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Autore: Bibliotecaria    23/12/2020    1 recensioni
In un mondo circondato da gas velenosi che impediscono la vita, c’è una landa risparmiata, in cui vivono diciassette razze sovrannaturali. Ma non vi è armonia, né una reale giustizia. È un mondo profondamente ingiusto e malgrado gli innumerevoli tentativi per migliorarlo a troppe persone tale situazione fa comodo perché qualcosa muti effettivamente.
Il 22 novembre 2022 della terza Era sarebbe stato un giorno privo di ogni rilevanza se non fosse stato il primo piccolo passo verso gli eventi storici più sconvolgenti del secolo e alla nascita di una delle figure chiavi per questo. Tuttavia nessuno si attenderebbe che una ragazzina irriverente, in cui l’amore e l’odio convivono, incapace di controllare la prorpia rabbia possa essere mai importante.
Tuttavia, prima di diventare quel che oggi è, ci sono degli errori fondamentali da compire, dei nuovi compagni di viaggio da conoscere, molte realtà da svelare, eventi Storici a cui assistere e conoscere il vero gusto del dolore e del odio. Poiché questa è la storia della vita di Diana Ribelle Dalla Fonte, se eroe nazionale o pericolosa ed instabile criminale sta’ a voi scegliere.
Genere: Angst, Azione, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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10. Storie e segreti
 
Il 28 di ottobre, otto giorni dopo la fine dell’emergenza, io e Giulio ci mettemmo a parlare di lavoro. “Allora pronto per sta sera?” Gli domandai cercando di instaurare una conversazione mentre stampavamo il volantino scritto da Galahad che ben presto avremmo sparso in giro per la città. “Sì.” Rispose seccato. “E tu sei pronta per la festa?” Feci un cenno affermativo ma confermato il suo cattivo umore decisi di approfondire. “Giulio che cos’hai?” Gli domandai avvicinandomi un po’.  Lo vidi esitare un secondo per poi sospirare rassegnato. “Avrei dovuto cacciarti fuori da quella stanza quando ti ho vista varcare quella soglia la prima volta, ora invece sei incastrata quanto noi.” Ringhiò sconsolato. “Giulio non devi fartene una colpa, sono stata io ad accettare. E anche se fosse nessuno di voi poteva fare niente: nello stesso istante in cui ho sbirciato in questo mondo la scelta era farne parte o essere uccisa.” Gli ricordai per poi prenderlo per la nuca obbligandolo a voltarsi verso di me, feci coincidere le nostre fronti per di calmarlo. “Per di più voi avete fatto il possibile per tenermi lontana da questa vita, sono stata io a volermi impicciare a tutti i costi.” Sussurrai, per un istante Giulio trasse un profondo respiro ed iniziò a strofinare la sua fronte sulla mia e mi baciò, fu innocente ma intenso di quelli di cui vuoi prolungare il contatto il più a lungo possibile anche se sai che non dovresti. “E comunque non temere se mai un giorno volessimo possiamo scappare.” Lo rassicurai con un sorrisetto divertito. “Tu potresti, io sono incastrato qui.” Mi ricordò amaramente e mi diedi della stupida per aver detto quella cosa: sapevo perfettamente che neanche se Giulio lo avesse desiderato profondamente avrebbe mai potuto lasciare la città in maniera stabile senza passare per una lunga e complessa burocrazia ed essere disconosciuto dal suo branco che all’epoca era considerata un pena quasi al pari della morte per i licantropi dato che si perdeva l’appoggio della comunità in cui si era cresciuti.
Andrea aveva cercato di spiegarmelo una volta in questo modo: per un licantropo il branco è la preoccupazione primaria, bisogna agire sempre pensando di fare del bene per questo e lui agirà sempre in tuo favore, sono la famiglia, la casa e ciò che si ha di più prezioso e perderli significa che una parte di te è morta.
“Cambiando argomento, sei riuscito a dirlo a tua madre?” Gli domandai dato che l’altro giorno mi aveva detto che lo avrebbe fatto. Giulio abbassò lo sguardo, in imbarazzo. “Non glie l’hai ancora detto?” Domandai già immaginandomi la sequela di scuse, mi dovetti sforzare per non incavolarmi e mi ripetei di non fare la stronza sulla questione dato che ero l’ultima che potesse fare la predica. “Ci sono andato vicino questa volta, ma ogni volta che ci provo mi blocco.” Mi informò Giulio. “Ti vergogni di me?” Domandai, pentendomi subito di averlo chiesto: maledicendo la mia linguaccia. “Cosa!?! No! Diana, tu sei fantastica! Non mi vergognerei mai di te. Ho solo paura che non capisca.” Ammise Giulio. “È tanto restrittiva?” Domandai confusa. “No, solo temo di deluderla, voglio molto bene a lei, alla mia famiglia e al mio branco e temo che rischierei di essere scacciato se lo sapessero.” Tornai a concentrarmi sui volantini mentre sentivo un forte senso di rabbia pervadermi. “Se il tuo branco è così importante allora perché continui a frequentarmi?” Domandai con asprezza e a quel punto Giulio mi fissò dritto negli occhi chiaramente incazzato. “Forse perché sei importante quanto loro. E forse perché ho paura che non ti accettino.” Il suo tono era chiaramente furioso, ma non aveva alzato la voce.
Mi bloccai un secondo e mi imposi di non rispondere a tono o quanto meno di non incazzarmi. “Ha senso quel che dici Giulio, queste relazioni non sono molto facili. E capisco che tu ti senta insicuro su tale argomento, per di più io non sono neanche esattamente l’esempio di brava mogliettina. Però credo che se continueremo a rimandare la questione quando arriverà il momento questo arriverà nel peggiore dei modi.” Spiegai riprendendo il mio lavoro, a quel punto Giulio posò lo sguardo su di me. “Hai ragione, dammi solo un altro po’ di tempo.” Sospirai, avrei voluto dirgliene quattro ma sapevo che non avrebbe risolto nulla urlando come una bambina capricciosa. “Dimmi la verità: hai paura che scoprano quanto sono inetta come casalinga, è per questo che continui a rimandare?” Domandai e a quel punto Giulio mi sorrise. “Mhm, potrebbe essere una delle ragioni in effetti. Ma per me va bene anche dividerci i lavori in casa.” Scherzò lui. “Un buon vecchio cinquanta e cinquanta?” Domandai divertita. “Mi sembra appropriato. E, comunque sia, quello odiato dai futuri suoceri sono io, trovo difficile che ti odieranno più di quanto tuo padre odi me.” Ammise Giulio scompigliandomi i capelli, gli afferrai la mano saldamente e gli sorrisi divertita. “Nooooo, non ti odia, solo… ce l’ha con te perché do più retta a te che a lui. Se ti odiasse saresti in prigione, poco ma sicuro.” Lo informai lasciandogli andare la mano. “Oh, mi sento più tranquillo allora.” Disse mentre scoppiavamo a ridere.
 
Arrivata a casa ero da sola, i miei erano fuori città per il resto della settimana per una qualche indagine di cui non mi potevano parlare, come se specificarlo cambiasse qualcosa dal solito visto che di lavoro a casa non ne parlavano neanche sotto tortura.
Prima dell’operazione riuscii ad ingerire appena un po’ di yogurt a causa dell’agitazione che si era impossessata di me e, per cercare di tranquillizzarmi, mi ripassai con calma il piano malgrado la parte che spettasse a me fosse relativamente inutile.
I sette ragazzi che aspettavo arrivarono verso le nove; alcuni di quei sette li conoscevo appena o non li conoscevo affatto. Si prepararono per l’operazione e uscirono per la scala antiincendio che dava in un vicolo buio, ottimo per scappare inosservati, e che era una strada diretta verso l’obbiettivo. Quando se ne andarono mi vestii da festa e attaccai un disco che riproduceva alla perfezione l’atmosfera di una festa in casa, era anche l’unico disco che possedevo senza la musica deviante, meglio conosciuta come rock che ascoltavo di solito. Alle undici precise avevo finito di preparare gli stuzzichini della festa, sapevo che sarebbero tornati tardi e dopo un colpo avrebbero di sicuro avuto fame: non sopportando stare lì ad attendere i ragazzi con le mani in mano, così le avevo occupate con qualcosa di anche solo vagamente utile. Mi sorprese il fatto che mi avevano lasciata fuori dall’azione dato che stavo diventando una dei migliori tiratori e che Malandrino amava spedirmi in missioni difficili dove avrei potuto rischiare la vita. E, personalmente, lo preferivo a restare in sospeso a pregare che tornassero tutti a casa sani e salvi.
Verso l’una tornarono e aprii loro la finestra della mia camera. “Volete del cibo?” A quelle parole tutti si voltarono verso di me riacquisendo il buon umore in un secondo. “Sei una grande Diana.” Disse Garred che dopo una missione avrebbe divorato una balena. Distribuiti i piatti e finito di mangiare uscirono con i borsoni, che ufficialmente contenevano il materiale per la festa, ufficiosamente la refurtiva.
 
Il giorno seguente toccò a me fare rapporto poiché avevo perso alla eliminazione della sera precedente. Usavamo questa tecnica soprattutto perché recentemente nessuno voleva avere direttamente a che fare con Malandrino, quindi ce l’eravamo giocata a dadi. “Allora quanto avete fatto?” Mi chiese Malandrino davanti al suo libro mastro già pronto a segnarsi la cifra. “Quattro e mezzo.” Gli risposi e lui sorrise. “Perfetto!” Disse battendo le mani e strofinandosele. “Siamo quasi pronti! Manca poco, d’avvero poco!” Esclamò ignorando del tutto il resto che gli dovevo dire e mi ritrovai a rimirare quelle spalle da cui non avevo mai visto spuntare delle ali di libellula. Era qualcosa che mia aveva stranito fin da subito dato che, di norma, le ali dei folletti erano abbastanza grandi da equiparare se non addirittura superare la lunghezza delle braccia, quindi non facili da nascondere. “Senti...” Mi ritrovai a sussurrare senza neanche rendermene conto. “Cosa vuoi!?!” Mi abbaiò contro girandosi. “Niente… una cosa stupida.” Dissi cercando di evitare il discorso, non volevo d’avvero chiederglielo, tutta colpa di una stupida scommessa che avevo perso. “No, parla adesso voglio sentire!” Decretò arrabbiato. “Molti di noi ragazzi si stanno chiedendo perché non hai….”Non dovetti completare la frase, mi fu subito chiaro che comprese di quello di cui stavo parlando: quello sguardo nero come l’inchiostro che mi stava perforando l’anima parlava da sé.
Devo ammettere che anche io ero incuriosiva dalla risposta infondo: nessuno, neppure Orion, sapeva con esattezza perché non avesse le classiche ali, molti sospettavano che fosse nato storpio, ma lo trovavo strano dato che in tal caso avrebbe avuto altri segni di malformazione.
Tuttavia non mi aspettavo una risposta, anzi, mi stavo domandando quando sarebbe arrivata la sfuriata ma mi sorprese quando, dopo essersi voltato, con un gesto lento e seccato si alzò la maglia.
Un senso di ripudio, terrore e fascino si impossessò di me chiudendomi la bocca dello stomaco; una parte di me voleva distogliere lo sguardo, ma l’altra voleva studiare quella scena macabra: le sue ali erano state estirpate rozzamente, sulla destra rimaneva solamente un solco bitorzoluto con chiari e profondi segni da tagli irregolare che mi fecero rabbrividire mentre comprendevo che dovevano aver usato un coltello non particolarmente affilato per farlo, sulla sinistra rimaneva appena l’estremità, il resto del ala era stata strappata, spezzata con brutalità, la cosa impressionante era che quella sorta di mozzicone che gli era rimasto si muoveva ancora, ma con una tale debolezza che mi sentii in pena.
“Ma chi… cosa è successo?” Avevo la voce ridotta a un sospiro, mozzata da un tremito trattenuto, non avevo mai visto nessuna mutilazione finora e quella vista mi fece rabbrividire malgrado non abbia mai posseduto delle ali. “Degli agenti S.C.A., ecco cosa è successo.” Mi spiegò e per la prima volta da settimane parlò con lucidità, decisi di lasciarlo stare e di non approfondire. Stavo per voltarmi ed uscire dal suo ufficio quando mi blocco con le sue parole. “Sai Umana, non l’ho mai raccontato a nessuno. Ma credo che tu debba sapere di cosa è effettivamente capace la tua razza, quali abomini e sofferenze causano a tutti noi.” Mi voltai e notai la sua espressione: era seria e piena d’ira e rancore. Fece cenno di accomodarmi con un gesto teatrale che trasudava disprezzo, intuii di non avere altra scelta e mi sedetti su una delle due logore poltrone.
 
Non modificherò ciò che disse perché la sua è una testimonianza e anche se fosse ancora oggi ricordo molto bene quel discorso, lo riportai sul diario appena tornata a casa quella sera quindi credo che queste siano effettivamente le parole che usò.
“Ventisei anni fa io, che allora ero ancora Giordano Sezio facevo parte di un gruppetto di attacca brighe: piccoli furti, imbrattamento e qualche piccolo atto vandalico. Non avevo mai avuto problemi, nonostante fossi giovane e inesperto riuscivo sempre a cavarmela o a scappare. Ma una sera mentre scappavo da degli agenti S.C.A. inciampai slogandomi la caviglia. Subito mi tolsi lo zaino per poter volare via, ma fui lento. Mi raggiunsero e iniziarono a picchiarmi, ricordo ancora cosa mi dissero. Ecco qui, il malandrino. Volevi volare via?.” Mentre ripeteva quella frase il sorriso inquietante che avevo conosciuto in quei mesi apparve e fu seguito da una pausa in cui respirò affondo mentre i suoi occhi iniettati d’odio fissavano un punto indefinito nel nulla. “Cercai di ribellarmi ma fu inutile.” Mi spiegò sedendosi a sua volta. “Dissero che conveniva loro agire preventivamente e si fecero un sorriso d’intesa. Non so chi dei due l’abbia fatto e non so per certo quanto tempo rimasi lì disteso a terra sanguinante. Ma di una cosa sono certo: mi estirparono le ali, con questo coltello…” Disse estraendo dal fodero un coltello molto simile a quello che aveva mio padre e che era in dotazione agli agenti S.C.A., quel pensiero mi fece rabbrividire. Malandrino iniziò a osservarlo come se fosse qualcosa di mistico e nel rimirare quei suoi grandi occhi neri e vuoti provai un brivido lungo la schiena come se credessi di avere davanti a me un oggetto rotto. “Ci misi tre mesi per riprendermi. Una volta dimesso dal ospedale li stanai e li uccisi con la stessa arma con cui mi avevano mutilato. Allora ho capito il destino per cui ero nato: mettere fine a queste ingiustizie e uccidere tutti coloro che mi avessero fermato con ogni mezzo necessario. Così creai questo movimento. All’inizio nessuno badava a noi ma ora siamo quasi pronti per distruggere questo governo e annientare coloro che hanno osato sfidare tutte le creature come me.” Tremai a quelle parole, paura ed eccitazione si fusero tra loro facendo a pugni per cercare di determinare quale dovesse dominare, tuttavia la mia parte razionale pensò che quello che stava dicendo non era vero: eravamo solo un piccolo gruppo di criminali come tanti e che ci sarebbero voluti anni per crescere ancora.
Fu allora che cominciò a raccontarmi di molte altre cose che non ascoltai veramente, nella mia mente si stava formando questo pensiero sempre più nitido: lui non mi era mai sembrato un salvatore leale, e fino ad allora credevo che non avesse realmente un piano, ma più lo ascoltavo più mi rendevo conto che il suo unico interesse era colpire le forze del ordine e i privati per colpire il governo, le sue azioni non erano altro che quelle di una persona accecata dal odio. I suoi fini, a grandi linee, potevano anche apparivano giusti, e si sarebbe potuto pensare che il fine avrebbe giustificato i mezzi, ma più parlava più comprendevo che il suo unico desiderio era il caos più totale che sarebbe stato ben peggio di quello che avevamo adesso. “Diana.” Il mio nome mi risvegliò da quello stato di trans. “So che essendo umana per te potrà essere più difficile.” Quella falsa empatia mi fece provare un enorme ribrezzo e mi portò ad essere estremamente attenta e cauta. “Ma tutti quelli di cui mi fido non sono adatti o sono troppo codardi per accettare.” Era così vicino che se avessi respirato lo avrei toccato. “Ho scoperto di recente che esistono ancora due draghi vivi!” Esclamò con la stessa enfasi di un bambino, inutile dirvi che rimasi esterrefatta visto che come tutti credevo che si fossero estinti secoli fa o che comunque non vivessero più nelle terre vivibili da noi persone. “Voglio che tu faccia una spedizione per liberarne uno.” Avevo così tante domande ma la mia voce era bloccata. “Sappilo se fallirai sarà la fine per te poiché avrai condannato tutti noi. Ma se riuscirai avremmo abbastanza forza per poter attaccare le forze del ordine e il governo, non solo qui ma anche in tutte le grandi città. Pensa un mondo dettato da noi e dalla nostra giustizia senza più S.C.A., privilegi per gli uomini e sofferenza per noi Altri. Solo noi sopra al mondo con due possenti draghi, neanche le loro armi riusciranno a fermarci poiché noi avremmo il cielo e il fuoco più potente che il mondo abbia mai visto!” Rimasi atterrita, se prendeva i draghi avrebbe generato il caos e poi una dittatura del terrore. “Allora sei dentro o sei fuori?” Mi chiese.
Non risposi, qualunque cosa avessi risposto sarei caduta in una trappola: se dicevo di no Malandrino si sarebbe vendicato sicuramente, lo capivo dal suo sguardo perforante, se accettavo invece avrei condannato a morte centinaia di persone, per di più sapeva della mia relazione con Giulio e se lo avessi incastrato o tentato qualcosa per bloccarlo avrebbe colpito Giulio, i miei amici e le loro famiglie, avrei potuto far fallire la missione ma così avrei condannato al carcere sempre le persone importanti per me, essenzialmente avevo le mani legate. “Io…” C’era solo una cosa che potevo fare. “Sono onorata di poter partecipare ad un progetto di tale portata.” Iniziai, dovevo restare calma, trattenere ed imbrigliare quella voglia distruttiva che stava bruciando dentro di me per sfruttarla al meglio. Non potevo concedermi il lusso di prendere la scelta sbagliata adesso. “Però non sono certa di potermi prendere una tale responsabilità: significherebbe rischiare la mia vita e quella dei miei compagni, il rischio di fallimento è alto e non ho abbastanza esperienza per essere la scelta migliore.” Spiegai mantenendo la calma malgrado desiderassi urlare ben altro. “Pertanto, prima di accettare, mi servirebbe che mi concedesse un po’ di tempo per rifletterci.” Malandrino sospirò un po’ deluso. “Una settimana, non un giorno di più non un giorno di meno. E se non mi darai la tua risposta entro il tempo concesso sarà come se avessi rifiutato.” Mi congedò e appena uscii da quella stanza sentii un disperato bisogno d’aria. Corsi fuori e non mi fermai fino a quando non arrivai a casa rimuginando su fin troppe cose.
 
Una volta arrivata presi a calci e pugni i sacchi della palestra con tanta foga che le mie nocche iniziarono a sanguinare. Per la prima volta nella mia vita ero spaventata dalle mie scelte: non avevo idea di cosa devo fare, quale fosse il male minore in tutto questo miasma in cui l’unica opzione sembrava scegliere tra la vita delle persone a me care e quelle di centinaia di persone, per giunta c’erano centinaia di conseguenze che una mia scelta avrebbe portato che non riuscivo ancora a vedere. Per giunta non ero così ingenua da credere che Malandrino avrebbe accettato un mio rifiuto né ero così codarda da tirarmi indietro: sapevo di dover risolvere la situazione ma non sapevo come.
 
Non so come ci arrivai ma, per distrarmi credo, presi un vecchio album con tutte le mie vecchie foto. C’erano tutte le persone per cui avevo avuto un ruolo nella loro vita. Un fiume di ricordi mi prese in pieno e senza accorgermene mi misi a cercare quella bandana rossa di cui solo io ei miei ex-compagni sapevamo della sua esistenza. La osservai e mela rigirai tra le mani quando notai una lettera nella confezione. Lo trovai strano, perché ero sicura che prima non ci fosse. Poco tempo dopo scoprii che ero semplicemente scema e non mi ero resa conto del biglietto.
 
Cara Diana,
sappiamo che per te il trasloco sarà difficile ma ti chiediamo un favore: non tornare qui. Gira il mondo, cambialo o contribuisci a questo seguendo il tuo cuore. Tutti noi ti sosterremo qualunque strada tu scelga. Quando avrai bisogno di un consiglio saremo lì, quando ti perderai ti ritroveremo, quando perderai la via ti troveremo e ti prenderemo a pugni per aver fatto una cazzata.
Questa bandana non simboleggia solo l’amicizia che ci sarà sempre tra noi, ma anche la fiducia che abbiamo nelle tue potenzialità e il futuro che creeremo.
Questo fa di te il nostro capo, la nostra guida, come è sempre stato.
Sempre con te, i tuoi amati compagni.
Oreon      Zafalina        Gahan        Tehor        Nami             Kallis            Lukas         Denin     Andrea   
 Fina      Lillà            Salomon
 
P.s.
Se la perdi sei morta.
 
Lessi la lettera con le lacrime agli occhi poiché sapevo che non ero in grado di rispettare le loro aspettative e non credo di esserci mai realmente riuscita. Fu in quel momento che, come se l’universo avesse capito di cosa avevo bisogno, il telefono squillò.
“Pronto?” Iniziai asciugandomi le lacrime dagli occhi. “Ciao, Diana!!!” Spostai l’orecchio dalla cornetta per la forza del urlo. “Mi volete assordare?” Li sgridai mentre mi asciugavo gli occhi, risero tutti. “Allora come stai è da un po’ che non ci sentiamo.” Mi chiese quella che riconobbi essere Fina e sospirai: a causa dell’emergenza ambientale non ci eravamo potuti sentire per più di un mese e probabilmente da loro le linee telefoniche avevano ripreso a funzionare decentemente solo quel giorno però io non li avevo cercati quando si era conclusa l’emergenza, ero così presa da tutto quello che stava succedendo che mi ero dimenticata dei miei vecchi amici. Forse però era meglio così, per il loro bene era meglio che iniziassi ad allontanarmi da loro. “Scusate. Ho avuto da fare. Sapete la scuola, gli esami da preparare, le solite cose.” Li informai e non fecero molte domande, mi raccontarono le novità di quella piccola città, ogni cosa. Ero felice di poter ascoltare le loro banalità e frivolezze, infondo sono le piccole cose a rendere belle le giornate. Stavamo per attaccare quando senza rendermene conto emisi un lamento. Questo attivò l’istinto da mamma iperprotettiva dei Fiumi di Lillà. “Diana, stai piangendo?” Mi domandò lei preoccupata facendo scattare sul attenti tutti. “No, tutto bene.” Decretai ma la mia voce mi stava tradendo. “Bugiarda. Che succede? Lo sai che con noi puoi parlare di tutto ciò che vuoi.” Disse dolcemente Lillà mentre tutti gli altri restavano zitti, potevo sentire la tensione che si stava generando nell’aria: non mi avevano vista piangere mai per sciocchezze: il mio orgoglio me lo impediva.
Avrei potuto mentire per proteggerli, dire loro che ero preoccupata per la situazione, che mi erano mancati incredibilmente, che avevo litigato con Giulio, tutte cose per metà vere, però, ancora non so come, trovai il coraggio di dire la verità. “Vi devo parlare e non voglio farlo per telefono. Siete liberi questo fine settimana?”
 
Tre giorni dopo la chiamata presi il treno delle 18:30 in terza classe diretto alla città elfica. Scappare da Meddelhok fu relativamente facile data la convenientissima assenza dei miei genitori, ero anche certa che nessuno dei seguaci di Malandrino mi stesse pedinando dato che avevo preso ogni possibile precauzione per passare inosservata. Da quando salii sul treno ci vollero appena cinque ore per arrivare alla stazione di Calante, l’unica città della zona ad avere uno scalo per la regione dei Fiumi, e dopo altre quattro ore di viaggio, Sabato 3 novembre alle ore tre, arrivai alla stazione di Veliesis, il nostro beneamato capoluogo e stazione più vicina a Lovaris. Fina venne a prendermi con il camion della macelleria dei suoi genitori alle cinque e mezza di mattina ovvero subito dopo aver preso la carne.
 
“Ciao Diana, hai avuto problemi?” Mi domandò Fina, fissai per un secondo i suoi capelli castano-ramati e i suoi occhi verdi così dolci e mi rassicurò vedere un folletto che non sembrasse desiderare la mia morte, per giunta l’evidente differenza fisica mi rassicurò. “No, tutto bene.” Dissi sbadigliando. “Andiamo al nostro solito posto? Non voglio che i mei vecchi lo vengano a sapere da qualche loro collega.” “Diana che succede? Sei strana.” Notò Fina preoccupata e gli sorrisi cercando di rassicurarla. “Spiegherò tutto quando ci saranno anche gli altri.” Mi limitai a dirle, Fina mi sorrise timidamente e partì con accondiscendenza.
 
Fina ed io non eravamo molto intime, le volevo bene ma era sempre stata una ragazzina che stava molto per i fatti suoi: chiusa, minuta, timida, alle volte non sembrava neanche parte del gruppo, però aveva la dote di saper ascoltare e alle volte è tutto ciò di cui si ha bisogno per essere un buon amico. Dopo quasi un’ora di macchina Fina mi lasciò per una strada da cui sarei arrivata facilmente al nostro albero. Era un enorme e vecchio ciliegio selvatico sotto cui noi ragazzi andavamo spesso quando le giornate si facevano lunghe e calde, quando il sole iniziava a segnare l’inizio della primavera o quando il clima autunnale non era ancora troppo rigido, come quel giorno. Mi sedetti alla base del albero e attesi crollando addormentata. Quasi due ore dopo arrivarono tutti assieme sotto a quel immenso ciliegio. “Diana!! Come stai?” Fu questo il modo in cui mi fecero sobbalzare sul posto e svegliare di colpo.
 
Finiti i convenevoli raccontai loro tutto senza tralasciare ogni più piccolo scassino, in confronto a quello che sto narrando è un sunto degli eventi fondamentali. Ed in fine arrivai a raccontare la proposta che Malandrino mi aveva fatto.
“E adesso non so cosa inventarmi per uscire da questa situazione senza mettere a rischio dei miei amici o dei miei genitori.” Ci fu silenzio per un lungo istante. Oreon si alzò e mi guardò dritta negli occhi. “Cosa cazzo ti è passato per quella mente bacata?” Mi riprese il mio vice-capitano furibondo. “Oreon!” Lo sgridò Zafalina. “Che c’è? È vero! Diana hai messo a rischio la tua vita anche solo accettando di seguire quel gargoil! Credevo che fossi più sveglia di così!” Mi riprese Oreon. “Oreon! Diana ha sbagliato, lo ha ammesso ed è qui per chiedere un consiglio a noi, farle la paternale non serve!” Lo riprese Zafalina, silenziosamente la ringraziai per essere dalla mia parte ma allo stesso tempo comprendevo la reazione di Oreon: avrei reagito allo stesso modo se avessi scoperto qualcosa di simile. “Ma non capite che così ha messo in pericolo anche noi!” Sbottò lui furibondo e a quel punto intervenni. “Non vi metterei mai in pericolo.” Controbattei mantenendo una certa clama, cosa che sorprese il mio vice. “Mi sono assicurata che nessuno scoprisse che io sia qui e vi ho detto di non dire niente a nessuno appositamente. Fintanto che nessuno sa nulla, nessuno porrà domande.” Spiegai pacata. “E i tuoi? Cosa gli hai detto.” Mi domandò Lukas che finora era rimasto abbastanza impassibile. “Sono fuori città e torneranno Martedì.” Risposi sincera. “Bene. Ora... qualcuno ha qualche idea?” Propose Lukas e in quel istante mi guardò e quando mi fece un occhiolino complice che mi fece sentire a casa.
Oreon lo guardò con rabbia e a quel punto si intromise Nami cercando di calmarlo. “Conosci Diana, è una testa calda e piuttosto scema quando non ci siamo noi in giro a farle da coscienza.” Non riuscii a nascondere un sorriso. “Siamo cresciuti assieme, siamo una famiglia, e Diana ci ha tirato fuori dai guai tutte le volte che serviva. Adesso è qui a chiederci un consiglio, nulla di più, nulla di meno. Hai sempre detto di volere molto bene a Diana e adesso le volti le spalle?” A quelle parole Oreon sbuffò: Nami aveva colpito il segno. “AHAAH!!! Mi farai impazzire! Va’ bene, ti aiuterò, ma quando finirà la storia, non m’importa dei rischi, tu ti assicuri di uscire da quel branco di pazzi!” Decretò Oreon, accennai un affermazione e gli porsi il braccio, lui lo strinse con forza e ci guardammo negli occhi. “Grazie Oreon.” Sussurrai quando mi lasciò andare. “Non ringraziarmi…. Ti dovrei prendere a pugni.” Borbottò per poi sedersi ed iniziare a riflettere assieme a tutti.
 
Ci fu un lungo momento di silenzio, poi dal nulla qualcuno lo propose. “E se librassi il drago.” A parlare era stato Denin, tutti noi lo fissammo increduli. “Cosa?” Chiesero tutti. “Liberalo, una creatura così potente e saggia non può vivere in gabbia. E poi così tecnicamente faresti ciò che ti ha chiesto Malandrino ma gli impediresti di usarlo per i suoi scopi.” Sospirai la proposta mi sembrò ragionevole. “Sì, ha senso. Ma se lo libero, anche se lo facessi sembrare un’incidente, Malandrino potrebbe andarmi contro. Per di più preferirei evitare di lasciare un lucertolone enorme sputafuoco in libertà dato che se lo vedessero tutti lo vorranno sfruttare per uno o per l’altro motivo. L’unica sarebbe nasconderlo da qualche parte ma è una cosa semi impossibile: non esiste luogo al mondo abbastanza grande ed isolato da nascondere un lucertolone sputafuoco.” Gli feci notare e ricominciarono a riflettere, io non mi sforzai a trovare una soluzione mi ero già rovellata il cervello oltre il limite della sopportazione per trovare una soluzione quanto meno decente e senza grandi risultati.
Senza accorgermene mi ritrovai a fissare Denin: non aveva mai detto nulla, non aveva mai cercato di mettersi in mostra e non aveva mai voluto dimostrare nulla e ora aveva preso l’iniziativa come un vecchio saggio avrebbe fatto, sorrisi, erano tutti cresciuti in quei pochi mesi.
 
“Ho trovato!” Disse Gahan sbattendo le mani. “Tu sai che le tane dei draghi erano quasi impossibili da trovare?” Feci un cenno d’accordo rimanendo perplessa. “Sì, e questo che centra?” Chiesi stranita. “Ora, tu sai che sono vuoti da quando i draghi sono stati considerati istinti.” Ammiccai. “Bene non potremmo portarlo ad uno di quei nidi!” Come concluse il discorso Tehor gli mollò una sberla facendo sfuggire un lamento a Gahan. “Sei scemo? Quello è uno dei primi posti che controlleranno!” Gli urlò contro mandando in malora l’autocontrollo elfico di cui andava tanto fiero. “Va’ bene, va’ bene, ma non serviva picchiarmi!” Si lamentò Gahan massaggiandosi la parte lesa.
Dopo un po’ ci furono altre proposti ma nessuna era minimamente valida, senza accorgersene iniziarono a litigare e a discutere urlandosi addosso. Per tentare di contenerli dovetti sovrastare le loro urla con uno piuttosto poderoso che fece volare via alcuni uccelli. “BASTA!!!” Tuonai e tutti si bloccarono increduli, sospirai e mi sedetti sul tronco. “Litigare non serve a nulla. Ora ogni uno mi dica le sue idee e poi, a turni, ogni uno di voi potrà dire quel che vuole, ma solo se avrà in mano…” Raccolsi un ramoscello. “Lo scettro del potere!” Decretai e tutti sorrisero: da bambini facevamo lo stesso gioco, solo che all’epoca eravamo solo un ammasso di urlante di bambinetti. “L’originale è a casa mia.” Mi ricordò divertito Salomon. “Lo so, ma questo è… lo scettro d’emergenza. Su forza, iniziamo.” Decretai.
Fu un processo lento ma decisamente più fruttuoso, mi annotai i diversi ragionamenti sul quadernetto che mi ero portata dietro appositamente e quando finirono le idee erano già le tre di pomeriggio. Ad un certo punto notai che Denin e Kallis si erano messi da parte ed avevano iniziato a complottare tra loro a mezza voce.
Quei due erano un mistero: per tutta l’infanzia non si sopportavano a vicenda, poi con l’arrivo del adolescenza sempre più spesso si rintanavano da qualche parte, dando buca con scuse sempre molto vaghe e sembrava quasi che noi altri vivessimo in un modo estremamente vicino ed estremamente lontano dal loro. Come realizzai cosa avevo appena pensato un dubbio mi sovvenne e cercai di focalizzare la mia attenzione su quei due. Origliai quel che si dissero, li riuscivo a sentire ma non capivo quel che si dicevano, intuii che stessero parlando il Gohord, l’antico dialetto che si parlava nelle regioni dei Fiumi; io non ne capivo una parola, alcuni miei amici conoscevano qualche parola ma non avevo mai sentito nessuno parlarlo con una tale fluidità, soprattutto se non aveva i capelli canuti e un centinaio di rughe in volto ed erano cresciuti in questa regione.
 
Ad un certo punto Kallis si voltò e alzò la mano per parlare. “IO HO UN’IDEA!” Esclamò, le consegnai il bastone e ci disse di seguirla, lanciai un’occhiata a Denin, pareva seccato.
Ci ritrovammo a camminare per la foresta per un paio d’ore durante le quali Kallis ci spiegò di una strana insenatura nella roccia dove avrei potuto nascondere il drago. Quando gli chiesi come avesse scoperto il posto lei si limitò a dire che era un caso, le lanciai un’occhiata indagatrice ma sembrava sincera quindi non insistetti.
“L’insenatura, come la chiami tu.” Iniziò Zafalina quando arrivammo. “È praticamente un cratere.” Disse la mia amica osservando la grotta immensa nascosta da un salice piangente enorme che celava l’entrata che era come uno spiraglio trasversale nella roccia; se qualcuno lo avesse osservato da davanti avrebbe visto solamente quel salice abnorme che cadeva dolcemente sulla parete rocciosa, per di più il percorso che avevamo compiuto usciva da tutti i sentieri tradizionali ed eravamo così immersi nel fitto del bosco che difficilmente qualcun altro avrebbe mai conosciuto questo posto.
Entrai nella feritoia, mi sembrò abbastanza grande per farci entrare un grifone o un basilisco, dubitavo che un drago potesse essere tanto più grande di quelle bestiacce. “Per starci ci può stare. La domanda è: come diamine lo porto qui? Anche se sapesse volare rischierei di farmi beccare, e non so se riuscirei a domarlo.” Ammisi studiando la roccia, era umida, ma non vedevo nessun fiume. “Probabilmente sarà addestrato a rispondere a dei comandi, credo che sia anche per questo che il tizio pazzo Malatrino…” “Malandrino.” Lo corressi. “Quel che è… ti abbia voluta coinvolgere. Pergiunta se agisci in fretta potresti farlo volare per le montagne, riposarvi di giorno e volare di notte stando lontani dalle città, tanto per raggiungere Lovaris è sufficiente seguire la catena della Luna.” Mi fece notare Salomon. “Sì, potrei farlo, sempre che non mi mangi viva prima.” Scherzai. “Magari se gli porti del cibo potrebbe darti retta.” Notò Andrea. “Sì, con le bestie incattivite di solito il cibo è l’unico modo per farsi ascoltare.” Continuò Nami. “Okay, dirò a Malandrino di portarci dietro una grossa fetta di carne per rabbonirlo, l’unica è sperare che sappia volare.” Ammisi preoccupata: se quel drago non fosse stato in grado di volare tutto sarebbe stato inutile. Probabilmente Lillà notò la mia preoccupazione quindi mi appoggiò una mano sulla spalla e cercò di rassicurarmi. “Credo che Sal abbia ragione: se non saprebbe volare non sarebbe diverso da un’arma incendiaria. Il volo era ciò che rendeva i draghi così speciali. E dato che fino ad oggi la cosa più vicina ad una macchia volante sono gli aquiloni questo darebbe un vantaggio enorme in guerra.” Disse Lillà continuando a fissare l’insenatura. “E anche se fosse, portarti dietro degli abiti pesanti, se volerete veloce sentirai freddo.” Mi informò lei. “Bene. Lo porterò nel bosco vicino a Lovaris, ma mi serve che ci sia Kallis nei dintorni o non saprei riportarlo qui.” Feci notare.
“C’è un altro grosso problema che non stiamo considerando ragazzi. Sempre ammesso che Diana riesca a liberarlo e portarlo fin qui: come facciamo a nutrirlo?” Domandò Nohat. “Qui è pieno di animali, qualcosa troverà, è pur sempre un cacciatore di natura.” Pensò Denin guardandosi attorno. “Anche io e Andrea saremmo dei cacciatori naturali, ma se ci chiedeste di catturare qualcosa faremmo solo delle immense figuracce.” Spiegò Nohat irritato. “Uhm… vero...” Ammise Kallis. “Potrei portare alcuni degli scarti di animale qui, dovrebbero essere buttati comunque, tanto vale che se li mangi lui, e potrei portare anche la carne che non possiamo più vendere.” Propose Fina con voce flebile e quando tutti noi ci voltammo per fissarla sembrò quasi che volesse sparire nelle sue spalle. “È un’ottima idea, tanto non diventa avariata nel giro di un paio di giorni.” Constatò Oreon. “Va’ bene, è deciso lo porterò qui, pregando di riuscirci.” Dissi per poi voltarmi e facendo cenno a tutti di tornare in dietro, dovevo assolutamente mettermi in moto per raggiungere Meddelhock.
 
Durante il ritorno presi il quadernetto e mi segnai delle cose da recuperare. “Vi farò sapere quando si terrà il colpo, ma non dirò direttamente la data, ho il sospetto che sia possibile intercettare le chiamate.” Dissi ripensando a certe conversazioni che avevano fatto i miei genitori a proposito di alcune chiamate registrate. “Macché, sei paranoica!” Esclamò Gahan. “Può darsi, ma preferisco così.” Dissi iniziando a scrivere una serie di parole e frasi da poter usare come codice. Scrissi dodici tipologie di crostate il cui gusto avrebbe indicato il mese e poi avrei detto uno degli ingredienti preceduto da un numero, e quel numero avrebbe detto il giorno, in più se dicevo che si era cotta voleva dire che era l’anno prossimo, se dicevo che era bruciata voleva dire che era un anno successivo. Trascrissi tutto su un secondo foglio e lo consegnai ad Oreon. “Non lo perdere.” Decretai, lui mi fece cenno di aver capito.
 
Raggiunto il nostro albero salutai i miei amici e attesi che Andrea tornasse con la moto di suo padre, un arnese enorme di metallo e motori, che suo padre gli aveva gentilmente concesso di usare per fare un giro. “Alla faccia. Che gioiellino.” Commentai quando la vidi, non ero una grande intenditrice per quanto riguardava i motori, ma anche una povera ignorante come me avrebbe capito che quella moto era uno spettacolo, poiché oltre essere molto bella esteticamente, era enorme ed intuii che doveva risalire ad almeno un decennio fa come modello. “Tuo padre si vizia.” Dissi sfiorando i manubri. “Vero? Se l’è aggiustata da sé, recuperando i pezzi che mancavano o costruendoli dal nulla, quando è arrivata all’officina era inutilizzabile, il tizio che ce l’ha venduta voleva solo liberarsene, infatti l’ha comprata per una miseria. Tuttavia mio padre ha intuito il potenziale e con un po’ di pazienza l’ha aggiustata. Adesso praticamente ci fa un giro ogni volta che ha una giornata libera. Non sai quanto l’ho dovuto supplicare per poter fare anche solo un giro con lui? E quante ore di pratica mi ha fatto fare per potermi concedere di usarla da solo? Quindi sali e ritieniti fortunata.” Sorrisi e salii, mi infilai il casco e mi godetti il giro.
Andrea non osò andare troppo veloce, conscio che altrimenti suo padre lo avrebbe decapitato se tornava anche solo con un graffio, ma comunque riuscì a portarmi alla stazione senza problemi e potei comprare il biglietto di ritorno. Quando arrivai a Meddelhok erano le dieci di mattina e dopo una notte passata in terza classe avevo solo voglia di buttarmi a letto e dormire, ma mi obbligai a restare sveglia poiché il giorno seguente avrei avuto una verifica e perché sarei morta di fame se avessi saltato un altro pasto.
   
 
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