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Autore: Star_Rover    25/12/2020    8 recensioni
Fronte Occidentale, inverno 1917.
Il tenente August Spengler è un giovane ufficiale dallo spirito valoroso e coraggioso. Grazie alle sue lodevoli qualità è stato onorato con la Croce di Ferro.
Al comando di una pericolosa missione Spengler deve ricorrere a tutta la sua forza d’animo per salvare i suoi compagni, dimostrando che il reale valore di un uomo è qualcosa che va oltre ad una decorazione appuntata al petto.
Questa storia è dedicata al carissimo Old Fashioned^^
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
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Uno stretto sentiero si insinuava tra gli arbusti e i tronchi bruciati, il percorso era ostacolato dagli alberi sradicati dalle esplosioni. Le figure create dai lunghi rami intrecciati erano suggestive ed inquietanti.
I soldati si inoltrarono nella foresta. August affondò nella neve fino ai polpacci, al gelo con ogni respiro espirava una condensa di vapore. L’ufficiale sopportò il freddo continuando a marciare in salita.
I suoi commilitoni camminarono in silenzio sotto al peso delle munizioni e delle armi.
L’unico rumore proveniva dalla neve che crepitava sotto agli stivali, ma quella quiete non era affatto rassicurante. Müller alzò lo sguardo osservando il pendio ghiacciato, ogni riparo tra gli alberi e ogni sperone di roccia era un possibile nascondiglio per il nemico.
Il sergente Hofmann rallentò il passo per aspettare il soldato Weber, il quale arrancava a fatica sul sentiero.
«Forza ragazzo, non puoi restare indietro»
Il giovane tentò di ignorare l’intensa fitta al fianco, con il fiato corto e i polmoni in fiamme cercò di reggere lo sforzo.
I tedeschi avanzarono fino ad un’ampia radura, un ampio spiazzo deserto li separava dalla continuazione del percorso.
Il tenente Spengler ordinò ai suoi commilitoni di proseguire con cautela e di prestare particolare attenzione ad ogni segnale di pericolo.
Le raccomandazioni dell’ufficiale furono previdenti, appena i soldati uscirono dalla boscaglia avvertirono l’eco di alcuni spari.
Una mitragliatrice scaricò su di loro interi nastri di proiettili. Spengler iniziò a correre, a metà strada il tenente si gettò al riparo in un fosso. Stava per risalire in superficie quando ad un tratto avvertì un grido. August si voltò, il soldato Weber ricadde sul fondo della buca con un tonfo, un proiettile l’aveva colpito all’addome.
Il tenente si affrettò a soccorrere il suo compagno, la ferita era profonda, egli però era ancora cosciente.
La mitragliatrice si quietò, gli altri, più o meno incolumi, avevano raggiunto il margine della foresta.
L’ufficiale realizzò che per mettersi in salvo avrebbe dovuto attraversare la radura come unico bersaglio sotto al tiro del nemico.  
Spengler osservò Weber che giaceva al suolo ansante e sofferente. Sapeva di non avere altre possibilità, così si caricò il ferito sulle spalle e si preparò ad affrontare quel pericoloso tratto scoperto.
Spengler arrancò nella neve, i botti degli spari erano sempre più vicini.
Il soldato Weber strinse le braccia intorno al collo del suo superiore, August continuò a resistere, sentendosi in dovere di portare al sicuro il suo sottoposto.
Il tenente raggiunse un rifugio tra gli alberi, stremato si gettò a terra, immediatamente i suoi commilitoni si occuparono del ferito.
Appena si fu ripreso August si preoccupò per le condizioni di Weber, aveva perso molto sangue, la situazione sembrava piuttosto grave. Il sergente Hofmann era intento a premere sulla ferita per bloccare l’emorragia.
Il giovane gridava e si lamentava per il dolore, quando il tenente si chinò al suo fianco egli parve rassicurarsi.
«Non agitarti, il sangue si è quasi fermato» lo confortò Hofmann.
Il ragazzo tremava per il freddo, Spengler lo coprì con il suo cappotto.
Weber avvertì che le forze lo stavano abbandonando, l’ultima cosa che vide prima di perdere i sensi fu la lucente Croce di Ferro sul petto del tenente.
 
August si guardò intorno in cerca di qualche punto di riferimento, ma nella notte non riuscì a scorgere nulla.
I suoi commilitoni erano sempre più nervosi.
«Non possiamo restare qui. Dobbiamo andarcene da questa foresta maledetta!» gridò Roth esternando la propria frustrazione.
Il sergente Hofmann rivolse uno sguardo preoccupato al ferito.
«Weber non resisterà a lungo in queste condizioni»
«Ormai gli inglesi avranno occupato l’intera collina, siamo circondati» continuò Roth.
Keller si unì alla discussione.
«Ma perché gli uomini del tenente Falk non sono ancora tornati? Questa situazione non mi piace per niente…»
Spengler ascoltò in silenzio tutte quelle considerazioni, il suo volto rimase impassibile. Sapeva di essere un punto di riferimento per quei soldati e non poteva mostrarsi titubante in un momento di difficoltà. Era suo dovere mantenere la calma e riportare l’ordine.
Dopo qualche istante di riflessione l’ufficiale prese la sua decisione.
«Non possiamo tornare indietro, dobbiamo raggiungere la cima»
«Come faremo con Weber?» chiese Roth.
«Lo trasporteremo a turno, coraggio, dobbiamo muoverci in fretta!»
 
Il gruppo proseguì in salita sul versante della collina. Iniziò a nevicare, il freddo era sempre più intenso.
August marciava in testa alla fila, ogni tanto si fermava per controllare le condizioni di Weber, il quale restava incosciente sulle robuste spalle del soldato Müller.
«Credete che gli inglesi siano ancora qui intorno?» domandò Roth con tono ansioso.
Keller sbuffò: «non lo so, ma questo silenzio non mi piace affatto!»
Proprio in quel momento avvertirono l’eco di alcuni spari.
«Provenivano dal lato sud, erano gli uomini di Falk…» commentò Hofmann con aria preoccupata.
Spengler non rispose limitandosi ad affrettare il passo, il suo unico obiettivo era completare la missione e riportare al sicuro i suoi compagni.
 
I soldati sostarono in un piccolo rifugio naturale scavato nella roccia, il silenzio era tornato a regnare sulla collina. Spengler si rannicchiò accanto a Weber, il quale giaceva sdraiato su un fianco, avvolto nel cappotto dell’ufficiale. August scostò dal suo volto i sottili capelli biondi, aveva gli occhi chiusi e la fronte madida di sudore. Il ragazzo era in preda a deliri febbrili, forse stava sognando.
Spengler si prese la testa tra le mani, avvertiva il peso di tutte le sue responsabilità, era sempre più difficile mantenere il controllo e non lasciarsi sopraffare dalla disperazione. L’ufficiale alzò lo sguardo, il chiarore della luna brillava nel cielo stellato, la notte era ancora lunga.
 
✠  
 
I soldati giunsero a un bivio, Spengler si rivolse a Müller e Keller.
«Voi due iniziate a scendere con Weber, gli altri verranno con me in cima»
Keller esitò: «signor tenente, io penso che dovremmo tutti tornare a valle al più presto»
August tentò di rassicurarlo: «vi raggiungeremo sulla strada del ritorno»
Il soldato rivolse lo sguardo verso la sommità rocciosa: «non credo che sia una buona idea inoltrarsi lassù…»
«Keller, questo è un ordine. Avanti, non c’è tempo da perdere, la vita di Weber è nelle vostre mani»
Egli non fu sorpreso dalla determinazione del suo superiore, d’altra parte era anche per questo che Spengler si era guadagnato la stima e l’ammirazione dei suoi uomini.
 
La foresta iniziò a diradarsi, nell’ultimo tratto il sentiero era completamente ghiacciato. Il paesaggio notturno era caratterizzato da cumoli di neve ed enormi rocce dalle forme più svariate.
Spengler e i suoi compagni erano ormai giunti in cima quando trovarono un ostacolo lungo il percorso.
Il tenente puntò il binocolo, nonostante l’oscurità riuscì a notare il rifugio e le trincee scavate sotto alla neve.
«Si tratta di un avamposto, sembrerebbe abbandonato»
«Sarebbe meglio tornare indietro» suggerì Roth.
«No, dobbiamo andare a controllare. Se gli inglesi stanno preparando un attacco è nostro dovere informare il centro di comando» affermò Spengler con fermezza.
Il soldato si rassegnò e si preparò all’azione.
I tre tedeschi si avvicinarono cautamente all’obiettivo, strisciando nel fango e nella neve. Spengler tranciò il filo spinato e silenziosamente scivolò oltre ai reticolati.
L’ufficiale fu il primo ad infiltrarsi nella trincea nemica trovandola deserta. August esplorò i camminamenti seguito a pochi passi di distanza dai suoi commilitoni.
Ad un tratto il tenente si immobilizzò, era certo di aver udito qualcosa. Trovandosi davanti ad una biforcazione Spengler decise di separarsi dai suoi compagni, i quali progredirono nella medesima direzione.
August si avventurò da solo, muovendosi cautamente e prestando attenzione ad ogni rumore sospetto.
L’ufficiale sussultò avvertendo il botto di uno sparo, negli istanti successivi echeggiarono altri due colpi.
Spengler si domandò se fosse il caso di tornare indietro, ma proprio in quel momento notò una sentinella che aveva appena svoltato l’angolo oltre al muro di terra.
August non esitò ad agire, avventandosi prontamente sul nemico. L’inglese si voltò di scatto, ma non fu abbastanza rapido. Spengler si gettò su di lui, i due caddero rotolando nella neve. L’avversario si ritrovò con la schiena a terra, August riuscì a disarmarlo, era intenzionato a recuperare la pistola, ma in quella situazione era limitato nei movimenti. L’inglese tentò di liberarsi dalla sua stretta, l’ufficiale lo colpì in volto e rapidamente estrasse il suo pugnale.
Nel tentativo di allontanare da sé il coltello l’altro afferrò il suo braccio conficcandogli le unghie nella pelle.
August strinse ancora più la presa, per un istante incrociò il suo sguardo, quegli occhi chiari, quasi trasparenti, erano fin troppo simili ai suoi.
Alla fine il tedesco si decise a trafiggere il nemico, Spengler affondò più volte il pugnale nel petto dell’inglese, avvertendo la lama penetrare in profondità.
August tornò in sé ritrovandosi sopra al cadavere coperto di sangue. Istintivamente si ritrasse, sconvolto dalla violenza con cui egli stesso si era accanito contro al suo avversario.
In quel momento fu raggiunto dai suoi commilitoni.
«Tenente, è ferito?» domandò Roth impressionato dal sangue sulla sua divisa.
Spengler negò.
Hofmann poggiò sulle spalle del suo comandante un cappotto britannico.
«Si tenga al caldo signore, all’uomo a cui ho sparato di certo questo non serve più»
August alzò lo sguardo: «grazie sergente»
«Purtroppo un inglese è riuscito a fuggire»
«Dovremmo andarcene anche noi» aggiunse Roth, ancora scosso dallo scontro.  
L’ufficiale si avvicinò al bordo della trincea per osservare il versante opposto della collina, la visuale sulla vallata era in parte coperta dalla nebbia, ma riuscì a scorgere distintamente un accampamento vicino al fiume. Un consistente numero di mezzi e uomini era stato mobilitato dal nemico. Il tenente Festner aveva detto la verità, gli inglesi stavano organizzando un attacco.
August tornò rapidamente sui suoi passi: «questa volta hai ragione, dobbiamo andarcene in fretta da qui!»
Roth fu rassicurato da quella notizia, senza perdere tempo si rimise il fucile in spalla e saltò fuori dalla fossa.
Il sergente Hofmann lo seguì poco dopo, Spengler restò per ultimo in quella buca.
L’ufficiale si fermò davanti al cadavere dell’inglese, il quale giaceva inerme nella neve macchiata di sangue.
Spengler chinò il capo, un tempo non avrebbe mai creduto di poter uccidere un uomo. Aveva agito animato dal senso del dovere, consapevole di non avere altra scelta. In quegli anni era stato costretto ad adattarsi alla crudeltà della guerra, aveva conosciuto il lato più oscuro di se stesso, a volte ne era spaventato, ma in situazioni estreme l’istinto di sopravvivenza prevaleva sempre sulla morale.
Non aveva mai provato odio o disprezzo per il nemico, l’atrocità del conflitto non aveva corrotto il suo animo leale e onorevole. Il rispetto per il nemico era un valore imprescindibile per un buon combattente.
August richiuse gli occhi del morto, poi si voltò per tornare dai suoi compagni. Riuscì a compiere solo pochi passi, poi fu costretto a poggiarsi al muro di terra, a stento riuscì a reggersi sulle gambe tremanti. Un’intensa sensazione di nausea iniziò a diffondersi nel suo corpo.
L’ufficiale tentò di calmarsi, soltanto la preoccupazione per i suoi commilitoni poté donargli la forza di abbandonare quella trincea.

✠  
 
I tre tedeschi continuarono a scendere, il sentiero era ripido e scivoloso, la nevicata si era tramutata in una vera tormenta. August si strinse nel cappotto ringraziando l’Esercito britannico per aver fornito un adatto equipaggiamento ai suoi soldati.
Roth iniziò a lamentarsi: «dove sono Müller e Keller? Con Weber in spalla non possono aver fatto molta strada!»
«Ormai dovremmo averli raggiunti» replicò il sergente.
«Forse abbiamo sbagliato strada»
«Idiota, non ci sono altre strade!»
Il tenente riprese entrambi i suoi sottoposti: «silenzio, vi ricordo che non siamo soli su questa collina»
I due si zittirono all’istante e senza più proferire parola ripresero il cammino. August proseguì arrancando nelle neve, gli stivali irrigiditi dal gelo gli provocavano intensi dolori ad ogni passo.
 
Dopo essere tornati nella foresta si ricongiunsero con i loro compagni, i quali si erano fermati al riparo per proteggersi dal vento.
«Eccovi finalmente! Abbiamo sentito gli spari…eravamo preoccupati» disse il soldato Müller con sincera apprensione.
«Abbiamo trovato solo un avamposto, ma dall’altra parte i Tommies hanno occupato l’intera vallata!» rispose Roth.
Il tenente Spengler si avvicinò a Weber, il soldato era ancora privo di sensi.
«Forza, andiamo avanti. Dobbiamo portare il ragazzo al sicuro e trovare la squadra di Falk»
«Lei crede che quegli uomini siano ancora vivi?» chiese Hofmann.
August si caricò nuovamente Weber sulle spalle: «è quello che spero»
 
Il terreno ghiacciato e il versante scosceso rallentarono ulteriormente la marcia. Spengler strinse a sé il corpo del suo compagno, Weber non emetteva nemmeno un gemito, il suo respiro era quasi impercettibile.
La tormenta divenne sempre più intensa, l’intera foresta era coperta da uno spesso manto candido.
Il soldato Roth scivolò su una lastra di ghiaccio, cadendo goffamente nella neve fresca. Keller gli porse la mano e l’aiutò a rialzarsi.
«Dannazione, odio questa maledetta montagna!»
«Coraggio, ormai non manca molto» lo rincuorò il suo commilitone.
 
Il gruppo raggiunse una piccola radura, August si fermò a lato del sentiero, la neve era macchiata di sangue. Dei corpi riaffiorarono dal fango, le salme erano coperte da un sottile strato ghiacciato.
Il sergente Hofmann trasalì: «sono gli uomini del tenente Falk»
Spengler poggiò a terra il ferito e uscì allo scoperto. Osservò il terreno circostante, alcune impronte erano ancora riconoscibili, sembrava che quel luogo fosse stato abbandonato da non troppo tempo.
«I nostri commilitoni devono essersi imbattuti in una pattuglia nemica, questo spiega gli spari che abbiamo sentito prima» disse il sergente.
August si avvicinò ai cadaveri: «sono quattro soldati, non c’è traccia del tenente Falk»
«Forse i sopravvissuti si sono arresi» ipotizzò Hofmann osservando le impronte ghiacciate che si perdevano della foresta.
Spengler avvertì gli occhi umidi, sconvolto e affranto si liberò il capo dall’elmetto e si inginocchiò nella neve.
I suoi sottoposti restarono immobili e in silenzio, condividendo il medesimo dolore. L’ufficiale trattenne a stento le lacrime, il tenente Falk era sempre stato un buon amico oltre che un fidato commilitone.
Lentamente August riprese il controllo di sé, l’unico modo per rendere giustizia ai suoi commilitoni era portare a termine quella missione.
 
Dopo aver superato il ruscello ghiacciato i soldati si trovarono di fronte all’ennesima biforcazione. Spengler ordinò ai suoi uomini di attendere al riparo.
«Restate qui, vado a controllare l’altro sentiero»
«Signore, vengo con lei» si offrì Keller.
«No, non è necessario. Pensate a recuperare le forze e occupatevi di Weber»
I soldati non poterono obiettare, avevano piena fiducia nel loro comandante ed erano certi che ogni sua decisione fosse giustamente motivata.
Spengler aveva scelto di non esporre i suoi uomini al pericolo, in certe situazioni preferiva essere responsabile solo di se stesso.
Si era alzato il vento, il tenente rabbrividì avvertendo l’aria gelida sulla pelle.
L’ufficiale seguì il sentiero restando rasente agli alberi, dopo un po’ si fermò per riprendere fiato. Poggiò il fucile nella neve e bevve un lungo sorso dalla sua borraccia, l’alcol l’aiutò a scaldarsi.
Il percorso iniziava a salire e proseguiva verso ovest, era ormai certo che non fosse quella la giusta direzione.
August stava per tornare indietro quando ad un tratto avvertì il rumore di alcuni passi, immediatamente l’ufficiale si nascose a lato del sentiero, si rannicchiò nella neve e strinse saldamente il fucile.
Spengler si appiattì contro al terreno ghiacciato, respirava piano, anche i battiti del suo cuore rallentarono. Restò così in allerta, con i muscoli in tensione e gli occhi ben aperti.
Ad un tratto intravide un’ombra muoversi tra gli alberi. Il tenente posizionò l’arma, tolse la sicura e prese la mira. La figura divenne sempre più nitida, si trattava di un soldato inglese, era solo e arrancava lentamente nella neve.
L’ufficiale osservò l’elmetto grigioverde nella croce di collimazione del cannocchiale di puntamento. August mantenne il fucile fisso sul suo obiettivo. Nella sua mente ricomparve l’immagine dei suoi commilitoni uccisi, rivide i loro corpi inermi nella neve rossa. Pensò al destino di Falk come prigioniero e alla ferita di Weber che continuava a sanguinare.
Il tenente sfiorò il grilletto, era suo dovere sparare al nemico, eppure continuò ad esitare.
La guerra aveva le sue regole e Spengler non si era mai rifiutato di compiere il suo dovere, ma in quella situazione avvertì qualcosa di diverso. Non avrebbe mai potuto sparare alle spalle di un uomo, sarebbe stato soltanto un atto vile e meschino.
August abbassò il fucile, in quel preciso momento non riuscì a trovare la motivazione per uccidere quel giovane. In lui rivide suo fratello Oskar, un ragazzo ancora innocente e ignaro del pericolo.
Alla fine il tedesco rimase immobile nel suo nascondiglio finché l’inglese non fu scomparso nella foresta.
 
Spengler tornò mestamente dai suoi compagni, senza dire nulla si portò in testa alla fila e proseguì nella discesa.
I soldati attraversarono il bosco, il sentiero divenne sempre più ampio, la pendenza era ormai terminata. Quando uscirono dalla vegetazione trovarono davanti a loro l’ampio e desolato deserto della terra di nessuno.
Il tenente guidò i suoi uomini superando i profondi crateri, il cielo era illuminato da razzi biancastri mentre all’orizzonte si intravedevano i primi bagliori dorati dell’alba.
Sporadici spari provenivano dal fronte opposto, il sergente Hofmann fu ferito ad una mano, ma non mancò di rispedire indietro il colpo al nemico. Un’altra pallottola strappò via un pezzo di stoffa dalla spalla di Keller, il soldato si procurò solo un profondo graffio.
Seguendo il percorso scavato nel fango i tedeschi riuscirono a raggiungere le loro linee. Il tenente Spengler strisciò fino alla barricata e fu aiutato dalle sentinelle per rientrare in trincea. Fortunatamente i suoi compagni riconobbero la sua voce prima di notare il colore del suo cappotto.
August si poggiò al muro di terra, osservò i suoi sottoposti tornare al sicuro e si preoccupò di informare i soccorritori sulle condizioni di Weber. Avrebbe desiderato seguire il giovane in infermeria, invece fu costretto a presentarsi dal colonnello von Kühn per fare rapporto.
 
Spengler tornò dal centro di comando con la consapevolezza di non essere riuscito a convincere il suo superiore dell’imminente pericolo, l’incontro si era concluso semplicemente con poche frasi di circostanza e una vigorosa stretta di mano.
Appena rientrò nel rifugio trovò il tenente Festner. L’aviatore gli rivolse uno sguardo sorpreso e confuso. Dopo i primi istanti di sbigottimento si avvicinò per abbracciarlo.
«Temevo che non saresti più tornato»
«Questa volta ci è mancato davvero poco» commentò Spengler.
Quando si distaccarono, tra l’emozione e lo stupore, Heinrich gli porse l’inevitabile domanda.
«Perché stai indossando un cappotto britannico?»
August, stremato ed esausto, rispose semplicemente: «perché ho freddo»
 
 
Spengler raggiunse il posto di soccorso per far visita al soldato Weber, il ragazzo sembrava essersi ripreso, lo trovò sveglio e cosciente.
Il giovane lo accolse con un debole ma rassicurante sorriso. Il suo sguardo si illuminò.
«Tenente, lei mi ha salvato la vita»
«Io e gli altri abbiamo solo svolto il nostro dovere. Non avremmo mai potuto abbandonare un compagno in difficoltà»
«Mi dispiace…»
August non capì: «per che cosa?»
«Per averla delusa»
Il tenente lo rassicurò: «hai affrontato dignitosamente la tua prima missione, non hai nulla di cui rimproverarti»
Weber fu lieto di sentire quelle parole.
L’ufficiale si avvicinò al suo giaciglio, in quel momento il ferito impallidì e sul suo volto comparve un’espressione ansiosa e preoccupata.
«Signore…la sua medaglia»
August portò la mano sotto al taschino sinistro, durante l’azione la Croce di Ferro si era staccata dal petto, lasciando uno spazio vuoto sulla divisa strappata e macchiata di sangue.
Il tenente non si preoccupò a riguardo: «non è nulla di grave, in fondo era solo un pezzo di metallo»
«Per il suo coraggio dovrebbe essere decorato con la Pour le Mérite
Spengler scosse la testa: «nessuna medaglia potrebbe valere quanto la vita dei miei uomini»
Il giovane rivolse al suo superiore uno sguardo colmo di ammirazione. Il tenente gli aveva dimostrato che il reale valore di un uomo era qualcosa che andava oltre alle apparenze. Non era importante quel che ornava il petto di un soldato, ma ciò che riempiva il suo cuore.
La guerra mostrava la vera essenza delle persone e il suo comandante aveva provato di essere davvero un eroe.   
  
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