Shanti
entrò dalla
porta di servizio portando la brocca d’acqua. Appena chiuse
la porta alle sue
spalle sentì dei singhiozzi dall’altra stanza.
Trovò la padrona Messua che
piangeva sommessamente seduta sui cuscini. Quando si res conto della
presenza
della ragazzina la donna si asciugò svelta le lacrime.
“Oh, Shanti sei tu”. Di
solito a quell’ora la padrona era al tempio. Shanti non
sapeva come comportarsi
avendola trovata in quella situazione. “Vuole, vuole che vada
a svegliare Nathoo”,
disse la bambina sperando di poter andarsene da quella scena.
“Oh,
che sciocca”,
disse la donna ripulendosi con un fazzoletto le guance bagnate,
“Come ho potuto
dimenticarmi di dirtelo? Specialmente a te poi”.
Un
orribile pensiero
chiuse la bocca a Shanti: il bramino aveva bandito Mowgli dal
villaggio,
sicuramente era così. Per questo Messua piangeva disperata.
A suo marito,
Mowgli non era mai piaciuto per questo se ne era liberato. Oh no,
perché?
Perché aveva dovuto dire che le piacevano tanto i manghi? Di
sicuro era per lei
che Mowgli aveva fatto quella stupidaggine. “La prego non lo
faccia mandare
via”, disse sull’orlo delle lacrime.
“Cosa?”,
chiese
confusa Messua. “È stata tutta colpa mia. I manghi
al tempio li ha presi per me
non per sé stesso. La prego, la prego punisca me, ma per
favore non fate andare
via Mowgli”, appena realizzò di aver detto quel
nome si tappò la bocca con le
mani. Ma invece della reazione furiosa che si aspettava vide la sua
padrona
sorridere sommessamente: “Stai tranquilla piccola Shanti. Non
è successo niente
del genere. Il tuo amico… Mowgli non è stato
bandito. L’hanno solo mandato a
pascolare i bufali. In effetti con questi lacrimoni avrai pensato il
peggio.
Sono proprio una vecchia sciocca e troppo sensibile”, un
altro paio di lacrime
le uscirono dagli occhi. Shanti tirò un sospiro di sollievo
a quella notizia.
Anzi pensò che fosse grandioso. Se c’era un modo
per far venire fuori lo
straordinario che c’era in Mowgli, era farlo lavorare con gli
animali. “E
Shanti?”, disse Messua tirando su un ultimo singhiozzo,
“Non pensare
assolutamente che
la stupidaggine di mio figlio sia colpa tua. Kamya mi ha detto che ha
confessato che erano per te ma questo non ti rende colpevole. Credo
renda solo
più ovvio quanto il mio bambino tenga a te”.
Shanti sorrise contenta: “Scusi se
ho usato… quell’altro nome prima. So che non
vuole. Giuro non succederà più”.
Messua la guardò stanca ma sorridente: “Non
scusarti neanche per quello.
Immagino che forse avremmo dovuto lasciargli usare quel nome dopotutto:
Mowgli.
Il fatto è che… ho passato dieci anni della mia
vita nella speranza che il mio
Nathoo tornasse. Dieci anni in attesa di un bambino e quando arriva,
è un
Mowgli invece del Nathoo che speravo”, tirò su col
naso, “Non sono stupida,
sai? So che quel bambino, molto probabilmente… anzi
sicuramente, non è mio
figlio. Ma anche se non fosse del mio sangue io lo amo con tutto il
cuore, e
ogni volta penso che se anche non è il mio Nathoo,
c’è una Messua là fuori da
qualche parte che ha sofferto come me per il suo bambino.
Oh,
piccola Shanti, se diventerai madre io ti auguro di non provare mai
cosa vuol
dire perdere un figlio. E Kamya lui… ha sofferto quanto me
quando abbiamo perso
Nathoo, ma al contrario di me se n’era fatto una ragione. Ora
invece c’è questo
bambino che non è nulla di quello che sperava in un figlio.
Probabilmente tutti
e due vogliamo ancora il nostro Nathoo, ma il destino ci ha dato
Mowgli. Forse
dovremmo trattarlo più da Mowgli, non da Nathoo, o come
avremmo voluto che
Nathoo fosse. A cominciare dal nome. Grazie piccola Shanti. Ho deciso,
stasera
ne parlerò con Kamya. Da oggi tutti gli errori di Nathoo
vengono cancellati e
si apre una pagina bianca per il mio bambino, Mowgli”. Shanti
annuì, non
molto
sicura di ciò che era appena successo, però era
felice. Mowgli sarebbe stato
molto felice del cambio di nome. “Bene Shanti va in cucina ad
aiutare tua
madre. Stasera voglio una bella cena per festeggiare il primo giorno da
mandriano di… Mowgli”, pronunciò
l’ultima parola assaporandone le sillabe che
avrebbero definito suo figlio da quel giorno in poi. “
Però di non dire ancora
niente a nessuno. Voglio che sia una sorpresa. E prima dovrò
convincere Kamya”.
Shanti annuì felice e corse in cucina.
Tre
teste pelose
spuntarono su un albero fuori dalla palizzata del villaggio. Le tre
scimmie di
re Luigi si scambiarono uno sguardo di intesa e poi saltarono leggiadre
oltre
il muro di legno. Atterrate all’interno del villaggio si
nascosero contro un
muro e poi allungarono il collo per spiare gli strani esseri umani.
Nessuno
fece caso a loro, troppo impegnati com’erano nelle loro
faccende.
Una
scimmia spiò
lungo le bancarelle del mercato: un sacco di uomini e cuccioli
d’uomo, ma
nessun Mowgli in vista. Bisognava allargare il campo di ricerca. Ma
come?
Si
grattò la testa pensierosa. Non potevano certo camminare
liberamente per il
villaggio come nulla fosse… a meno che. La scimmia
adocchiò una bancarella che
vendeva stoffe colorate. Ne vide un’altra poco lontana che
vendeva stoviglie.
Un lampo di genio le balenò nella sua testa da primate.
Sussurrò qualcosa
nell’orecchio alle altre. Le due scimmie annuirono. Poi tutte
e tre insieme si
arrampicarono sul tetto di paglia della casa. Senza che i poveri
negozianti se
ne accorgessero un paio di metri di stoffa rosa scomparirono dal banco
del
primo venditore e pentole, brocche e vasi da quello del secondo. Dietro
un
vicolo le tre scimmie armeggiarono scoordinate fino a che non
ultimarono il
loro travestimento. Messe una sulle spalle dell’altra si
erano infagottate
nella stoffa rosa tentando di imitare una figura umana. Doveva essere
un a
donna con il capo e il viso addobbati da un velo. Solo gli
occhi
dell’ultima scimmia erano visibili per potersi orientare. Gli
oggetti rubati
erano stati messi a simulare le curve femminili. La scimmia
più in basso
reggeva con la coda una grossa pentola rotonda e panciuta.
La
seconda scimmia invece reggeva un paio di brocche con le braccia come
simulando
un petto prosperoso.
“Pronti?”,
disse la
scimmia in cima, “Via!”. Dando indicazioni su quale
direzione prendere la
donna-scimmia si incamminò barcollando e sbandando. Buldeo
intanto stava
ritornando
irritato
dopo aver visto il piccolo Nathoo
che guidava la mandria. Il vecchio cacciatore camminava ad ampie
falcate
sbuffando. Non era certo quello il castigo che sperava per il figlio di
Kamya.
Mentre
continuava a
rimuginare qualcuno lo urtò. “Ehi fa attenzione,
imbecille”, si lamentò l’uomo.
Chi l’aveva urtato non lo degnò di alcuna scusa e
continuò dritto per la sua
strada. Il cacciatore si voltò irato per dirgliene quattro a
quel maleducato,
ma si trovò davanti una visione magnifica. Una donna
sconosciuta, mai vista al
villaggio, avvolta in delle magnifiche vesti rosa si allontanava
scuotendo i
fianchi. E che fianchi! La donna si voltò un attimo a
fissarlo. Il viso era
coperto da un velo e poteva solo vedere i suoi bellissimi occhi
marroni.
Formosa e pudica, proprio il suo tipo di donna.
“Oh,
mi scusi
signorina. Non avevo visto che si trattava di lei, sarà
stata senz’altro colpa
mia”. La donna mugugnò qualcosa sotto il velo e
poi si allontanò svelta dietro
l’angolo. Oh, faceva la timida! Buldeo si affrettò
sorridente dietro alla
ragazza. Ma quando girò l’angolo era sparita. Si
grattò il turbante perplesso.
Le
tre scimmie
travestite continuarono ad aggirarsi tra le strade del villaggio, ma di
Mowgli
nessuna traccia. Ogni volta che incrociavano il vecchio cacciatore
correvano
subito nella direzione opposta e se le stava per mettere
all’angolo
scioglievano la formazione salivano sui tetti per poi ritravestirsi
qualche
strada più in là. Alla fine dopo aver fatto
l’intero giro del villaggio tre
volte, le povere scimmie salirono su un tetto, stremate.
“Nessuna
traccia del
cucciolo d’uomo”
“Ma
cosa diciamo al
re?”
“Già.
Cosa diciamo al
re e alla tigre?”
“Non
lo so. Oh, tutta
questa agitazione mi mette fame. Non tocco frutta da mesi da quando il
re ci fa
lavorare notte e giorno per ricostruire il suo stupido palazzo. Ah,
come
brontola il mio stomaco”, disse la scimmia massaggiandosi il
ventre peloso.
Un’altra scimmia improvvisamente spalancò gli
occhi: “Guardate”, disse alle
compagne puntando un dito, “Manghi!”. Le altre due
voltarono la testa e videro
un albero dei deliziosi frutti qualche casa più in
là, accanto a un tetto di
pietra a cupola. Le tre scimmie si guardarono e trovata subito
l’intesa
saltellarono verso l’albero. Il bramino Purun era immerso
nelle preghiere come
al solito, perciò non notò quando tre teste di
scimmia spuntarono capovolte dal
cornicione. Appurato che il padrone di casa era distratto le tre
scimmie si
calarono una legata all’altra dalla coda e cominciarono a
passarsi i manghi che
ammucchiarono sul tetto del tempio. In pochi minuti avevano ripulito
l’albero.
Con le braccia cariche di quelle delizie si allontanarono dal luogo del
delitto. Una delle tre però nella fretta si fece scappare un
mango che cadde
con un sonoro splat sul terreno. Purun aprì gli occhi
distratto da quel rumore
vide il mango spiaccicato. Di solito non cadevano così
presto, pensò
incuriosito. Sollevò lo sguardo e vide sconvolto che
l’intero albero era stato
spogliato. Su tutte le furie si alzò e corse fuori.
Quel
Nathoo era al
pascolo. Che avesse abbandonato i bufali e fosse tornato solo per
rubargli di
nuovo i manghi? Questa volta non ci sarebbe andato leggero con il
bambino.
Cominciò a gridare “Al ladro! Al
ladro!”. Fece appena in tempo a guardare sul
tetto e vide l’ultima scimmia che scappava via. Borbottando
imprecazioni il
grasso prete uscì dal tempio tentando di inseguire dal suolo
le tre ladre sui
tetti. “Fermatele! Al ladro! Le scimmie mi hanno rubato i
manghi, puff, pant!
Fermatele!”.
Le
scimmie rendendosi
conto di essere state scoperte corsero a riprendere i loro
travestimento rosa.
Ancora più traballanti di prima per via dei manghi
scapparono per le strade. Il
bramino col fiatone si era fermato e guardava sui tetti lì
intorno per
ritrovare le scimmie.
Buldeo
si aggirava in
cerca della sua bella che non voleva lasciarsi prendere. Ad un certo
quando
proprio aveva abbandonato ogni speranza eccola che spuntava da dietro
un angolo
diretta proprio verso di lui. Sembrava ancora più formosa
che al mattino, se
era possibile. “Eccoti finalmente, è tutto il
giorno che ti cerco”, le disse in
tono sognante. La ragazza però non sembrava prestargli
ascolto e continuò a
tutta birra passandogli accanto. “Oh, no. Stavolta non mi
scapperai”, disse con
tono malizioso Buldeo e afferrò un lembo della stoffa rosa
per costringerla a
parlar con lui una volta per tutte. Al contrario di quello che pensava
invece
la stoffa si srotolò fino a restargli tra le sue dita
lasciando la sconosciuta
scoperta. Ma non era una sconosciuta realizzò paonazzo di
rabbia, erano tre
scimmie cariche di manghi. “Eccole”,
risuonò una voce dietro Buldeo, “Sono
loro. Hanno preso i miei manghi. Puff. Buldeo fermale”. Le
tre scimmie erano
rimaste un attimo spaesate quando la loro copertura era saltata, ma si
ripresero subito e rompendo la formazione corsero via strillando.
Buldeo
che ancora non
voleva credere di aver corso una mattinata dietro a delle scimmie
imbracciò il
fucile e corse dietro alle tre ladre. “Tornate indietro
maledette. Appena vi
prendo mi faccio un turbante di scimmia”, urlò
funesto. Le tre scimmie
continuarono a correre per strada. Cominciarono a incrociare vari umani
che
strillavano e si ritraevano al loro passaggio. Il cacciatore invece gli
stava
alle costole. Correndo Buldeo caricò il fucile e
sparò verso una delle scimmie.
La poveretta sobbalzò e perse parte della refurtiva, ma
continuò a correre.
Shanti
era andata a
prendere altra acqua per la cena speciale di quella sera e camminava
tranquillamente. Dall’angolo spuntarono le tre scimmie e la
bambina urlò
sconvolta. Le tre landruncole le
sgusciarono accanto alla gonna perdendo qualche mango e Shanti
faticò a
mantenere in equilibrio la pesante brocca. Proprio in quel momento
Buldeo
svoltò l’angolo e sparò un colpo di
fucile che colpì proprio il recipiente
d’acqua. Cocci e il liquido caddero sulla piccola
inzuppandola. Qualche
centimetro più un basso e sarebbe morta.
“Spostati
shudra”, le
urlò Buldeo incurante e la fece cadere a terra con uno
spintone. Le scimmie
passarono nella piazza affollata verso il grande albero di fico. La
gente
strillava spaventata o arrabbiata e alcuni cercarono anche di
acchiappare le
scimmie che però riuscivano sempre a scappare tra le gambe o
saltare sul
turbante del malcapitato. Tutti poi urlarono e si ritrassero quando
arrivò
Buldeo che continuava a sparare all’impazzata. Le tre scimmie
salirono svelte
sul fico mentre la corteccia veniva bucherellata da Buldeo. Dai rami
dell’albero saltarono su un tetto e si trovarono a pochi
metri dalla palizzata
del villaggio e verso la libertà.
Nella
fuga avevano
perso vari manghi e perciò ora ne avevano solo uno a testa.
Si fermarono di
soprassalto quando videro che il punto da dove volevano uscire non era
lo
stesso da cui erano entrate nel villaggio. Lì il percorso
del fiume fra
villaggio e alberi era più distante e non sapevano se
fossero in grado di saltare
così lontano. Un altro sparo di Buldeo le convinse a tentare
lo stesso. Con un
balzo disperato una delle scimmie riuscì ad aggrapparsi a un
ramo ma le altre
due dovettero aggrapparsi invece alla sua coda e nel farlo persero i
manghi.
Quella attaccata al ramo dovette rinunciare al suo mango anche lei per
sostenere il peso delle amiche con entrambe le mani. Guardarono oltre
la
palizzata e videro che Buldeo si era arrampicato sul muro di legno e
stava
ricaricando il fucile. Strillarono in allarme e si contorsero una sopra
l’altra
per rifugiarsi tra le foglie dell’albero. Alla fine un ultimo
sparo colpì il
ramo e le tre scimmie urlanti furono trascinate via dalla corrente.
“E non
tornate più”, strillò Buldeo agitando
il pugno.