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Autore: Rota    20/12/2020    0 recensioni
Il giovane Rengoku alzò le braccia, teso all’attacco. Con un secondo urlo, vorticò in aria e creò un vortice di fuoco, che abbagliando il suo spettatore distrusse ogni cosa.
Quindi, il ragazzo si ritrovò a sobbalzare sul letto, rubato al suo sogno. Si ritrovò nella propria stanza in penombra, oggetti quotidiani e i mobili della sua camera i cui bordi venivano colpiti dalla fioca luce che penetrava dalla finestra: si stava alzando la mattina, all’orizzonte.
Ma le sue mani ancora tremavano, e non smisero neanche quando, ricordando tutto quello che aveva visto, arricciò la bocca in un sorriso euforico.

[Spoiler: capitolo 205 del manga][Future!Tanjiro x Future!Rengoku]
[Storia partecipante al contest "Olimpo&Dintorni" indetto sul forum di EFP da Voorpret]
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Kyoujurou Rengoku
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nome Autore Efp / Forum Efp: Rota/Rota23
Titolo: Il peso della spada
Fandom: Kimetsu no Yaiba/Demon Slayer
Personaggi: (Future!Kyojurou) Toujurou Rengoku, Rengoku Kyojurou, (Future!Tanjiro) Sumihiko Kamado
Pacchetto: Damocle
Citazione (bonus): Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla.
Elemento (bonus): spada
Note: Questo pacchetto mi ha subito ispirato una fic ambientata nel futuro descritto nel capitolo extra! Partendo dal fatto che volevo fare assolutamente una RenTan (Rengoku x Tanjiro) ho pensato a come poterla sviluppare!
Mi sono un po’ informata sugli esercizi del kendo (su Wikipedia LOL), quindi tento di fare alcuni riferimenti proprio a tecniche reali. Non che questo influisca se non in minimissima parte, ma ci tenevo a specificarlo, ecco.
Questo capitolo fa anche riferimento ai capitoli extra sull’infanzia di Rengoku Kyojurou, giusto per essere precisi (in una scena in particolare, verso la fine).
Buona lettura a tutti!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Le fiamme avvolsero tutto ciò che il sogno comprendeva. Pareti immaginarie in un buio fitto e un pavimento di lastre di cristallo lucidissimo, si illuminò ogni cosa in un mare di fuoco rosso.
Lo spadaccino sorrideva, come sempre, e non abbassò lo sguardo quando si rese conto della sua presenza. Il suo lungo mantello sventolava al vento alzato dall’incendio, eppure non c’era fumo e non c’era odore di cenere. Così fiero e maestoso, si stagliava come un idolo nel mezzo al suo elemento naturale: vittorioso, persino in quell’ardore.
Anche i suoi capelli sembravano fiamme, fuoco vivo – e nella voce che proruppe dalla sua bocca, in un urlo singolo d’emozione, si poteva percepire una pienezza d’impeto.
L’uomo estrasse la propria arma dal fodero rovente, la cui lama brillò bianchissima. A un fendente in avanti, il fuoco si appiattì di lato e poi divampò nuovamente, ancora più vivo. E quando lo spadaccino si mise di nuovo in posizione di guardia, dal filo della spada si animò una lingua di fuoco danzante, viva.
Il giovane Rengoku alzò le braccia, teso all’attacco. Con un secondo urlo, vorticò in aria e creò un vortice di fuoco, che abbagliando il suo spettatore distrusse ogni cosa.
Quindi, il ragazzo si ritrovò a sobbalzare sul letto, rubato al suo sogno. Si ritrovò nella propria stanza in penombra, oggetti quotidiani e i mobili della sua camera i cui bordi venivano colpiti dalla fioca luce che penetrava dalla finestra: si stava alzando la mattina, all’orizzonte.
Ma le sue mani ancora tremavano, e non smisero neanche quando, ricordando tutto quello che aveva visto, arricciò la bocca in un sorriso euforico.
 
 
Lo vide sfrecciare dopo un incrocio, volando sopra le macchine ferme a un semaforo rosso, e lo chiamò con un grido. Quel ragazzo non rallentò, perché troppo pochi erano i minuti che lo separavano dal suono della campana e non si poteva permettere di rallentare neanche un istante; tuttavia, fu ben felice di averlo al proprio fianco, qualche metro più avanti. Gli sorrise gioviale come sempre.
-Oh! Toujurou-kun, buongiorno!
-Buongiorno anche a te, Sumihiko!
Si allontanarono un poco l’uno dall’altro per non investire una signora col passeggino di due gemelli, proseguendo poi per la via di nuovo fianco a fianco – i loro corpi si ricercarono istintivamente, come attratti da una calamita fisica ed emotiva.
Neppure la corsa sembrava smorzare l’entusiasmo delle loro voci. Sumihiko ridacchiò persino, quando sottolineò ciò che era palese.
-Anche oggi sei in ritardo!
-Ultimamente sto facendo un sogno bellissimo! E così, quando mi sveglio, non posso fare altro che allenarmi! Non riesco a fermarmi, è più forte di me!
-Sembra quasi una maledizione, in realtà!
-Sono completamente motivato!
Saltarono insieme il muretto di una casa, per passare velocemente per il suo giardino.
A quella distanza, si poteva vedere la torre alta dell’orologio della scuola, la cui lancetta ruotava attorno all’asse centrale con inesorabile precisione. Oltre i tetti delle case e i camini bassi, invece, si stagliava un cielo paradossalmente bellissimo, sgombro di nuvole.
Si accorsero a malapena di una strana macchina nera e bianca che li inseguiva e di un altoparlante che berciava minacce e ordini.
Sumihiko sorrise ancora al suo amico, mentre sistemava la tracolla della borsa sulla propria spalla: a furia di ballonzolare contro il suo fianco, rischiava di cadere a terra.
-Sempre quello spadaccino nel fuoco? Ormai lo conosco anche io!
-Vorrei diventare come lui! È diventato il mio nuovo punto di riferimento!
-Ah, Toujurou-kun! Non potrai mai eguagliare qualcosa che non esiste!
-Ma io so che è esistito! E non intendo solo nei miei sogni, ma anche nella realtà! È come se fosse stato reale-
Toujurou si interruppe, non solo perché dovettero fare una brusca curva, ma anche perché era privo di parole efficaci che descrivessero con cura ciò che provava. Ebbe un’espressione strana, molto più concentrata, quando tornò al fianco di Sumihiko.
-Ho questa sensazione-
I suoi occhi brillarono un’altra volta, mentre ricordava con chiarezza i sogni che ormai da qualche mese animavano le sue notti. All’inizio aveva pensato a una mera casualità, ma col tempo si era reso conto che c’era questa figura ricorrente, e il fuoco e la spada, e ogni sogno si era fatto sempre più dettagliato, indimenticabile.
Il giovane Kamado aveva sempre creduto alle sue parole e aveva sempre rispettato quello che lui sentiva, sembrava così vero nelle sue parole e così vivido da potergli credere facilmente. Decise comunque di scherzare sulla cosa, per alleggerire il discorso fattosi pesante: non gli piaceva l’idea di cominciare scuola con quei pensieri.
-Un fantasma del passato che viene a trovarti nei sogni! Spaventoso, no?
-Emozionante!
Erano arrivati.
Davanti a loro, un vialetto contornato di basse aiuole finiva davanti a un’entrata di mattoni chiari. Due insegnanti erano posti a guarda, li stavano aspettando al di là della ringhiera già sigillata. Sumihiko urlò al di sopra della voce squillante del poliziotto che gli intimava di fermarsi.
-Il cancello!
Spiccarono il volo in contemporanea e fecero leva sulla parte più alta, una mezza capriola e riuscirono ad atterrare incolumi nel cortile della scuola. Si sorrisero, soddisfatti, proprio mentre la campanella della scuola suonava placida per tutto il circondato.
-Ah, questa volta non dovremmo passare guai-
 
 
Un grido, e gli shinai in fila si abbassarono con movimenti fluidi, in un gesto ampliato da un passo; un altro verso, le punte bianche tornarono in alto con una parabola laterale; un terzo verso, altro passo e altro attacco, mentre il bambù costretto scricchiolava per la violenza dei colpi; un ultimo verso, gli shinai vennero rialzati con una parabola al lato opposto del capo. Arrivati alla fine del dojo, i ragazzi si voltarono e ripresero l’esercizio di riscaldamento, guidati dal capitano del club.
Toujurou fremeva, forse addirittura più del solito. Stringeva l’impugnatura del proprio shinai come se si trattasse di cuoio e legno duri, atti ad azioni ben più impegnative che non tagliare il nulla. Immaginava i suoi avversari, avvolti in un fuoco abbagliante, e i lembi del suo mantello che come lingue incandescenti incendiavano persino l’aria che lo circondava.
Era come lui. No, anzi, era proprio lui – quando pensò questa cosa, ricordò altre ombre di vecchi sogni, con occhi e zanne e artigli.
L’esercizio cambiò, e il bersaglio dei fendenti divenne esso stesso laterale. Ogni passo, un colpo – ogni grido, si avanzava in avanti.
Anche Toujurou gridò, più forte di tutti gli altri suoi compagni. Scottava di una febbre di passione, sentendosi quasi invincibile. Perché lui, dopotutto, non poteva che essere fortissimo e non aver paura di niente.
Falciò quelle ombre oscure come la Morte stessa, senza la minima pietà. Furono i loro occhi a diventar cenere, membra scomposte che nutrivano l’incendio che era nel suo spirito.
Per lui erano la paura, il timore, l’esagerata modestia, ma forse per quell’eroe erano stati mostri veri, carne viva come quella che ora Toujurou non riusciva a frenare.
Quando urlò ancora, il suo colpo finì per colpire il braccio disattento di un compagno, che si lamentò ad alta voce del dolore e lo sgridò. Il ragazzo non riuscì a smettere di sorridere neppure quando gli chiese scusa con sincerità, forse un po’ troppo rumoroso persino nell’inchinarsi in avanti a chiedere perdono.
 
 
Toujurou uscì dal dojo quando il sole era quasi sparito all’orizzonte, nascosto dai profili alti di costruzioni ed edifici. Le sue guance erano ancora accaldate, rosate quanto la volta celeste che si stava abbandonando alla sera e alle stelle.
Trotterellò verso il piazzale della scuola, dove avrebbe potuto poi uscire dal cancello e quindi tornare a casa. Forse fu un caso, forse no, ma vide sul proprio percorso Sumihiko che si trascinava con passo stanco in avanti e che, appena lo raggiunse, quasi gli sbadigliò in faccia.
-Anche tu qui, Sumihiko?
-Mi sono addormentato sotto un albero del cortile, dopo l’ultima ora…
-Ah, proprio tipico di te!
Lui mosse la propria borsa sulla schiena, dove era tenuto legato anche lo shinai di bambù. I suoi occhi brillarono.
-Io mi sono allenato fino ad adesso! E domani mattina ancora!
Si incamminarono assieme lungo il viale fuori dalla scuola, senza più la fretta del ritardo: di tempo, in quel momento, ne avevano davvero parecchio – e la punizione a casa poteva anche aspettare.
Sumihiko sospirò, gli sorrise un poco. Provò persino a ipotizzare il motivo del suo entusiasmo.
-Sei davvero ossessionato da quel tizio, non è vero?
Toujurou non smentì affatto il suo dubbio anzi, lo confermò con forza.
-Lui è forte, altrimenti non dominerebbe tutto quel fuoco.
-Magari è magia.
-No! È più… la sua anima.
Il ragazzo si toccò il petto, quasi potesse raggiungere la propria materia non fisica, e di conseguenza entrare in comunicazione con lo spirito del sogno. Strinse con energia i lembi del tessuto scuro della sua divisa, e l’eco delle sue parole si espanse lungo tutto il viale.
-Voglio che anche la mia anima risplenda come risplende la sua! Che sia così forte!
Un trio di ragazzine si fermò lontano, per guardarli e ridacchiare qualche secondo. Sumihiko le salutò con un gesto distratto della mano, mentre continuava a rivolgersi al proprio migliore amico.
La sua mente fu veloce, e così anche la sua lingua.
-Magari lui sconfigge nemici altrettanto forti, non ci hai pensato?
La sua espressione si era fatta un poco più scura, mentre la mente ragionava sulle possibili cause di un eroe vestito di fuoco. Qualcosa gli suggerì demoni ammazza-umani, mostri immondi difficilissimi da sconfiggere. Rabbrividì al solo pensiero.
-Per essere così forte, ci dev’essere un motivo.
Toujurou fu toccato dalle sue parole, e per questo – incredibilmente – si zittì per diversi metri.
Aveva immaginato lui stesso di sconfiggere creature terribili, ma da come l’amico aveva parlato non sembrava una cosa così eroica e così positiva. Il male del mondo che quegli esseri incarnavano proveniva forse da esperienze piene di dolore e pietà.
Abbassò lo sguardo al marciapiede, mentre avanzava in silenzio.
Incuriosito da quell’anomala quiete, l’altro ragazzo si fece vicino al suo fianco.
-Tu per cosa vuoi diventare più forte, Toujurou-kun? Quali sono i tuoi nemici?
Si fermarono davanti a delle strisce pedonali, il cui semaforo era rosso.
Toujurou spalancò gli occhi e seguì il volo improvviso di un uccello, spaventato dal movimento repentino delle macchine nel traffico. C’erano così tante parole dentro di lui, tutte confuse in una grande matassa.
Quando la luce verde scattò, così parlò anche lui.
-Devo essere forte per proteggere i più deboli! Questo è il mio obiettivo!
Parole che ripeteva spesso, senza troppo peso.
Sumihiko sgambettò in avanti, giocando a saltellare da una striscia all’altra, fino a che non raggiunsero assieme il marciapiede opposto. Sembrava quasi arreso a quella quotidianità sempre uguale, ma la sua espressione celava qualsiasi opinione più profonda.
La verità era che, come stavano a quel punto, andava bene per entrambi, perché era così comodo.
Fu Toujurou a raggiungerlo, quella volta.
-E poi, mi devo tener pronto per quando tu deciderai di venire al dojo! Sono sicuro sarai fortissimo!
-Tu mi sopravvaluti un po’ troppo, Toujurou-kun! Tutta questa aspettativa nei miei confronti-
Si fermarono davanti al bivio che avrebbe diviso le loro strade, in simultanea.
Il giovane Kamado accennò un passo verso casa, ma si fermò senza procedere con il proprio piede. Sicuramente era strana, quella sensazione che gli animava il petto.
Si voltò subito quando l’altro parlò, salvando entrambi dall’indecisione.
-Ti va di magiare qualcosa assieme, prima di tornare a casa?
-Volentieri!
Sapeva già dove lo avrebbe portato: il negozietto di snack con gli ornamenti a forma di serpente, dove tutta la compagnia dei loro amici era solita riunirsi durante i giorni liberi dalla scuola. Qualcosa con la patata dolce, forse fritto – Toujurou mangiava sempre quello, dopotutto.
 
 
Le fiamme divamparono, rendendo tutta la visuale un unico incendio rosso.
Il vento che muoveva le lingue di fuoco smuoveva anche i suoi capelli e il suo lungo mantello, illuminando persino gli occhi sgranati sopra quel sorriso così sicuro di sé.
Lo spadaccino rimase a guardarlo in silenzio, fasciato da una elegante divisa nera e coperto degli stemmi di un vero eroe. Poi però sciolse l’intreccio delle sue braccia e gli tese una mano, perché l’afferrasse.
Toujurou abbassò gli arti con i quali si stava proteggendo dalla cenere volante. Guardò lui e poi guardò quelle dita, come se non si raccapezzasse di quello che stava succedendo, proprio in quel momento.
Anche se il suo corpo non si mosse per diversi secondi, il muro di fuoco si abbassò e l’oblio dello sfondo cominciò ad aprirsi, per dare spazio a un ambiente con forme più definite, varie e diverse. Lo spadaccino gli sorrise con fare incoraggiante, e quando abbassò la mano si voltò di fianco, quasi per fargli strada.
Un mondo selvaggio e antico fu la nuova visione – rumori di una battaglia non troppo lontana lo raggiunsero, e alcuni bagliori di una notte di luna piena.
Seppe di aver avuto sempre ragione: quello non era un sogno, ma i ricordi che conservava in una parte d’anima che non apparteneva soltanto a lui, Toujurou Rengoku, ma pure a quello stesso spadaccino.
Gli sorrise, e solo in quel momento si accorse di tenere tra le dita una spada fatta con una strana lama e un’impugnatura salda.
Poi qualcosa balzò l’oro addosso, saltando dalle fronde di un albero altissimo. Lo spadaccino fu pronto in un solo istante, per affrontarlo. Un turbine di fuoco che Toujurou conosceva bene nacque dalla spada di lui e colpì, imprigionò l’assalitore, redendolo cenere al vento.
Guardò la sua schiena con ammirazione, trattenendo a stento tutte le emozioni per sé; le labbra gli tremarono e la voce gli uscì poi gioiosa, piena di entusiasmo.
Altri nemici arrivavano dalla foresta, con facce mostruose e umane allo stesso tempo. I loro occhi erano posati su di loro, fauci spalancate e artigli affilati. Lo spadaccino non ne perse neanche uno.
 
 
 
Respirò profondamente, annusando l’aria fresca del giorno. Con la coda dell’occhio, vide i suoi capelli ballare cadendo dalla tempia – e per un secondo appena ricordò quel sogno che lo aveva animato tanto, qualche giorno prima. Sistemò la ciocca chiara dietro l’orecchio e riprese le proprie bacchette, per finire l’ultimo boccone del proprio pranzo.
Accanto a lui, Sumihiko si stiracchiò e fece un verso vagamente soddisfatto a labbra chiuse.
-È sempre bello venire qui. C’è così silenzio e tranquillità.
Poi socchiuse anche gli occhi e si abbandonò contro il muro contro cui era appoggiato, in beatitudine. L’atmosfera della terrazza della scuola era così pacifica, senza il trambusto degli studenti e degli insegnanti in ogni dove; la ringhiera cigolava appena solo quando il vento era davvero forte, e le voci del cortile e della strada si sentivano a malapena. Inoltre, poiché era vietato andarci, nessuno tranne loro due di solito si recava in quei luoghi, durante l’ora del pranzo.
Sumihiko si stiracchiò ancora, gambe e braccia. Guardò il cielo sgombro, in completa serenità
-I professori non disturbano mai i miei sonnellini.
Toujurou non aspettò di ingerire ciò che aveva in bocca per rispondergli, pieno di energia.
-Dormire il giusto quantitativo di ore è molto importante! Non bisogna mai sottovalutare mai questa cosa!
-Fare tutto con entusiasmo, persino dormire… è così tipico tuo.
Fece un cenno col capo a ciò che teneva sopra le gambe incrociate: un contenitore d’alluminio ormai vuoto, che mostrava ancora tracce di riso e di sugo agli angoli.
-Hai persino mangiato più velocemente del solito il tuo bento.
-Non vedo l’ora di andare ad allenarmi! Ho visto come combatte lo spadaccino dei miei sogni! Voglio provare a riprodurre quelle mosse!
Toujurou agitò il contenitore in aria, per la foga.
Sumihiko invece fece uno strano sorriso, e come sempre le sue parole gli scivolarono dalle labbra con leggerezza e spensieratezza – non c’erano filtri tra la sua bocca e la sua anima, ma un unico canale che le metteva in comunicazione.
Non avrebbe mai detto menzogne, ma sempre presentato la verità, proprio come in quel momento.
-Quando sarai adulto sarai un samurai, se continui così.
L’altro ragazzo sembrò soppesare forse troppo la sua affermazione, e dopo averlo guardato per qualche secondo in silenzio, volle sincerarsi di aver inteso bene.
-È un complimento?
-Certo. Tu hai la forza giusta.
Un po’ in imbarazzo, Sumihiko ridacchiò, senza sapere neanche lui l’esatto motivo di un gesto del genere.
Gli puntò il dito indice contro, sorridendo con tutto il viso.
-Non intendo quella fisica, intendo quella mentale!
Il sorriso di Toujurou si congelò. Il giovane avrebbe tanto preferito rispondere a quelle risa e trasformare la propria espressione attonita in qualcosa di più leggero e frivolo, magari scherzare su quella debolezza il cui nome neanche riusciva a pronunciare.
Sumihiko neanche si rendeva conto di aver esposto così tanto il proprio migliore amico, nella maniera più innocente possibile.
Toujurou appoggiò di nuovo il contenitore del bento sulle cosce intrecciate, pensieroso.
-Lo pensi davvero, Sumihiko? Io credo di essere invece un grande vigliacco. Per questo desidero la forza.
Le risate dell’altro si zittirono all’istante.
Una folata di vento passò tra di loro, scompigliando i loro capelli ribelli. E mentre tentava di domare la propria chioma castana, Sumihiko gli rispose.
-Credi che essere forte con la spada ti faccia diventare più forte spiritualmente? Che assurdità, Toujurou-kun.
Che assurdità – già, che assurdità.
Anima fragile, come un cristallo. L’insicurezza che negava l’assoluzione dai propri peccati. D’altronde, sarebbero bastate ben poche parole perché Toujurou si salvasse e dimostrasse, prima di tutto a se stesso, che poteva essere forte.
Invece, decise di ridere.
-Tu non hai bisogno di nulla del genere! Diventerai un adulto forte in tutto, anche senza un allenamento intensivo! Ma io sono diverso da te.
Sumihiko scosse la testa, testardo. Su quello proprio non gliel’avrebbe data vinta, mai e poi mai.
-Questo non è assolutamente vero. Sei forte già abbastanza, Toujurou-kun.
Continuò a scuotere la testa, e con gli occhi chiusi on vide il sorriso sulle labbra d lui.
La amava davvero, ogni giorno sempre di più.
Quando finalmente però Sumihiko smise di muoversi, lo dovette prendere per la spalla perché non cadesse in avanti, con l’equilibrio tutto sballato. Finirono l’uno addosso all’altro, in uno strano modo, e bastò di nuovo guardarsi in viso e sorridere per dissolvere ogni brutta sensazione.
Sumihiko non si alzò dalle sue cosce neanche di un centimetro, anzi.
-Vuoi un po’ delle mie polpette? Non ho molta fame, oggi. Ho dormito male…
-Hai fatto qualche sogno strano?
-Un uomo con un cappello bianco e due occhi rossi. Terribili! I miei fratelli hanno detto che ho urlato nel sonno.
-Che paura!
 
 
Il ragazzo alzò gli occhi chiari allo specchio, ma ormai la piccola stanza era così piena di vapore che non riuscì a vedere proprio nulla, men che mai il proprio riflesso.
Si tolse quindi anche l’ultimo calzino e raggiunse il piccolo box doccia, dove si infilò in fredda – prima che l’umidità gli penetrasse nelle ossa. L’acqua era bollente e il gettito forte; Toujurou rivolse la schiena contro il muro, perché le gocce d’acqua tamburellassero la sua pelle liscia e le spalle pesati, dopo tutte quelle ore di allenamento ininterrotto. Si permise persino un piccolo sospiro di stanchezza, quando le membra cominciarono a rilassarsi un poco e la tensione a scivolare via, assieme all’acqua di scolo. Afferrò anche la boccetta del bagnoschiuma per lavarsi bene, così da grattare via ogni residuo di sudore e sporcizia.
Lui non era come Sumihiko, così sincero e forte: questo fu il primo pensiero che gli attraversò la mente e a cui la sua angoscia si aggrappò, con tutte le proprie forze. Era crudele e salvifico, perché non lasciava mai scampo. Esorcizzava i sentimenti negativi, puntandoli uno a uno e inseguendoli fino a che non scomparivano. Lui, con una spada in mano, avrebbe dominato il mondo.
Ma Toujurou non era neanche come quello spadaccino di fuoco, così sicuro e invincibile: il ragazzo ripercorse ancora una volta le immagini che aveva visto nel sogno, stringendo le proprie dita come l’uomo aveva fatto con la propria arma. Ritrovò precise emozioni e questa sensazione di potere lo eccitò molto, per poi lasciarlo con un senso di sconfitta ancora più grande, poiché in quel box doccia non era altro che un semplice ragazzo spaurito.
Quando provava disgusto per quella quotidianità, implodeva in se stesso e si dava colpe incalcolabili, il cui peso poco a poco lo stava schiacciando. Ingrato per quella felicità continua, ingrato per la sua compagnia, ingrato perché dopotutto lo aveva sempre vicino.
Ecco che però nel momento in cui immaginava Sumihiko che pretendesse qualcosa di più dalla propria vita, che fosse l’amore o anche altro, non riusciva a immaginarsi al suo fianco – non come era in quel momento, debole e incapace. Per rimanere in quella posizione privilegiata doveva continuare a lottare, e allo stesso tempo pensava che non ci fosse alcun merito, né mai avrebbe potuto avercelo. Rabbia e invidia prendevano facilmente posto ad altre emozioni, per quanto cercasse di reprimerle.
Eppure, sarebbe stato così semplice, o forse no. Forse avere sedici anni e una cotta per il proprio migliore amico non era così semplice, ma Toujurou non riusciva a essere indulgente con se stesso.
Avrebbe voluto bruciare tutte quelle emozioni nel fuoco, distruggerle e poi, poi avere l’opportunità di nascere di nuovo, come quello spadaccino era nato in lui. Una forma migliore per lo stesso animo – Toujurou era sicuro che, se fosse stato lui, non avrebbe avuto problemi: si sarebbe dichiarato forse con una risata, e con una risata Sumihiko avrebbe detto di ricambiarlo.
Il giovane si morse le labbra e, sopprimendo ogni altro pensiero, diede una testata alle pareti del box, con un gran fracasso.
Sentì solo dopo suo padre chiamarlo per la cena, che si era fatto molto tardi. Chiuse l’acqua e uscì, immergendosi di nuovo nel vapore.
 
 
L’ultimo sogno iniziò con l’odore della cenere che gli invase le narici.
Toujurou aprì gli occhi, pieno di aspettativa ed eccitazione, ma non vide nessuno attorno a lui. Quando le lingue di fuoco si abbassarono un poco, vide i contorni dei palazzi di una città moderna, forme squadrate e uno stile occidentale copiato male. Lampeggiava la luce storta di un lampione riverso a terra, in alto una luna bianchissima. Poi, seguendo il guizzo del proprio mantello, vide arrivare di corsa un mostro dalle fauci aperte, pronto ad azzannarlo; il suo corpo si mosse da solo, come se si fosse preparato da sempre a quello.
La bestia venne tranciata in due e il suo corpo divenne polvere, sparendo nell’etere. Toujurou ebbe solo il tempo di vedere le maniche della divisa nera che gli copriva le braccia, per capire all’istante cosa stesse accadendo: lui stesso era lo spadaccino, aveva preso il suo posto come protagonista del sogno e non si limitava più a essere solo uno spettatore.
La sua furia accrebbe le fiamme sprigionate dalla lama. Sembrava che a ogni respiro calibrato, l’energia vorticasse in un modo diverso e colpisse con precisione i nemici che gli si stagliarono contro; una serie di cani e lupi continuavano a inseguirlo, nonostante li uccidesse ogni volta che si avvicinavano troppo. Uno dopo l’altro, caddero tutti alla sua ferocia, consumati come portate di un lauto banchetto della sua ingordigia di potere e di forza.
Il sogno si allargò ancora e la città divenne quasi reale. Sentì voci umane in lotta, l’odore non solo delle fiamme ma anche della pioggia, della pietra delle strade, gli strilli di quelle bestie martoriate.
Sentì, non da ultimo, l’urlo del mostro umanoide, e si voltò per guardare i suoi occhi neri. Fremette, ma nella sua consapevolezza cominciò a pungolare anche una coscienza estranea, che non era certo la sua.
Lo scontro fu inevitabile. Qualcosa crollò e lui vide da lontano gente in fuga, altra gente ancora: un intero caos che non avrebbe avuto fine fintanto che il mostro fosse rimasto in vita.
Le sue fiamme sciolsero il potere maligno dell’avversario, che sempre più stretto della morsa divenne isterico e disperato, aggressivo e intimidatorio.
Pian piano Toujurou si rese conto, invaso dai sentimenti di Kyojurou, che quello che aveva davanti non era stato altri che qualcuno simile lui: dalle sue parole e dai suoi gesti trapelava una disperazione non aliena alla natura umana, corrotta nell’animo.
Rengoku parlò, pieno di tristezza e solitudine, stringendo la propria spada come l’arma più pesante del mondo – carica non di forza bruta, ma di mera responsabilità.
Toujurou venne spazzato via quando un altro turbine di fuoco avvolse tutta la scena e strappato dalla schiena dello spadaccino lo vide vincere, invincibile, lordo del sangue avversario.
Ma a lui non fu permesso, poiché estraneo a quei fatti e a quelle emozioni vere, dimostrando quanto la sua fosse un’invidia imbecille, ignorante dei fatti veri.
 
 
Camminò assorto sul marciapiede, fino ad arrivare all’incrocio che dava sulla via di casa Kamado.
Rimase a fissare la strada che saliva in una dolce curva, seguita dai lampioni e da fili della corrente, da casette piccole e squadrate; poi si lasciò invece trascinare lontano dalla scia di studenti, che lungo il viale alberato si raggruppavano di tanto in tanto per chiacchierare tra di loro e rilassarsi prima di cominciare le lezioni. Anche l’odore della pioggia nell’aria straniva Toujurou, come una sensazione nuova che non aveva mai provato prima.
Qualcuno notò il suo insolito silenzio, ma non volle avvicinarsi troppo.
Il ragazzo oltrepassò il cancello d’ingresso e si immise nel piazzale davanti alla scuola, circondato da compagni e qualche insegnante. Alzò finalmente lo sguardo e scorse le linee della struttura, fino ad arrivare al tetto – contro la sua schiena, lo shinai si piegò di lato, strofinando contro il tessuto della sua divisa e rendendo l’equilibrio stesso della cartella piuttosto precario.
Le prime gocce fredde gli bagnarono i capelli folti, alzò ancora il viso e poi lo abbassò seguendo il volo irregolare di una foglia rossastra.
La palestra del dojo spuntava dall’angolo della scuola solo per una piccola parte, un angolo sporgente che apriva le proprie finestre sugli spogliatoi.
Sentì qualcuno urlare, fu come un’epifania: voltandosi all’indietro, vide qualcuno avvicinarsi correndo in lontananza, dove il viale iniziava; intuì fosse lui, in ritardo come al solito.
Tra la volante che lo inseguiva ancora e gli insegnanti isterici che stavano cercando di chiudere il cancello, il senso della realtà scivolò in una quotidianità che non gli urtava più i nervi.
Sorrise, rise persino. Gridò verso Sumihiko di fare presto, perché la campanella avrebbe suonato a breve – e poi lo aspettò sotto la pioggia, per entrare a scuola assieme.
 
 
Lo shinai calò con violenza in avanti, ma invece di sollevarsi di lato e tornare in posizione verticale, rimase immobile nel vuoto, stretto con fermezza dal giovane.
Toujurou accolse l’intruso nel dojo con un’espressione sorpresa e tutto il corpo in tensione. Persino una ciocca di capelli sfuggì al proprio laccio, accarezzandogli il viso coperto di sudore.
-Sumihiko?
L’interpellato fece un sorriso tirato e lo salutò con un gesto della mano, sempre si appiattiva contro la parete di legno e lentamente scivolava a terra, rannicchiandosi in pochi metri quadrati. Subito, una scusa sulle sue labbra.
-Piove ancora e non ho l’ombrello, quindi ti aspetto qui.
Abbracciò la propria cartella, i cui bordi erano già zuppi e molli. Fece una piccola smorfia, prima di proseguire – aveva le spalle un poco incassate, come se stesse azzardando qualcosa di incerto.
-E poi, non dovevi dirmi qualcosa?
L’espressione di lui però gli diede conferma dei propri dubbi, benché si ritrovò immediatamente a dover dare un’altra giustificazione.
-Come lo hai-
-Beh, è una sensazione! È da stamattina che ce l’ho! Sbaglio, forse?
Rise, imbarazzato.
Toujurou lo guardò con occhi spalancati, come da tempo non gliene aveva visti addosso: sembrava davvero un gufo, con quella chioma vivace e quello sguardo attento. Abbassò anche lo shinai a terra, respirando con la stessa calma che precedeva un’azione veloce, concentrata e pronta.
Aveva un animo nuovo, però, che rivelò anche a lui quando parlò. Usò un tono di voce decisamente diverso dal solito, e le sue parole rimbombarono tra le pareti del dojo stesso, come una solenne annunciazione.
-No, hai ragione. Ti devo parlare, Sumihiko!
-Sì, però non c’è bisogno di urlare-
-Mi da carica!
-E perché mai dovresti-?
Un colpo di shinai lo zittì e permise a Toujurou di recuperare un poco di coraggio.
Il giovane si avvicinò a lui con passo deciso e lo fissò con quegli occhi enormi, spiritati. Non smise ancora di strillare, aveva sulle labbra un insolito sorriso folle.
-Sai? Ho sognato di nuovo quello spadaccino! Due giorni fa, penso che sarà l’ultima volta.
-Oh! Ed è un bene?
-Penso di aver capito molte cose, da quel sogno. Ma anche dalle tue parole.
-Sono curioso di sapere cosa hai capito!
Sumihiko fu contagiato dal sorriso di lui e quindi sorrise a propria volta.
Fu davanti a quell’espressione così aperta e generosa che Toujurou temporeggiò qualche secondo in più, preda a quella solita paura di osare troppo, di pretendere troppo. Riemerse da una zona soppressa della coscienza la domanda se non stesse pretendendo troppo per sé, ma la cacciò con forza da dove era venuta. La sua risoluzione fu più feroce e infiammata, viva.
Non urlò, per quella volta.
-Non è necessario essere forti per meritare d’essere amati. Non lo pensi anche tu?
Sumihiko spalancò gli occhi, davvero molto sorpreso da quelle parole. A lungo aveva sperato che l’amico capisse quanto vicino gli era e voleva essergli, e aveva sempre trovato quell’assurda insicurezza a dividerli: proprio Rengoku Toujurou riusciva a dubitare di se stesso a tal punto da rimanere bloccato e angosciato, per una cosa del genere.
La sorpresa divenne commozione che gli scaldò il petto, la commozione dipinse i suoi occhi e il suo sorriso di meraviglia.  
-Lo penso anche io, Toujurou-kun.
Il ragazzo in piedi abbassò poi lo sguardo, forse perché le parole cominciavano a essere davvero pesanti e l’argomento sempre più sensibile. Nonostante tutto il coraggio, comunicare era sempre così difficile.
-Credevo di dover dimostrare qualcosa. Qualsiasi cosa. Credevo che la mia paura derivasse dalla debolezza, e la debolezza giustificasse la paura, ma niente di tutto questo è vero.
-Toujurou-kun, è normale. La vita è già difficile di per sé, ma per qualcuno come te-
Si fermò, poi ripartì.
-Qualcuno come noi, forse, può essere più difficile ancora.
Ancora, comprensione.
Ancora, la verità più umana possibile.
Sumihiko non avrebbe mai mentito, e sempre ci sarebbe stato per lui, con la sicurezza di un affetto indistruttibile.
Toujurou arrossì un poco, puntò la punta del proprio shinai contro di lui e riprese a urlare – Sumihiko strillò per la sorpresa e alzò le mani, facendo cadere a terra la cartelletta.
-Se dici così, mi fai sentire peggio!
-Ah, sì? Scusami, scusami! Però abbassa quell’affare, adesso-
-Io credo ancora di essere debole, ma non ho intenzione di scappare più. Mi assumerò tutta la responsabilità delle mie azioni e delle mie parole, e se questo ti sembra abbastanza, ti chiedo se vuoi metterti con me!
Esplose così, senza troppa premeditazione, e fu così improvviso e assurdo che Sumihiko non reagì per diversi minuti.
Colto da un’insospettabile impazienza, Toujurou lo incalzò.
-Ti va bene?
Allora, il giovane Kamado scoppiò a ridere, senza riuscire più a trattenersi.
Erano entrambi rossi in faccia, presi dal proprio vortice di emozioni.
-Toujurou-kun, cosa siamo? Dei ragazzini delle elementari? Non riesci a essere un po’ più dolce di così?
-No, mi dispiace! Non ci riesco!
-Però almeno abbassa la voce-
La punta dello shinai toccò di nuovo terra, poco distante dai piedi di Sumihiko.
-Non ho capito se-
-Sì, Toujurou-kun. Mi va bene.
Altro silenzio.
Poi sulla faccia di Toujurou esplose un imbarazzo accesissimo, ancora più rosso e violento. Gli occhi si spalancarono a tal punto che sembravano quasi sul punto di uscire dalle orbite.
In quel silenzio quasi irreale, si sentiva a malapena il rumore della pioggia dall’esterno, ma quando il ragazzo rispose ancora la sua voce rimbalzò nel dojo per diversi secondi.
-Oh! Ok! Perfetto!
Anche Sumihiko arrossì un poco di più – appena un poco di più – e riprese a ridere come uno stupido. Avevano riso assieme così tante volte, prima di quel giorno, eppure sembrava davvero un suono diverso in ogni istante.
-Allora io riprendo-
-Certo, finisci pure di allenarti. Io ti aspetto qui. Poi torniamo a casa assieme.
Toujurou non rispose a quella proposta, cercando di ricordarsi come si muovesse lo shinai in aria. Gli diede le spalle perché gli era ormai impossibile guardarlo in faccia, benché il primo a dichiararsi fosse stato proprio lui.
Sobbalzò quando Sumihiko parlò ancora, e quasi fece cadere a terra la propria arma di legno.
-Magari pure entrambi sotto il tuo ombrello…
Entrambi sotto un ombrello solo, come due veri fidanzati.
Si voltò a guardarlo e pensò di avere una faccia molto buffa, perché lui rise ancora.
Si ripromise di fargli pagare, in futuro, ogni istante di scherno, anche quello più innocente e innocuo. Di tempo, assieme, e avrebbero avuto tantissimo, da quel momento in avanti.
   
 
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