Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Nina Ninetta    21/12/2020    5 recensioni
Allo scoccare della Dodicesima Luna la malvagia dea Sekhimet dovrà uccidere il Prescelto prima che i poteri di suo fratello Mithra si risveglino in lui. E' una pratica questa che va avanti dalla notte dei tempi, fin quando re Leandro decide di opporsi e affida la vita di suo figlio Sirio - il Prescelto - nelle mani dell'Esorcista Eleanor e in quelle dello Stregone loro nemico.
Terza classificata al contest "Darkest fantasy II edizione" e vincitrice del premio “Miglior personaggio".
Genere: Dark, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 5

 
 
Il Bosco Oscuro era in realtà una distesa desolata, con alberi rinsecchiti e un terreno completamente secco. Anche dall’alto si potevano notare scheletri e carcasse di animali morti e demons in decomposizione. Il Tempio di Sekhimet, invece, era una vera fortezza di cemento grigio, composta da quattro torri collegate tra loro da ponti sospesi a un’altezza vertiginosa. Sulla cima di ogni bastione si contavano almeno due custodi di ronda.
Il drago atterrò in prossimità del cancello nero e si ritrasformò in Ifrit. Eleanor fece per avanzare di gran carriera, ma lui la trattenne prima di lanciare una palla infuocata che sfiammò a contatto con la cortina che proteggeva l’intera area. Trovare una breccia non sarebbe stato facile, inoltre furono immediatamente circondati da alcune guardie con addosso una pesante armatura di ferro e il volto coperto da elmi, le spade sguainate contro di loro. Lo Stregone afferrò di nuovo la giovane tenendola per un braccio:
«Sono Ifrit, Signore del Fuoco e figlio della dea», annunciò a gran voce. «Vi porto l’Esorcista Eleanor come pegno di redenzione».
«Che fai?». La giovane cercò di liberarsi, ma la presa si fece più salda.
«Fidati di me, per una volta», le bisbigliò.
Le guardie si consultarono, infine decisero di credergli.
«Dacci la femmina».
«Prima voglio la vostra parola di poter vedere la divinità e beneficiare della sua accoglienza».
«E sia!», rispose una delle sentinelle, avanzando e prendendo in custodia Eleanor. «Prima che la grande dea deciderà di darti in pasto ai demons, potremmo divertirci un po’ insieme» sghignazzò l’uomo accarezzandole la curva del collo con l’impugnatura della spada. Ifrit gli torse il polso fin quasi a spezzarglielo:
«Ricordati: lei è mia», mollò la presa per rivolgersi a tutti gli altri: «Diffondete la voce: nessuno la tocchi prima che lo abbia fatto io!».
Eleanor urlò di lasciarla andare, inveendo contro Ifrit, poi fu trascinata via tra i consensi generali degli uomini:
«Hanno gusti sopraffini gli Stregoni» gracchiò quello che le legò i polsi e le caviglie, mentre la rinchiudeva in una prigione umida che puzzava di piscio. 
La giovane si ritrovò da sola in quella cella, rannicchiata nell’angolo opposto a uno scheletro umano; la mandibola sembrava rivolgerle un perenne ghigno macabro; si udivano gli squittii dei topi. C’era un sottofondo continuo, simile a un gemito, a volte si udivano suppliche, altre urla disumane. Eleanor in quei casi avrebbe voluto tapparsi le orecchie con i palmi, se non avesse avuto entrambi i polsi legati dietro la schiena. Allora chiudeva gli occhi con forza, recitava preghiere rivolte al Signore della Luce, oppure implorava Ifrit di salvarla.
Chiuse gli occhi e sperò che il suo piano avesse un senso. Più volte il dubbio che l’avesse abbandonata al suo destino tentò di mettere radici nel suo cuore e nella sua mente, ma cercò di scacciare quel pensiero, di tenerlo lontano. Non poteva farsi prendere dal panico, mantenere la lucidità anche nei momenti peggiori era una delle prime regole che insegnavano in Accademia: “La Luce deve continuare a splendere dentro di te, soprattutto quando tutto intorno è buio”.
Si chiese dove fosse lo Stregone, se avesse più fortuna di lei.
Non seppe mai quanto tempo trascorse lì dentro, al buio, con la sagoma dello scheletro sul fondo dell’angusta cella e i lamenti nelle orecchie. Solo una volta una guardia entrò per lasciarle una ciotola con del brodo.
«Ho le mani legate idiota, come dovrei mangiare?». Sperò che l’uomo gliele sciogliesse, invece lui si chinò in avanti e le tenne il mento fra le mani:
«Se solo non fossi di proprietà dello Stregone…», si passò la lingua sulle labbra, aveva pochi denti ingialliti. «È da parecchio che non passa una giovane come te da queste parti». Si alzò. «Lecca direttamente dal piatto se non vuoi morire di fame» si avviò all’uscita, «ma se fossi in te preferirei morire di stenti piuttosto che vivere quello che verrà». Rise chiudendosi la porta di ferro alle spalle. Eleanor sentì la chiave fare un doppio giro nella serratura.
Sì, forse sarebbe stato meglio morire di fame.
 
Era mezza assopita quando sentì la voce di Ifrit tuonare nel corridoio della prigione, sollevò piano le palpebre, ancora incerta se lo avesse sognato. Ogni muscolo era intirizzito, lo stomaco brontolava per la fame tremenda, però quando la voce dello Stregone si fece più viva, più reale, ogni pena cessò.
«Dov’è?», lo sentì dire. «È qui dentro? Dammi le chiavi e vai a farti un giro». Adesso era proprio davanti alla sua cella. La guardia di turno cercò di replicare, ma Ifrit non volle sentire ragioni.
«Sparisci, se non vuoi finire carbonizzato».
Ci fu un attimo di silenzio, poi la chiave scattò nella serratura e la porta si aprì piano, cigolando sui cardini. Lo Stregone comparve sull’uscio, aveva abiti nuovi e i capelli puliti; privo di barba gli occhi brillavano al buio.
«Soldatino!». Esclamò felice, si avvicinò liberandole prima i piedi e poi prendendo a tagliare le spesse corde che le tenevano insieme i polsi. Erano molto vicini, lui continuò a parlarle come se non l’avesse lasciata in quella topaia per ore.
«Ah, vedo che hai un nuovo amico, non deve essere di grande compagnia», indicò con un cenno del capo lo scheletro. «Ti sono mancato?».
Appena le mani furono libere Eleanor gli mollò un ceffone in pieno volto, lo schiocco rimbombò contro le pareti vuote. Lui inspirò profondamente e solo in quel momento si accorse che copiose lacrime silenziose le bagnavano il viso, cadendo oltre il collo.
«Va bene, me lo sono meritato, vuoi picchiarmi? Dai…», le prese una mano e si diede un leggero buffetto sulla guancia appena colpita. «Forza, non ti fermerò». Adagiò un palmo sul suo viso umido. «Mi dispiace soldatino. Mi dispiace». Le baciò le labbra con delicatezza. Lei socchiuse gli occhi lasciando che quel contatto spazzasse via la paura di quelle ultime ore. Le sembrò che mai nessuno fosse stato tanto premuroso con lei, neanche la sua famiglia, nessuno nell’Accademia.
«Sirio è ancora vivo, so dove lo tengono, andiamo». Tenendola per mano l’aiutò a rimettersi in piedi. Attese che nelle gambe riprendesse la normale circolazione, poi uscirono dalla prigione.
Era stato il suo primo bacio.
 
Strada facendo le diede da mangiare del cioccolato e le spiegò che Sirio si trovava nella torre a ovest e che loro erano in quella a sud; le consigliò di fingere di essere sua prigioniera nel caso avessero incontrato qualcuno lungo il cammino.
«Ma ti stupirai di notare quante poche guardie ci siano», evidentemente, spiegò, la dea era sicura che mai nessuno si fosse intrufolato nel suo regno.
Eleanor trovò alcune armi abbandonate ai piedi di vecchie armature e si impossessò di una lancia. Con un’arma stretta nelle mani si sentiva molto più al sicuro.
Giunsero nei pressi della torre ovest, anche questa deserta. Salirono una rampa di scale a chiocciola che sembrava non finire mai, ma quando finalmente raggiunsero la sommità trovarono due guardie di piantone davanti a una piccola porta. Ai piedi altrettanti demons dalle sembianze feline. Lo Stregone lanciò subito due palle infuocate contro di loro, mentre Eleanor provvedeva a infilzare le bestie.
Oltre la porticina la stanza era a forma circolare, molto ampia, al centro c’era un unico tavolo di cemento, sporco di sangue vecchio e ormai incrostato. Sopra le loro teste il soffitto era caduto in più punti, si potevano notare le nubi scure. Una scala di pietra conduceva sul tetto.
«Principe», chiamò l’Esorcista, l’apprensione nella voce quando le rispose il silenzio più assoluto. «Sirio!». Il tono si alzò.
«Arrivano», disse lo Stregone invocando una barriera di fuoco per chiudere l’unica entrata possibile. Le guardie ci finirono contro, diventando torce umane.
Eleanor girò intorno all’altare e proprio al lato opposto scovò il corpicino del Prescelto riverso sul pavimento, privo di sensi. Lo sollevò per le spalle, dandogli un paio di buffetti sulle guance. Lo chiamò più volte, poi lentamente lui sollevò le palpebre e accennò un sorriso stentato.
«Sei-sei venuta» farfugliò.
«Certo. Certo che sono venuta a salvarti». Lo strinse contro il petto, come avrebbe fatto una mamma affettuosa.
Poi si udì uno schianto, nelle pareti si formarono alcune crepe prima di cedere del tutto. Un orco enorme ne fece capolino, nella mano destra teneva una grossa clava, il braccio mancino era stato reciso di netto. Dalla bocca colava saliva vischiosa e maleodorante.
Ifrit raggiunse i suoi compagni:
«Dobbiamo andarcene». Notò Sirio perciò sollevò un palmo sorridendo: «Ehi moccioso, ti trovo in formissima».
Il ragazzino ampliò il sorriso e tentò di mettersi in piedi. Eleanor lo sostenne, consigliando di raggiungere le scale.
«Come se fosse facile» aggiunse lo Stregone.
L’orco emanò un urlo agghiacciante, qualche guardia lo punzecchiò con la punta della spada affinché attaccasse gli intrusi, perciò cominciò a menare colpi con la clava a destra e a manca. Ifrit lo prese in pieno volto con un paio di bolle di fuoco, ma ottenne solo l’effetto di accrescere l’ira del gigante.
Si precipitarono su per le scale, finalmente all’aria aperta. Erano molto in alto e non c’erano altre vie di fuga, inoltre lo Stregone portò dietro di sé una scia di sentinelle e demons, e a ogni botta dabbasso dell’orco la torre sussultava.
Sirio si accasciò sulle ginocchia, Eleanor si chinò al suo fianco. Era debole, troppo. Ifrit se ne stava in piedi davanti a loro a combattere senza tregua, aveva già eliminato una decina di nemici, ma ne stavano arrivando altri e da lontano si potevano già udire i versi gracchianti delle Arpie.
«Così non va», costatò l’Esorcista.
«Che lungimiranza, soldatino», ironizzò lui. «Adesso mi dirai anche che siamo in trappola?».
Eleanor studiò l’ambiente circostante. La sommità della torre dominava sull’intero Bosco Oscuro; ormai brulicava di bestie demoniache, di guardia di Sekhimet e le Arpie stavano giungendo da chissà dove. Non avevano scampo, se non che...
«Principe, ce la fai a correre fino al parapetto?».
«Ci-ci posso provare».
«No!», l’Esorcista lo scosse per le braccia e lui parve destarsi da un sogno. «Ce la devi fare!».
«Va bene Ely, ce la faccio».
«Bravo».
Si rimisero in piedi, il cielo nero fu attraversato da un lampo e il volto della dea comparve fra le nubi. Era molto bella, aveva lineamenti felini e gli stessi occhi di Ifrit rilucevano come fuoco vivo. Spalancò la bocca, creando uno squarcio nel cielo da cui spuntarono le Arpie. Il Prescelto si lamentò, come se un coltello lo avesse appena infilzato.
«La testa» disse tenendosela fra le mani, «mi scoppia».
Era la vicinanza con l’oscurità, comprese Eleanor, ecco perché era così provato nel corpo e nell’animo. La sua vitalità andava scemando, come assorbita. Lo Stregone creò uno scudo sopra la loro testa appena prima che due Arpie potessero afferrarli.
«Potresti anche darmi una mano, soldatino».
La giovane invece prese una mano di Sirio nella sua, gli parlò piegandosi sulle ginocchia per guardarlo dritto negli occhi, quegli occhi luminosi e chiarissimi che aveva giurato di proteggere a qualunque costo:
«Sei pronto? Devi solo correre fino alla balaustra, poi penserò io a tutto».
«Va bene».
Mano nella mano scattarono verso sinistra, lasciando Ifrit da solo a tenere a bada il branco inferocito.
«Salta!» gli ordinò Eleanor e il ragazzino saltò senza chiederle nulla, perché di lei si fidava. Il vuoto assoluto si spalancò sotto di loro, il vento fra i capelli, il buio li inghiottì.
«Ifrit!» urlò la giovane.
«Agli ordini, soldatino!».
Lo Stregone lanciò un’ultima meteora contro alcuni demons che indietreggiarono guaendo, poi mutò forma e volò oltre il parapetto, in picchiata.
Quando il Prescelto riaprì gli occhi si ritrovò sulla groppa del drago. Stavano fuggendo dal Regno Oscuro, le Arpie alle calcagna e il volto minaccioso di Sekhimet contro il cielo nero. Alzò lo sguardo su Eleanor, lei teneva il suo dritto davanti a sé, lo notò e gli sorrise con dolcezza.
«Dormi principe, dormi».
E lui dormì.
 
Si svegliò perché qualcosa non andava. Provava sensazioni mai provate fino a quel momento. Un dolce tepore lo avvolgeva fin nelle ossa, profumi nuovi e intensi gli solleticavano il naso. Sollevò piano le palpebre, ma un intensa luce gialla gliele fece richiudere d’istinto.
«Principe», Eleanor lo scosse con delicatezza. «Ci siamo principe, siamo nel Regno di Mithra».
Sirio aprì gli occhi, il cielo oltre il volto dell’Esorcista era di un azzurro splendente, il terreno sopra il quale era disteso morbido e verde, di tanto in tanto spuntavano fiori rossi che aveva visto solo nei libri. Il loro nome era papaveri, se ricordava bene. Una coppia di uccellini si posò sui rami di un albero, cinguettarono, si rincorsero, si beccarono come per baciarsi, poi volano via in armonia.
Davanti a loro si estendeva una vera città, sulle cime delle Sacre Montagne si scorgeva una splendida Cattedrale di marmo bianco, il rosone emanava riverberi di luce e colori. Ai suoi piedi si apriva la capitale del Regno, qui la gente sembrava cordiale, il mercato era un insieme di voci, odori e musica. Le persone non fecero caso ai tre stranieri; un venditore invitò Eleanor a provare i suoi tessuti, un altro porse a Sirio un pezzo di formaggio lavorato con il latte delle sue capre. Era un mondo completamente diverso da quello in cui avevano vissuto finora.
«È così che sarebbe senza Sekhimet?», chiese il principe stordito da tutto ciò.
«Probabile», gli rispose Ifrit.
Scalarono la lunga scalinata che precedeva il Tempio di Mithra. Vista da vicino la costruzione era ancora più maestosa. Due saggi erano immobili all’ingresso, nell’attesa che arrivassero.
«Benvenuto Prescelto», lo accolsero. Indossavano lunghi mantelli grigi, il cappuccio calato sul capo e gli occhi cicatrizzati. Non c’era alcuna intonazione nella voce. Inoltre lì, così in alto, si poteva udire distintamente lo sciabordio di una cascata.
«È la sorgente del fiume Kaos, dove tutto ha inizio», spiegò uno dei due uomini anticipando la domanda del ragazzino, quindi aggiunse: «Vieni».
Sirio si aggrappò a Eleanor:
«Non lasciatemi solo».
«No, certo che no». Lei guardò Ifrit.
«Nel Tempio del Dio possono entrare solo coloro che intendono intraprendere il cammino della Luce, i figli delle tenebre non sono ammessi».
«Tranquillo nonno, non ho nessuna intenzione di fare clausura», affermò lo Stregone.
«Ely…», Sirio l’abbraccio più forte, guardandola con occhi imploranti.
«Io…». La giovane lanciò nuovamente un’occhiata verso Ifrit, avrebbe voluto che lui dicesse qualcosa, che magari la convincesse a fare l’una o l’altra scelta. Invece lo Stregone rimase in perfetto silenzio.
La sua vita era stata spesa dedicandola al cammino della Luce. La sua adolescenza sacrificata all’addestramento, con lo scopo finale di diventare un Saggio, un sacerdote di Mithra. Tutto questo prima che scoprisse anche l’altra faccia della medaglia: Ifrit.
«Ely?». La vocina di Sirio scacciò via ogni dubbio sul da farsi.
«Va bene, verrò con te principe». Il ragazzino sorrise come non faceva da qualche tempo, poi lei si rivolse allo Stregone: «Sei libero, il nostro legame finisce qui».
«Non funziona così» le fece notare lui.
«Invece funziona proprio così», rispose l’Esorcista infastidita dalla sua continua impertinenza.
«Grazie di tutto Stregone», si intromise Sirio.
L’uomo si chinò sulle gambe per scompigliargli i capelli dorati:
«Fai cose buone moccioso» poi tornò in posizione eretta rivolgendosi a Eleanor un’ultima volta: «Mi troverai alla locanda del paese semmai dovessi cambiare idea». Lei non disse altro, semplicemente si fece guidare dal Prescelto oltre i mastodontici portoni d’ingresso della Cattedrale che si spalancarono solo per loro.
 
All’interno la chiesa era ancora più splendida che ammirata da fuori. La luce del sole entrava dalle enormi finestre disposte lungo le navate laterali, la statua del dio troneggiava in fondo a quella centrale; i ritratti appesi alle pareti ritraevano la battaglia contro sua sorella Sekhimet, nonché la vittoria finale del Bene sul Male.
Un terzo Saggio si avvicinò, rivolgendosi alla giovane Esorcista.
«La tua arma», disse.
«Come?».
«Devi posare l’arma, non ti servirà più».
La giovane brandì la lancia e la tenne nella mano libera - Sirio le stringeva ancora l’altra -. Ne osservò la punta insanguinata, era così famigliare tenerla con sé…
Ripensò a tutto quello che aveva passato per arrivare fin lì; all’angoscia provata nella cella prima che Ifrit comparisse sulla soglia della porta; alla battaglia contro Scorpius, alle volte che lo Stregone si era frapposto tra lei e i nemici per proteggerla; alla sensazione di libertà alla quale stava rinunciando. Pensò a sua sorella Miriam, morta per ciò in cui credeva: l’amore. E il fatto che lei non aveva saputo aiutarla.
Tutta quella luce che penetrava dalle finestre e il calore del sole non erano comunque paragonabili al tepore, al benessere che l’aveva pervasa stando abbracciata allo Stregone nel cuore della Foresta degli Incanti. Allora ripensò a Febe, al suo ventre vuoto e il cuore pietrificato che, nonostante tutto, non era capace di ammazzarsi, ma dedicava la sua esistenza facendo ciò in cui era brava: aiutare gli altri.
E lei in cosa era brava?
«Principe». La voce di Eleanor era ferma, pretese che lui la guardasse negli occhi, parlò piano per assicurarsi che capisse ogni parola. «Questo è il tuo destino, tu sei il Prescelto, non hai alternative per ora. Ma io sì. Io posso scegliere chi essere e scelgo la libertà, scelgo la vita».
«Promettimi che tornerai se avessi bisogno di te».
«Te lo prometto: tornerò per combattere ancora insieme».
«E sarò io a proteggerti».
Si strinse a lei, la quale ricambiò senza trattenersi. Fu un saluto privo di pianti, privo di addii, forse perché entrambi sapevano che un giorno avrebbero lottato l’uno al fianco dell’altra per riportare la Luce sul mondo.
Eleanor abbandonò la cattedrale senza indugi, senza mai voltarsi indietro, con la lancia contro la propria schiena
In cosa era brava?
Nell’uccidere demons, ovviamente.

 
 
Epilogo
 
 
La taverna era colma di gente: i tavoli occupati e al bancone uomini dal volto arrossato per il vino si godevano la vista delle donne che ballavano per loro. Anche in quel senso la capitale del Regno del Sole era diversa rispetto ai villaggi o alla città in cui Eleanor era cresciuta. Tutto lì era più disinibito, più fresco e inebriante.
La giovane non ci mise troppo per individuarlo: Ifrit sedeva da solo in fondo al locale. Gli occhi tradivano la sua vera natura, evidentemente nessuno voleva rogne lì dentro, tanto che neanche le donne gli davano retta, sebbene un giovane uomo privo di compagnia potesse essere un buon affare per quella notte.
Il tavolo di legno era imbandito di ogni leccornia, così tante pietanze e bevande che avrebbero sfamato tranquillamente un esercito. Eleanor abbandonò la lancia sulla superficie del piano e si accomodò di fronte a lui, prendendo un chicco d’uva da una delle tante ciotole.
«Nessuno sarebbe in grado di mangiare tutto questo da solo», gli fece notare.
Lo stregone beve un lungo sorso di birra, si pulì con il dorso della mano:
«Infatti, non sono solo», addentò una coscia di pollo e parlò con la bocca piena: «Che vuoi?».
«Prego?».
«Perché sei qui? Mi hai detto che ero libero, ora che vuoi da me?».
«Proporti un lavoro».
«Sentiamo».
«Diventiamo soci in affari: cacciatori di demoni. La gente paga bene per essere liberata dalla piaga dei mostri che mangia il loro bestiame o devasta il proprio raccolto».
Ifrit morse un altro pezzo di carne prima di risponderle:
«Uno Stregone e un’Esorcista: una coppia alquanto insolita».
«Non mi sembri tipo da vergognarti». Eleanor bevve dal suo stesso bicchiere, storcendo il muso. «Questa birra è orrenda».
Lui lasciò la coscia nel piatto, era mangiucchiata a metà, si pulì le mani con il tovagliolo di stoffa e tolse alla giovane il boccale per berci. Soffocò un rutto, poi disse:
«Sono legato a te, non hai bisogno di chiedermi le cose».
«Lo so, ma non mi piace l’idea di obbligarti a fare qualcosa che non vuoi. Smettila di trattarmi come se non provassi dei sentimenti».
Lo stregone rise, gettando la testa all’indietro come il solito:
«Ah davvero, scusami se ho turbato la tua sensibilità. E per chi proveresti questi sentimenti, oltre che per la tua ossessione di combattere l’Oscurità, ovviamente».
«Per te, va bene?!».
Ifrit ritornò serio, uno scintillio attraversò gli occhi felini, scattò in avanti allungandosi sul tavolo, la brocca si rovesciò gocciolando birra ovunque. L’afferrò per la nuca e l’attirò a sé, baciandola con passione.
«Accetto», concluse tenendo ancora le labbra incollate alle sue. «Accetto».
 
La stanza della locanda non era vecchia e sporca come quella in cui avevano alloggiato la prima notte del loro lungo viaggio. Il letto a due piazze li accolse già mezzi nudi, mentre si spogliavano reciprocamente non avevano smesso neanche un attimo di lambirsi le bocche. Sdraiato sopra di lei Ifrit cominciò a sfiorarle il collo con la lingua, l’incavo al di sotto del mento, intanto che le dita le stuzzicavano un seno, le accarezzavano la pelle nuda del bacino.
Eleanor precisamente non sapeva cosa fare. Le sembrava solo di ricevere senza dare. Le sue mani ora si aggrappavano ai suoi capelli lunghi sopra le spalle, ora gli sfioravano la schiena muscolosa e marchiata da profonde cicatrici. La testa vuota, leggera, grazie al piacere che stava provando, poi sentì la biancheria intima scivolare lungo le cosce.
«Non-non sono mai stata con nessuno», farfugliò con quel poco di lucidità che le era rimasta. Lui tornò a baciarle le labbra.
«Ed io non sono mai stato con un’Esorcista».
La giovane cercò di sorridere, sentì la tensione allentarsi, il piacere aumentò, era come se una necessità potente, urgentissima, bruciasse nel basso ventre.
«Siamo pari, allora» aggiunse, sforzandosi di guardarlo negli occhi, quegli stessi occhi che l’avevano attratta fin dal primo momento, così belli, spaventosi e magnetici insieme.
«Già...».
Ifrit la penetrò. Lei sussultò, il respiro si smorzò nel petto, poi si aggrappò letteralmente alla sua schiena, assecondandone i movimenti. Era incredibile come due corpi estranei sapessero muoversi in perfetta sintonia tra loro.
 
Lo Stregone la trovò seduta con la schiena contro il letto e il naso all’insù, rivolta verso il cielo stellato e la luna piena che biancheggiava sopra i tetti delle case.
«La Dodicesima Luna».
Lui prese posto al suo fianco coprendole le spalle con una coperta, quindi rimase a torso nudo con i capelli bagnati pettinati all’indietro.
«Credi che il principe riuscirà a sconfiggere Sekhimet un giorno?».
«Chi può dirlo».
Eleanor adagiò la testa contro la sua spalla, continuando a tenere gli occhi puntati verso le stelle: quei puntini luminosi che si diceva racchiudessero tutte le anime dei morti.
«Fu Miriam a scegliere il mio nome quando nacqui. Mio padre accompagnò mia madre da una levatrice affinché l’aiutasse ad abortire. Non voleva saperne di crescere un altro figlio. Per qualche strano motivo l’aborto non riuscì e allo scadere del nono mese venni al mondo. Mia mamma ha sempre sostenuto che sia stata la musica di Miriam a tenermi in vita. Lei suonava la lira, era molto brava, lo stesso re Leandro richiedeva la sua presenza durante le serate importanti. Ecco perché il mio vero nome è Lira».
«È davvero un bel nome, Lira».
La giovane sorrise con dolcezza, il sonno cominciava a prendere il sopravvento.
«Cosa faremo adesso, Ifrit?».
Lui le lasciò un bacio sui capelli:
«Ci penseremo domani».
Ma lei era già caduta nel mondo dei sogni. I suoi, finalmente.

 
 
fine




 
Ringraziamenti
Non me ne vogliano gli altri utenti che hanno letto e recensito questo mio primo dark fantasy fino all'ultimo capitolo, ma questa storia devo dedicarla a Spettro94. E' doveroso! Senza le letture dei tuoi tanti racconti forse non avrei saputo neanche da dove cominciare. Ovviamente la mia storiella non può essere paragonata alle tue saghe, ma qualcosa ho pur appreso dai tuoi scritti ;)
Grazie quindi e grazie per le recensioni folli :D

Grazie a yonoi - sempre presente! -, ad alessandroago_94 - sempre troppo gentile! e infine (ma solo per numero di apparizione...) grazie a Tubo Belmont - spumeggiante! - .
E grazie a chiunque abbia letto,
Nina^^


 
  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Nina Ninetta