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Autore: Lila May    20/12/2020    0 recensioni
❝Suzette strizzò il mascara tra le mani. Volle gridargli, tirargli uno schiaffo, spingerlo via e dirgli di non farsi più vedere in giro per il mondo. Mark lo capì dall'enorme vena carica d'odio che le era esplosa d'improvviso sulla fronte coperta di fard. Ma la ragazza, dopo un attimo di furia, trovò comunque la maniera di tornare calma, e le sue dita ripresero ad acconciarsi i capelli come se nulla fosse successo. -Vattene, Mark.
-Scacciami.- Mark le consegnò la chiave della porta; poi però le prese affettuoso i polsi e si portò le sue mani scure sul profilo del petto che gli si sollevava frenetico sotto le asole della camicia. Suzette arrossì, guardò in basso.
-Scacciami, avanti. Hai le chiavi. Apri la porta e dimmi che non mi vuoi più nella tua vita.❞
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Edgar Valtinas, Eric/Kazuya, Mark Kruger, Suzette/Rika
Note: OOC | Avvertimenti: Triangolo
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Let’s pretend
   
[Mark Kruger x Suzette]
[accenni Erik x Suzette/Edgar x Suzette]
 
 
La sala adibita al rinfresco post cena matrimoniale era immensa, e chi era stato capace di prendersi in carico il suo allestimento generale doveva certamente possedere un grande gusto per il design e l'arredamento di interni; lunghi tavoli protetti da tovaglie rosso carminio brillavano calde sotto la luce dei lampadari a goccia, apparecchiati da grosse vasche di punch, spumanti italiani, cupcakes colorati d'azzurro e rosa pallido ordinati in stand da almeno tredici posti ciascuno.
La torta nuziale, posizionata sulla tavolata centrale, era già stata smembrata e scalata di diverse fette, ma le due statuine di zucchero raffiguranti gli sposi ancora dominavano sovrane in cima alla melassa profumata di pan di Spagna e panna montata.
Mark ne ammirava la complicata struttura da lontano, posato di schiena contro una colonna che ricordava tanto quelle doriche dei templi greci; era da solo, solo in mezzo a coppie di innamorati che ballavano abbracciati, e reggeva nella mano color caramello un bicchiere di vino rosso che sicuramente non avrebbe mai finito.
Indossava un abito elegante, composto da una giacca di velluto nera e di pantaloni di altrettanto colore. A spezzarne l'essenziale unità ci pensava la bella camicia bianca, tanto vitrea da accecare, profumata di miele e finemente intrappolata sotto la stretta di un panciotto color verde acqua dai bottoni tinti d'oro rosa.
Dylan era completamente sparito dalla sua visuale dopo la cena, e anche Erik si era dileguato, tuttavia le ragioni rimanevano oscure al biondo, il quale, per quanto avesse imparato a prevedere le mosse di Keith, ancora non riusciva ad indovinare con certezza quelle più furbe e silenziose di Eagle. Ma in quel momento nemmeno gli importava troppo. Ciò che contava era sapere che Bobby, lo sposo, si stesse godendo felicemente la sua serata.  
Comunque, la cosa che lo aveva stupito più di tutte era stato ritrovarsi con degli invitati davvero particolari. Inizialmente aveva creduto in un miraggio, doveva ammetterlo. Però poi Tiago Torres in persona era venuto a salutarlo, e la sonora pacca che aveva ricevuto sulla spalla gli era stata sufficiente perché potesse realizzare che non era un sogno, quello, che davvero mezzo mondo si era riunito a New York per il matrimonio di Bobby Shearer. Era stato bello ritrovare quei vecchi amici come gli stessi di un tempo, scambiarsi ancora una volta i numeri di cellulari promettendosi di mantenersi in contatto.
Ciò che lo aveva lasciato scioccato, tuttavia, era stato un dettaglio, uno, piccolo, invisibile, forse impossibile da notare, e che riguardava in particolar modo Edgar.
 
Quel dettaglio portava il nome di Suzette, aveva i capelli blu ebano e le labbra sporche di un rossetto talmente carminio da sembrare capace di riflettere le luci rosse dei privé più hard d'America.
 
Lo aveva sconvolto saperli insieme, saperli una coppia. Quando aveva visto l'anello di fidanzamento all'anulare di lei, lo sguardo protettivo di Edgar, non era nemmeno riuscito a salutarla in modo normale. I ricordi lo avevano confuso, stordito, incatenato ad un muro e tentato alla gola e al bassoventre. Nello stringerle le dita con cortesia l'aveva guardata poco, sottomesso, e poi aveva cercato di spostare le attenzioni su Valtinas per fare un po' di conversazione amichevole tra uomini e vecchi partner di sport.
Era da quando l'aveva smarrita che si sentiva in fiamme. Averla rivista, dopo quattro anni di nulla, per lui era stato un vero e proprio colpo al cuore. Sotto strati di calma le vene sudavano, il sangue bolliva, gli sollevava i peli biondi delle braccia, delle cosce. Era nervoso, agitato. E sapeva, dentro di sé, che soltanto parlarle avrebbe risolto la situazione una volta per tutte. Necessitava di spiegazioni. Voleva sapere quando, come e perché una come Suzette si fosse presa l'impegno di unirsi in modo serio ad un uomo, un uomo che per la prima volta non era Erik, non era il tizio dall'altra parte della strada e, dio, non era nemmeno lui.
Mark era felice si fosse data una regolata, felice per lei e per Edgar.
O almeno, così avrebbe voluto sentirsi. Le mani tremanti sembravano volergli suggerire un altro tipo di stato d'animo.
Decise di non ascoltarle.
Lasciarsi andare all'istinto non lo aveva mai portato da nessuna parte, per cui, perché cedere ora, nella perfezione di una sala illuminata d'argento, nel giorno più bello di uno dei suoi più grandi amici della storia della sua vita?
-Lo bevi quello?
Sollevò le iridi chiare da terra, e incrociò lo sguardo con quello un po' assuefatto di una ragazza sui venti, dai lunghi capelli neri e un paio d'occhi più scuri di un pozzo senza fondo. -Uhm...- mormorò Mark, e guardò il bicchiere di vino con cipiglio confuso. -no, perché?
-Posso?
Fu sul punto di dirle di girare alla larga, ma all'improvviso, senza che nessuno l'avesse chiamata, cercata, desiderata, Suzette comparve. Era sola, sola come lui, e camminava in mezzo alle persone su tacchi alti e pericolosamente sottili. Il vestito argento scintillava di paillettes, spaccato tra i due seni e stretto intorno ai fianchi prosperosi. Mark non riuscì a staccare gli occhi dalla sua pelle color ebano.
Fu un istante, poi.
Il tempo di farsi notare semplicemente fissandola. Il tempo che mise Suzette per voltare la testa in sua direzione, notarlo. Sorridergli. E poi dileguarsi con la pochette stretta nella mano, diretta verso i bagni.
Mark tornò all'ubriaca dinanzi a lui. -No, non lo bevo. Tieni pure- le disse, svelto, e le lasciò il bicchiere tra le mani, che però cadde per terra frantumandosi in mille frammenti di vetro. Non si voltò al suo gridare, e nemmeno al suo ridere.
Marciò spedito verso i bagni.
Sapeva benissimo cosa doveva fare.
 
 
 
-Mark...!
In un sospiro carico d'eccitazione Mark ebbe la fervida destrezza di intrufolarsi nel bagno delle donne, e quando ebbe chiuso la porta con due giri potenti di chiave la posò sul lavabo e si voltò per guardare Suzette.
Era sconvolta. Sconvolta, ma bellissima. Aveva il mascara nella mano, gli occhi grigi spalancati come serrande d'un appartamento. Pareva in attesa di qualsiasi spiegazione, qualunque parola che potesse aiutarla a comprendere come mai un suo ex da ritenersi ormai morto e sepolto si fosse infilato nel bagno delle donne per venirla a cercare.
Mark non rispose. Non volle farlo, non volle sanare i suoi dubbi di donna, e allora Suzette reagì sussurrando crudele il suo nome, quasi fosse una parola proibita che solo loro due, ora soli, ora vicini, potevano comprendere appieno senza averne paura.
-Mark, cristo santo, che ci fai qui...!
-Se non mi avessi voluto, avresti chiuso a chiave.
-Che...- Suzette si guardò intorno, in agitazione, guardò lo specchio grande contornato di luci, il vasetto di roselline posato sullo scarico del water. Dietro di lei, la finestra socchiusa le proiettava sulle spalle l'ombra blu di una notte destinata ad andare avanti ancora per un po'. -Mark...
-Allora,- esordì Mark, e si levò dalla porta. Abbassò la tavolozza, ci accomodò su il culo e poi, stirando le gambe, iniziò a parlare. -l'ho visto, quell'anello. Non mi dici niente?
-Non pensavo di dovertelo dire.
-Beh, no, hai ragione. Scusami, che scortese. Avresti quantomeno potuto avvertirmi che dopo quattro anni di silenzio saresti di nuovo tornata in America. Mi sarei preparato a dovere.
Suzette si abbassò per poterlo guardare negli occhi, minacciosa, e i lunghi capelli di selvaggia sfiorarono le gote tese d'ansia di Mark, mandandolo in isteria totale. Tuttavia, per quanto eccitato, il biondo non osò muovere un muscolo. Rimase invece perfettamente immobile e presente a sé stesso, conscio del fatto che se non avesse continuato a trattenere l'istinto vorace di saltarle addosso e abbassarle il vestito sarebbe andato tutto a puttane, ancora. E Mark non voleva assolutamente tornare a provare le vecchie sensazioni di un tempo. Amare in quella maniera, di nuovo, con gli stessi identici capogiri, le stesse identiche notti infinite.
-Mark- sottolineò lei, a bassissima voce. Sembrava divertirsi nel pronunciare quel nome tanto corto quanto immediato. -Evidentemente non mi hai mai conosciuta.
-Sei tu che non ti sei mai voluta far conoscere, Suzette. Non dirmi che non ti ho mai concesso la possibilità di aprirti, perché mentiresti, e lo sai bene come lo so io.
Suzette riprese a ripassarsi il trucco.
-Torni dopo quattro anni di silenzio e pretendi che io non ne rimanga sconvolto? Non mi aspettavo di vederti qui. Al matrimonio di un mio amico. A braccetto con un uomo completamente pescato a caso.
-Non sono affari tuoi, questi.
-Lo sono eccome, dato che ti è bastato trombarmi per un po' di tempo e poi scaricarmi come un cane per i soldi di un maledetto inglese del diavolo. Cazzo, Suzette...
Suzette strizzò il mascara tra le mani. Volle gridargli, tirargli uno schiaffo, spingerlo via e dirgli di non farsi più vedere in giro per il mondo. Mark lo capì dall'enorme vena carica d'odio che le era esplosa d'improvviso sulla fronte coperta di fard. Ma la ragazza, dopo un attimo di furia, trovò comunque la maniera di tornare calma, e le sue dita ripresero ad acconciarsi i capelli come se nulla fosse successo. -Vattene, Mark.
-Scacciami.- Mark le consegnò la chiave della porta; poi però le prese affettuoso i polsi e si portò le sue mani scure sul profilo del petto che gli si sollevava frenetico sotto le asole della camicia. Suzette arrossì, guardò in basso.
-Scacciami, avanti. Hai le chiavi. Apri la porta e dimmi che non mi vuoi più nella tua vita.- Kruger schiantò il naso dritto contro quello più morbido di lei, e finalmente riuscì ad ottenere tutte le attenzioni della ragazza. -Dimmelo.
La sentì deglutire sotto la pressione dei loro visi uniti. Sotto la pressione di quel momento.
-Buttami fuori da quella porta e sarà davvero tutto finito tra noi. Smetterò di cercarti. Di sentirti mia. Di amarti. E tu smetterai di venire in America fingendo di farlo per motivi che non sono IO, ma solo un matrimonio di cui nemmeno ti importa.
Suzette esplose come una miscela chimica carica di troppe sostanze mescolate assieme. Gemette, sospirò piena d'amore e, aiutata dai tacchi alti, riuscì ad arrivare senza problemi alle labbra di Mark, stringendo le dita intorno al suo collo ampio per tirarlo a sé. Kruger le prese il viso tra le mani e incastrò le dita tra i suoi capelli profumati d'iris.
Iniziarono a scambiarsi saliva, a baciarsi con rabbia, l'uno completamente imbevuto nel viso dell'altra. Attaccati come radici  poi finirono a terra in pochi istanti; Mark le calò le spalline, e il vestito della ragazza le finì sull'ombelico cicatrizzato da un punto luce di falso diamante. -Mark...
Il biondo portò una mano su uno dei suoi due seni piccoli e strinse, giocando a nascondino con la lingua di Suzette finché non seppe per certo che lo desiderava anche lei. Le permise allora di spogliarlo della giacca, sbottonargli la camicia e sfilargli il gilet; aveva gli occhi lucidi come perle umide, e il rossetto devastato e tumefatto di baci proibiti. -Mark... sei così bello... mi sei mancato così tanto, i-io... 
Mark affossò la bocca nel suo collo, succhiò il suo sapore di cannella e si stese su di lei, ascoltandola sospirare di piacere e dolore insieme mentre i loro corpi ritrovati tornavano a combaciare come puzzle di un quadro perfetto. Si era chiesto di rimanere fermo, imposto di non infrangere la sottile barriera di raziocinio che li aveva sempre divisi, e non ci era riuscito. Di sottolinearsi come autorità dominante e di mandarla al diavolo una volta per tutte. Aveva fallito anche in quello, come lo schifo più totale, però non se ne pentiva. Non era vero, dunque, che sapeva sempre mantenere le promesse.
Non era vero che non l'amava più.
Era solo vero quello che sentiva dentro, la decisione con cui voleva possederla, lì, in quel bagno, sudati e nervosi, drogati dell'essenza euforica di entrambi.
-Lo sapevo che eri tornata per me...- sussurrò a bassa voce, travolto dagli ansimi, e lasciò che lei gli calasse i pantaloni, i boxer e gli stringesse l'inguine tra i ginocchi nudi con prepotenza.
Mark gemette e la bloccò audace per i polsi. Poi le entrò dentro con un amore pari o forse addirittura superiore a quello che i due sposi, in sala, avevano scelto di condividere con gli affetti più cari.
Era certo di ciò che le aveva detto, e lo capì guardandola negli occhi, occhi che prima gli erano parsi alteri e che ora brillavano dei suoi, riflettevano un solo colore, il suo, e basta. Sapeva che il matrimonio era stata una scusa per tornare a New York, un pretesto per rivedere Erik, sbatterselo, rivedere lui e farsi anche lui, passare da un letto all'altro nel tempo medio di una sera, prendere un po' dall'amico, un po' dalla sua bocca, preferire prima uno, poi l'altro. E quando sarebbe tornata lucida, quando si sarebbe resa conto di amare Mark, avrebbero entrambi fatto finta di pretendere fosse stato tutto un tragico errore: e lei sarebbe di nuovo scappata via, tra le braccia di Edgar, a Londra, a bere tè da una tazzina di porcellana e fingere di aver dimenticato ogni cosa.
A nessuno dei due importava, però, adesso.
 Perché lui era lì, con lei, e lei si sentiva felice così aggrappata alle sue spalle forti, scossa di tremiti eccitati. Dimentica di qualsiasi lettera dell'alfabeto meno che le quattro lettere che componevano il nome del suo immenso amore.
 

 
 
Note.
non immaginavo di ritornare sul fandom di inazuma eleven con una storia del genere, confesso; meno che mai con Mark. Però mi andava, mi mancava, e quindi nulla, eccomi! Ciao a tutti *-* come state? Spero bene nonostante la situazione covid ci stia un po’ risucchiando la voglia di vivere
Parliamo della storia! Giuro, sarò breve. In realtà questo che avete appena letto avrebbe dovuto essere il prologo di una long che poi in realtà non è mai andata in porto perché… non ricordo bene perché, è passato un po’ di tempo, lo ammetto owo. PREMETTENDO che Mark Kruger non farebbe mai una cosa del genere, – ho messo OOC per non essere linciata –, e che Edgar non si farebbe mai incornare così malamente – ho una crush anche per lui, sì –, ho sempre visto bene Suzette e Mark, ma al pari di Suzette ed Erik (anche se Erik tendo a preferirlo con Silvia) e Suzette ed Edgar.
Chi mi conosce sa che non mi fanno impazzire i nomi giapponesi, comunque lo specifico lo stesso: uso quelli tradotti perché mi piacciono di più, non c’è modo e maniera di farmi andare giù quelli originari (?).
That’s all!
Grazie a chi leggerà o metterà la storia in una delle tre cartelline. Vi auguro delle buone feste!
XOXO
 
Lila
   
 
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