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Autore: Kaayyn    18/12/2020    0 recensioni
BL - boy x boy - Yaoi
Storia originale
Generi: Fantasy, Angst, Drammatico.
Note: Lemon.
Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate, Violenza.
(Lista in aggiornamento)
Trama:
Sett è un giovane adolescente che viene trovato privo di sensi tra le macerie di un villaggio raso al suolo da un attacco dell'esercito nemico dell'Impero. Adottato da due cavalieri Imperiali e privo di ricordi riguardo la sua vita fino a quel momento, verrà iniziato suoi nuovi genitori alla vita da nobile.
Durante il ballo che segnerà il suo debutto in società, Sett incontrerà suo cugino acquisito, il principe Agustus. Dopo una convivenza durata appena una stagione, la guerra, i ricordi, il sangue ed un tentato omicidio porteranno a galla l'autentico volto dei due, i quali scopriranno che il loro vero primo incontro risale ad un passato ben più remoto.
Attenzione!
Questa non è una storia d'amore.
Non approvo e non incoraggio il comportamento dei protagonisti.
Non considero l'opera come "lgbtq+" perché non è rappresentata una relazione degna di essere chiamata tale.
Genere: Drammatico, Erotico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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I miei partirono dopo dieci giorni. Gli anziani e i veterani di guerra erano stati chiamati prima di tutti gli altri per coordinare e organizzare le operazioni. Insieme a loro era stato mobilitato un numero enorme di diplomatici che, speravano alcuni, sarebbero stati in grado di preventivare lo scoppio della battaglia grazie alle loro trattative con i generali nemici.

Di quei giorni mi ricordo il silenzio. Era come se i suoni rimanessero sospesi nell'aria. Perfino il vento, mentre carezzava i fili d'erba che costeggiavano il sentiero polveroso, non faceva alcun rumore.

Durante l'ultima settimana, il cielo aveva assunto un colore grigiastro, così chiaro da fare male agli occhi. Era sotto quella coltre spessa che la nostra carrozza avanzava, quasi schiacciata dal peso delle nuvole.

Osservavo la campagna attraverso il vetro opaco, i campi coltivati che si allargavano in lontananza, dalle sfumature gialle e arancio. Scorgevo i volti dei contadini piegati sul loro lavoro, le loro chiome fulve, alcune scolorite dal tempo.

Stavamo attraversando i territori del Regno di Ignis, diretti verso il Castello Rosso.

Mi ero lasciato cullare dal dondolio della carrozza e mi ero abbandonato così tanto al tepore dell'interno che avevo iniziato a sentire le palpebre pesanti. Distolsi lo sguardo dal paesaggio campestre e tornai alla realtà.

Arti aveva dormito per quasi tutto il tragitto. Aveva la testa poggiata sulla spalla della sorella, le treccine rosse le ricadevano sul viso tranquillo, cosparso di lentiggini. Sembrava stesse facendo un bel sogno.

Calista non aveva alzato gli occhi dal libro che teneva in grembo nemmeno un secondo. Ancora non mi capacitavo di come riuscisse a stare tutto quel tempo con la testa china, a riempirsi la testa di quelle nozioni incomprensibili. Un giorno, qualche tempo prima, glielo avevo chiesto.

Eravamo insieme a studiare nella grande biblioteca della villa, oltre le immense vetrate tra le librerie che ricoprivano le alte pareti, infuriava un temporale particolarmente violento. Erano ore che cercavo di decifrare gli articolati periodi stampati nero su bianco sul pesante e polveroso tomo di fronte a me.

Lei se ne stava seduta lì davanti, una piuma bianca nella mano, le dita sottili e olivastre sporche d'inchiostro. Di tanto in tanto scriveva qualche appunto su un quadernino e poi continuava a percorrere le pagine con lo sguardo.

Faceva dondolare le gambe sotto il tavolo, si sistemava i capelli, spostando alcune ciocche ribelli e color castagna dietro le orecchie a punta, ogni tanto si mordeva lievemente la pelle delle nocchie. Aveva le guance paffute, ancora da bambina. Gli occhi gialli risplendevano sotto le lunghe ciglia.
"Calista?"

"Mh? Che c'è?"
"Ti piace davvero, leggere?". Le chiesi ad un certo punto. Nonostante sembrasse perfettamente in simbiosi con quell'ambiente, la sua espressione era un misto tra sofferenza e fastidio. Lei alzò le spalle e rilassò le sopracciglia aggrottate, ma non mi degnò di un sguardo.

"In realtà non molto. Mi piace solo scoprire le frasi degne di essere sottolineate". Mi aveva risposto, con una semplicità disarmante. "Ma in questo tipo di libri non trovo nulla di minimamente interessante, purtroppo".

Scossi la testa. Non sarei mai riuscito a capirla fino in fondo. Avrei voluto domandarle il perché, di tutto quell'impegno, di tutte quelle ore, di tutti quegli sforzi. Ma lei era già tornata nel suo mondo ed io dovevo iniziare a concentrarmi sui miei compiti.

Fu proprio in quel momento che qualcuno bussò alla porta. Felix e Rea si fecero strada verso di noi, seguiti da Arti che si trascinava dietro una spada di legno. Si sedettero al nostro tavolo.
"Scusate per il disturbo, ragazzi, ma dobbiamo parlarvi di una cosa, ci è appena arrivata una comunicazione urgente dal Governo Centrale".

Passarono l'ora successiva a spiegarci cosa sarebbe successo da quel momento in poi. 
"Cercheremo di tornare il prima possibile". Aveva concluso il discorso Felix, guardandomi negli occhi. Le ragazze non si mostrarono né sorprese né turbate. Credo fosse perché ormai erano abituate alle continue missioni che allontanavano i genitori da casa, oppure perché, in fondo, nemmeno loro comprendevano cosa realmente stesse succedendo al mondo. Ero il primo a non saperlo.

Tra i tre, io fui quello che rimase più scosso dalle loro parole. Dopotutto, negli ultimi mesi ero stato colui che aveva ricevuto più attenzioni da loro e non avevo mai sperimentato una vera e propria separazione, per ciò che ricordavo, almeno.

Avremmo soggiornato, a tempo indeterminato, nel posto più sicuro che loro conoscessero: la vostra reggia. Era stato tutto organizzato: avremmo avuto una badante, la stessa che si occupava di tua madre, la Regina che, mi avevano detto, fosse malata. 
Così tanto che non si era nemmeno fatta vedere alla tua festa.
Alcuni servitori, i più anziani, coloro che non avrebbero potuto prestare servizio, erano rimasti lì ad occuparsi delle faccende. Inoltre, con noi c'era un accompagnatore.

Io lo avevo conosciuto la mattina stessa. Anche lui era un soldato, a giudicare dall'uniforme che indossava. La divisa indossata innumerevoli volte dai miei. Non lo avevo mai visto prima, né alla villa, né al ballo di tempo fa. Non me ne avevano nemmeno mai parlato, in realtà.

Eppure, doveva essere qualcuno particolarmente vicino alla famiglia perché, all'alba, quando le mie sorelle l'avevano visto in lontananza, in fondo al lungo viale di casa, gli erano corse incontro, con il sorriso sulle labbra. Lui se ne stava con le spalle appoggiate all'enorme cancello di ferro, un sigaro tra le dita, le braccia incrociate, guardava lontano. Appena aveva udito le risate delle bambine, si era voltato verso di loro, ed aveva aperto le braccia.

"Ragazze mie, mi siete mancate!" Aveva sollevato Arti in aria, facendole fare una piroetta. "Pronte per partire? Dai, entrate nella carrozza". Aveva accarezzato la testa di Calista e loro, ubbidienti, avevano fatto come ordinato.

L'uomo si era poi avvicinato a me, sorridendo. 
"Ciao, Sett, felice di conoscerti. Puoi chiamarmi Levi". Mi aveva stretto la mano. "Vi farò compagnia per tutta la vostra permanenza a corte. Per qualsiasi problema, fai riferimento a me".

Gli avevo accennato un sorriso. 
Mi ispirava fiducia, eppure, qualcosa di lui non mi andava giù. Non so perché, ma non mi era molto simpatico.
Poi mi aveva squadrato più attentamente. "Ti vedo più in forma di come mi avevano descritto i tuoi, ne sono contento."

Lo avevo osservato meglio solo nell'ultima ora di viaggio, quando aveva assunto lo stesso sguardo distratto e nostalgico di quella mattina. Doveva avere intorno ai trent'anni. 
Aveva i capelli corvini, lunghi fino oltre gli zigomi. Ogni tanto se li portava indietro con un gesto della mano, mostrando la mandibola appuntita, ma puntualmente gli ricadevano sulla fronte diafana.
Quel gesto era accompagnato dal tintinnio della miriade di bracciali argentati ai suoi polsi.
I suoi occhi erano grandi e neri, appena velati da quella che sembrava malinconia.

E mentre lo guardavo, lui girò il volto nella mia direzione.
"Hai fame?". Mi chiese. Io scostai lo sguardo, un po' imbarazzato dal fatto che mi avesse scoperto a fissarlo. "I domestici mi hanno lasciato del cibo per voi. Vediamo..."
Si mise a frugare dentro una borsa di pelle sul sedile al suo fianco.
"No, non ho fame, grazie". 
"Non fare storie, ti farà bene mettere su qualche chilo".

Sospirai e mi lasciai porgere un fagotto che emanava un buon profumo. 
Levi non aveva tutti torti, nonostante mi fossi ripreso fisicamente, ero di una magrezza che non mi apparteneva. Avrei dovuto iniziare a preoccuparmi di come non farmi girare la testa ogni volta che mi alzavo dal letto.

E mentre mordicchiavo quello che doveva essere del pane ripieno di qualcosa, mi accorsi che eravamo ormai vicini alla meta. Il castello sorgeva in un luogo strategico: un'enorme isola artificiale all'interno di un bacino d'acqua, che non era altro che il cratere di un vulcano spento. Oltre il fossato si sviluppava la città, poi i campi e le case dei contadini, che avevamo ormai superato.

Ancora una volta, il mio corpo vibrò appena quando sfiorai il pensiero di vederti di nuovo. Dopo quella sera, avevo ripensato al nostro incontro quasi ogni notte. Ed ogni volta ricordavo i nostri volti più vicini, il tuo profumo più intenso ed ogni volta mi dimenticavo una parola in più di ciò che ci eravamo raccontati. Tuttavia, non me ne importava più di tanto.

Avevi detto saresti partito dopo un mese. Quanti giorni ancora saresti rimasto al castello? Forse poco meno di venti.
Non si sapeva ancora esattamente quando i più giovani sarebbero stati chiamati alle armi. Se così fosse stato, voleva dire anche che la battaglia era già scoppiata. E quello non era un buon segno.

Eppure, quei pensieri sembravano nulla rispetto all'euforia che provavo all'idea di trascorrere qualche giorno in tua compagnia. All'idea di parlare ancora, in solitudine. All'idea di stare ancora un po' vicini.
All'idea di noi.

  
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