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Autore: Batckas    20/12/2020    0 recensioni
[Cyberpunk 2077]
V fa i conti con la sua mortalità e decide di non commettere gli errori di Silverhand. Spinto da Misty a non mentire a se stesso, il mercenario è costretto a guardare in faccia la realtà dei suoi sentimenti.
(Spoiler)
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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“Cosa c’è?”, domandò Misty appena vide V entrare con la sua solita faccia lunga, gli occhi vispi di ghiaccio sempre impegnati ad esaminare qualcosa. Sin da quando lo conosceva, Misty non aveva mai visto V non pensieroso. Il ragazzo si sedette.
“Cosa? Niente, devo aspettare che Viktor finisca con il suo paziente, poi tocca a me.”
Misty si avvicinò al ragazzo, la sua voce dolce e i suoi modi di fare gentili facevano rilassare chiunque la circondasse, per V non sarebbe stato diverso se non avesse avuto sulla coscienza la morte di Jackie.
Misty esaminò come V si era piegato in avanti, come era solito fare, come teneva le mani congiunte in una preghiera silenziosa che non avrebbe raggiunto alcun dio, la consapevolezza della morte aveva appesantito il suo animo, Misty era consapevole di non avere parole per consolarlo, ma quella sera c’era qualcosa di diverso, nell’oblio della morte e nella disperazione V aveva trovato qualcosa.
“Oggi assomigli molto a Jackie.”, disse la ragazza sorridendo.
“Cosa? E perché?”
“Il tuo sguardo dice più di quanto tu farai mai. Stai pensando a qualcosa… a qualcuno… e non è Johnny.”
V si guardò attorno, il negozio era vuoto, i passanti sul marciapiede indaffarati con la loro vita e i loro problemi camminavano con il capo chino. Una pioggia leggera cominciò a lacrimare su Night City. Il giovane appoggiò la schiena sul divano morbido, quel momento di lucidità non sarebbe potuto durare in eterno.
“Non capisco questo come potrebbe farmi assomigliare a Jackie”, rispose V cercando di nascondere le sue emozioni. Con gli altri riusciva, con Misty qualcosa glielo impediva, o forse la ragazza era semplicemente più brava a leggere il suo animo di quanto lui lo fosse a celarlo.
“Come Jackie: hai lo sguardo di un uomo innamorato.”
“Merda.”
Johnny comparve sul bancone, seduto, stava fumando e indossava gli occhiali. Guardò V con pietà, con il suo solito sguardo di chi la sa più lunga, ma non intende condividere ciò che ha imparato a meno che l’ascoltatore non sia degno.
“Ti ha beccato.”, disse il rocker.
V guardò Misty.
“Si chiama Panam.”, disse in un bisbiglio come se ammettere che l’amasse aumentasse il rischio di perderla.
“Sono contenta che tu abbia qualcuno nella tua vita.”, Misty gli accarezzò dolcemente una spalla.
“Avrei voluto incontrarla prima di Johnny, per poter scappare insieme da questa città del cazzo.”
“Fuggirai con lei quando sarai guarito.”, lo rassicurò Misty.
“Non condivido il tuo ottimismo.”
“Che tipo è, questa Panam?”, cambiò sapientemente argomento Misty.
“Una nomade. Aldecaldo. Tipi tosti.”
“Come vi siete conosciuti?”
“Un lavoro come un altro. L’ho aiutata. Lei dice che l’ho salvata, ma penso proprio sia il contrario. Per un attimo, quando sono stato con lei, ho pensato di potercela fare davvero, di poter lasciarmi alle spalle tutto questo e sopravvivere. Persino Johnny ha taciuto.”
“In questo mondo è bene sapere che non si è soli.”
V si aggiustò sul divanetto, si guardò attorno con aria persa, l’acqua diventava più violenta, la gente all’esterno accelerava il passo, il rumore degli stivali che calpestavano le pozzanghere sembravano scrivere una melodia malinconica e triste di fuggitivi senza meta.
“Le cose migliori della mia vita stanno capitando quando non me ne resta molta da vivere.”, commentò amaramente V alzandosi e andando alla vetrina.
“Tutto ha un senso, anche se non siamo in grado di comprenderlo in vita. Ogni tassello che sta componendo il tuo puzzle è un motivo in più per combattere e non arrenderti.”
V sfiorò la collana, fissò a lungo il proiettile. Misty restava immobile, aveva le carte dei tarocchi tra le mani, cominciò a mischiarle senza un motivo preciso. I due restarono in silenzio per qualche istante, la pioggia picchiettava contro la vetrina e le auto sfrecciavano portandosi dietro le urla degli sventurati pedoni mancati per un soffio. V scosse il capo ai suoi pensieri. Johnny comparve al suo fianco.
“Mi dispiace.”, disse Silverhand.
“Per cosa?”
“Rischio di mandare a puttane la storia tra te e Panam come ho fatto con Alt.”
Johnny si appoggiò alla vetrina con la spalla destra, si perse nei ricordi, V fu in grado di percepirli, ma non era in grado di dire se fossero le sue emozioni per Panam o quelle di Silverhand per Alt a farlo sorridere.
“Anche nella morte continui a rompere il cazzo alla gente.”, disse V.
“Già. Una dote naturale.”
Johnny scomparve.
“Chiamala stasera, quando sarai a casa, e dille che ti manca.”, ruppe il suo silenzio Misty.
V si grattò un sopracciglio, insicuro, si voltò verso di lei e fece spallucce.
“Non sono capace.”
“Di amare? Non è una cosa che devi imparare.”
“Ho troppa paura. Di perderla, di farle del male. Il mio solo esserle vicino la condanna alla sofferenza, io non vivrò a lungo.”
“Non è una decisione che spetta a te prendere.”, lo rimproverò Misty alzando la voce e avvicinandosi impulsivamente a lui con una mano stretta a pugno e l’altra saldamente bloccata sui tarocchi. “Non sai cosa darei per poter passare anche un solo giorno con Jackie e dirgli addio.”
“Mi dispiace.”
V le diede le spalle, non poteva sostenere il suo sguardo, ricordava la mano fredda di Jackie e i suoi occhi vacui mentre si spegneva nella morte.
“Vado da Vik.”, disse il mercenario superandola e portandosi sul vicolo sul retro.

QUALCHE ORA DOPO

Il suo appartamento era buio, il temporale non aveva intenzione di smettere, alla tv si susseguivano le notizie, dalla radio giungeva una musica leggera e melodiosa, il volume era fin troppo basso per poterne carpire le parole, V fissava il soffitto, disteso sul suo letto, con l’avambraccio sinistro sulla fronte.
Pensava a Panam.
Qualcuno bussò alla sua porta.
“V? Sono io, posso entrare?”
Non ci voleva credere, si alzò dal letto, indossò le prime cose in giro, andò allo specchio per sistemarsi velocemente i capelli e con l’affanno si precipitò alla porta.
“Ehi, Panam.”, salutò con sforzo.
“Come stai?”, domandò la ragazza restando sulla soglia.
“Bene… ehm… entra pure.”, la invitò.
“Bel posticino.”
“Grazie.”
Panam si guardò un po’ attorno come una bambina ad una fiera, incrociò le dita dietro la schiena e studiò approfonditamente le mensole di V con tutte le cianfrusaglie che le adornavano. V spense la televisione e alzò il volume della radio sperando che l’atmosfera fosse abbastanza accogliente.
Si maledisse.
Lo stava facendo di nuovo.
Aveva sbagliato coinvolgendo Panam nei suoi sentimenti. La cosa più giusta sarebbe stato troncare subito, ma alla presenza della ragazza dimenticava tutti i suoi propositi. Negli occhi marroni di lei scorgeva una dolcezza che pensava di aver dimenticato e una determinazione che gli faceva pensare di essere in grado di dominare il mondo intero. Non ricordava di aver provato simili sentimenti per anni, il lavoro corporativo lo aveva strappato di tutto ciò che era umano. In quell’istante, mentre Panam sistemava una ciocca di capelli dietro l’orecchio ed esaminava una foto di V e Jackie, il ragazzo si rese conto di star respirando, di star vivendo e non sopravvivendo come aveva fatto da quando Johnny aveva invaso la sua psiche. Johnny comparve per un istante al suo fianco e gli mise una mano sulla spalla.
“Non posso toglierti ciò che io ho avuto la fortuna di avere, e la bastardaggine di mandare a puttane. Sii migliore di me.”
Scomparve lasciando solo l’eco di quelle parole, V sentì un leggero fastidio, tossì cercando di ridurre al minimo lo sforzo, un rivolo di sangue gli bagnò le labbra, ma lo ripulì prima che Panam potesse vederlo. Il silenzio che li avvolgeva era piacevole, ogni tanto Panam mormorava qualcosa tra sé, V la guardava, imbambolato, in religiosa contemplazione come se fosse un angelo.
“Come stai?”, ripetette Panam, senza guardarlo. “Ma questa volta senza stronzate.”, lo fissò.
V si sentì scoperto, debole, nudo come Adamo quando venne scoperto a divorare il pomo proibito.
“Io…”, V si avvicinò impercettibilmente. Avrebbe voluto stringerla, avrebbe voluto baciarla, avrebbe voluto poter restare con lei tutto il tempo che gli rimaneva senza dover combattere, senza dover disperatamente lanciarsi alla ricerca di una salvezza che, molto probabilmente, non esisteva. Panam si avvicinò a lui con passi leggeri, gli accarezzò la guancia, la sua mano fu bagnata dalle lacrime del mercenario.
“Non c’è bisogno che tu lo dica.”, disse lei dolcemente e prendendogli le mani per accompagnarlo sul letto.
V cominciò a piangere, Panam nascose il suo volto sul suo grembo per allontanarlo dalle brutture della vita.
“Io sono qui per te, V.”, disse la ragazza trattenendo il pianto.
V singhiozzava.
Patetico.
Debole.
Indifeso.
Umano.
“Non voglio perderti.”, disse.
“E allora combatti.”, Panam gli sollevò il capo.
V vide i suoi occhi rossi e le gote bagnate di lacrime.
“Combatti!”, ripetette Panam come per convincere se stessa e non V. “E non lasciarmi da sola. Né in pace né in guerra.”
“Io…”, V non ebbe il tempo di finire la frase, le labbra di Panam si posarono sulle sue mettendolo a tacere.
V la abbracciò aggrappandosi a lei come alla vita sfuggente.

Johnny contemplò la tragedia dell’amore umano che si consumava davanti ai suoi occhi, disperazione e speranza che si abbracciavano e si nutrivano l’uno dell’altro infettandosi a vicenda. In quel momento invidiò V. Il suo cuore sapeva amare senza mascherare. I suoi occhi erano in grado di supplicare senza dover mentire. I suoi baci non erano virgole in una tempesta di dolore e passione. In quel momento V stava amando senza mentire a se stesso sull’importanza del sentimento che covava nel cuore. Johnny fece un tiro di sigaretta.
Invidiò V.




 




 
   
 
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