sangue riscaldava la sua pelle.
Nel suo corpo, fluiva ancora la vita.
Trattenne a stento una risata amara e le lacrime rotolarono sulle sue guance. Si poteva definire vita un simile stato?
Yanez de Gomera era l’emblema dell’energia e della vitalità e, in quel momento, giaceva inerte, privo di qualsiasi possibilità di interazione con l’ambiente.
Lui non avrebbe mai accettato una simile, odiosa condizione e avrebbe preferito una fine sicura ad una dolorosa incertezza.
E lui, il suo migliore amico, lo stava condannando ad una pena crudele e immeritata, che lui non meritava.
Era così? O la sua mente provata cominciava a perdere qualsiasi speranza?
Non riusciva a dare una risposta al suo dubbio tormentoso.
Gli si avvicinò un poco e, per alcuni istanti, lo fissò, in cerca di un segno di risveglio.
Non è cambiato niente. E’ sempre uguale. Cosa spingeva il suo migliore amico a restare immerso in quel sonno inquietante, tanto simile alla morte?
Cosa aveva trovato in quella dimensione, a cui non poteva accedere?
Stai facendo bei sogni? Spero di sì. – mormorò, affranto. Pur essendo sempre così ardito e fiducioso, il suo amico custodiva un lato malinconico ed era restio a mostrarlo agli altri, fedele alla sua immagine ironica e mordace.
L’assenza di una famiglia era stata per lui fonte di amarezza, anche se celava le sue emozioni dietro la sua maschera sarcastica.
Durante le notti solitarie di Mompracem, mentre i membri dell’equipaggio dormivano, avevano parlato del loro passato e Yanez, con voce pacata, gli aveva rivelato la sua condizione di orfano.
Non aveva mai pianto, malgrado il dolore dei ricordi, eppure era ben visibile la malinconia dei suoi occhi cerulei.
Per lui, non erano stati anni felici, eppure li aveva superati.
O forse non era così?
Quel sonno ostinato incrinava molte delle sue più solide convinzioni.
Forse Yanez, in quella tenebra, aveva scorto i suoi familiari e aveva conosciuto l'autentico calore di un abbraccio?
E con quale coraggio poteva allontanarlo da una simile gioia?
Prese la mano destra del compagno tra le sue e, per alcuni istanti, la strinse. L’angoscia di quell’assenza gli impediva di prendere una decisione sensata.
Non voleva lasciarsi guidare dall’egoismo, ma non riusciva a comprendere cosa fare.
Mandami un segnale, amico mio… Questo silenzio è peggiore della morte. Dimmi che cosa desideri e ti aiuterò. Te lo prometto. – sussurrò. Aveva bisogno di capire le sue volontà, per poterlo aiutare.
Se glielo avesse domandato, avrebbe posto fine alla sua esistenza e lo avrebbe lasciato passare oltre.
Pur col cuore oppresso dalla pena, non avrebbe mai desiderato fare soffrire il suo migliore amico, per non affrontare il dolore di una perdita straziante.
Il lamento rauco di una fregata echeggiò nel silenzio.






   
 
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