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Autore: Melanto    25/12/2020    6 recensioni
[Soulmate Series - #6]
L'amore è fatto di piccoli passi, ma alcuni sono più lunghi degli altri e richiedono crisi di panico e di nervi per essere affrontati e, al contempo, far affrontare la più temuta cena della vita.
Se poi si ha un gemello che dà addirittura ragione al suo peggior nemico, cosa resta da fare?
...mi presenti i tuoi?!?!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Mamoru Izawa/Paul Diamond, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Soulmate Series'
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The 'Parents' Factor

Note Iniziali: Oh, Oh, Oh! La vostra MelaNatale è qui! *-*

Non aggiorno/pubblico qualcosa da un po’, ma ciò non significa che non stia scrivendo :3 Ma la storiella di Natale è una tradizione a cui sono affezionata, quindi… ecco di nuovo i miei bambini preferiti. :3

Questa storia è ambientata circa sette mesi dopo rispetto alla raccolta #5 della serie Soulmate. Siamo a novembre.

Ci rileggiamo alla fine! :*

 

Buona lettura!

 

 

The ‘Parents’ Factor

Soulmate series - #6

 

 

 

 

“Giusto per farti vedere quanto stanno sclerando i tuoi genitori, nii-san.”

La faccia di Sen scomparve, nello switchare della fotocamera, e il corridoio di casa Izawa divenne il soggetto del video un po’ traballante e registrato da una mano non ferma. Sen camminò fino a entrare nel salotto. La luce bianca andò in contrasto con la penombra precedente e per un attimo non si vide nulla, se non macchie indistinte, però le voci arrivavano forti e chiare.

“Allora, stanno arrivando qui. Mamoru mi ha scritto che ci vorrà ancora una mezz’oretta. Dici che casa è a posto?!”

Mae Izawa girava su sé stessa per guardare in ogni angolo della sala da pranzo. Ora si avvicinava al tavolo imbandito per il pranzo, ora si allontanava per raggiungere il camino e spostare qualche ninnolo, ora tornava a sprimacciare i cuscini della poltrona.

“Ma chére, rilassati.” Taikan fermò la moglie prendendola dolcemente per le spalle e rivolgendole un ampio sorriso. “È tutto perfetto.”

“Ne sei sicuro? Odio quando abbiamo ospiti importanti e c’è qualcosa fuori posto! Ci pensi?” squittì Mae, sbattendo le ciglia; le mani sorreggevano le guance. “Mamoru ci porta il suo fidanzato! Non è una cosa kawaii?! Se vogliamo che tutto funzioni, dobbiamo fargli una buona impressione. Pooja!” gridò, rivolta a una delle porte laterali.

In sottofondo le sghignazzate di Sen donavano quel tocco in più a tutta la follia.

“Signora?”

Pooja accorse asciugando le mani sul grembiule.

“I ragazzi saranno qui a breve, è tutto pronto, vero?”

“Sì, signora. Gliel’ho già detto dieci minuti fa. La cena è in caldo. Sto finendo il dolce. Andrà benissimo, stia tranquilla.”

“Ecco, vedi, ma chére? Te lo dice anche Pooja, che vuoi di più?”

“Ma siamo sicuri che gli piaccia la cucina indiana?” Mae aveva preso a torturare la punta dell’unghia del pollice con i denti.

“Mamoru ha detto di sì. Ti stai facendo problemi che non esistono…”

“Tu dici? Sai, è che sono un po’ agitata. Insomma, è il primo ragazzo che Mamoru ci presenta, voglio dire… Un po’ ho sempre pensato che non l’avrebbe mai fatto perché si vergognava di noi. Non è che siamo proprio convenzionali.” Sbuffò. “E poi nessuno mi ha fatto vedere neppure una foto! Non si fa, non è giusto! Meritavo una preview!”

Sen non si trattenne di più e sbottò a ridere. Gli occhi di Mae si accorsero finalmente di lui.

“E tu cosa stai facendo con quell’affare?! Non ti sei ancora preparato?! Fila subito a vestirti come si deve”, sbraitò, agitando il braccio, mentre Sen era libero di ridere senza ritegno.

“Forza, nano, leva quell’affare dalla faccia di tua madre e vatti a cambiare. Muoviti.” Il tono di Taikan, per quanto più bonario, suonò comunque minaccioso il giusto a convincere il ragazzo ad abbandonare il salotto, con ancora le ultime risate nella bocca.

Dalla luce della sala da pranzo, si tornò alla penombra del corridoio, e la telecamera riprese a inquadrare il viso di Sen.

“Auguri!” smozzicò tra le risate.

Poi, il video s’interruppe e Mamoru si spalmò in faccia l’intera mano.

«Ecco, se prima ne avevo di meno, ora ho l’ansia.» Seduto al suo fianco, al posto del passeggero, Yuzo non faceva che strofinare le cosce con i palmi delle mani. «Mi pento di aver acconsentito a questa cosa. Non sai quanto.»

«Oh, eddai. È solo una cena.»

«Una cena, una notte e una colazione a casa tua.» Yuzo lo sottolineò con veemenza e l’indice versione bacchetta magica. Glielo agitò sotto al naso.

Mamoru sollevò lo sguardo al tettuccio della macchina, ma non disse niente.

«Avremmo dovuto lasciare le cose come stavano ancora per un po’… far almeno passare l’anno…»

«Yuzo, l’anno è ormai finito, siamo a novembre. Sei agitato solo ora, ma vedrai: dopo vorrai non averli mai conosciuti.»

Il profondo sospiro del compagno lo fece girare e abbozzare un sorriso. Yuzo guardava fuori dal finestrino e di tanto in tanto picchiettava l’indice sul ginocchio.

Il giorno era arrivato.

Lo stava portando a casa in veste di fidanzato ufficiale. Non lo aveva fatto con nessuno, preferendo tenere separate le faccende sentimentali da quelle famigliari. Dopotutto, le prime le aveva sempre considerate poco più di una botta e via.

Ora la situazione era cambiata e con Yuzo i mesi che stavano insieme erano diventati undici.

Il Natale ormai prossimo avrebbe battuto il gong del primo anno di relazione stabile.

Quella presentazione, Mamoru la considerava il secondo, vero passo importante nella loro relazione, dopo essersi dichiarati. Dimostrava a tutti, Yuzo compreso, che non era una storia da poco, ma che si stava assumendo un impegno che di anni, natali e cene come quelle ne avrebbe visti e stravisti.

Ma l’agitazione sul volto e nei gesti del suo ragazzo un po’ lo faceva ridere. Sapeva di averlo caricato di una pressione molto grande, ma era stato certo che se avessero aspettato fino a che Yuzo gli avesse detto ‘sì, sono pronto’, probabilmente si sarebbero trovati già vecchi e ingrigiti.

In quel frangente si era imposto. Avevano parlato più volte del fatto che Yuzo dovesse uscire dalla sua zona di comfort e imparare ad accettare in maniera più aperta, con sé stesso e gli altri, la propria omosessualità. Iniziare con persone che sapevano perfettamente che lui era bisessuale senza fare una piega gli era sembrata fosse la cosa migliore. Un modo per spronarlo e farlo sentire più sicuro di sé e dei propri mezzi.

Così era andato a prenderlo a Shimizu-ku, in uno dei loro famosi quanto rari week-end liberi, e gli aveva detto: “Tu oggi vieni a casa con me. Ti presento ai miei genitori, ceniamo insieme e rimani a dormire da me. Il giorno dopo potrai scappare a casa dai tuoi… dove immagino che io non potrò mettere piede neppure tra un paio di ere geologiche, vero?”.

La risposta era stata un intenso boccheggiare, cambiare colore almeno cinque o sei volte in sfumature di rosso che variavano dal magenta al carminio per poi esplodere in un costernato: “No!”.

“Oh, io dico di sì. E non te lo sto chiedendo.”

“Ma sei impazzito?! E me lo dici così?!”

“Se te lo avessi detto prima, avresti trovato mille scuse pur di non venire e alla fine avresti convinto anche me a lasciar perdere. In questo modo, sei con le spalle al muro: perché i miei lo sanno già e ci aspettano. Vorrai mica fare una brutta figura e dargli buca, vero? Mia madre e la governante sono giorni che si preparano, hanno organizzato un menù a base di tutte le specialità indiane di Pooja. Si prospetta un pranzo che non ho visto nemmeno a Natale.”

“Ecco perché mi avevi fatto tutte quelle domande sulla cucina indiana e su cosa mi piacesse!” aveva sbottato Yuzo additandolo col solito indice a bacchetta magica. “Q-questo è sleale! Non avresti dovuto farlo! I-io non-… io non… Shuzo, cazzo!, di’ qualcosa!”

“Ah, no!” La Malerba dei Morisaki si era inaspettatamente chiamata fuori con grandissima classe – Mamoru non l’avrebbe mai detto. Aveva alzato le braccia al cielo e aveva guardato dritto suo fratello negli occhi: “Col cavolo che mi cerchi quando ti fa comodo. Avevamo detto che io non mi sarei intromesso, a meno che lui non si fosse comportato da stronzo, ma visto che questa penso sia stata davvero una gran bella giocata, io ti dico: veditela da solo.” Poi aveva incrociato le braccia e gli aveva rivolto un’occhiata di rarissima approvazione. “Bella mossa, Ottomano.“

Messo quindi alle strette, e col rischio di mostrare una mancanza di educazione nei riguardi dei suoi genitori, Yuzo aveva capitolato, non senza prima rivolgere un’occhiata di fuoco a suo fratello e sibilare un: “Giuda”, a denti serrati.

Ed ora eccoli lì.

In auto e ormai alle porte di Nankatsu.

Yuzo gli aveva tenuto il broncio per un po’ e di certo nei giorni a venire glielo avrebbe rinfacciato a ogni piè sospinto, ma poi aveva iniziato a porre domande e tamburellare le dita con fare nervoso. Ci aveva messo un secolo a decidere cosa indossare e alla fine aveva optato per il jeans più sobrio che aveva, nero e stretto attorno alle cosce, una maglietta bianca a maniche lunghe e un cardigan che gli arrivava a metà coscia, dove la lana lavorava fili grigi e bianchi insieme in un intreccio strettissimo. Non faceva che tirarsi le maniche fino a coprirne le dita e poi scoprirle e tirarle su fino a metà avambraccio.

“Sei sicuro che vada bene, così? Forse dovevo mettere la giacca e la cravatta… Se solo mia madre sapesse che sto per presentarmi davanti a Mae Yamatogawa in cardigan le verrebbe un colpo!”

Era stata più o meno la line che aveva tenuto per buona parte del viaggio.

Ora si era acquietato, almeno a parole, ma il broncio parlava bene del disagio che stava provando.

Era stato un vero tiro mancino, dopotutto.

Mamoru gli prese la mano, e la strinse tra le sue, tornando a guardare la strada.

«Se sarai te stesso, andrà benissimo», gli disse per l’ennesima volta.

Al sospiro di Yuzo si accodò un mugugno basso.

«E se non dovessi piacergli, invece? A questo hai pensato? Se… non lo so. Magari loro dicono di essere di mente aperta, ma pensano che prima o poi ti accaserai come qualunque calciatore della tua età con una ragazza bellissima e di successo.»

«Non ho avuto bisogno di pensarci, perché è impossibile che tu possa non piacergli. Conosco i miei genitori, Yuzo. E okay, hanno delle aspettative per me, ma su queste cose non mentirebbero mai: se mi hanno sempre insegnato che per loro non ci sono problemi in merito al mio orientamento sessuale, puoi credermi, non è una bugia. Non l’hanno detto pensando che fosse solo la fase del ragazzino e poi dell’adolescente. Ti ho già spiegato che lavoro fanno entrambi e che vita hanno condotto; le loro esperienze hanno formato il loro modo di essere.» Si volse e gli occhi di Yuzo restituirono tutta l’apprensione e la paura che aveva del pensiero degli altri nei loro confronti. Strinse di più la sua mano. «Se ti fidi di me, allora devi fidarti anche quando ti dico di stare tranquillo.»

Sorrise e anche Yuzo sembrò rilassarsi un po’. Annuì, girando la mano nella sua affinché potesse intrecciarvi le dita, e rispose al sorriso.

 

Quando arrivarono davanti a villa Izawa, Yuzo si sporse in avanti, appoggiando le mani sul cruscotto.

«Porca vacca…» disse. «Okay che abbiamo sempre detto che Genzo ha la reggia imperiale, ma anche tu non scherzi. Penso di non averla mai vista da vicino. In questa zona, sai, non è che ci venissi chissà quanto spesso.» Gli lanciò un’ironica occhiata traversa. «E poi casa tua la evitavo come la peste.»

«Ah! Quindi non mi sono potuto vantare con te dei mille passaggi secondari da cui facevo entrare ragazzi e ragazze di nascosto per divertirmi.»

«Ma davvero?» Yuzo affilò il sorriso. Mamoru portò le dita alla bocca.

«Forse non dovevo dirlo.»

Alla fine, sbottarono a ridere entrambi, con Yuzo che gli dava di gomito e che diceva che voleva assolutamente vederli anche lui, questi passaggi secondari.

«Mi auguro che un giorno li userai per venirmi a fare visite inaspettate.» Mamoru sollevò più volte le sopracciglia in un mare di sottintesi per niente casti.

Entrò nell’ampio parcheggio, non appena i cancelli si furono aperti quasi del tutto. C’era spazio almeno per altre tre vetture, oltre la sua, mentre quella di suo padre era dentro al garage, dalla serranda abbassata.

In quell’anno era tornato troppo poco, ma casa gli sembrò sempre bella e accogliente. Due piani, architettura moderna e squadrata, che però nascondeva un arredamento molto meno moderno del suo aspetto esteriore.

I suoi genitori erano bizzarri su tutto e amavano sorprendere con le loro scelte azzardate e talvolta kitsch cui aveva finito con l’abituarsi.

Presero i bagagli – un piccolo trolley ciascuno, tanto nessuno si sarebbe potuto fermare più di due giorni – e si avviarono alla porta, camminando sul piccolo viottolo coperto di brecciato grigio e bianco in pietre piccole pochi centimetri. Salirono i due scalini e furono sotto al portico. Bianco e grigio scuro, quasi nero, erano anche i colori dominanti dell’intera struttura.

«Se ti dicessi che è tornata l’ansia?»

«Ti prenderei la mano in questo mod-»

«Non ci provare!» Yuzo ringhiò come Zuul in Ghostbusters.

«Ecco, ha funzionato, hai visto? Ti è passata.»

«Idiota!»

Mamoru frugò nella tasca del giaccone alla ricerca delle chiavi, ma non fece nemmeno in tempo a mettere quella grande nella toppa che la porta venne spalancata di slancio e Sen comparve sogghignando.

«Benarrivati», cantilenò. «Ce ne avete messo di tempo, io quelli non li reggo più.»

«Sta’ zitto tu.» Mamoru provò a mollargli uno scappellotto ma Sen lo schivò in fretta e sorrise a Yuzo con grande entusiasmo.

«Nii-san!»

«Sen! Ma è impressione mia o ti sei fatto più alto?» Yuzo gli passò una mano nei capelli e il bambino non si ritrasse.

Mamoru lo notò subito e ne rimase sorpreso, dato che di solito suo fratello era schivo con chiunque e non dava mai confidenza ai suoi amici. Con Yuzo, invece, fin dall’inizio era stato accogliente. Per non parlare di Shuzo.

«Guarda che tra un po’ ti supera.»

«See, come no. Non dargli corda, che poi ci crede.»

«E fa bene, dico sul serio.»

Mamoru nicchiò e richiuse la porta alle loro spalle e osservò, divertito, come Yuzo ruotasse la testa per studiare l’ingresso in legno e gres porcellanato, con grande ammirazione. Avanzarono nel genkan era più grande del normale e molto comodo per potersi togliere le scarpe senza stare stretti. Sul lato destro si vedeva la scala che correva in alto, ai piani superiori, mentre andando avanti, sulla sinistra, si sarebbe arrivati alla cucina.

Disse a Yuzo di mollare lì i bagagli, sarebbero andati a riprenderli dopo, e tolse il giaccone abbandonandolo sul trolley.

Yuzo fece lo stesso con il grande sciarpone che aveva messo da sopra al cardigan, cui tirò le maniche fino a coprire i palmi.

Indossarono le ciabatte e si avviarono per il corridoio.

«Non vedevo l’ora che arrivaste, sto morendo dalla voglia di vedere le facce di mamma e papà nel momento clou.»

«No, pastrocchio. Tu adesso sparisci», disse Mamoru senza mezzi termini.

«Cosa?! Non vale! Me li sono sorbiti per una settimana intera con le loro idee fuori di testa! Me lo merito di rimanere! Faccio ancora parte della famiglia, dovresti presentare nii-san anche a me.»

Ma per quanto Sen cercasse di fare il sostenuto, incrociando finanche le braccia al petto per darsi un tono e guadagnare qualche altro centimetro in più – e, cavolo!, era davvero cresciuto, quel moccioso! –, Mamoru aveva ancora dalla sua la superiorità del fratello maggiore. Per questo si fermò davanti alla porta chiusa del salotto e lo guardò fisso da sopra lenti immaginarie.

«Smamma», disse e fu sufficiente.

«Che palle, non è giusto.»

«Invece lo è perché lo dico io. Aria.»

Sen gli passò accanto urtandolo con la spalla e Mamoru sgranò talmente tanto gli occhi che temette potessero cadergli dalle orbite. Se non ci fosse stato Yuzo, gliene avrebbe dette di tutti i colori e, anzi, ne avrebbe parlato pure sua madre di come Sen stava venendo su, e non gli piaceva. Era sempre più indisponente.

«Vado a dire ad aunty che siete arrivati», aggiunse il ragazzino e poi sparì con passo trascinato e mani infossate nelle tasche, la schiena un po’ curva.

«Avresti potuto essere più gentile nei suoi confronti», mormorò Yuzo quando Sen fu andato via.

«E tu smetti di voler fare il salvatore delle cause perse», mormorò lui di rimando. Afferrò la maniglia della porta e drizzò la schiena. «Pronto per conoscere gli esauriti Izawa?»

«No, ma immagino che debba esserlo per forza.»

«Oh, sarà un successo. È impossibile non perdere la testa per te. Mi sa che l’unico che finirà col vergognarsi sarò io, per la figura di merda che mi faranno fare.»

Ma tolto il dente, tolto il dolore, quindi abbassò di un sol colpo la maniglia e con slancio aprì la porta.

«Ciao, siamo arrivati.»

Mamoru si prese l’onere di andare avanti e aprire la strada a Yuzo, quasi avesse dovuto difenderlo dall’assalto di un drago a due teste. Però vide sua madre intenta a ritoccare le posate sulla tavola e suo padre che sorseggiava qualcosa di alcolico, presso la vetrata che dava sul cortile posteriore. Entrambi che parevano la tranquillità in persona. Da perfetti imbroglioni.

Il bianco della tovaglia era abbagliante e anche quello delle rifiniture d’arredo, come gli infissi interni, i muri. Non ricordava lo fossero così tanto, si vede che mancava da un po’. Qui e là macchie d’oro tra ninnoli sparsi nelle cristalliere o sulla tovaglia. Oltre alla grande cornice sopra il camino dentro alla quale c’era il famoso ‘quadro di coppia’ che suo padre aveva commissionato una ventina di anni prima e ritraeva lui e sua madre in una posa un po’ retrò, ma con abiti tradizionalissimi, cosa molto rara per entrambi che avevano sempre vissuto di moda occidentale.

Lei era seduta con le mani in grembo e indossava un bellissimo kimono con aironi, onde che sembravano riprese dai quadri di Hokusai e fiori di ciliegio. Sfondo giallo, linee d’oro, aironi bianchi e petali rosati. Verso il basso, fino ad arrivare al bordo che le scopriva appena le caviglie il giallo diventava blu, sempre più scuro. I capelli erano acconciati con uno chignon laterale che le copriva un orecchio, e aveva dei fermagli pieni di ciondoli e catenelle. Pochissimo trucco, dato nei punti giusti degli occhi, degli zigomi e delle labbra.

Suo padre, in piedi alle spalle di sua madre, aveva i lunghi capelli neri legati in una mezza coda di cavallo e kimono dall’haori blu che riprendeva il colore del kimono di sua madre, e un hakama di una tonalità più chiara.

Erano così belli, da non sembrare persone realmente esistenti, ma essere nati dalla fantasia del pittore che li aveva ritratti. Tutti finivano per rimanere a fissare quel quadro, quando entravano in quella stanza. Tutti ne restavano affascinati. Anche lui, che lo conosceva a memoria.

Ma non sarebbero stati loro i protagonisti di quella serata, per una volta.

Mae e Taikan si girarono e il sorriso che si aprì sulle labbra di sua madre, non appena spostò gli occhi su Yuzo, lo fece sospirare. Eccola lì, seccata con un sol colpo. Era davvero impossibile resistere ai Morisaki.

«Finalmente. Vi stavamo aspettando, andato bene il viaggio?»

Per fortuna era suo padre che sapeva mantenere sempre il giusto aplomb in determinate situazioni come quelle e, anche se rimaneva colpito, era abile a non mostrarlo agli altri in maniera tanto sfacciata come sua madre.

Si avvicinò a loro col bicchiere in mano, pantaloni scuri di tessuto modello jeans, giacca e camicia bianca lasciata senza cravatta. Molto informale. Mentre sua madre, impeccabile come sempre, indossava uno degli abiti della sua collezione, composto da una gonna in lana pettinata – quello che sua madre aveva chiamato più volte ‘gabardine’ - a vita molto alta e che scendeva a ruota fino a poco sotto il ginocchio di colore nero, e una camicia dalle maniche lunghe ad ampio sbuffo in stile anni ’70, a rombi neri e beige.

Lei continuava a mostrare quel sorriso che andava da un orecchio all’altro.

«Sì, tutto tranquillo. Non ho trovato traffico da Yokohama e neppure venendo da Shimizu-ku.»

«Meglio così», annuì suo padre e poi spostò lo sguardo su Yuzo: restava al suo fianco, con le braccia rigide lungo i fianchi e l’aria terrorizzata.

Si risparmiò di sghignazzare e fare una pessima battuta che lo avrebbe messo ancora più in imbarazzo e si schiarì la voce.

«Papà, mamma, vi presento Yuzo Morisaki. Noi… ci conosciamo dalle elementari. Abbiamo frequentato medie e liceo insieme e abbiamo giocato a calcio fin da allora.»

Suo padre non nascose la sorpresa. «Da così tanto? E perché non lo hai portato prima?»

Mamoru ne approfittò per scoccare un’occhiata divertita al portiere che era diventato cinereo.

«Già. Perché?»

«Lo sai benissimo.» Yuzo lo ringhiò tra i denti snudati in una specie di sorriso grondante panico.

Lui rise. «Mi detestava.»

«Non ti detestavo. Semmai eri tu a detestare me!» Negli occhi di Yuzo brillò uno sguardo omicida che Mamoru preferì non provocare una volta di più; non voleva mettere alla prova la sua resistenza, ma era così divertente vederlo tanto rigido da sembrare un manichino.

Il ragazzo si riscosse e si profuse in un inchino perfetto.

«Perdonate il disturbo. Sono lieto di conoscervi.»

«Lo hai sentito, Taikan?» squittì Mae portando i pugni alle guance, negli occhi le stavano per guizzare stelline luminose. «È educato!»

«Mamma, potresti essere meno sfacciata? L’ho capito che ti piace.»

Lei seguitò a gongolare su una punta del piede e poi sull’altro. Afferrò Yuzo sottobraccio, scansando lui in malo modo con un colpo di fianco.

«Ehi!» protestò.

Mae lo ignorò, guardando Yuzo da sotto in su in uno sbattere di ciglia.

«Ma quale disturbo, caro? Vieni. Perché non beviamo qualcosa, così parliamo un po’? Morisaki… non è un cognome tipico di Nankatsu, vero?»

E se lo portò via, a dispetto degli sguardi terrorizzati che Yuzo lanciò a lui da sopra alla spalla. Parevano urlare: ‘che devo fare?!’ e Mamoru si limitò a fare spallucce.

«Dalle corda, non morde.»

Però era certo che se la sarebbe cavata alla grande, dopo quel primo momento di imbarazzo. Yuzo era una delle persone più affabili e piacevoli che conosceva, avrebbe saputo come relazionarsi con sua madre. Da parte sua, invece, doveva ammettere che aveva il petto pieno di una sensazione di calma e tranquillità. Una sorta di appagamento che non aveva mai provato prima, come se tutti gli incastri stessero andando al posto giusto e il quadro dovesse apparire perfetto da un momento all’altro.

Sperare che i suoi ragazzi o ragazze potessero piacere o addirittura andassero d’accordo con i suoi genitori non era stata una priorità della sua vita. Ora si chiedeva come avesse potuto fare a meno di una simile serenità nello spirito.

«Quindi, insomma, è chiaro da chi hai preso il gusto, mi pare.» Taikan gli rivolse un’occhiata d’intesa da sopra il bicchiere di sherry.

«S’impara sempre dal migliore.»

Si diedero di gomito, ridacchiarono e rimasero lì, uno accanto all’altro, mentre Mae trascinava Yuzo per tutto il salotto.

«E cos’è la storia che ti detestava o tu detestavi lui?»

«Ah… quella. Diciamo che siamo stati vittime di una graaande incomprensione.»

«Be’, vedo che l’avete risolta bene», ammiccò. Poi gli circondò il collo col braccio e disse, alzando in alto il bicchiere. «Sono davvero un gran maestro.»

«Ma piantala! E offri qualcosa da bere anche a me!»

 

«E così ci siamo trasferiti nella Prefettura di Shizuoka per il lavoro di mio padre. Lui è Ispettore di polizia.»

«Ispettore?! Accidenti!» Taikan fermò a mezz’aria il bicchiere col vino rosso. «Un lavoro molto impegnativo.»

Del pollo korma preparato dalla governante di casa Izawa non erano rimasti che avanzi nelle ciotole in rame poste al centro del tavolo e piatti puliti.

Yuzo si sentiva rilassato.

Dopo giorni di ansia e panico all’idea di trovarseli finalmente davanti in carne e ossa e non solo tramite i racconti di Mamoru, la tensione aveva abbandonato le spalle e si era potuto godere quel pranzo. Che era stato squisito. Lui era un grande fan della cucina indiana e quella di Pooja-san era spaziale, meglio di qualsiasi ristorante.

E poi i signori Izawa erano davvero le persone dalla mentalità aperta e sopra le righe che aveva sempre detto Mamoru. Gente che aveva viaggiato tantissimo fuori del Giappone, che aveva visto il mondo e che non si faceva sorprendere da nulla, ma sapeva accettare le cose per ciò che erano senza chiedersi: ‘che penseranno gli altri?’.

Per loro ‘gli altri’ non esistevano come problema. Erano solo persone come tutte e al cui chiacchiericcio sapevano essere sordi, intoccabili.

Li invidiava.

Invidiava la loro libertà, la mente elastica, il non aver paura di vedere ciò che avevano costruito crollare loro addosso, e di non vedere la famiglia spezzarsi nelle fondamenta, perché… le fondamenta erano loro e avevano cresciuto i loro figli nell’accettazione reciproca e nel parlare chiaro.

Lui non riusciva proprio a essere così sicuro di sé da portare avanti ciò che era senza la paura costante di mandare in pezzi tutto il resto.

I suoi genitori avevano cresciuto lui e Shuzo nell’amore sconfinato, ma anche nella concretezza della vita e nel fatto che ogni scelta aveva conseguenze, grandi o piccole. Bisognava sempre prendere la responsabilità di ciò che si faceva, pensando che avrebbe potuto ricadere anche sugli altri, volenti o nolenti. Per via del suo lavoro, suo padre era molto rigido negli schemi di correttezza e leggi.

In quegli stessi schemi, Yuzo aveva imparato come la struttura sociale giapponese fosse chiusa in piccoli compartimenti stagni, come i capsule hotel, e che la collettività e il senso civico avevano reso il Giappone ciò che era adesso.

Lui non se la sentiva di portare il disordine nella sua piccola capsula famigliare.

C’era già Shuzo che agiva sempre a caso e creava non pochi problemi, a suo padre soprattutto. Un figlio che era un teppistello fin da bambino, che andava in giro con dei poco di buono – per quanto non facesse mai davvero nulla di male – che ogni tanto finiva in qualche rissa, si colorava i capelli, vestiva malissimo e adesso studiava per diventare tatuatore era già abbastanza per una persona che aveva un incarico sociale importante e severo come quello di suo padre.

Era giusto che lui si tirasse un po’ da parte, per il bene di tutti. L’aveva sempre pensata così. E una parte di sé si rifiutava ancora di ammettere che in realtà fosse solo una scusa, perché era terrorizzato di che cosa avrebbero detto i suoi genitori se avessero saputo… se avessero saputo che lui…

«E pericoloso», stava dicendo la signora Mae. «Immagino che tua madre sarà sempre molto preoccupata.»

«Un po’, sì, ma ormai è abituata.» Spiegazzò il tovagliolo che aveva sulle gambe. «È una sua grande ammiratrice. Parla sempre così bene della qualità dei suoi vestiti.»

«Oh, arrossisco.» L’entusiasmo della signora Mae era genuino e lei molto più alla mano di quanto si fosse aspettato. In realtà, entrambi i signori Izawa lo erano. «Di cosa si occupa?»

«Fa la sarta.»

Mae portò le mani al viso esibendo una perfetta ‘o’ di sorpresa. «Ma è stupendo! Avere l’apprezzamento di un sarto è sempre un gran piacere. Loro sì che se ne intendono.»

«Immagino siano stati molto felici di sapere che giochi nella S-Pulse di Shimizu.» Taikan si servì un altro pezzetto di kesari, un dolce indiano a base di semolino e zucchero, tagliato in forme minuziose di rombi. Ce n’erano di almeno tre colori diversi nel vassoio che la signora Pooja aveva portato. «So che è una bella squadra, per quanto non sia uno che segue molto il calcio.»

«E poi è vicina a Nankatsu. Tua madre sarà felice di rivederti a casa più spesso.»

«Be’… in realtà non torno spessissimo. Con la squadra si ha sempre da fare. Ma i miei lo capiscono.»

«Come potete vedere, non sono io il figlio degenere che non torna mai», borbottò Mamoru che era rilassatissimo.

Guardandolo bene, accanto ai suoi genitori, Yuzo si rese conto di quanto somigliasse a entrambi. Un po’ i capelli e il savoir faire di suo padre, un po’ il viso e la sicurezza di sua madre. Per non parlare della bellezza. I signori Izawa erano bellissimi. Anche quello, Mamoru lo aveva ereditato da loro in tutto e per tutto.

Di tanto in tanto, mentre si parlava, l’occhio gli era caduto su un grande quadro appeso sopra al camino scoppiettante. Era rimasto affascinato da quanta eleganza emanasse e anche quanta tradizione, nonostante la loro natura anticonvenzionale. Con tutte le loro scelte e cambiamenti, quel quadro ricordava a chiunque da dove venissero, quale fosse la loro terra. Ne erano forse i figli più belli che l’avessero mai calcata.

E i figli più belli non avevano potuto far altro che generare un figlio altrettanto bello.

Ora capiva perché i suoi occhi finissero sempre per incollarsi a Mamoru. Era passato quasi un anno, ma c’erano momenti in cui ancora faticava a credere di averlo al suo fianco e ne restava ammaliato, come guardando il quadro dei suoi genitori.

Dalla parte opposta a dove stavano seduti loro, in quel tavolo rettangolare, c’era poi Sen.

Yuzo si era accorto subito quanto fosse diverso da suo fratello e non solo per l’aspetto, ma proprio nei modi di fare e di pensare.

Sen era ancora un bambino, aveva compiuto dodici anni, ma si vedeva che sarebbe diventato più alto di suo fratello. Di fisico però era più esile, aveva occhi più grandi di quelli del fratello e linee che iniziavano a marcarsi dove quelle di Mamoru erano appena accennate: sugli zigomi, la punta del mento. Non aveva detto quasi nulla e quando aveva provato a intervenire o era stato ignorato o suo fratello gli aveva detto ‘ma che vuoi saperne?’.

Non aveva avuto sempre uscite felici – era comunque un ragazzino – ma era rimasto lì a fare tappezzeria, sorridendogli di tanto in tanto e facendo qualche smorfia o chiedendogli cose sottovoce, mentre gli altri erano impegnati in altri discorsi e non potevano zittirlo.

C’era qualcosa in lui che gli faceva tenerezza.

Era diverso dal resto degli Izawa e gli spiaceva che venisse messo così all’angolo. Soprattutto da Mamoru: era il suo fratello maggiore, avrebbe dovuto dargli qualche attenzione in più e non ammonirlo sempre. Doveva essere per via della differenza d’età, suppose, e per lo stesso motivo lui si sentiva molto più comprensivo e protettivo nei suoi confronti.

«No, lo sai che non mi piace fare programmi a lungo termine.» Le parole di Mamoru lo portarono di nuovo a interessarsi della conversazione. «Ci sono sempre degli obiettivi fissi come il venir selezionati per la nazionale, ma al momento la mia massima aspirazione è quella di vincere il campionato.» Si girò a guardarlo con quella virgola di sorriso piena di provocazioni silenziose. «Niente di personale, ma batteremo anche voi.»

«Come se te lo lasciassi fare. Anche noi vogliamo vincere il campionato, non credere.»

«Siete ancora giovani e avete le aspirazioni dei giovani», disse Taikan sorridendo e agitando la mano.

«Hai dimenticato che il mese prossimo faccio vent’anni?» scandì Mamoru per bene. «E col nuovo anno festeggerò il mio Seijin no hi. Ho già programmato una sbornia colossale con gli amici!»

«Voglio proprio vedere.» Gli scappò detto, e Mamoru lo pungolò.

«Parla quello che non regge l’alcool. Festeggerai il Seijin no hi anche tu con noi, anche se non li avrai ancora compiuti i venti. A-ah! Tutta vita! A far bagordi quando ne hai ancora diciannove. Come ci si sente a essere ‘ribelle’ per qualche mese?»

«Non sono un ‘ribelle’,» virgolettò come aveva fatto Mamoru, «la legge dice che posso. Non c’è ribellione.»

«Quando compi gli anni, nii-san?» Sen, finalmente, fece sentire un po’ della sua voce.

«Il dodici di marzo.»

Gli parve stesse per aggiungere qualcos’altro, ma si fermò e si limitò ad annuire.

Per Yuzo parve un modo perfetto per includerlo nella conversazione.

«E tu, invece? Cosa vorrai fare da grande?»

Sen alzò di scatto la testa che aveva abbassato di nuovo nel piatto vuoto. «I-io?» parve non aspettarsi quella domanda, ma quando lui annuì, si illuminò per essere stato incluso nella conversazione.

«Io-»

«Che domande. Lui farà lo smanettone!» intervenne Mamoru. «Ops, lo è già.»

«Mamoru.»

«Cosa? È vero. È quello che fa tutto il giorno. Smanetta con i pc, sarà l’unico secchione di famiglia.»

«Ehi, guarda che io e tuo padre siamo entrambi laureati, l’unico che non ha voluto iscriversi sei tu», fece presente Mae, drizzando la schiena.

«Massì, non mi serve. E poi voi non avete la laurea in Smanettoneria. Quella è solo per i nerd come Sen. Vero, pastrocchio?»

Yuzo si accorse di un certo rossore sulle guance del bambino e di come finisse per distogliere lo sguardo. Il broncio, di cui spesso Mamoru gli aveva parlato, aveva sostituito l’espressione entusiasta di poco prima.

«Sì, mi piace smanettare ai pc. Magari farò ingegneria, chissà…»

«Ma certo che diventerai un piccolo genietto, tesoro!» esclamò Mae rivolgendo a Sen un ampio sorriso, cui il bambino rispose con un cenno del mento e un sorriso che non arrivò agli occhi.

Yuzo lanciò un’occhiataccia a Mamoru, ma il ragazzo non capì.

‘Che c’è?’ mimò con le labbra. Lui fece cenno che ne avrebbero parlato dopo.

«Comunque lo sapete che anche Yuzo-nii ha un fratello?»

Lui e Mamoru girarono il capo di scatto. Sen stava portando il bicchiere alla bocca e lanciò, da sopra al vetro, un sorriso di sfida a suo fratello.

Yuzo vi riconobbe lo stesso principio di ‘virgola’ che le labbra di Mamoru disegnavano quando voleva provocarlo.

Hai capito il piccolo Izawa.

Sotto l’aria un po’ imbronciata era affilato. E vendicativo.

«Chiudi il becco», masticò Mamoru, guardandolo con occhi di brace.

Già mentre erano in macchina e ne avevano parlato, erano stati d’accordo entrambi sul non tirar fuori l’argomento di Shuzo, per il suo essere così… particolare.

«Gemello», aggiunse Sen. «Vero, Yuzo-nii?»

Con gli occhi dei signori Izawa addosso che lo guardavano con grande curiosità e interesse, Yuzo fu costretto ad accennare un sorriso un po’ tirato.

«Sì, in effetti… ho un fratello gemello.»

«Ma questa è una cosa bellissima!» esclamò Mae, entusiasta. “Ho sempre trovato affascinante il concetto di ‘gemello’. E siete proprio uguali-uguali?»

«Sì. Di aspetto, sì.»

Taikan inarcò un sopracciglio e rivolse a Mamoru un’occhiata di disappunto. Scosse il capo.

«Non ti smentisci mai, eh? Spero non sia una tattica del 2-is-megl-che-1

«Papà!» Mamoru sbottò indignato, lui esplose in una risata incontrollata. Si piegò sul tavolo, tenendosi la pancia.

«Oh, no! Posso assicurarglielo, Izawa-san. No. Mio fratello preferirebbe fare il monaco tibetano, piuttosto.» E rise così forte che gli spuntarono le lacrime.

«Il sentimento è reciproco.»

I coniugi Izawa rivolsero loro occhiate perplesse.

«Shuzo-nii detesta Mamoru», spiegò Sen che per quell’ultima parola si beccò un tovagliolo in faccia, lanciato dal suo furente fratello maggiore.

«Quindi esiste qualcuno su cui non hai fatto colpo?» esclamò il signor Taikan a occhi sgranati.

«Può capitare.»

«Alleluja! Un miracolo!» Taikan si alzò in piedi, a braccia spalancate e sguardo al soffitto.

Yuzo rise più forte, credeva sarebbe soffocato.

Mamoru invece aveva incurvato le spalle e storto la bocca; a braccia serrate pareva il Grinch.

«Ehi! Guarda che lo so benissimo di non piacere a tutti, cosa credi!»

«No che non lo sai! Finalmente un bagno d’umiltà. Bentornato tra i comuni mortali, Mister PossoAvereTuttoETutti

«Quando mi sarei considerato un tipo del genere?!»

«Devo forse ricordarti cosa dicesti in prima media, quando ti chiesi perché non invitavi a ballare la figlia minore dei Sakaguchi al galà benefico di Capodanno? ‘Perché accontentarmi di quella piccola, quando sua sorella maggiore è molto più carina? Io sono bello abbastanza da poter scegliere’

«Avevo tredici anni!» sbottò Mamoru, alzandosi a sua volta.

«E lei andava al liceo!»

«E comunque ha accettato di ballare con me, e se proprio vuoi saperlo,» aggiunse, battendo un pugno sul tavolo, «ci ho anche limonato a metà serata! Ah! Chi è il figo adesso?!»

Taikan aspirò un ‘oh’ fino all’inverosimile, mentre Mae nascondeva un sorrisetto tra le dita.

«Sei senza vergogna.»

«No, sono semplicemente una persona molto consapevole di sé stessa! Chissà da chi l’ho imparato.»

«Ma non lo sei abbastanza per il fratello di Yuzo. Stai cominciando a perdere lo smalto?»

«Capirai, uno su mille!»

«Sono i primi segni di cedimento», sorrise Taikan.

«Come se fosse una gran perdita! Voi neppure lo conoscete il fratello di Yuzo! Vi assicuro che non rientrare nelle sue grazie è la cosa migliore che possa capitare a chiunque!»

«Shuzo-nii è forte.» Fu l’ennesima stoccata di Sen che ci stava proprio prendendo gusto.

Mamoru lo additò come una furia.

«Ancora con questa storia?! No! Ti proibisco di prenderlo come esempio!»

«Pfui. Geloso?»

«Sen, che sorpresa che fai un complimento a qualcuno.» Mae sgranò i begli occhi scuri segnati da una traccia perfetta di eyeliner. «Allora non deve essere così male.»

«Secondo me è ganzo! Ha i capelli tutti colorati! Sono bellissimi! Posso tingermeli anche io?»

«Quando sarai più grande, tesoro.»

«Sì!»

«Scordatelo», ringhiò Mamoru. «E tu piantala di ridere in questo modo o ti strozzi!» aggiunse verso di lui.

Ma Yuzo continuava ad aspirare ‘i’ lunghissime e senza controllo. Non aveva mai riso così tanto se non con la sua famiglia, ma quella di Mamoru era bizzarra abbastanza da farlo sentire a suo agio, come ci fossero sua madre, suo padre e suo fratello con loro allo stesso tavolo. Era una sensazione che non aveva mai provato, ma che pensò fosse bellissima.

«Scusa! Non riesco a fermarmi!»

Mamoru agitò una mano, tornò a sedersi e afferrò un pezzo di kesari, trangugiandone metà in un sol boccone.

«Lo sapevo che a pentirmi di questa serata sarei stato solo io.»

 

Mamoru richiuse piano la porta della sua camera alle proprie spalle una volta che furono entrambi entrati e avevano recuperato i trolley lasciati all’ingresso.

«Finalmente soli», disse con un sospiro estatico e un sorriso sornione e soddisfatto sulle labbra.

Yuzo gli lanciò un’occhiata ironica. «Ma come? Non eri tu che ci tenevi tanto a farmeli conoscere? La serata è andata benissimo.»

«Sì, più o meno.» Mamoru non pareva tanto convinto, poi avanzò verso di lui ma si limitò a scivolargli accanto con fare ammiccante e la punta dei denti leggermente scoperta sulla sinistra, dove il sorriso si era sollevato di più. «E comunque mi pare che qualcuno si sia proprio divertito. Che fine ha fatto tutta l’ansia di oggi?»

«Non mi avevi detto fossero così simpatici.»

«Come no? Ti avevo detto che eravamo un circo ambulante.»

Dopo cena, avevano proseguito la serata parlando del più e del meno accanto al camino, dove c’erano dei divanetti. Il signor Izawa aveva offerto a entrambi del liquore leggero che Yuzo non aveva mai bevuto, ma che gli era piaciuto, perché molto dolce. Aveva detto di averlo portato dall’Europa. Sen era stato mandato a letto, con tanto di occhiataccia truce di Mamoru e disappunto del ragazzino, intorno alle undici. Loro si erano congedati che la mezzanotte stava per diventare l’una.

Yuzo stiracchiò in alto le braccia e il sorriso.

«È stata una serata fantastica. Non me lo sarei aspettato.»

«Li conosco, o no?» Mamoru lo agganciò alla vita facendo scivolare le mani lungo i fianchi. Cercò il suo sguardo. «Non ti sei sentito a disagio, sicuro?»

«No, affatto. Non ho mai riso tanto.»

«Sono contento. Se accetti loro, allora sono a cavallo.»

«Io accettare loro? Non dovrebbe essere il contrario?»

«Nah, di te non si può dir nulla. Ci sarebbe mancato che non gli fossi piaciuto.» Mamoru affilò la mandorla già sottile. «L’unica cosa è che quando tu sarai andato via, domani, dovrò fare un bel discorsetto a Sen.»

«Hai sbagliato con lui, oggi. Più volte. Era di questo che ti volevo parlare a fine cena.» Yuzo gli prese il viso tra le mani, con fermezza.

Mamoru si divincolò e si allontanò di un paio di passi.

«Cosa?!»

«Non devi sempre castrarlo quando prova a dire la sua.»

«Ha undici anni e dice stronzate per la maggior parte delle volte che apre bocca.»

«Appunto, ha undici anni. Non puoi pretendere che ti faccia discorsi da filosofo. Non sottovalutarlo, è tuo fratello.»

Mamoru sbuffò, tirò indietro i capelli scoprendo la fronte, l’altra mano appuntata al fianco. «Lo so che è mio fratello, e non lo sottovaluto. Sono certo che diventerà un genio dello smanettamento, ma ha quelle fisse… tipo: Shuzo. Ha la fissa di tuo fratello. Perché?!»

«Guarda che mio fratello è ganzo davvero.»

«Sì, ma non lo prenderei mai come modello per un bambino di undici anni!»

«Perché no? È estroso…»

«No, lui è stronzo

Yuzo ridacchiò per quell’aria disperata che gli calava sul viso ogni volta che parlava di Shuzo e della insospettabile ammirazione che Sen nutriva nei suoi confronti.

Incrociò le braccia al petto e cambiò piede d’appoggio.

«Non andrete mai d’accordo.»

«Quando deciderà di smettere di farmi la guerra… Ehi, ora che ci penso: oggi mi ha anche dato ragione.»

«Visto? Siete sulla buona strada.»

«Ma non ce lo voglio come esempio per Sen!»

«Va bene, va bene.» Yuzo alzò le mani e aprì le braccia verso di lui, come segno di tregua e insieme invito a raggiungerlo di nuovo.

Mamoru non se lo fece ripetere: lo afferrò per uno dei passanti del jeans e se lo tirò addosso.

Yuzo gli circondò il collo. Occhi negli occhi e naso tanto vicino da poterlo sfiorare col proprio.

«Adesso… perché non mi racconti della figlia maggiore dei Sakaguchi che hai limonato durante una festa di beneficenza?»

«Se vuoi posso fartelo anche vedere.»

Le labbra fecero incontrare i sorrisi che avevano snudato e se li rubarono a vicenda in coccole più dolci del kesari. Mamoru gli avvolse la schiena con entrambe le mani, le insinuò sotto al cardigan lungo e pesante. Sentiva il calore delle dita passare attraverso la maglia e fargliene desiderare di più, tanto che si strinse a lui appena un po’, un solo passo in avanti, infilando la gamba tra quelle di Mamoru. Chiuse le braccia dietro al collo così strette da potersi toccare i gomiti e la coccola delle labbra divenne una carezza più profonda e sensuale.

Una.

Due.

Alla terza, Yuzo si separò con una ferma pressione delle mani sul petto.

«Non allargarti troppo. Ci sono i tuoi.»

«E allora?» Mamoru non ne era turbato. «Di certo non pensano che siamo qui a raccontarci le barzellette.»

«Scordatelo! Con i tuoi genitori in casa?! Sarebbe come farlo a casa mia-… err, no!»

«Casa è grande, molto. E le pareti qui sono spesse, non come quelle di Shimizu-ku.»

«E con questo?»

«Con questo… non dico che dobbiamo sfondare il letto – che, ehi!, è molto resistente, parola mia – ma… ce la meritiamo almeno qualche coccola? Io sì. Io me la merito. La voglio. Esigo

E più lo diceva, più il viso di Mamoru si faceva vicino e minaccioso, fino a che non furono fronte contro fronte.

Yuzo rise della sua espressione tra il disperato e l’arrabbiato. Era come quei cuccioli durante l’addestramento: avevano fatto una cosa buona e volevano la ricompensa.

Si guardò attorno, in quella stanza in cui non era mai entrato prima di quella sera e che aveva ancora tantissimi segreti che voleva conoscere, fino a fermarsi sulla sagoma del letto enorme, quasi principesco – se paragonato a quello di casa sua.

«E coccola sia», accettò con un’alzata di spalle. Poi però gli fermò l’indice sulle labbra, quando Mamoru tentò di baciargli il collo. «Ma prima doccia e dopo… mi illustrerai le tante avventure che ha vissuto questo letto. E immagino che ne avrà di storie da raccontare.»

 

 

 

 


 

 

Note Finali: E Buon Natale a tutti <3

Dopo una mini-raccolta che aveva come tema principale ‘La Famiglia’ (in questo caso, le famiglie dei nostri protagonisti), ecco una storia in cui la famiglia la fa ancora da padrone!

Era o no il momento che si iniziassero a conoscere i rispettivi genitori?

Era ovvio che questo passo sarebbe spettato a Mamoru per primo, perché la sua famiglia conosce la sua bisessualità e sono persone fuori dall’ordinario giapponese.

Per Yuzo è stato un po’ un colpo, però… non gli è dispiaciuto affatto, alla fin fine. Trovarsi circondato da persone adulte che ti accettano apertamente per ciò che sei e che non fanno una piega nel sapere che stai col loro figlio, toglie un grandissimo peso dalle sue spalle però, allo stesso tempo, lo fa sentire in grande difficoltà, perché è convinto che a parti inverse non ci sarebbe stata tutta questa accoglienza. Lui continua a essere certo che finirebbe col ferire profondamente i propri genitori.

Stiamo però facendo piccoli passi alla volta e ogni occasione è buona per farne un altro, anche se piccino. Perché questi personaggi crescono, vivono e imparano. Tra qualche mandrillata e qualche discorso serio! XD

 

E con loro ci ritroveremo anche il 1° Gennaio per festeggiare col botto il 2021.

A buon mandrillo, poche parole. *sogghigna*

 

Ad ogni modo, mi era mancato scrivere dei miei figlioli. <3

Ne ho scritto davvero pochissimo quest’anno, per tutta una serie di motivi, non per ultimo – anzi, forse proprio per primo – a causa di tutto quello che sta accadendo e che per me farà rimanere il 2020 come l’Annus Horribilis di questi miei 38anni fin qui vissuti.

Sono successe troppe cose per sperare di averlo passato indenne, ma nonostante tutto ci sono ancora, a conservare quella che forse è stata la mia unica tradizione fandomica rispettata del 2020: la fyccina natalizia.

La scrittura, quest’anno, è stata ballerina. Per un periodo non ne ho voluto più sapere o forse è stata lei a non volerne più sapere di me, ma quando ne ho avuto bisogno è tornata e ora continua a farmi compagnia.

Spero rimanga a lungo, perché non c’è niente che più mi aiuta a superare i grandi cambiamenti che questo anno ha portato con sé come la scrittura.

 

A questa forma di magia senza incantesimi, vorrei dedicare la storia di Natale.

Ai personaggi che sono sempre nel mio cuore e dai quali finisco per ritornare come si ritorna a casa.

A quel mondo stravagante che sono le fanfiction e alle persone meravigliose che mi ha donato.

A tutti loro e a tutti voi che state leggendo questa storia, auguro il Natale migliore possibile.

 

Auguri.

Grazie.

 

 

 

   
 
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