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Autore: valwrites    22/12/2020    1 recensioni
11x03 fill-in fic. In cui Mickey tenta di consolare Ian. Ambientata tra la sfuriata esemplare di Lip e l'esilarante scena finale tra Mickey e Ian in camera da letto.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Ian Gallagher, Mickey Milkovich
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Gallavich - Stagione 11'
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Silenzio assoluto. È quello che cade sulla cucina dei Gallagher non appena l’ultima sillaba lascia le labbra di Lip. Il suo tono di voce lascia di stucco tutti i presenti, anche una persona poco impressionabile come Mickey. Rimane lì in piedi all’isola della cucina, un piatto di lasagna in una mano e un pacco di piselli nell’altra, premuto sulla fronte. I suoi occhi cercano automaticamente Ian, anche se lo stronzo è la ragione per cui sta tenendo un pacco di piselli surgelati contro la propria faccia, in primo luogo. Ma Ian non lo può vedere, girato com’è verso l’altra parte della stanza. Se ne sta lì stravaccato sulla sedia, bilanciando un pacco di piselli surgelati identico al suo sulla testa. Riesce a vedere la sua espressione. È imbarazzato, e al contempo sembra essere giunto definitivamente allo stremo. Ironico, visto che è colpa sua se entrambi ora stanno cercando un po’ di sollievo in dei piselli del cazzo. Ironico davvero

La sua attenzione viene distolta dalla faccia di suo marito da un suono familiare di passi. Sa già chi è ancora prima di voltarsi nella sua direzione. L’unica parola che gli viene in mente in quell’esatto momento per descrivere Sandy è incazzata. Poi vi aggiunge anche delusa. Ma sua cugina non dice nulla, si limita a mandare un occhiata piena di risentimento verso Lip. E poi Sandy non c’è più. Ed è davvero questione di un minuto, due al massimo, e in cucina rimangono solamente Ian e Liam, ancora seduti al tavolo della cucina. Mentre li raggiunge, Ian si alza finalmente da quella posizione indicibile, posizione che gli aveva fatto venire un mal di schiena solamente a guardarlo. Si siede dritto sulla sua sedia e allunga un braccio verso il suo fratello più piccolo. Una volta sedutosi di fronte ai due, Mickey riesce a vedere l’espressione sconfitta e colpevole di Liam. Cazzo, ha tipo undici anni. Cosa si aspettava Debbie? Certo, Mickey a undici anni ne aveva passate di peggiori, era stato picchiato da suo padre già almeno dieci volte fino ad allora. Ma qui, in casa Gallagher, doveva essere diverso. Qui le persone si volevano bene. A casa sua nessuno si voleva bene. Certo, avrebbe spaccato la faccia a chiunque avesse fatto qualcosa che non avrebbe dovuto a Mandy e quel coglione di Iggy, il più giovane dei suoi fratelli, non era male quando chiudeva quella bocca del cazzo. Ma non avrebbe mai definito niente di tutto ciò volersi bene. No, affatto. Volersi bene era tutta un’altra cosa. Erano Ian e Lip al tavolo da pranzo la mattina prima di andare a lavorare, che parlavano del più e del meno. Era Ian che mostrava alla gente le foto di Carl che aveva fatto il suo primo arresto. Erano tutti loro che si prendevano cura di Franny quando Debbie era troppo occupata a fare chissà cosa, chissà dove. Volersi bene sono Ian e Liam in quell’esatto momento, dinanzi ai suoi occhi. È la mano di Ian sulla testa di suo fratello, che scuote la sua spalla e gli alza il mento per guardarlo. 

“Ehi, non ti preoccupare. Lo sai com’è Debbie a volte. Non è colpa tua. Non è tuo il compito di prenderti cura di sua figlia.” La voce di suo marito è estremamente dolce, morbida. Apprensiva. La maledice, però. Al diavolo Ian e la sua voce. Al diavolo la sua voce, in grado di fargli dimenticare ogni volta qualsiasi motivo per cui avrebbe dovuto essere arrabbiato con lui. E l’unica cosa che vorrebbe realmente, in quel momento, è essere arrabbiato con Ian, aspettare che Liam se ne vada per rinfacciarglielo. Ma quella voce gli fa dimenticare tutto. La lite, le botte. Tutte quelle cose fuoriescono dalla sua mente e lasciano spazio ad un’unica cosa, un unico sentimento. Amore. Amore incondizionato per quella testa di cazzo di suo marito. Anche quando quella voce non è rivolta lui. E diamine, se ne era passato di tempo dall’ultima volta che aveva sentito quella voce destinata a lui. E gli manca. Gli manca da morire. 

Ed è allora che il senso di colpa lo travolge. Se permette a se stesso di rifletterci, di sentire veramente, lo percepisce chiaramente. Il rimorso. Si abbatte ferocemente su di lui in un secondo. E ciò che sente in quel momento non è bello. Non è bello per niente. Sente la voce di Ian, sconfitta. Gli sta dicendo che ha lasciato il lavoro, gliela sta dando vinta, gli sta chiedendo, senza dire neanche una parola al riguardo, una spalla su cui piangere. E Mickey cosa fa? Lo schernisce, lo provoca. Lo delude. Quindi forse non doveva essere così stupito dalla sua reazione. Non doveva prendersela con lui per le botte. Forse, alla fine dei conti, si era meritato ogni pugno. 

Ed era stato così silenzioso mentre tornavano a casa. Nessuna battutina o frecciatina nei suoi confronti. Niente di niente. Forse era quella la cosa peggiore. Poteva sopportare ogni commento del cazzo, davvero. Ma non il silenzio. Poteva sopportare le rughe che si formavano sulla sua fronte e il modo esagerato in cui aggrottava le sopracciglia. Ma non riusciva assolutamente a tollerare la sua espressione vuota. E non era neanche che non sopportasse la cosa in sé. Non sopportava ciò che implicava. E l’espressione vuota di Ian non significava mai nulla di buono. 

Quindi adesso, quando Liam decide che è arrivato per lui il momento di andare a dormire e tutta la casa ricade in quel silenzio assordante, quando Ian abbassa la testa e comincia a giocherellare con la sua fede, Mickey fa l’unica cosa che in quel momento ha il coraggio di fare, l’unica che gli sembra opportuna. Ha paura di parlare, paura di cosa potrebbe uscire dalla sua bocca. Quindi allunga una mano sul tavolo e prende una mano di Ian tra le sue. Le sue lunghe dita si stringono subito intorno alle sue e Mickey potrebbe giurare di sentire i propri polmoni riempirsi di aria. 

Il gesto gli da il coraggio di alzarsi e sedersi vicino alla sedia prima occupata da Carl. Lo fa senza mollare la mano di Ian e ora è così vicino a lui che gli manca il fiato di nuovo. Le loro ginocchia si sfiorano e Mickey non può fare altro che guardarlo, guardare il suo viso così triste e le lentiggini che lo ricoprono. Ormai le conosce a memoria. 

Se c’è una cosa che odia veramente, è vedere Ian così. Per questo alza la mano libera e la passa tra i suoi capelli, rigirando i suoi ricci tra le dita, sperando di dargli un minimo di conforto. Ma quando il viso di Ian si contrae così orribilmente, quando Ian rafforza la presa sulla sua mano, appoggiandoci sopra la fronte, Mickey sente qualcosa dentro di sé spezzarsi. 

“Ian, cazzo.” I suoi singhiozzi sono orribili, il modo in cui il suo corpo trema qualcosa di intollerabile. Tenta di avvicinarglisi il più che può e Ian deve averlo capito perchè in un attimo la sua testa è premuta contro il suo petto e i suoi capelli rossi gli sfiorano la bocca. La sua mano, prima stretta in quella di Ian, viene abbandonata lì sul tavolo. In cambio, sente le braccia di Ian sulla sua vita, stringere e stringere. E la cosa più terrificante è il fatto che questa non sia assolutamente una cosa da Ian. Ian è forte, orgoglioso, non piange in questo modo. Non l’aveva fatto neanche nel periodo peggiore della sua vita, dopo la sua diagnosi. 

Dunque forse è per questo che quando le sue braccia circondano il corpo di Ian a sua volta sente un lieve tremore nelle proprie mani. 

“Dai, Ian. Va tutto bene…” Preme le labbra tra i capelli di Ian e si ritrova a sperare con tutto il cuore che non si tratti di un episodio depressivo.

“Ian… lo so che io… le cose che dico, lo sai che non lo dico sul serio. Non so perchè lo faccio e… non dovevo sminuire il fatto che-”

“Non si tratta di quello, Mick.” Lo interrompe, e la sua voce non è altro che un lamento prolungato. Sente qualcosa bruciargli in gola, un formicolio alla base degli occhi. Nella sua mente maledice Ian per essere in grado di renderlo così vulnerabile. Un Milkovich. Ma non avrebbe pianto. Ingoia il groppo che gli si era formato in gola e sposta le mani dalla schiena di Ian al suo volto. Le poggia sulle sue guance rosse e alza il suo volto. Ma Ian non lo sta guardando. Non sta singhiozzando più, ma le lacrime continuano a sgorgare dai suoi occhi. Il suo primo istinto è quello di baciarlo. E dunque lo bacia, delicatamente. Un semplice tocco di labbra. Quelle di Ian sono umide, lasciano un sapore salato sulle sue.

“Ehi… guardami. Che succede?” 

Allora Ian alza la testa e fissa i suoi occhi verdi e gonfi nei suoi e Mickey si sente spezzare per l’ennesima volta. Le sue labbra sono leggermente aperte nel tentativo di tornare a respirare normalmente. Mickey gli passa una mano sulla guancia e Ian l’afferra immediatamente. Non ripete la domanda, aspetta che sia lui a parlare. Per ora si limita a guardarlo. 

“Io… non so. Credo di essere stanco.” 

Ed eccola di nuovo lì, quella sensazione. Il pulsare del suo cuore che accelera e accelera e accelera e lui non può farci nulla se non sperare che Ian non se ne accorga. Tenta di concentrare la sua attenzione sulla mano gigante piena di lentiggini che tiene stretta la sua, sulla fede che cinge il suo anulare. Ian era stanco di lui. Era inevitabile, del resto, no? Tutti si stancano di Mickey Milkovich. La feccia del Southside. 

“Sono stanco perché mi sento un tale fallimento, Mickey.” La sua voce è ferma mentre le parole escono dalla sua bocca, eppure Mickey la sente, l’emozione. In ogni singola parola. Aspetta che Ian vada avanti. “Ero un paramedico, Mickey. E ora lavoro dieci ore al giorno in un cazzo di magazzino. Dieci ore che neanche mi pagano del tutto. E non solo.”

Viene colto di sorpresa quando Ian molla la sua mano e si alza dalla sedia. Comincia a girare avanti e indietro nella cucina. “Non solo mi spacco la schiena per una paga del cazzo, ma devo subirmi quello stronzo del mio capo che mi dà della puttana!” 

“Cosa?” Cosa cazzo aveva appena sentito? “È per questo che hai mollato?”

Ed è allora che Ian alza le braccia al cielo e ride. Mickey lo sa che è arrabbiato, eppure quella risata gli fa venire i brividi. 

“Giusto! Ho mollato, cazzo! Gli ho lanciato una cazzo di scatola in faccia a quel pezzo di merda! Oh, ed è stato bello, Mickey. Non sai quanto.”

Mickey lo capiva, davvero. Fosse successo a lui, gli avrebbe spaccato la faccia. Cazzo, gli voleva spaccare la faccia ora, a dire il vero. Non ci avrebbe pensato due volte a prendere a calci in culo chiunque si azzardasse a toccare o anche solo offendere Ian. Ma ora Ian aveva ripreso a camminare in circolo e Mickey sente che la sua testa è sul punto di esplodere. 

“Cazzo, Ian, siediti. Per favore.” Ian si ferma sui suoi passi. Guarda prima lui e dopodichè da un’occhiata intorno a sé. Sembra smarrito. Ma poi annuisce e si siede. E mentre lo fa le loro cosce si sfiorano e solamente quel semplice tocco riaccende mille emozioni dentro il suo corpo. Ian non lo sta guardando, ma non cerca di convincerlo a farlo. Invece, gli prende una mano e la stringe tra le sue. Poi, sentendosi estremamente audace, porta la sua mano alle labbra e la bacia. Quando torna a guardare Ian, lo stronzo sta sorridendo e Mickey giura di poter sentire le proprie guance andare a fuoco. Ma sorride comunque. 

Ian non parla e non lo fa neanche lui. Rimangono lì per un pò, le mani intrecciate e gli sguardi abbassati. Ian sta leggermente tremando e quando finalmente Mickey si decide a guardarlo, si ritrova davanti quegli occhi verdi. Ingoia il nuovo groppo che gli si era formato in gola. 

“Io… penso di aver avuto quella reazione perché mi aveva chiamato in quel modo, e perché anche tu l’avevi fatto prima e…” 

Mickey l’aveva già capito in realtà. L’aveva capito non appena aveva spinto via il corpo di Ian dal suo quella mattina. Non appena Ian l’aveva guardato in quel modo. Spaventato. Eppure aveva continuato a stuzzicarlo. E poi Ian era esploso e poteva davvero biasimarlo? Questa volta è lui ad abbassare lo sguardo. Essere vulnerabile è ancora difficile talvolta. Ma deve lasciare andare. Deve lasciare andare le sue insicurezze, alla fine. Ian se lo meritava ma se lo meritava anche lui. Dopo tutti gli anni passati a nascondersi, ora ha la possibilità di essere vulnerabile con la persona che ama. Glielo deve, a quel ragazzino di sei anni che era stato picchiato dal padre per la prima volta; a quel ragazzino di dieci anni, costretto a fumare uno spinello dai suoi fratelli maggiori; a quel ragazzino di diciotto anni che si era chiuso in camera sua, in preda ad un attacco di panico, ricoperto da lividi dalla testa ai piedi, dopo essere stato stuprato da una prostituta russa di fronte al ragazzo di cui si era innamorato. 

E ora Mickey vuole essere sincero, non vuole avere paura. Non vuole, perchè non ha alcun motivo di esserlo, adesso. Adesso va tutto bene. Va tutto bene. 

“Ian, io… mi dispiace, cazzo. Io non so perchè ho detto quelle cose.” Prende un respiro profondo. “Cazzo, suonerò come una ragazzina tredicenne innamorata, ma… lo sai che sei tutto per me, vero? Ti amo da quando avevo… cazzo, tipo 16 anni?”

Ian lo guarda e le sue gambe si fanno molli. Torna a sorridere, seppur lievemente, e per Mickey è come tornare a galla. Tornare a respirare. 

“Credo che la mia testa non stia funzionando più molto bene...” Si passa una mano sul viso, tra i capelli e inspira. La sua gamba destra trema quasi impercettibilmente, ma a Mickey sembra che qualcuno abbia tolto la terra da sotto i suoi piedi. “Non so. Forse stanno succedendo troppe cose e non so più come gestirle.” Prende la sua mano e la stringe. “Ciò che ho fatto, all’Alibi… non è affatto giusto. Anzi, fa schifo e… e mi sento uno schifo per questo e mi dispiace, ok? Mi dispiace, Mickey. Davvero.” 

Non sa cosa dire, in realtà. Non sa cosa dire perché nessuno gli aveva mai chiesto scusa per averlo picchiato, tanto meno non quando in fondo sapeva benissimo di esserselo meritato. E la sua reazione è la solita, ormai. È diventata la sua seconda natura. E non riesce davvero a sopportare di vedere Ian in quello stato. Quindi prende il suo viso tra le mani e lo bacia. Lo bacia e lo bacia finché non gli manca il respiro. E ora lo sa che Ian sa.

Adesso è lui a stringergli la mano. “Senti, Ian. Non sono arrabbiato, ok? Ho detto tutte quelle cose e mi dispiace. Capisco perché l’hai fatto e va bene.” Gli prende il viso tra le mani. “Se senti che questo potrebbe essere,” inspira profondamente, “un episodio maniacale, chiamiamo la psichiatra come prima cosa domani mattina, va bene?” 

Ian annuisce. Ha gli occhi chiusi, ma annuisce. 

“E magari la prossima volta dimmelo, così evito di fare battute del cazzo.” 

Ian lo guarda questa volta e sorride. Comincia a ridacchiare, addirittura, ed è come se qualcuno abbia rimesso la terra al suo posto. “Vaffanculo.” 

Beh, è qualcosa. Rimangono così, mano nella mano, in silenzio. Non ha idea di quanto tempo sia passato quando decide di averne abbastanza. Così stringe la mano di Ian. Lui alza lo sguardo. “Ehi, andrà tutto bene.” 

Ian annuisce. E mentre stanno lì seduti a non fare nulla, Mickey infila una mano in tasca per prendere il pacchetto di sigarette, ma vi trova qualcosa di meglio. Qualcosa che aveva completamente dimenticato dal momento in cui, insieme ad Ian, era uscito dall’Alibi. Il brownie di Veronica. Cazzo, quell’affare doveva essere completamente imbottito di erba. Forse è ciò di cui hanno bisogno. Sballarsi. 

Quando alza lo sguardo Ian lo sta fissando con quel ghigno adorabile stampato in faccia. Lancia il brownie nella sua direzione e ne tira fuori un altro dall’altra tasca. 

Al diavolo. Avrebbero pensato ai loro problemi domani. L’unica cosa che voleva ora era stare con Ian, mangiare quei cazzo di brownie e dimenticare, per almeno una sera, tutti i loro problemi, i bisticci, le litigate. Si sarebbero sballati, avrebbero riso come due coglioni e avrebbero scopato. Oh, e Mickey avrebbe fatto capire a Ian quanto lo apprezzasse.


Note dell'autrice: premetto che questa non è una delle mie opere migliori. Anzi, non so neanche se mi piaccia del tutto. In ogni caso, eccola qui. Ho sinceramente adorato questo episodio, credo sia uno dei migliori che Shameless abbia mandato in onda da un sacco di tempo. Non starò qui a sprecare tempo a dire che ho amato i Gallavich e che d'ora in poi non vedrò più i Jonas Brothers allo stesso modo... In ogni caso, avrei voluto vedere una specie di dialogo tra i due, ma visto che non ci è stato, ho scritto questa roba. Si accettano critiche, commenti, quello che vi pare! 
Se volete fare due chiacchiere sui Gallavich, mi trovate su Twitter ♡ Vi informo che qualora siate interessati potete trovare questa e le altre storie tradotte in inglese su Archive ♡ Alla prossima!
   
 
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