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Autore: FraJV_94    18/12/2020    0 recensioni
Vivienne Shepard è una giovane studentessa del college con una problematica famiglia alle spalle, alle prese con una minaccia proveniente dal passato che incombe su di lei. La sua protezione verrà affidata a una misteriosa Organizzazione, di cui Emily Lennox è la più brillante agente, da sempre impegnata nella ricerca di una pericolosa criminale.
La vita delle due donne si intreccia alle indagini, tra presente e passato, entrambe alle prese con amori difficili e destini complicati.
"-Devo farti un paio di domante. Vorrei che tu mi rispondessi con sincerità, se ti è possibile-
Vivienne lo guardò sorpresa. Era la prima volta da quando era arrivata in quel luogo che qualcuno la trattava con gentilezza, senza imporle di fare qualcosa.
Annuì.
-Allora, ti ricordi com'è iniziata la storia con David Cooper?-"
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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RAGAZZINA 
 
I Parte 
 

Capitolo 1 

Località segreta, Massachusetts - Oggi 
 
La ragazza seduta al tavolo della sala per gli interrogatori era avvolta in una coperta, immobile. Aveva i capelli biondi, lunghi e mossi, gli occhi azzurri e la carnagione chiara, il naso piccolo e dritto. Contorceva con le dita una ciocca di capelli mentre continuava a fissare il vuoto. Insieme a lei, nella stanza, si trovava un ragazzo giovane, alto e muscoloso, con i capelli corti, quasi rasati a zero, gli occhi verdi e l’espressione concentrata. L’uniforme militare che indossava era di colore nero e alla cintura dei pantaloni era agganciata una fondina con relativa pistola. Di tanto in tanto lanciava occhiate alla ragazza, sorpreso dal fatto che mantenesse una certa calma. 
Dopo qualche minuto, la porta si aprì ed entrò nella stanza un uomo alto, con i capelli scuri, gli occhi celesti e lo sguardo deciso. Anche lui indossava indumenti militari e fra le mani stringeva una cartellina con all’interno dei fogli. 
La ragazza alzò gli occhi per guardarlo, ma sembrò quasi che in realtà non lo vedesse. 
Lui si sedette di fronte a lei e apri la cartellina. Lesse in silenzio i documenti per qualche secondo, poi guardò la ragazza. 
-Ciao, Vivienne. Sono l’agente Christopher Rogers, sai dove ti trovi?- 
Lei lo guardò con aria di sufficienza, come se lui avesse appena fatto una domanda stupida. 
-Mi avete trascinata fuori di casa nel mezzo della notte. Ovviamente non so dove mi trovo- rispose lapidaria, pur mantenendo una certa calma. 
-Eppure, sembri tranquilla- 
-Sei per caso uno strizzacervelli?-. Il suo sguardo era tagliente. –Penso di aver diritto a una telefonata- aggiunse. 
-Come scusa?- 
-Conosco i miei diritti, voi non potete…- iniziò a dire, divincolandosi sulla sedia. 
-Non sei stata arrestata- rispose l’uomo, sollevando una mano. 
-Allora questo è un abuso di potere! Mi avete evidentemente sequestrata da casa mia contro la mia volontà. Voglio andarmene. Ora- 
Chris Rogers scosse la testa. –Ti ricordi di David Cooper?- 
Vivienne deglutì, e poi annuì, spaventata. 
-È evaso- 
 

 
Bakersfield, California - Qualche tempo prima
 
-AIUTO!!! Qualcuno ci sente?!-  
-Taci, Jennifer. Non ci sente nessuno qui. È tutto inutile quello che fai- sbuffò Ian. 
La giovane si girò verso il suo fidanzato, che aveva parlato ed era seduto per terra nella stanza in cui venivano tenuti prigionieri, con la schiena appoggiata al muro e gli occhi chiusi. 
-Almeno cerco di fare qualcosa- fece lei, prima di sedersi vicino a lui. 
Appoggiò la testa sulla sua spalla, stringendogli il braccio. 
Erano ormai passate diverse ore da quando erano stati rapiti e rinchiusi in quella stanza. 
Era buio, ed erano legati a delle catene che gli permettevano soltanto di alzarsi in piedi. 
Non avevano ancora visto nessuno dei loro rapitori. 
Improvvisamente, sentirono un rumore provenire da dietro la porta.  
Qualcuno stava entrando nella stanza. 
 

 
Località segreta, Massachusetts - Oggi 
 
La stanza era asettica, impersonale e spoglia. C’era un letto, una scrivania priva di qualsiasi oggetto e un armadio con le ante spalancato, senza abiti all’interno. 
Vivienne era seduta su una sedia vicina al letto. Prese un libro dalla sua borsa, e poi lo scaraventò a terra, con rabbia. 
"Mi hanno presa per un oggetto? Non possono trattarmi così!"  
Decise di uscire dalla stanza e iniziò a percorrere un corridoio, asettico come il resto dell’edifico, con le pareti grigie come pavimento e soffitto. Ebbe l’impressione di trovarsi in un posto che fosse un incrocio fra un manicomio e una prigione. 
La porta della sua stanza sembrava essere l’unica del corridoio, che pareva senza fine. 
Camminò per qualche minuto, girando a caso ogni volta che trovava un bivio e salendo qualche rampa di scale, finché non si imbatté in una porta di sicurezza. La aprì, facendo scattare un antifurto. Sentì lo stomaco stringersi aspettandosi di uscire all’esterno, ma invece fece irruzione in una specie di ufficio. 
Una trentina di persone erano sedute ad altrettante scrivanie cariche di documenti. Tutti si girarono a guardarla, sorpresi. 
Una ragazza corse verso di lei, ma prima premette un pulsante sulla parete e fece smettere di suonare la sirena dell’antifurto. Era stata presentata a Vivienne qualche ora prima, che però non era sicura di come si chiamasse. 
-Cosa ci fai qui?- esclamò, evidentemente irritata.  
-Beh, ero da sola in quella stupida stanza e mi stavo annoiando!- rispose Vivienne, fissando l’altra ragazza dritta nei suoi occhi scuri. Aveva i capelli castani raccolti in un’alta coda. Le mani erano appoggiate sui fianchi, la postura era molto rigida e le conferiva un’aria burbera. Ciò faceva risaltare il suo corpo atletico e asciutto. Il primo pensiero di Vivienne, in quel momento, fu immaginarsi l’invidia che potesse destare quella ragazza nella stragrande maggioranza della popolazione femminile di quella strana e misteriosa Organizzazione. Così, infatti, era stata definito l’ente a cui appartenevano gli uomini che l’avevano prelevata da casa sua, dandole pochissime informazioni sul luogo in cui la stavano portando.  
L’operazione si era svolta con rapidità: si erano calati da un elicottero sul balcone dell’appartamento di Vivienne, nel downtown di Boston, e avevano fatto irruzione nella sua camera da letto, dove lei stava dormendo. Mentre un uomo vestito di nero dalla testa ai piedi con abbigliamento e protezioni militari la afferrava e la portava di peso fuori dalla stanza insieme ad altri due uomini, spiegandole in fretta e furia che la stavano prelevando per la sua sicurezza, un quarto agente aveva raccolto degli oggetti personali di Vivienne in una borsa, tra cui alcuni vestiti e qualche libro. Lei aveva cercato di protestare, terrorizzata e in preda al panico, ma la sua resistenza era stata vana. Erano risaliti sull’elicottero e le avevano fatto indossare una benda che le coprisse gli occhi. 
Vivienne si era imposta di non piangere perché non voleva mostrarsi debole ai loro occhi ed era riuscita a mantenere una certa calma apparente anche quando era stata accompagnata nella sala interrogatori, dove l’agente Rogers le aveva comunicato dell’evasione di David Cooper. Quando però era rimasta sola nella sua cella non era riuscita a trattenere le lacrime e aveva pianto per quasi mezz’ora. Poi si era infuriata, non voleva stare ad aspettare da sola in quella stanzetta senza far nulla. Era dunque uscita e poi piombata in quell’ufficio. 
-Se ti abbiamo detto di aspettarci, c’è un motivo, non credi? Sei una civile, non puoi stare qui- continuò Will, strattonando Vivienne per un braccio e trascinandola dall’altra parte della stanza. Tutti le stavano osservando. 
-Mi avete letteralmente abbandonata senza spiegarmi nulla! Mi avete solo detto, "Ehi, David Cooper è evaso! Devi stare qui se non vuoi morire!" e mi avete chiusa in quel buco, senza farmi chiamare i miei o chiunque altro! Cos’altro avrei dovuto fare?- 
-Avrai le tue risposte, ma devi fare quello che ti diciamo di fare- disse l’uomo, l’agente Chris Rogers, che aveva rivelato a Vivienne dell’evasione di David Cooper.  
-È quello che ho cercato di spiegare- fece la ragazza. Will, Vivienne si ricordò improvvisamente del suo nome.   
Lui annuì, e si scambiarono uno sguardo strano. 
-Allora,- iniziò Chris, tornando a rivolgersi a Vivienne, -se ti sei tranquillizzata...- 
-Sono tranquillissima- ribatté subito lei, fissandolo dritto negli occhi, con aria di sfida. 
L’uomo le dava l’impressione di essere deciso e sicuro di sé, come le altre persone che Vivienne aveva incontrato fino a quel momento. 
-Se ti sei tranquillizzata,- continuò lui, passando al suo collega un mazzo di chiavi, - puoi andare con l’agente Avery Wood,- indicò il ragazzo che aveva controllato Vivienne nella sala interrogatori e che era sopraggiunto qualche istante prima, -nel mio ufficio. Ti farà delle domande, e poi lui risponderà alle tue, ma cerca di comportarti bene, o torni nella tua stanza- 
-In ogni caso ci devo tornare, quindi non vedo perché dovrei comportarmi bene- sorrise Vivienne, sarcastica. 
Will la fulminò con lo sguardo e fece un passo verso di lei, ma Chris le prese un braccio e la fermò.  
-Vai da Evans e aggiornalo. Ti raggiungo lì- le disse. Lei annuì, e prima di andarsene lanciò a Vivienne un’ultima occhiataccia, che ovviamente la ragazza ricambiò. 
-Vieni con me- disse Avery.  
Uscirono da quell’ufficio, senza tornare nel corridoio che Vivienne aveva già percorso, e presero l’ascensore. Dopo attraversarono altri lunghi corridoi, le sembrò che quel luogo fosse immenso. 
-Che tipo di rapporto c’è fra quei due?- chiese ad un tratto Vivienne. 
-Cosa intendi?- 
Vivienne notò come quella domanda lo avesse infastidito. -Lui è il suo capo?- 
-Mhm... Non proprio. È il suo, anzi, nostro supervisore, ed è stato il suo mentore, ma il capo di Will è Evans- 
-Ah. E lavorano in coppia insieme?- 
-No, Will lavora in coppia con me. Siamo nella stessa squadra di cui Rogers è, appunto, il supervisore, ma per le missioni in cui sono richiesti solo due operativi, ad esempio, Will lavora con me-. Osservò Vivienne attentamente, guardandola dritta negli occhi. -Perché ti interessa?- 
Vivienne alzò le spalle. –Curiosità- 
Il corridoio che stavano attraversando era diverso da quello vicino alla cella in cui l’avevano lasciata in attesa. Era sempre tinto di color grigio, ma alle parteti erano appese bacheche di sughero con documenti e foto fissati con puntine colorate. Le stanze adibite a uffici avevano porte vetrate e Vivienne ed Avery ne superarono parecchie prima di fermarsi davanti a una porta dove la targhetta indicava: “Agente III° livello Rogers, C.”. 
Avery aprì la porta usando il mazzo di chiavi che gli aveva dato l’agente Rogers ed entrarono nel piccolo ufficio, in cui, al centro della stanza, c’era una scrivania colma di documenti e, alle pareti, diverse librerie cariche di libri e di oggetti strani. Le spiegò che soltanto gli agenti di rango elevato avevano diritto a un ufficio privato, mentre gli altri agenti lavoravano insieme nell’ufficio open-space in cui era finita Vivienne. 
Avery la fece sedere su una delle due sedie poste di fronte alla scrivania, e lui si sedette sull’altra, al suo fianco. 
Prese poi una cartellina con dei fogli bianchi dalla scrivania, e una penna. 
-Devo farti un paio di domande. Vorrei che tu mi rispondessi con sincerità, se ti è possibile- 
Vivienne lo guardò sorpresa. Era la prima volta da quando era arrivata in quel luogo che qualcuno la trattava con gentilezza, senza imporle di fare qualcosa. 
Annuì.  
-Allora, ti ricordi com’è iniziata la storia con David Cooper?- 
 
˜ 
 
Seattle, Washington - Un anno prima

A Seattle pioveva spesso. Ma tolto questo, a Vivienne piaceva come città.  
Si sentiva sola, a volte, senza le sue amiche e suo fratello al suo fianco, e ciò la rendeva piuttosto triste e facilmente irritabile. 
Erano tutti rimasti ad Hartford, in Massachusetts, dove Vivienne aveva vissuto con parte della sua famiglia. Lei poi ero stata espulsa da scuola, a suo dire senza una valida motivazione, e la madre aveva deciso di spedirla a vivere con il padre, da cui era separata, a Seattle. 
Erano entrambi chirurghi brillanti e molto stimati, ma questo aveva comportato che Vivienne e suo fratello venissero trascurati. Suo fratello maggiore si chiamava Bentley e aveva 24 anni, mentre Vivienne ne aveva 20. I loro genitori avevano ormai divorziato da diversi anni e Vivienne aveva suo malgrado accettato la cosa. Di comune accordo avevano deciso che lei e suo fratello continuassero a vivere ad Hartford, insieme alla famiglia materna, dove erano cresciuti, e di tanto in tanto andavano a visitare il padre a Seattle. 
Durante l’ultimo anno di liceo di Vivienne, a causa di una furiosa discussione con i suoi nonni, le cose iniziarono a peggiorare. Suo fratello era spesso lontano da casa e sua madre era sempre troppo presa dal lavoro. Vivienne iniziò a sentirsi sola e a fare cose stupide: perse il controllo, tra feste, amicizie discutibili e qualche disavventura con le forze dell’ordine. Le sue due più care amiche, Naomi ed Elena, con le quali era cresciuta, venivano spesso trascinate dalle sue folli e sfacciate idee.  
Superò il limite quando venne accusata di aver rubato i soldi di una raccolta benefica organizzata dalla scuola e poi, con quei soldi, di aver acquistato della cocaina. In realtà non aveva fatto nulla di tutto questo, ma i suoi trascorsi, come le numerose punizioni e le visite alla centrale di polizia di Hartford per feste in cui erano presenti alcolici e minorenni, avevano convinto il preside ad espellerla con effetto immediato. Grazie all’intervento dei ricchi e facoltosi nonni materni venne riammessa a scuola, ma i suoi genitori decisero che sarebbe stato meglio farle cambiare aria. Venne quindi spedita a Seattle da suo padre, che aveva cercato di controllarla, per farla rigare dritto, impegnandola in un programma di volontariato nell’ospedale in cui lavorava. 
Funzionò giusto un paio di giorni, finché l’entusiasmo iniziale di Vivienne non si disperse e decise che non voleva proprio più sopportare quella stupida situazione. Saltò uno dei turni in ospedale e decise di esplorare la città. 
Fu quel pomeriggio che incontrò David Cooper. 
 
˜ 
 
-Stavo andando verso lo Space Needle,- cominciò Vivienne, stritolandosi le mani, i ricordi ancora vivissimi. –Avevo una gran fame e decisi di mangiare qualcosa prima di iniziare la visita. Sono entrata in un bar lì vicino e in quel momento ii sono accorta di essere seguita. Era un uomo alto, con un impermeabile scuro e i capelli grigi. Avevo provato a ricordarmi dove lo avessi visto prima perché non mi era estraneo, ma non ero riuscita a collegarlo a nessun volto conosciuto a Seattle sul momento. Anche durante la visita mi aveva seguita, così, dopo avevo cercato di allontanarmi il più velocemente possibile, ma... Evidentemente conosceva la città meglio di me. Mi tese un’imboscata, o qualcosa del genere...-. La sua voce tremò e gli occhi si inumidirono. 
-Possiamo fermarci, se preferisci- disse Avery, stringendole una mano. 
Lei scosse la testa. L’aveva raccontato molte volte prima di quel momento, poteva farcela ancora. 
Prese un respiro profondo. 
-Ero in un vicolo senza via d’uscita, deserto, con lui alle mie spalle. Ho iniziato ad urlare, sentivo le sue mani... toccarmi, afferrarmi. Lui cercò di iniettarmi qualcosa sul collo, ma avevo indossato una giacca con il colletto di pelle alto e lui non se n’era accorto, credo. Così ruppe l’ago della siringa e io sono riuscita a scappare. Mi buttai in mezzo alla strada, sono quasi stata investita, ma almeno sono riuscita a salvarmi- Prese una pausa, chiudendo gli occhi per qualche istante. -La polizia scoprì che era ricercato per sette omicidi nella zona urbana di Boston. Hartford, dove sono cresciuta, si trova nelle vicinanze. Nessuno pensò fosse una coincidenza. Inoltre, scoprirono che per un periodo era anche stato in un ospedale psichiatrico dopo i primi due omicidi, ma nessuno aveva immaginato che potesse essere lui l’omicida che cercavano- 
-Ed è qui che entra in gioco l’FBI?- 
La ragazza annuì. –Si. È stata chiamata la squadra speciale(1) che si stava occupando degli omicidi e riuscirono ad arrestarlo. Arrivarono alla conclusione che tutto era iniziato quando sua figlia, Natalie Cooper, era morta mentre si esibiva all’Old Theatre di Boston. Anche io ballavo per la sua stessa compagnia, ma non la conoscevo molto bene- 
-Com’è morta?-  
Vivienne deglutì. -Lei e il suo ballerino erano i protagonisti del Lago dei Cigni. Sbagliarono una presa, e lei, cadendo, rimase paralizzata dal busto in giù. Si tolse la vita in ospedale qualche giorno dopo- 
Avery corrugò le sopracciglia. -Prima hai detto che era morta mentre si esibiva- 
Vivienne alzò le spalle, scuotendo lentamente la testa. -È come se fosse morta in quel momento, no? Aveva un talento naturale, aveva dedicato tutta la sua vita al ballo. Mi ricordai di suo padre, poi. Non si perdeva uno spettacolo, la aspettava fuori dal teatro ogni sera dopo le prove. Mi sono sentita una stupida a non averci pensato subito- 
-E qual è il collegamento con te?- 
Vivienne respirò nuovamente a fondo. –Assomiglio a sua figlia: entrambe bionde, magre e con gli occhi azzurri. Lui aveva continuato a venire agli spettacoli e alle prove. Io ero stata... direi inaspettatamente, scelta per sostituire Natalie nella compagnia- 
-Ma poi ti sei fatta male- 
Annuì, portandosi istintivamente una mano al ginocchio. -Qualche mese dopo abbiamo messo in scena il Lago dei Cigni, per onorare la memoria di Natalia. Io e il mio ballerino, durante le prove, abbiamo sbagliato una presa e mi sono rotta il legamento crociato del ginocchio destro. Fine della mia carriera di ballerina-. Incrociò le braccia sul petto, sospirando. 
-Secondo l’FBI fu quello che scatenò i delitti?- 
Vivienne lanciò un’occhiataccia ad Avery. Non riusciva davvero a capire perché le facesse tutte quelle domande, nonostante fosse sicuramente già al corrente di tutto quello che le era successo.  
-Sembra che David Cooper avesse iniziato ad identificarmi con sua figlia: finché avevo ballato, Natalie aveva continuato a vivere in me. Ma poi avevo smesso, e lei era morta davvero. Lo chiamano fattore di stress. Così aveva iniziato ad uccidere ragazze bionde, snelle e con gli occhi azzurri. Poi aveva iniziato a dare la caccia a me. In qualche modo è riuscito a trovarmi a Seattle e ha cercato di uccidermi. Questo è quanto- 
Avery la fissò per qualche secondo. –Vuoi un po’ d’acqua?- 
-Della tequila sarebbe meglio- sorrise Vivienne. 
Lui scosse la testa, sorridendo a sua volta. –Vuoi sapere perché sei qui?- 
Vivienne spalancò gli occhi. Forse finalmente le avrebbero dato qualche informazione in più.  
-David Cooper è evaso- 
La ragazza alzò gli occhi al cielo. –Questo lo so- 
-L’FBI lo sta cercando, ma è stato deciso che tu debba essere protetta da noi. La tua famiglia ha espressamente richiesto che fossimo noi dell’Organizzazione a occuparci della tua sicurezza. David Cooper non verrà mai a cercarti qui, e...- 
-Mai?- lei lo interruppe, alzando la voce. –Dovrò passare qui il resto della mia vita?- 
-Non siamo molto lontani da Hartford e Boston. E potrai comunque continuare a vedere i tuoi amici e la tua famiglia, ma...- 
Scattò in piedi. –No!- 
-No cosa?- fece lui. 
-Non accetto. Torno a casa- 
Lui scoppiò a ridere. –Mi dispiace, ma non te lo stiamo chiedendo. Devi stare qui. Possiamo offrirti una sistemazione diversa, con più comodità e...- 
-Un appartamento con le pareti dipinte di un colore che non sia il grigio e un cazzo di letto con un vero materasso non cambieranno un bel niente- sibilò lei, furiosa.  
Prese a calci la sedia e buttò a terra alcuni dei fogli posati sulla scrivania.  
Vivienne non riusciva sempre a controllare con successo i suoi attacchi d’ira.  
-Abbiamo fatto un patto, ricordi?- 
Chris era sulla porta. Guardava Vivienne senza cercare di interrompere la sua furia. 
-Non ho fatto proprio nessun patto con nessuno. E voglio vedere la mia famiglia- 
 

*to be continued*
 

Note dell’autrice 
(1) La squadra speciale citata è ispirata all’Unità di Analisi Comportamentale (BAU) oggetto della mia amata serie televisiva Criminal Minds
 

 
Ciao a te, che sei arrivato alla fine di questo primo capitolo, e grazie! :)  
Se ti è piaciuto o se hai suggerimenti, ti chiedo di lasciare un commento.  
Le critiche sono ben accette! 
 
 
Fra :) 
  
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