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Autore: ester1    23/12/2020    1 recensioni
L'album di Taylor Swift mi ha decisamente ispirata, per cui eccovi un'altra storia a cui ho pensato ascoltando champagne lovers!
E' legata alla storia precedente, o almeno il personaggio principale è lo stesso, ma non è necessario averle lette entrambe.
Genere: Sentimentale, Song-fic, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Natale 1947
Sentivo di dover dire qualcosa. Non era giusto, non potevo continuare. Non avrei mai sposato James – mai, mai! Non importava se Dorothea non era più con me, se non mi voleva, se non mi avrebbe mai voluto… Accarezzai la sua fotografia, che tenevo nascosta tra le pieghe del giornale scolastico. Non c’era un motivo preciso, semplicemente lei era… lei era mia, nessuno avrebbe capito.
Quel Natale era speciale: sarebbe stato il primo Natale con mia sorella, suo marito e un piccolo bimbo nella sua pancia. Ero felice per lei, davvero, sembrava così felice. E sapevo che, prima o poi, sarebbe toccato anche a me, ma non riuscivo a vedermi così felice come lei. L’unico modo che avevo per essere felice era trascorrere la mia vita con Dorothea, o con… beh, sicuramente non con James!
Dovevo dirglielo, ma avevo paura. Io e mia madre avevamo passato i giorni precedenti ad ideare il menù per la vigilia, e poi per il giorno di Natale, e lei era così felice. “L’anno prossimo avremo un’altra donna sposata alla nostra tavola!” aveva detto, il sorriso sulle labbra, mentre scriveva quante patate avrebbe dovuto comprare. E io le avevo sorriso di rimando, perché mi veniva automatico: perché quella donna sarei stata io, l’anno dopo, ma io non volevo, non avrei mai voluto, era così spaventoso anche solo pensarci… Passare la vita con un uomo, che per di più disprezzavo. Beh, non lo disprezzavo per un vero motivo, a dire la verità, ma Dorothea lo aveva sempre detestato, e io insieme a lei.
Mia madre scrisse “champagne” tra le bevande da acquistare, e io mi immobilizzai. Non c’era nulla da festeggiare, ai miei occhi. Ero sola, con la prospettiva di un matrimonio infelice, senza la donna che amavo e che probabilmente ormai mi odiava. E nessuno oltre me lo sapeva.
“Compro io lo champagne,” avevo esclamato, senza pensare. “con i miei soldi.”
E così avevo fatto. La sera del 24 dicembre, mia sorella e suo marito erano arrivati presto e ci eravamo scambiati i soliti convenevoli. Lei aveva portato un dolce fatto da lei, da brava casalinga quale era diventata. Ero così felice di vederla, ma così in ansia per quello che sarebbe successo. Tastai la fotografia di Dorothea, che ormai portavo sempre in una delle tasche del vestito (ne avevo cucita una interna, vicino al cuore), e mi avviai in cucina. Dovevo cominciare a portare gli antipasti, e per tutta la sera feci il mio dovere da brava figlia. Ci furono risate, chiacchiere, gli uomini giocarono a carte. Poi, “Facciamo un brindisi!” aveva esclamato mio padre, preso dalla frenesia del gioco.
Le mani mi tremavano, ma nessuno si accorse del mio sguardo vuoto. Mia madre mi guardò con un sorriso, invitandomi ad andare in cucina. Mi incamminai come un automa, aprii il frigorifero e ne presi la bottiglia di champagne che avevo comprato. Ci avevo speso gran parte dei miei soldi, ma ne valeva la pena: era il più buono di tutto il negozio, aveva detto il commesso. La portai a tavola, porgendola a mio padre con un gran sorriso. Che figlia devota e meritevole.
Non rimasi mentre veniva stappato, ma mi recai nuovamente in cucina per prendere il vassoio con i bicchieri. Mi resi conto in quel momento che non avevo detto una parola per tutta la sera, tranne i saluti iniziali alla famiglia di mia sorella. Afferrai il vassoio e girai i tacchi, per tornare in sala da pranzo. Mi fermai sotto l’arco d’ingresso alla stanza, i bicchieri in mano, ad osservarli tutti. Si stavano divertendo, era un Natale come un altro. Mio cognato giocava a carte contro mio padre, lasciandolo vincere il più delle volte. Mia sorella e mia madre parlavano del bambino che sarebbe arrivato, scambiandosi “segreti da donna”, come li chiamava papà. Neanche io li avevo mai capiti del tutto, con tutti quei trucchi, quei trabocchetti per far abboccare gli uomini, erano cose a me estranee.
Tutti parlavano ad un volume dignitoso, un chiacchiericcio tranquillo, ma dentro di me c’era un rumore assordante. Ero ancora in piedi con il vassoio in mano, e non accennavo a muovermi. Mio padre se ne accorse. “Betty, cosa fai lì? Dobbiamo bere lo champagne, forza!” mi disse, invitandomi ad andare verso di lui. Improvvisamente sentii un gran caldo, ormai tutti gli occhi erano puntati su di me, su di me che non mi muovevo, che sentivo le gambe cedere. La fotografia di Dorothea bruciava nella tasca, scaldandomi la pelle fino quasi a ustionarla. Chiusi gli occhi, non potevo più farcela, era troppo.
“Non sposerò James.” dissi all’improvviso, senza avere il coraggio di aprire gli occhi. Che codarda. Mia madre mi si avvicinò, provando a toccarmi, ma io tremavo da testa a piedi. Prese il vassoio dalle mie mani, e le fui grata per questo.
“Oh cara, ma cosa dici?” cominciò a dire, un sorriso nervoso sulle labbra. “Sono sicura che se conoscessi un po’ di più James…”
“No!” esplosi, aprendo improvvisamente gli occhi. Mi guardavano tutti a bocca aperta, mia madre vicino a me con l’espressione preoccupata. Stai tranquilla, mamma, non sono malata. O forse sì, chi lo sa. “Non sposerò James, e non sposerò nessun altro ragazzo.” dissi, stavolta più calma, ma ancora tremante. La mia intera famiglia era in attesa delle mie parole. “Non sposerò nessuno perché nessuno di loro è ciò che voglio.” Da dove veniva tutto quel coraggio? Non ne avevo idea, ma mi sentii pervadere da un’energia sconosciuta, così continuai, senza preoccuparmi del dopo. “Io amo… amo una ragazza.” conclusi finalmente. Chiusi di nuovo gli occhi e tirai un sospiro di sollievo. Mi sentivo più leggera, non importava cosa sarebbe successo.
Mia madre fece cadere il vassoio, e i bicchieri si frantumarono a terra. Nessuno se ne preoccupò. Mi fissavano tutti, mia sorella con le mani sul pancione, come se avesse paura che il povero bimbo potesse rimanere traumatizzato. Suo marito aveva gli occhi a terra, chiaramente non voleva entrare in una questione del genere. Mio padre era accigliato, ma non sapeva come reagire. E mia madre… gli occhi di mia madre erano pieni di delusione. Tentai di non guardarla, perché sapevo che sarei crollata.
“Bene,” dissi, a nessuno in particolare. “ora lo sapete. Buona continuazione.” Mi girai sui tacchi e corsi in camera mia, mi chiusi a chiave e cominciai a piangere tutte le mie lacrime. Potevo sentire, al piano di sotto, i bisbigli della mia famiglia, e anche un paio di urla da parte di mio padre. Nessuno stava più festeggiando il Natale. E perché mai? Non ce n’era più motivo.
Mi addormentai piangendo, la foto di Dorothea tra le mani, bagnata delle mie lacrime. Il suo sorriso era così bello.
   
 
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