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Autore: BabaYagaIsBack    23/12/2020    0 recensioni
● Book II ●
In una notte Aralyn ha compiuto nuovamente l'impossibile, mettendo in ginocchio l'intero clan Menalcan. Ha visto ogni cosa intorno a sé macchiarsi del colore del sangue e andare distrutto - forse per sempre. Così, in fuga dai sensi di colpa e dal dolore che le schiaccia il petto, si ritrova a essere ancora una volta l'eroina del suo branco e il mastino al servizio del Duca, ma anche il nemico più odiato dai lupi del vecchio Douglas e l'oggetto di maggior interesse per il Concilio che, conscio di quale pericolo possano ora rappresentare i seguaci di Arwen, è intenzionato a fargliela pagare.
Ma qualcuno, tra i Purosangue, è disposto a tutto pur d'impedire che la giovane Aralyn Calhum venga punita; anche mettere a punto un "Colpo di Stato".
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
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Capitolo Diciannovesimo
Foolish lamb in the jaws of the wolf

Uno, due, tre passi. Aralyn li percorse nel minor tempo possibile per impedire alle lacrime di fuoriuscire prima del dovuto. Non voleva farsi vedere, men che meno dar prova di quanto fosse debole in una situazione così insolita.
Avrebbe voluto Joseph, lo desiderava con ogni fibra di sé stessa, eppure lui non c'era e forse non ci sarebbe più stato, mai - e allora che male avrebbe fatto stringersi a un corpo diverso, socchiudendo gli occhi, e sovrapponendo i ricordi di lui a quel momento? Non ne avrebbero tratto entrambi piacere, o quantomeno sollievo?
Si morse il labbro, lo strinse forte attraversando l'uscio del cascinale. Perché Arwen non riusciva a capire? Perché il suo sé razionale non voleva cedere nemmeno di fronte a quelle suppliche? Era così difficile assecondare i suoi stupidi desideri e accontentarla?
Pigiò ancora, sentendo la pressione degli incisivi minacciare la carne.
Non poteva mutare e correre via da lì, troppo rischioso ora che la tregua era terminata, men che meno poteva concedersi di bere tanto da dimenticare ogni cosa, il suo corpo non le avrebbe perdonato una simile stupidaggine - e allora cosa le restava, se persino la violenza della lotta le era negata? Solo quello, ma suo fratello pareva non volerle concedere nemmeno quella grazia.

Facendosi guidare dall'istinto Aralyn lasciò che le gambe la portassero nei pressi delle scale che salì in punta di piedi, per non far rumore e svegliare chi a differenza sua si era già assopito, poi, una volta arrivata in cima, si arrestò. Stretta nelle proprie spalle, rimase ferma sul pianerottolo a guardandosi attorno al pari di un animale in fuga. In quel momento di totale sconforto si scoprì incapace di ritrovare la strada per la stanza assegnatale - il pianto aveva ormai avuto la meglio, offuscando la vista a tal punto da farle perdere cognizione dello spazio. 
Lenta, e sempre più abbattuta, si rannicchiò su sé stessa, arrivando ad affondare il viso tra le ginocchia.

Se fosse stato possibile, pensò, si sarebbe strappata di dosso quel corpo muta-forma, lo avrebbe restituito agli Dèi pur di essere umana, solo e semplicemente. Quante cose si sarebbe risparmiata! Quanto dolore il suo cuore avrebbe potuto evitarsi - ma purtroppo non sarebbe servito a nulla: era un mezzo lupo e come tale doveva vivere in quel mondo violento e inclemente, accettando tutto il male che le aveva fatto in passato e che avrebbe continuato a farle fino al giorno della sua esecuzione. Della ragazza comune non aveva avuto nulla se non l'aspetto, e tutto ciò che le era parso avvicinarsi all'ideale di normalità - l'istruzione, le amicizie, la famiglia, una relazione e il futuro, con tutte le sue possibilità - si era poi rivelato una pallida imitazione. Già, perché non era bastato farla nascere tra gli oppressi di una specie che, seppur potente, doveva vivere nell'ombra per non essere cacciata e debellata dal mondo, Arianrhod e tutti gli altri si erano premurati di negarle un padre e una madre, erano stati attenti a ferire Arwen così in profondità, sia nello spirito che nel fisico, da spingerlo a cercare vendetta nei confronti dei Menalcan in ogni modo - e in quella disperata ricerca di rivalsa, a lei era stato concessa l'illusione dell'amore. L'aveva sfiorato, assaporato, e alla fine le era stato tolto dalle mani con impronunciabile forza. Nemmeno Romeo e Giulietta avrebbero potuto competere.

Così il primo singhiozzo le sfuggì di gola senza che lei riuscisse a soffocarlo, ma il secondo si assicurò che venisse contenuto tra le gambe e la bocca premutagli contro. Non poteva permettersi di farsi scoprire, soprattutto perché non avrebbe potuto sfogarsi con nessuna persona presente lì - l'unico a cui avrebbe affidato i suoi segreti era Fernando, ma sfortunatamente gli aveva appena detto addio per l'ultima volta. E Marion? Lei avrebbe saputo custodire tutte le sue pene? Non lo sapeva, non si concedevano una chiacchierata seria da prima che tutto quel putiferio avesse inizio - e se ben ricordava, aveva criticato ancora e senza esitazione per l'affetto innaturale che provava per Arwen; un sentimento che pareva essere solo una misera riproduzione di ciò che aveva sperimentato poi, tra i baci del nemico.

D'un tratto, facendola sussultare, un corpo le si appoggiò addosso. Lunghe braccia la cinsero e il profumo pungente di qualcuno di familiare l'avvolse con la medesima intensità, provando a darle conforto.
«Hai finito di fare la bambina?»
Di risposta, Aralyn scosse la testa, negando con fermezza la capacità di mettere fine allo strazio a cui stava soccombendo. Non sapeva come fare, le sembrava impossibile fermare i singulti senza una distrazione abbastanza concreta a cui aggrapparsi. Mettere a tacere la mente era la sua priorità, eppure i pensieri non smettevano un solo istante di attaccarla come demoni famelici: troppe ansie e paure, troppe pretese che sapeva non potersi permettere d'avere.
Con la punta del naso, l'uomo che aveva alle spalle iniziò a percorrere brevi traiettorie sulla sua nuca, accarezzandola in un inutile tentativo di placare i singulti - ma non sarebbe servito a nulla, in quel momento non voleva alcuna dolcezza, solo un modo per mettere fine al vortice di voci che aveva in testa e sedare il corpo insieme a tutte le soffocanti emozioni che ne conseguivano: era così difficile da capire?

«Su, vieni».
Spostando le mani sotto le ascelle di lei, il suo soccorritore fece una lieve pressione, invitandola a rimettersi dritta. Aralyn all'inizio provò a far resistenza, consapevole di voler che fosse qualcun altro a farle compagnia, ma alla fine cedette, capendo da sola che restando in quel punto avrebbe finito con l'attirare su di sé le attenzioni meno desiderate.
Delicatamente, molto più di quanto ci si sarebbe aspettati da un uomo di quella stazza, Garrel le cinse un fianco, in parte stringendola a sé, in parte sorreggendola lungo il corridoio deserto.
Passo dopo passo, in silenzio, si fecero strada fino alla camera di lei e, una volta lì, l'omaccione si premurò di farla sedere sul materasso. Per qualche istante il silenzio fu totale, nemmeno i singhiozzi sembravano voler più uscirle di bocca - solo lacrime mute cadevano dagli occhi brucianti, stanchi di ritrovarsi a compiere lo stesso gesto ancora e ancora, in un circolo vizioso che non voleva avere fine. Possibile che bastasse solo un cuore spezzato a ridurla in uno stato così miserevole? Lei, che aveva lottato per anni, ucciso e rischiato di essere uccisa senza troppi problemi, alla fine si era spezzata come un ramoscello su cui per troppo tempo viene fatta pressione e, ora, non era altro che un peso addosso a chiunque le fosse attorno, anche quando offriva loro ciò che più di tutto desideravano.

«Dovresti dormire, sai?» Garrel le spostò una ciocca dietro all'orecchio, costringendola ad alzare lo sguardo sul suo viso. L'espressione con cui la stava fissando era esattamente come quella che avrebbe dovuto avere un fratello maggiore, ma lei non riuscì comunque a trovarvi conforto.
«Ci hai sentiti. Eri lì, vero?»

Lui annuì. Li sentiva sempre, i suoi occhi riuscivano a trovarli persino nel buio più pesto - forse era per quello che Arwen lo aveva scelto come spalla, che si era affidato a lui per compiere le azioni più difficili: prendersi cura del branco mentre si riprendeva dalla ferita, allenare lei per trasformarla in un vero lupo, essere il suo primo... sì, perché seppur nessuno dei due lo avesse mai apertamente confessato, Aralyn sapeva che suo fratello gli aveva chiesto un simile favore; non avrebbe sopportato l'idea di nessun altro con lei, infatti, trovare il profumo di Joseph sulla sua pelle doveva averlo ferito più di quanto potesse immaginare.

Ed ora, come in passato, Garrel era nuovamente di fronte a lei.

«Pensavo avrebbe detto sì» sussurrò, portandosi via dalla guancia una lacrima.
«Non può, Ara».
«Lo so, ma ne avevo comunque bisogno».

Con un sospiro, l'uomo andò a chiudere la porta e, senza complimenti, si mise poi a sedere al suo fianco: «E' un gesto egoista, se quello che vi siete detti prima è vero».
«Quale parte? Il fatto che il branco potrebbe scoprirci?» si volse: «Oppure che amo Joseph Menalcan?»
Garrel distolse lo sguardo, andando a fissare le proprie mani. Sembrava star riflettendo sulla questione, quasi per la prima volta stesse realmente prendendo coscienza del problema, nonostante già lo conoscesse.
«Quindi è vero...» lo sentì biascicare dopo qualche secondo: «Marion lo ha detto sin dalla sera della sua iniziazione, sai?» spostandosi un riccio, l'uomo tirò indietro la testa. I suoi occhi si spostarono sul soffitto di travi e per un istante Aralyn pensò che stesse cercando qualcosa tra le venature del legno, magari le parole per proseguire. «Eravamo a tavola, seduti come tu ed io ora, solo un po' più brilli. Mi si è avvicinata e ti ha indicata - lo stavi seguendo fuori dalla sala. Mi ha detto "guardala, Garrel. Non è stupenda?" all'inizio non capii, forse per via dell'alcol, ma lei riprese subito, "si è innamorata e nemmeno lo sa! Di Josh, poi... e pure lui, è cotto, completamente. La guarda in quel modo, sai? Quello con cui Fernando guardava Layla. E' rinsavita, finalmente", solo in quel momento compresi che qualcuno si sarebbe fatto male, qualsiasi scelta avessi preso. Sinceramente pensavo sarebbe stato Arwen, invece è toccato a te».

«Non ho avuto scelta, se dobbiamo essere onesti».
«Nessuno ce l'ha, men che meno quando è Arianrhod a decidere, e questo lo sa anche lui, piccola, per questo nonostante ti abbia detto "no" mi ha mandato qui» i loro sguardi tornarono l'uno sul viso dell'altra. Aralyn avvertì la confusione farsi strada in lei, faticando così a trovare qualcosa da dire per ribattere. Aveva capito bene? Davvero suo fratello aveva chiesto a Garrel, ancora un volta, di portare a termine quello che lui non era in grado di fare? Fece per scuotere il capo, rifiutando quella sottospecie di proposta, però lui la interruppe: «eppure sta comunque aspettando qua fuori».

La confusione mutò in sorpresa, tanta che per un brevissimo momento credette che il cuore potesse perdere un battito e, senza indugi, si precipitò verso la porta. La spalancò con un impeto tale da muovere la staticità dell'aria presente nella stanza, ritrovandosi faccia a faccia con l'Alpha. Arwen era lì, realmente al di là della porta - perché? Avrebbe ascoltato in eterno le loro chiacchiere? La stava forse mettendo ancora una volta alla prova? Qualsiasi fosse la risposta, lei non volle conoscerla. Gli si gettò al collo, stringendosi forte a quel corpo tanto estraneo quanto familiare e, a ridosso dell'orecchio, lo sentì sibilare all'amico di andare via - almeno per quella volta. E quando Garrel passò loro accanto, certamente senza risparmiargli uno sguardo torvo, l'albino si affrettò a mettere un muro tra loro e il resto del mondo a prescindere da cosa sarebbe successo; perché forse, l'omaccione che l'aveva riportata nella propria stanza, aveva ragione: il suo era un atto egoista, la fame del lupo da saziare con la carne dell'agnello.


 
   
 
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