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Autore: Ink_    25/12/2020    3 recensioni
«Hai qualche suggerimento, bestiaccia? Conosci Hermione da molto più tempo di me, che cosa potrei regalarle che sia davvero speciale?». Prevedibilmente il gatto tacque e il mago si prese la testa tra le mani con un gemito di frustrazione. «Guarda come ti sei ridotto – si rimproverò – a chiedere consiglio ad un maledetto gatto».
{Draco/Hermione ♥}
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Salve a tutti <3
Forse qualcuno ha già letto questa storia, se così fosse mi spiace se vi siete trovati con un regalo di Natale riciclato. Purtroppo i miei piani per le fan fiction natalizie sono andati in fumo tra caos generale e prove pre-esame, così mi limito a lasciarvi con questa shot che spero possa tenervi un po’ di compagnia.
Spero abbiate passati tutti uno splendido Natale. Vi auguro un’ancora più splendida serata e se non dovessimo più sentirci, un buon anno nuovo. Che possiate avere tutto quello che vi è mancato in questo traumatico 2020.
Un abbraccio caloroso.

Vostra,

Ink_
 
 

 
Il regalo perfetto
 
 
Era da svariati minuti che stava immobile davanti alla vetrina del negozio, abbastanza da non riuscire più a distinguere i gioielli attraverso il vetro appannato dal suo respiro. Poco più in là, protetta dal tepore della gioielleria, una commessa dai contorni sfumati lo fissava insistentemente, probabilmente chiedendosi se intendesse comprare qualcosa o se volesse farle la cortesia di andarsene e smettere di appannarle la vetrina.

Draco Malfoy sospirò in preda alla frustrazione, gettando lo sbuffo di vapore dritto contro il vetro e contro la sempre più flebile sopportazione della commessa. Aveva vagato per Diagon Alley per tutto il pomeriggio, sgomitando tra la folla ingombra di pacchetti e rischiando di inciampare in tutti quei maghi e quelle streghe che si ostinavano a far trotterellare i loro acquisti dietro di sé, come una fila di scortesi paperelle. Era stato in tre diverse librerie senza trovare nulla di convincente; si era recato anche da Madama McClan, ma nessuna stoffa e nessun modello l’avevano colpito abbastanza o gli erano sembrato all’altezza e alla fine – a metà tra l’indispettito e l’addolorato – la sarta più famosa della Londra Magica l’aveva caldamente invitato ad andarsene.

Si era fermato per un momento davanti al Serraglio Stregato, meditando di comprare un cucciolo e disfarsi finalmente di quella rognosa palla di pelo arancione, ma immaginò che Hermione non avrebbe gradito che rimpiazzasse il suo amato Grattastinchi. Avvolto da una spirale delirante di disperazione e mancanza di tempo Draco si era spinto nel luogo più impensabile: la Londra Babbana, dove ora si domandava cos’avessero di speciale i gioielli di questa Tiffany e come avrebbe potuto pagarli quando in tasca aveva solo dei galeoni.

Scosse la testa, liberandosi dai fiocchi di neve che vi si erano depositati e mise le mani intorpidite nelle tasche del cappotto. Con un ultimo sospiro affranto si allontanò sconfitto dalla vetrina, alla ricerca di un vicolo dove smaterializzarsi.
 
 *

Riapparve sulla soglia di casa, direttamente sullo zerbino, le labbra contorte in una smorfia. Lasciò gli scarponi sporchi accanto alla porta e si affrettò ad entrare, dirigendosi immediatamente verso il salotto per lasciarsi cadere sul divano. Estrasse la bacchetta dalla tasca del cappotto, accese il fuoco nel camino con un gesto malinconico e poggiò il capo sullo schienale, chiudendo gli occhi.

Qualcosa di speciale, si era detto, avrebbe dovuto trovare qualcosa di speciale da regalarle. Qualcosa che testimoniasse quanto l’amasse, ma soprattutto qualcosa che esprimesse quanto le fosse grato per tutto quello che avevano costruito.
Aprì lentamente gli occhi e volse la testa per guardare fuori dalla finestra, dove la campagna del Devonshire si preparava a chiudere le imposte e accendere i focolai, sommersa da un manto di neve e avvolta dall’oscurità prematura di dicembre.

Il cottage che avevano scelto aveva un grande giardino, con un cespuglio di salvia, una zolla di erica bianca e una di piccole celidonie gialle. Si trovava abbastanza distante dal villaggio per potersi smaterializzare senza attirare sguardi indiscreti, ma sufficientemente vicino da vederne il campanile imbiancato e sentirne i rintocchi. Era abbastanza lontano dal Wiltshire e da Malfoy Manor, abbastanza lontano dalla Scozia da poter fingere che non fosse mai esistito nulla prima del 2 maggio 1998 e dell’anno che lo aveva seguito. Abbastanza lontano perché Draco potesse immaginare di essersi svegliato una mattina, con un anello al dito e la donna più meravigliosa del mondo accanto, senza un marchio sul braccio e una reputazione da pulire come una macchia di sangue rappreso.

Spostò lo sguardo sulle fiamme del camino, meravigliandosi ancora di come un braciere così piccolo potesse scaldare la casa intera. Al Manor vi era un camino in ogni stanza, eppure l’aria era fredda anche d’estate, come se il sole non riuscisse ad attraversare le spesse mura di pietra della villa. C’era sempre stato più calore in un lungo e rigido inverno che in quella casa.

Draco si soffermò per un momento sulle foto incorniciate poste sulla mensola del camino. Quella del loro matrimonio dove volteggiavano eternamente in una nuvola di petali bianchi, e quella scattata il giorno che si erano trasferiti: Hermione con le maniche della camicia arrotolate e un Draco Malfoy che le cingeva la vita, gli occhi animati da una luce che non pensava avrebbe mai più rivisto. Nell’angolo della stanza, accanto all’enorme libreria a parete, svettava un albero di Natale eccessivamente decorato, avvolto dalla tenue luce delle candele con cui Hermione aveva insistito per adornarlo. Ai piedi dell’abete, quel maledetto gatto lo fissava con i suoi occhi gialli mentre con la coda spazzava placidamente il pavimento.

«Avrei dovuto comprare un persiano al Serraglio e liberarmi di te una volta per tutte, bestiaccia» commentò Draco, accarezzando la punta della bacchetta e l’idea di trasformare l’animale in qualcosa di più utile e meno sprezzante. Come un cappello di pelliccia.

Grattastinchi non parve impressionato e sbadigliò mettendo in mostra i canini. Draco trattenne l’impulso di mostrargli i denti con una smorfia.

«Hai qualche suggerimento, bestiaccia? Conosci Hermione da molto più tempo di me, che cosa potrei regalarle che sia davvero speciale?». Prevedibilmente il gatto tacque e il mago si prese la testa tra le mani con un gemito di frustrazione. «Guarda come ti sei ridotto – si rimproverò –  a chiedere consiglio ad un maledetto gatto».
«Qualcosa di speciale, forza Draco, pensa maledizione! Qualcosa che metta nero su bianco quanto -» si bloccò all’istante nei suoi vaneggiamenti, alzando il capo pronto ad esultare, ma si lasciò immediatamente ricadere la testa tra le mani tirando un poco i capelli cinerei.

Una lettera, una lettera poteva essere la soluzione : avrebbe potuto riversare tutto il suo amore, ammirazione e gratitudine, speranze per il futuro e sentimenti in un fiume d’inchiostro, ma l’idea gli parve tanto geniale quanto improbabile, la fiammella di una candela nella tempesta. Non gli era mai mancata la parola, ma non era mai stato particolarmente dotato nel metterla su carta e questo doveva essere un regalo speciale – perfetto come lo era Hermione – e le parole erano per definizione imperfette, inadeguate.

Acta non verba rifletté assentemente, mentre seguiva con la coda dell’occhio il gatto della moglie passare davanti all’enorme libreria a parete e sparire dietro al divano. Eppure, si disse soffermandosi sui romanzi e sui manuali di stregoneria, verba volant, scripta manent.

Dovevi esserci, tra tutte quelle pagine, qualcuno che avesse sperimentato quello che lui aveva vissuto, un amore che gli aveva ridato non solo la vita ma la speranza e soprattutto la speranza di poter avere una nuova vita, migliore della precedente e dove le uniche ombre fossero quelle proiettate da un focolare sempre acceso.

Draco si accostò alla libreria alla ricerca di qualche scritto che potesse parlare per lui o almeno fornirgli l’ispirazione. Sapeva che Hermione possedeva dei libri di poesia babbana, talvolta aveva letto qualche passaggio per lui ad alta voce. Rilke, Keats, Shakespeare, Yeats … doveva solo trovarli in mezzo a quella pletora di parole. Ma non furono né il Bardo né altri ad attirare la sua attenzione, bensì un libricino rivestito di anonima pelle marrone. Lo sfilò dal suo cantuccio e ne sfiorò la copertina anonima e consumata, dove si distingueva appena il disegno sbiadito di una rosa in lamina dorata. Incuriosito, Draco prese a sfogliare le pagine ingiallite perdendosi tra le didascalia e le immagini degli acquerelli disegnati a mano, mentre un’idea prendeva forma nella sua mente. Un’idea folle, un’idea perfetta.

Tornò a sedersi sul divano senza staccare gli occhi dal libricino e senza smettere di arrovellarsi su quella trovata. Afferrò la bacchetta e la agitò in un “accio”. Subito un pezzo di carta e una penna volarono dallo scaffale della cucina al suo grembo. Buttò giù una lista confusa, cancellando e riscrivendo e cancellando di nuovo, forzando la penna a seguire la velocità dei pensieri mentre sfogliava febbrilmente il libro. La campana del paese batté sei rintocchi mentre Draco rileggeva soddisfatto quanto aveva scritto. Aveva all’incirca mezzora prima che Hermione tornasse a casa. Si infilò malamente la lista nella tasca del cappotto e ripose il libro al suo posto, dopodiché afferrò la bacchetta e con un risucchio si smaterializzò.

Ricomparve pochi istanti dopo sulla porta di casa e senza smettere di imprecare a denti stretti, infilò le calze fradice di neve negli scarponi prima di scomparire nuovamente.
 

L’ometto dietro la bancone non si sforzò di nascondere la sua contrarietà quando Draco entrò nel negozio, ignorando la scritta “Siamo chiusi!” e portando con sé una spolverata di neve. Diverse piante incuriosite allungarono rami e foglie nella sua direzione, mentre altre serravano i boccioli al suo passaggio. Senza troppe cerimonie Draco estrasse la lista spiegazzata dalla tasca e la mise sotto al naso del fioraio.

«Voglio un bouquet con i fiori che le ho elencato. Voglio questi fiori, nessuna alternativa e che vengano consegnati la mattina di Natale, diciamo per le nove e trenta del mattino. L’indirizzo è sul retro del foglio».

L’ometto si raddrizzò gli occhiali sul naso e scorse rapidamente la lista disordinata, mentre la sua espressione passava dall’irritato all’allarmato.

«Come pretende che trovi del gelsomino del Madagascar in questa stagione?! E che glielo consegni per Natale per di più! Si rendere conto che mancano due giorni?» squittì indignato, sbattendo la lista sul bancone e disturbando la mandragora che vi riposava e che in tutta risposta emise un debole gridolino da dentro il vaso.

Draco si sforzò di mantenere la calma: «Per quanto mi riguarda può anche andare a prenderlo direttamente in Madagascar». Frugò nella tasca interna del capotto ed estrasse una somma di galeoni decisamente sproporzionata per un bouquet del genere, anche se fuori stagione. Lasciò cadere il denaro sul bancone sotto lo sguardo attonito del fioraio, che parve un po’ meno allarmato. Draco trattenne una smorfia al pensiero di ciò che stava per fare: qualche moneta dorata era sufficiente per oliare qualsiasi ingranaggio, ma doveva assicurarsi che il regalo di Hermione fosse perfetto
 
«Giovedì mattina, alle nove e trenta, voglio che quel bouquet venga consegnato all’indirizzo che le ho indicato. Nel dubbio, la cassetta della posta è Granger-Malfoy» disse freddamente.

Gli occhietti verdi del fioraio saettarono dai galeoni a Draco «M-malfoy ha detto?».

Era una carta che giocava di rado, un asso che teneva quasi sempre nella manica e che faceva scivolare fuori solo in caso di estrema necessità. Dopo anni, il nome della sua famiglia e la reputazione ad esso indissolubilmente legata erano ancora in grado di far girare teste e abbassare occhi. O alzare le bacchette e far volare insulti se lo si pronunciava nella situazione sbagliata. A volte si chiedeva quale perverso piacere avesse provato Voldemort nel vedere come il terrore aveva distorto il suo nome fino a tramutarlo nello pseudonimo di uno pseudonimo. Draco non ci vedeva nulla di glorioso nell’essere “il figlio di quel disgraziato”.

«Sì, ho detto Malfoy. Draco Malfoy. E che sia un bouquet all’altezza del prezzo che ho pagato» replicò a denti stretti mentre voltava le spalle al fioraio e usciva sbattendo la porta.

 
*
 
La mattina di Natale Draco si svegliò poco dopo l’alba, con l’eccitazione del primo giorno di scuola che gli scorreva sottopelle: quel misto di aspettativa e paura che lo pervase quando a undici anni si trovò davanti al lucido ed imponente Espresso. Ma quella mattina non era il primo anno scolastico l’oggetto delle sue ansie ed eccitazioni, ma un mazzo di fiori. Sarebbe arrivato in tempo? Quell’omuncolo era riuscito a trovare quello che aveva richiesto? Ma cosa più importante, Hermione l’avrebbe apprezzato? L’avrebbe fatta sorridere? Commuovere? E se non le fosse piaciuto? E se il fioraio si fosse presentato con un banale mazzo di rose rosse? E non si fosse presentato affatto?

Questi pensieri lo tennero sveglio, facendogli tremare i polsi ed il petto finché non sentì la moglie rigirarsi tra le lenzuola e le sue labbra calde cercare alla cieca il suo collo. Hermione sbiascicò un “Buongiorno” e qualcosa che doveva assomigliare a “Buon Natale”  mentre Draco l’accoglieva tra le braccia, ispirando il buon profumo dei suoi capelli arruffati e ricambiando gli auguri.

La baciò con la calma che fino a poco prima gli era mancata del tutto, ma Hermione era anche questo, il faro che nella tempesta lo riportava a casa, il vento quieto che placava le onde. Restarono a letto per oltre un’ora, scambiandosi baci e carezze con la tranquillità di chi sente di avere l’eternità davanti a sé.

Tulipano rosso, ricordò Draco mentre Hermione gli accarezzava il petto con le labbra dopo averlo liberato dalla maglia del pigiama. Le prese il viso tra le mani e si perse per un momento a contemplarlo – dicendosi che non avrebbe potuto fare scelta migliore della rosa di Banks – prima di baciarla con trasporto. Lasciò scivolare una mano lungo la sua schiena e la strinse perché il corpo della donna aderisse perfettamente al suo, mentre con la lingua le accarezzava il palato strappandole un fremito che si propagò dal corpo della moglie al suo.

Il fremito che aveva scosso Hermione divenne presto un gemito quando Draco fece scivolare dita oltre l’elastico del pigiama, accarezzando il suo centro con deliberata lentezza, prima dall’esterno e poi dall’interno, modulando la velocità e assecondando l’ondulare dei fianchi della moglie fino a farle inarcare la schiena.

Mentre Hermione ritrovava un po’ di compostezza Draco si liberò degli indumenti rimasti ad intralcialo e le allargò le gambe con delicatezza prima di coricarsi sul corpo nudo della donna e catturarle le labbra nell’ennesimo bacio. Fecero l’amore con la cautela della prima volta e la passione coltivata negli anni, cercando di trasmettere all’altro tutto quel sentimento che a volte le parole fallivano nel descrivere. Raggiunsero l’apice insieme, annaspando in cerca d’aria e incantati dal movimento dei loro stessi corpi che si incontravano e scontravano come se si conoscessero da sempre.           
 

Mancava meno di un minuto alle nove e trenta quando nel tragitto dalla cucina al salotto Draco venne interrotto dal suono del campanello proprio mentre si trovava davanti alla porta, quasi il fioraio avesse avvertito la sua presenza dalla veranda. Dall’altra parte dell’uscio – quasi invisibile dietro il mazzo di fiori –  il proprietario del negozio di Diagon Alley sorrideva impacciato, la fronte imperlata di sudore nonostante il freddo e la neve.

«Chi è, Draco?».

La voce di Hermione sembrò innervosire ancora di più l’ometto, come se gli avesse ricordato chi aveva di fronte. Con un gesto sbrigativo mise il bouquet tra le mani del padrone di casa, facendogli quasi cadere la tazza di the e con un mezzo inchino impacciato, si smaterializzò.

Tra il perplesso e l’irritato, Draco prese un paio di respiri profondi per riportare le proprie emozioni in ordine, ma non poté nulla contro l’ansia che gli attanagliava lo stomaco e faceva tremare precariamente la tazza. Si concentrò sull’odore intenso del bouquet, quei fiori così diversi nel colore, profumo e significato eppure così in armonia tra loro. Se quella era la rappresentazione concreta dei suoi sentimenti per Hermione, allora non aveva mai visto un amore più bello.
Con un ultimo respiro racimolò un po’ di coraggio e dopo aver chiuso la porta, si avviò verso il salotto. 
      
Avvolta nella vestaglia rossa e con una fumante tazza di the, Hermione sedeva sul divano con Grattastinchi in grembo. Draco aveva insistito perché facessero colazione a letto, ma la moglie aveva scalciato via le lenzuola e coperto il corpo nudo con la vestaglia da camera che Molly Weasley le aveva regalato il Natale precedente. Una H dorata e un po’ sbilenca le campeggiava fieramente sul petto, come se Draco potesse mai confondersi e scambiare la propria vestaglia di seta con … quella.

Quando lo vide entrare nel salotto con un mazzo di fiori, Hermione rimase così sorpresa da perdere la parola. In parte perché suo marito reggeva tra le mani il più bel e variegato bouquet che avesse mai visto e in parte perché suo marito reggeva tra le mani un bouquet di fiori che a dicembre inoltrato avrebbero dovuto essere solo rami secchi. Nonostante vivesse nel mondo magico dall’età di undici anni, Hermione continuava a trovare vantaggi nella magia che la stupivano fino a ridurla al silenzio. Un silenzio che stava cominciando a preoccupare Draco; se ne rese conto da come teneva lo sguardo basso e spostava impercettibilmente il peso da una gamba all’altra.

Disse la prima cosa che le passò per la mente: «Sono per me?».

Questo parve rincuorare Draco, che sbuffò tra l’irritato e il divertito e le porse il bouquet prima di sparire dalla sua visuale e tornare un instante dopo con un libricino di pelle in mano. Si sedette sul divano accanto a lei, scacciando in malo modo Grattastinchi, ma Hermione era così assorta a contemplare la composizione che non vi badò. Al centro vi era una nuvola perfetta di piccole rose gialle, come se il bouquet stesso fosse un fiore e questo la sua corolla. Tutt’intorno riconobbe altre rose, un grappolo di piccoli gelsomini e uno di garofani rosa dai bordi frastagliati. Accarezzò con la punta del dito un fiore di mughetto che a testa china pendeva dal suo stelo come una campanella. Ad avvolgere l’intero bouquet era un ramo di edera, le cui foglie riposavano su un semplice involucro di carta color crema. Un nastro rosso teneva ben uniti gli steli.

Alzò gli occhi ed incontrò il viso sorridente ma incerto di Draco.

«Buon Natale, Hermione» le disse porgendole il libro che aveva recuperato dalla libreria. La donna fissò prima il marito e poi ciò che teneva in mano cercando di capire il nesso. Un lampo di comprensione le illuminò lo sguardo quando riconobbe la rosa laminata sulla copertina: era un vecchio libro appartenuto a sua nonna, un cimelio di famiglia che non considerava da anni. Adagiò delicatamente il bouquet sul proprio grembo e prese il piccolo dizionario tra le mani, sfogliandolo con ritrovato stupore per le bellissime illustrazioni ad acquerello ed improvvisamente comprese cosa le stesse offrendo Draco.

«È un enigma» mormorò tra l’ammirato e il divertito.

L’uomo rise piano, con cautela, quasi temesse di deluderla: «Pensavo più ad una lettera, ma enigma può andare. Ad ogni modo, la soluzione al tuo arcano è lì dentro» disse picchiettando la copertina del libro.

Con malcelata eccitazione Hermione prese a sfogliare la pagine cercando riscontro tra le illustrazione ed i fiori nel bouquet, soffermandosi sui nomi in latino di ciascuno e sui vari significati.

«Mi prenderesti carta e penna?» chiese senza alzare lo sguardo dal libro.

Divertito, Draco agitò la bacchetta per richiamare gli oggetti. Non voleva perdersi nemmeno un istante dello sguardo concentrato della moglie, il modo in cui si mordicchiava il labbro e corrugava le sopracciglia, la riverenza con cui accarezzava le pagine e la foga con cui scartabellava appunti sul foglio. L’aiutò qua e là perché trascrivesse il significato che aveva scelto e non confondesse le piante più simili tra loro. Il linguaggio dei fiori è una lingua ambigua e una sfumatura sbagliata può tramutare il più puro dei sentimenti in perdita e dolore.

«Ho finito» annunciò compiaciuta Hermione, quasi si aspettasse di ricevere dei punti per aver decifrato così in fretta il messaggio.

«Allora leggi» la invitò Draco, non senza una nota d’incertezza nella voce.

La donna si schiarì la gola e cominciò ad elencare quanto aveva scritto. «Cominciamo dal fiore più insolito:  l’edera, simbolo di fedeltà. Poi il gelsomino del Madagascar, che indica la felicità matrimoniale» e qui sorrise dolcemente, lanciando a Draco un’occhiata di sottecchi e trovandolo totalmente concentrato su di lei e sulle sue reazioni. «La rosa rossa, il più romantico dei fiori, simbolo di passione, amore e devozione. Non meno romantica la rosa rosa che simboleggia felicità perfetta e … gratitudine».

S’interruppe per un istante mentre assimilava il significato di quelle parole scritte così di fretta, poi riprese a leggere a voce bassa, più per se stessa che per Draco. «Garofano piumoso per l’amore puro … E mughetto per la felicità ritrovata». Sentì l’emozione chiuderle la gola e inumidirle gli occhi, al punto che quando lesse dell’ultimo fiore lo fece in un sussurro e non poté trattenere alcune lacrime e una mezza risata.

Strinse forte il foglio di carta mentre Draco la invitata a voltarsi nella sua direzione con una carezza sul viso «Sapevo di aver fatto bene a scegliere le rose di Banks, sei bella sia nel riso che nel pianto, Hermione». La donna proruppe in una altra risata bagnata mentre Draco le asciugava le guance sorridendo.

«Avevi ragione» gli disse «è una lettera. È la più bella lettera che io abbia ma ricevuto».

«È solo un verso in confronto al poema che dovrei scriverti per dirti quanto ti amo e quanto significhi per me Hermione, quanto hai fatto per me … Ma non potevo riempire la casa di fiori» Risero entrambi all’idea del loro piccolo cottage invaso dalle piante mentre le mani scivolavano lentamente lungo le braccia, trascinandoli in un abbraccio che sapeva di casa e di calore. Rimasero stretti a lungo, entrambi incapaci di lasciar andare l’altro.

«Allora, ti piace il tuo regalo?» chiese Draco accarezzandole il collo con le labbra.

Hermione lasciò vagare lo sguardo fuori dalla finestra, oltre il giardino coperto di neve, oltre il campanile del villaggio.
Lo spostò su Grattastinchi acciambellato davanti al fuoco e sull’albero che nell’angolo era illuminato da cento piccole candele. Infine lo pose sui capelli cinerei che le solleticavano la guancia, concentrandosi sul calore emanato da Draco e sul battito rassicurante del suo cuore contro il proprio petto.

«Sì» rispose ebbra di felicità «È perfetto».

 
FINE
 
   
 
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