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Autore: Happy_Pumpkin    25/12/2020    5 recensioni
avrebbe conosciuto il suo soulmate, un giorno, nutrendosi nel frattempo di amori momentanei mischiati a flebili speranze che forse, ma proprio forse, quel cliente portato all’aeroporto sarebbe stato... lui, nessun altro che lui, quello giusto insomma.
Naruto Uzumaki guida un taxi in una Metropoli immensa, alla ricerca del suo Soulmate che sembra però essere destinato a non incontrare mai, in un'esistenza imprevedibile intervallata da irrinunciabili routine. Finché, un giorno, da' un passaggio a un uomo che gli cambierà per sempre quell'esistenza, rivoluzionandogliela a sua volta.
SasuNaru ! Soulmate!Au
[Secret Sancta 2020] [Buon Natale Angelica!]
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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Premessa: questa è una Soulmate!Au, ambientata in un universo simile al nostro ma con una situazione politica un po' diversa, è di sfondo però può essere utile per capire il clima. Oltrettutto ho utilizzato certi tratti della Soulmate!Au ma a modo mio: il mondo infatti si divide da una parte in Marchiati, che hanno una determinata frase o parola incisa sulla pelle, destinata a cancellarsi se pronunciata dal proprio soulmate; dall'altra ci sono i Macchiati, i quali hanno in un punto determinato una macchia nera, come d'inchiostro,che si potrà eliminare solo se toccata dal proprio Soulmate che ne avrà a sua volta una, tendenzialmente nello stesso punto.


A simple love


1



Se qualcuno avesse chiesto a Sasuke Uchiha di parlare di sé, questi si sarebbe definito un uomo tranquillo, con una vita semplice e interessi modesti, un bozzolo di confortanti abitudini cadenzate da ritmi altrettanto scanditi, simili all’ondeggiare placido di una barca mai distante dal suo porto sicuro. Per tali ragioni, egli non credeva, né desiderava che qualcuno potesse interessarsi alla propria noiosa, abitudinaria, vita privata e ciò rappresentava un immenso sollievo in termini di dispendio di energie mentali.

Se invece la stessa identica richiesta fosse stata fatta a Naruto Uzumaki, beh, lì era tutt’altra faccenda; non che ci fosse granché di particolarmente straordinario nella vita di un taxista, ma questi poteva ammettere con ogni ragionevole certezza di aver sperimentato in trent’anni di esistenza molte più cose di un suo coetaneo, o forse addirittura di chi portava persino maggiori anni sulle spalle. Ma non era il proprio lavoro nello specifico a renderlo felice – in fondo era un mestiere come un altro, sebbene stressante e per certi versi rischioso: avrebbe infatti potuto caricare in auto uno serial killer e saperlo solo in procinto di morire – era più in generale il modo in cui affrontava la vita, con uno stato d’inguaribile ottimismo verso il futuro. Le cose sarebbero migliorate, la crisi economica e i dissidi del proprio paese rientrati, avrebbe conosciuto il suo soulmate, un giorno, nutrendosi nel frattempo di amori momentanei mischiati a flebili speranze che forse, ma proprio forse, quel cliente portato all’aeroporto sarebbe stato... lui, nessun altro che lui, quello giusto insomma.

Al contrario di Sasuke, dunque, Naruto attendeva una chiacchiera casuale, qualcuno che gli chiedesse della sua vita e lui avrebbe avuto tempo extra per raccontarla, nella propria quotidianità piccola ma a suo modo straordinaria.

Era conscio che esistevano tante tipologie di manifestazione del soulmate, segno della fantasiosa varietà della genetica umana, alcune squisitamente realizzabili, altre un po’ meno, ulteriori ancora destinate sin dal principio a finire in tragedia. Dal suo canto poteva ritenersi fortunato: nel proprio caso la probabilità del trovare il soulmate era una mera condizione di attesa ricca di persin troppe possibilità e, di conseguenza, di illusioni.

In una di quelle attese, Naruto si coprì il braccio assicurandosi che non si potessero vedere le proprie parole scritte sopra. Ricordavano un graffio ma non gli causavano alcun dolore, eccetto il fremere della pelle quando qualcuno le pronunciava, brividi leggeri sull’epitelio arrossato.

Niente zucchero, grazie.”

Tese l’orecchio dopo averle sentite, sollevando lo sguardo verso chi le aveva pronunciate. Si ricordò dov’era in quel momento di pausa, il taxi posteggiato fuori in doppia fila, sotto i fiocchi di neve spessi come matasse di lana che dall’alba avevano cominciato a cadere pigri sulla città, risucchiando i rumori della strada come se volessero mangiarli. Una caffetteria qualsiasi, anche se sempre la solita, in cui vi si recava ogni mattina, ogni giorno della sua straordinaria esistenza: con le sedie in ecopelle un po’ consunte, il bancone ampio dove la gente si appoggiava, i tavoli in formica su cui, come in un rituale, erano disposte le salse e lo zucchero, mentre l’odore intenso del caffè si mischiava a quello delle torte burrose che s’incollavano al palato.

Vide la donna che aveva appena ordinato prendere il resto dalla commessa. Contemplò il suo sorriso e pensò che poteva innamorarsene. Poi sbirciò la scritta sul proprio braccio, quello stupido, banale, ridicolo niente zucchero, grazie inciso sulla sua pelle; sospirò, neanche troppo deluso quando constatò che non stava sparendo.

Non sei tu.”

Ciononostante, sorreggendosi il mento con la mano, osservò la donna un’ultima volta uscire dalla porta con il proprio caffè take-away senza zucchero. Accennò un sorriso, scuotendo la testa. Finì di bere il proprio cappuccino e lasciò una mancia a Dorothy, la ragazza della caffetteria che ringraziandolo gli domandò:

Niente fortuna?”

Naruto schioccò la lingua, aggiustandosi il cappuccio imbottito sopra la testa dopo aver chiuso la zip del giaccone: “No, nemmeno oggi. Ma era una bella persona, questo si vedeva.”

Sorrise e la cameriera sorrise di riflesso. Allora Uzumaki con un cenno del mento le domandò: “Tu?”

Lei si portò una mano sul collo dove, nascosto da un fazzoletto abbinato alla divisa, Naruto sapeva esserci una macchia nera – un’altra di quelle mirabolanti varianti genetiche del trovare un soulmate – e scosse la testa: “No, no, non succederà mai. Dovrebbe strozzarmi per farmi andar via il segno e io forse dovrei strozzare lui. Te l’ho detto, è impossibile.”

E io ti dico che forse, magari, deve solo baciarti sul collo” replicò l’altro, sollevando le sopracciglia con un sorriso sornione.

Dorothy scosse nuovamente la testa, sorridendo con affetto: “Naruto, vorrei sinceramente avere la tua visione positiva delle cose.”

Il sorriso si fece maggiormente schivo, persino triste, e il ragazzo si dispiacque una volta di più che mai, nemmeno tra anni, loro due avrebbero potuto scoprire di essere soulmate: i Macchiati, come Dorothy, non avrebbero mai visto cancellato il proprio inchiostro da qualcuno come Naruto, Marchiato da lettere incise nella carne; così come Naruto non avrebbe mai visto sparire i propri segni per mano della triste ma gentile cameriera della caffetteria. Un’incompatibilità di modi con cui il fine ultimo si realizzava, o così sostenevano i saggi scientifici che ancora tentavano di spiegare il fenomeno più complesso della razza umana.

Uscendo, il taxista si riparò meglio il collo e con una corsetta rapida si affrettò a entrare in macchina, scrollando qualche fiocco di neve caduto su maniche e cappuccio. Sbuffò appena per il freddo intenso della giornata, poi avviò il motore e posizionò il telefono per vedere le nuove prenotazioni tramite l’applicativo.

Scelse il richiedente più vicino e si mise in marcia, godendo del tepore che iniziava a scaldare l’abitacolo, espandendo l’odore di cannella e arancia del profumatore incastrato nelle griglie del riscaldamento. Naruto forse non era una delle persone più ordinate sulla faccia della terra, ma gli piaceva lavorare in un ambiente pulito e avvolto da aromi capaci di coccolarlo, specie quando la morsa del freddo incalzava, così come la minaccia di smascherare ai suoi stessi occhi la reale pacatezza della sua vita.

Percorsi un paio di isolati, vide sostare all’indirizzo segnalato un tizio con un cappotto lungo e nero, una sciarpa altrettanto lunga e capelli scuri schiacciati sotto a un cappello di lana coperto da qualche fiocco. Questi gli tese il braccio per assicurarsi che si fermasse, cosa che Naruto fece, tirando giù il finestrino dal lato passeggero per tendersi e domandargli con un sorriso cordiale:

Buongiorno! Chiamato un taxi?”

Notò che aveva una borsa a tracolla strapiena e, quando il cliente si abbassò a sua volta, vide anche che il naso arrossato per il freddo spiccava adorabilmente sulla carnagione bianca.

Sì. Può portarmi al 112 di Eight Street?”

Il taxista lo fissò un istante, come incerto di aver capito bene: “Eight Street? È la periferia della zona ovest, sicuro di sapere quello che fa?”

Fu certo di essere riuscito a scorgere anche sotto metri e metri di sciarpa le labbra contrarsi in quello che sembrava disappunto, anche se gli occhi scuri lo fissavano immutati: “Sicurissimo. Lei è sicuro invece di saperci arrivare?”

Piccato, Naruto schioccò la lingua. Guarda te ‘sto stronzetto quanto se la crede. Gli aprì la portiera ed esordì: “Salti su, ci arriverà senza nemmeno rendersene conto.”

Udì un impercettibile sospiro, poi mentre lo sconosciuto richiudeva la portiera e si allacciava la cintura, tenendo la borsa sulle gambe, Naruto avviò il tachimetro immettendosi in strada.

Ci va per lavoro? Non mi capitava da diverso tempo di accompagnare qualcuno da quelle parti.”

La periferia ovest era una delle zone dove la giurisdizione del governatore delegato faceva più fatica ad arrivare: i ribelli antimonarchici, quelli che imputavano a un monarca inetto la colpa del calo del lavoro, della povertà e della conflittualità con nazioni di stampo repubblicano; un re senza polso che delegava troppo il controllo delle provincie a governatori ancora peggiori. Così ormai era la situazione da anni, Naruto se ne era fatto una ragione, anche se da diversi mesi gli attentati e le rappresaglie per le nuove leggi, che oltretutto mal tutelavano chi non aveva ancora avuto la fortuna di incontrare il proprio soulmate, si erano intensificate.

Quando è stata l’ultima volta?”

Prego?” domandò Naruto, interdetto.

Che ha accompagnato qualcuno lì” spiegò l’estraneo, abbassandosi la sciarpa. Le labbra pallide disegnavano una sorta di mezzo sorriso, con l’aria vagamente ironica.

Bah, sarà stato tre mesi fa.”

Capisco. Ha paura, adesso?”

Fermo al semaforo Naruto si voltò a guardarlo. Non riusciva a capire se lo stesse semplicemente provocando o se lo chiedesse con interesse quasi scientifico, perché il sorrisetto di prima era sparito.

Onestamente? Sì. Possono spararmi, o possono sparare a lei. Potremmo essere coinvolti in un’esplosione di qualche bomba. Ma d’altronde il mio lavoro è anche questo, la consapevolezza del rischio.”

Scrollò le spalle, svoltando. L’autoradio trasmetteva una canzone tranquilla, di quelle da giorni spensierati.

Con la coda dell’occhio colse un movimento del corpo dell’altro e poco dopo arrivò il suo interrogativo:

La consapevolezza del rischio?”

Uzumaki sorrise: “Sì. So che non è un mestiere esente da pericoli, capisce? Per esempio, la sua borsa – gliela indicò con un cenno ma l’altro non mosse un muscolo – potrebbe contenere una pistola, è bella piena d’altronde. E lei essere un terrorista del FLA, il temibile Fronte di Liberazione Antimonarchico, che mi odia semplicemente perché esisto, perché sono un simbolo di un lavoratore super partes che porta chiunque, senza distinzioni, compresi i disgustosi funzionari e compagnia cantante; dunque, sempre parlando per ipotesi, potrebbe decidere di tirare fuori da quella borsa la sua pistola e spararmi, bam, così, dritto in faccia. E io non avrei modo di difendermi, sono qui, legato da una cintura, in macchina solo con lei.”

Gli sorrise, continuando a guidare.

Ma l’uomo non sorrise a sua volta. Occhieggiò anzi la borsa, poi tornò a posare il suo sguardo sul taxista e solo allora replicò: “Penso sia la cosa più interessante che ho sentito oggi. E con il lavoro che faccio, mi creda, di cose interessanti ne sento parecchie.”

Cadde il silenzio. Con crescente nervosismo Naruto strinse le mani sul volante, lanciò un’occhiata alla borsa che l’altro iniziò ad aprire, facendo scattare i lacci, e spalancò un istante la bocca, scoprendo di non avere più salivazione. Accennò un sorriso incerto, dandosi dell’idiota per la sua smania di parlare, infine riuscì a domandare: “E che lavoro fa? Spero non il terrorista.”

Rise, nervoso. Si fermarono in coda al semaforo. Attorno a loro le strade erano meno frequentate, cartelli di protesta appesi ai muri più fatiscenti, come se ogni cosa, ogni centimetro di marciapiede, di strada, di insegne decadenti fosse stato via via dimenticato da quella fetta di umanità che si definiva importante e che quindi, di riflesso, si fregiava del potere di decidere a sua volta cosa fosse importante e cosa no.

Ma Naruto non era davvero idiota: era un chiacchierone, certo, un ottimista inguaribile, un amante del caffè e dei piccoli rituali alla ricerca di un soulmate che non avrebbe mai trovato – non così almeno, la vita era troppo imprevedibile per piegarsi a un certosino lavoro fatto di ripetizioni – però conosceva il mondo, nonostante il mondo non conoscesse lui, taxista tra i tanti in una città piegata da quelli che, a conti fatti, era una microscopica, degenerante, guerra civile.

Non si sarebbe fatto uccidere sul suo taxi da un colpo di pistola.

Mise la mano sulla cintura, pronto a far scattare il gomito prima che l’altro, con il suo cappotto pulito, i suoi guanti di lana, il cappello bagnato di neve, potesse tirare fuori l’arma.

Lo scorse armeggiare nella borsa fino a che, al click della cintura che rapido Naruto fece scattare, l’uomo tirò fuori... un tesserino.

Un banalissimo, innocuo tesserino.

Il taxista si bloccò. Qualcuno dietro di lui suonò il clacson, così avanzò sebbene a rilento, con i muscoli in tensione che cercavano di rilassarsi senza riuscirci.

Poi il passeggero spiegò, in un fluire morbido di parole, ma allo stesso tempo espresse con decisione quasi guerriera, antica, di chi si prepari con ascia e scudo a proteggere terre selvagge: “Sono un giornalista.”

Sentendo il nervoso defluirgli simile a veleno dalla punta delle dita, persino da quelle dei piedi, Naruto balbettò qualcosa di inconsistente fino a che nel mezzo del traffico rise, una risata un po’ sconnessa, e scosse la testa quasi lacrimando: “Oh... oh, ok, capisco, cavoli. Phew, un giornalista.”

Ignorando il sopracciglio sollevato con disappunto dell’altro, Naruto lanciò un’occhiata al tesserino con il numero di appartenenza all’Ordine: “Sasuke Uchiha. Giornalista.”

Gli piacque come suonarono quelle parole, preannunciavano l’inizio di qualcosa. Ogni nome e cognome secondo Naruto possedeva musicalità nascoste, da pronunciare così, durante una conversazione, similmente a un incantesimo.

Il giornalista in questione ritrasse il tesserino, forse non aspettandosi che il guidatore leggesse così in fretta, e dopo aver assottigliato gli occhi, pensoso, ribadì con un mezzo sorriso trionfante di realizzazione: “Aspetta. Ah, la pistola. Pensava che davvero avessi una pistola?”

Colto in fallo, ma troppo orgoglioso per cedere terreno, Naruto sentì suo malgrado di arrossire fino alla punta delle orecchie, però fu veloce a replicare: “Sasuke, vai in giro nel peggio quartiere della città, troverei strano il contrario casomai, che tu non abbia una pistola.”

Non si rese nemmeno conto di avergli dato del tu, né di aver adottato un sorriso sornione che faceva venire all’altro voglia di prenderlo a schiaffi. Fu forse per questo che Uchiha incrociò le braccia al petto, o forse perché più schivo di quanto volesse far intendere.

Certo che hai sempre da ribattere, eh?”

Beh, non sono il solo qui dentro” rispose l’altro, sbattendo le palpebre senza smettere di sorridere.

Non gli era sfuggito che pure Sasuke gli aveva dato del tu, sebbene in quel momento avesse roteato gli occhi apparentemente spazientito, o rassegnato, magari ambedue le cose. Tutto sommato, non sapeva bene perché, però si sentiva di sorridere di fronte a quel gesto: non ridere di lui, o della situazione, bensì semplicemente provare quell’istintivo bisogno di esternare una propria condizione di felicità, più genericamente di benessere. Un inclinarsi delle labbra verso l’alto. Assurdo quanti sentimenti vi fossero racchiusi in un movimento muscolare.

Prima che potesse aggiungere altro, però, il giornalista si abbassò per vedere meglio attraverso il vetro e confermò che erano arrivati a Eight Street. Le macchine parcheggiate erano più che altro utilitarie, quasi volessero mimetizzarsi con l’asfalto per essere ignorate, come il resto della gente che passava lungo i marciapiedi, affollati a tratti di bancarelle, a tratti di spettatori casuali della vita che, con atteggiamenti curiosi ma ostili, vicino alle porte di case e negozi sostavano quasi in attesa che capitasse qualcosa di grosso; era come se ne avessero la certezza assoluta, con quelle facce indurite che squadravano chiunque non fosse memorizzato nel loro sistema di riconoscimento del vicinato, e volessero essere certi di trovarsi in prima linea quando tale evento si fosse presentato.

Non mi sembra troppo cambiata” ammise Naruto, meditabondo.

Lasciami pure qui” replicò l’altro, con la mano già sulla maniglia. Ma si era bloccato, fissando la strada davanti a sé, come colto da una riflessione complessa.

Sicuro?”

Spostò poi lo sguardo verso Naruto, il quale lesse nei suoi occhi una difficoltà quasi inumana, ma al tempo stesso una vulnerabilità che gli strinse il cuore e lo fece sentire in colpa, come se avesse violato inavvertitamente qualcosa di privato. Allora Sasuke gli chiese:

Ti spiacerebbe attendere che finisco l’intervista? Mi hanno concesso dieci minuti, sicuro riuscirò a strapparne di più, ma comunque non ci metterò molto.”

La vulnerabilità era sparita, lasciando solo un’eleganza fiera sul volto dalla pelle chiara, forse per gli occhi intensi, notturni, in qualche modo saggi.

Fu in quel momento, davanti a quella richiesta, che Naruto si ritrovò a chiedersi se lo sconosciuto di nome Sasuke Uchiha avesse un soulmate. Se fosse un marchiato o un tatuato, se cercasse disperatamente, se odiasse farlo, o se, come lui, avesse preso il tutto come un gioco d’attesa tra un caffè e l’altro, un blando intrattenimento, il gratta e vinci su cui non si scommetteva più di un dollaro.

Scrollò le spalle, prima di rispondere: “No, no, tranquillo. Sai già dove ti riporterò dopo?”

Alla mia sede del giornale. Ti ringrazio – tirò nuovamente fuori il portafoglio e gli sporse un biglietto da visita – questo è l’indirizzo.”

Naruto lo prese, osservandolo, e annuì dopo esserselo messo nella tasca del giaccone: “Ok, nessun problema. Ehi, se lì dentro hai bisogno di una mano fammi un fischio, sosto qui davanti.”

Sasuke sembrò ponderare quanto potesse essere udibile un fischio nel mezzo di una casa, per quanto costruita con sommaria edilizia, ma non obiettò, limitandosi invece a ringraziarlo con un cenno. Fece un breve sospiro ma prima di uscire si tolse cappello e guanti, quasi per nobilitare la propria figura rispetto al freddo invernale, dunque si ravvivò i capelli umidi schiacciati e aprì lo sportello.

Si voltò verso il taxista e gli chiese: “Come ti chiami?”

Naruto Uzumaki.”

Sperò che il suo nome e cognome suonassero altrettanto musicali. Si sentì un po’ sciocco, un trentenne sognatore nel ben mezzo di un quartiere al tracollo. Ma gli piacque sentirsi così, vivo.

Piacere, Naruto Uzumaki. Grazie del favore, ci vediamo dopo” rispose l’altro, dopo averlo guardato un istante.

Il taxista lo osservò scendere: fu allora, nel movimento fluido prima di chiudere la portiera, che gli vide il palmo delle mani. E una macchia nera su quello destro.

Sasuke era un Macchiato. Naruto sentì lo stomaco contrarsi, affossato fin dentro le viscere.

Provò un senso così profondo di delusione e d’ingiustizia cosmica di fronte alla lampante consapevolezza, arrivata come uno schiaffo in pieno viso, che Sasuke sì cercava un soulmate ma… non sarebbero mai stati l’uno dell’altro. Si dette dell’idiota per quella sua facilità a illudersi, quel suo interesse momentaneo che con altrettanta rapidità poteva mutare in amore senza speranze.

Con un nodo allo gola tirò giù il finestrino e gli urlò, prima che l’altro entrasse:

Ti vado a prendere un caffè nel frattempo? Io ne berrei uno per ammazzare il tempo.”

Un’ultima, stupida conferma.

Scoprì di non voler sentire la risposta. Ma tanto valeva scivolare un po’ di più.

Sasuke lo guardò un istante stranito, poi scrollò le spalle e gli urlò: “Ok, va bene – ci pensò un istante – un americano. Con almeno due bustine di zucchero. Quando arrivo ci aggiustiamo per quello che hai speso assieme a quanto già ti devo.”

Con la voglia di piangere Naruto gli sorrise, annuendo, meravigliandosi per quel senso impeccabile di correttezza dell’altro, ma al tempo stesso avvertendo il groppo alla gola tramutarsi in una morsa. Appoggiò le mani sul volante dopo aver richiuso il finestrino, appoggiandovi la fronte sopra.

Sentì l’ironia profonda di tutta quella situazione, perché non solo aveva avuto la conferma definitiva che il giornalista Sasuke Uchiha, incontrato per caso in una città di milioni di abitanti, non avrebbe mai cancellato le scritte dal suo braccio, né lui il suo inchiostro, ma ora si ritrovava lì, da solo, in un quartiere dimenticato da una buona parte di quei milioni di esseri umani della metropoli a dover cercare un caffè promesso, nonostante la sola idea di berlo ormai lo faceva vomitare.

Ciononostante si ricompose. Riaprì gli occhi e uscì dopo aver parcheggiato meglio l’auto, sperando che nessuno dei molteplici osservatori sui vari marciapiedi gliela rubasse, dunque andò alla prima caffetteria trovata all’angolo, prese quel che doveva, e dopo aver messo le bevande nell’abitacolo si risolse ad aspettare.

Non finì neanche di pensare a come avrebbe ingurgitato del caffè amaro come la sua vita in quel momento che sentì all’improvviso degli spari. Sollevò la testa di scatto e di riflesso avviò il motore, sentendosi scioccamente come il complice di una rapina, pronto a scappare col bottino e il suo socio in arrivo correndo con un sacco di bigliettoni. E in effetti il suo socio arrivò, anche correndo, ma senza bigliettoni bensì gridandogli secco:

Riparti, Naruto, riparti!”

Dimentico dei caffè, del groppo in gola e della sequela di disillusioni della sua esistenza, galvanizzato dall’adrenalina Naruto aprì lo sportello a Sasuke che si infilò dentro con il cappotto aperto, la sciarpa che minacciava di cadergli a terra e la borsa sempre strabordante ma con carte che uscivano come se cercassero di scappare.

Qualcuno lo aveva inseguito, rapido, feroce e, prima che Naruto riuscisse a immettersi in carreggiata, sparò loro dietro. Fu Sasuke a fargli abbassare la testa.

In quel preciso istante vennero inondati da schegge di vetro schizzate dal parabrezza infranto: un proiettile aveva perforato il parabrezza posteriore, percorso in lunghezza l’abitacolo per poi uscire attraverso il parabrezza anteriore, mancando i due passeggeri per un soffio.

Cazzo!” esclamò Naruto, schiacciando però sull’acceleratore mentre si sparava in strada con la macchina, ricevendo colpi di clacson di chi non aveva ancora realizzato di trovarsi nel mezzo di una sparatoria e urla di chi, invece, l’aveva capito eccome.

Porcaputtana! Porca di quella puttana!” esclamò ancora, ma quasi in un guazzabuglio confuso di parole mentre il cuore gli stava esplodendo in petto e nell’abitacolo aveva iniziato a diffondersi aroma di caffè rovesciato, mischiato al freddo della neve che penetrava attraverso i fori del vetro.

Sasuke si era girato per guardare se li stessero inseguendo ma scorse solo lo stronzo che gli aveva sparato diventare un puntino minuscolo nel mezzo del caos. Cercando di trovare il controllo del proprio respiro si rimise seduto normalmente, allacciando maldestramente le cinture perché ancora, nonostante gli anni e i rischi, le mani gli tremavano.

Stai bene?” domandò infine spostando lo sguardo verso Naruto.

Questi non si voltò a guardarlo, impegnato a schivare macchine e allontanarsi il più velocemente possibile da lì, anche se avrebbe tanto voluto fissarlo negli occhi: “Tu mi chiedi se sto bene? Cazzo, ho… – cercò di trovare le parole ma vedere un buco di fronte a lui dove era poco fa passato un proiettile destinato alla sua testa non lo stava aiutando – ho la macchina a pezzi perché ci hanno appena sparato. Sparato! Sto bene nel senso che sono vivo, ma se non mi devo cambiare le mutande è solo perché… non lo so, perché ero troppo impegnato a non venire traforato per aver tempo di cagarmi addosso! Chi dovevi intervistare, eh, il leader del FLA con tutto il suo corteo di terroristi al gran completo?”

Domandò, quella volta voltandosi con gli occhi azzurri spalancati e una specie di sorriso isterico.

Tutto sommato, nel sentirlo parlare e per la complessa assurdità della situazione, senza volerlo a Sasuke scappò una mezza risata.

E che cazzo ti ridi?!” gridò ancora Naruto, esasperato, anche se il sorriso isterico permase, trasformandosi contro la sua volontà in un sorriso vero e proprio.

Al che Sasuke rise definitivamente e scosse la testa, muovendo una mano come per fermarsi: “Ok, ok, scusa, è inappropriato ma fai delle facce assurde e quello che hai detto, beh, mi ha fatto ridere – si umettò le labbra, ritrovando una parvenza di tranquillità per poi ammettere con serietà eccessiva, come per bilanciare – comunque sì, stavo intervistando Edward Johnson, che secondo molteplici fonti potrebbe essere il vice.”

Si morse un labbro.

Finalmente ormai lontano dalla zona ovest, Naruto inchiodò vicino a un marciapiede e si voltò a guardare Sasuke, incerto se ammirarlo, se mandarlo a fanculo, se mordergli a sua volta il labbro e strapparglielo via perché... cazzo, era più bello di quanto potesse tollerare, o se chiedergli cosa gli passasse per la testa per decidere di andare direttamente nella bocca dell’inferno.

Che cazzo gli hai detto per farti sparare addosso?” fu invece tutto quello che riuscì a dire.

Con serietà ritrovata e una sorta di profonda riflessione, l’altro gli rispose: “Che approvavo il suo pensiero per quanto riguarda la disparità delle leggi tra chi ha il soulmate e chi no, ma la sua piega terroristica era inaccettabile e prima o poi lo avrebbero fatto fuori – schioccò la lingua, apparentemente imperturbato – ecco, forse questo non dovevo dirglielo, ma rimanere imparziale, credimi, è difficile. Però ho l’intervista registrata, verrà fuori un bell’articolo” constatò ancora, tirando un breve sospiro e riprendendo ad assumere quell’aria di superiore intelligenza, come se la sua mente brillante fosse destinata consapevolmente a grandi cose. Pur trovandosi in un’auto ammaccata, che puzzava di caffè e vagamente di polvere da sparo.

Naruto appoggiò la testa contro il sedile e dopo un istante scoppiò a ridere, quella volta senza trattenersi.

Tutto questo ti fa ridere?” sbottò l’altro, dimentico che prima aveva fatto la stessa cosa.

Sì – ammise tra una risata e l’altra, asciugandosi le lacrime dagli occhi – è che, sai, ti vedo arrivare quando ti ho preso tutto molto figo e composto, con il tuo può portarmi al 112 di Eight Street – scimmiottò divertito la voce impostata di Sasuke – e poi te ne esci con queste dichiarazioni arrabbiate, convinte, sai, di chi non ci sta e ti fai addirittura sparare addosso. Insomma…” lo guardò, la risata divenne un morbido sorriso e la voce più contenuta, quasi una confessione detta sulla punta delle labbra “sei proprio un bel tipo.”

Anche se non berrai mai il caffè senza zucchero, anche se non sarò certo io a farti sparire la macchia scura sulla tua mano.

Sasuke sorrise. Un sorriso schivo, dopo il quale scosse appena la testa e, per effetto, più cercava di contenerlo, più il sorriso si allargava, quasi di chi non fosse abituato a farlo ma gli piacesse troppo per rinunciarvi: “Ce lo ricorderemo per anni, eh? Anche tu non sei stato male, sei partito con un bello sprint.”

Non sono stato male? Sono stato leggendario vorrai dire, già solo per il fatto che non ti ho lasciato a piedi appena sentiti gli spari” ammise Uzumaki con orgoglio, per poi chiedergli dove accidenti Sasuke volesse ancora andare, se a farsi sparare da qualcun altro giusto per completare l’opera d’arte sul suo taxi scassato, o tornare effettivamente alla sede del giornale.

Sasuke optò per la seconda scelta, aggiungendo: “Ti porterò a riparare l’auto. E… a lavare. Mi spiace per il caffè, quanto ti devo?”

Di nuovo la sua correttezza precisa. Naruto sospirò mentre proseguiva lungo la strada, sentendo l’impulso frivolo, di chi amava la vita e le persone, di baciarlo per la serietà e la correttezza che Sasuke ci metteva.

Lascia stare il caffè. Se vuoi possiamo vederci per una birra un giorno” buttò lì con fare casuale.

Pensò che magari il giornalista gli avrebbe risposto che era troppo preso a farsi uccidere anche dai filomonarchici per bilanciare gli equilibri karmici della sua persona.

Una birra, eh? Stasera sei impegnato?”

Per poco l’altro non si strozzò con la sua stessa saliva: “Beh, stasera pensavo di andare al Murphy’s con alcuni amici, ma…”

Il Murphy’s quello su l’Adison Avenue?” lo interruppe l’altro.

Sì.”

Beh, è un pub, c’è la birra, mi pare perfetto. Ti raggiungo lì, il tempo oggi di preparare l’articolo, mettermi d’accordo con la carrozzeria per la tua auto e lavarmi.”

Oh. Wow, ok – il cuore gli aveva fatto una capriola assieme allo stomaco, o forse viceversa, non capiva bene e tutto stava accadendo parecchio in fretta per uno abituato ad attendere l’amore della sua vita un caffè alla volta – andata. Ci sto” annuì, con gli occhi luminosi.

La sua vocina interiore gli ripeteva di non essere stupido, di non innamorarsi come al suo solito di cause perse, ricordandogli che Sasuke agiva con tanta urgenza solo per mettere a posto la faccenda della macchina, ma la mise a tacere, soffocata da quel senso di trionfante felicità che gli chiedeva, affamato d’amore, di godersi il momento e basta.

Sempre che non ti scocci, prometto che non ti ruberò molto tempo dagli altri” rettificò l’altro, come ripensandoci.

Ma va – esclamò in fretta Naruto – noi saremo lì dalle 20,00 per mangiare qualcosa. Ti aspetto.”

Erano arrivati di fronte alla sede del giornale, un bell’edificio elegante incassato tra alti grattacieli e strutture importanti, di quelle dove sembrava dovesse decidersi il destino del mondo.

Per un istante nessuno dei due parlò, infine Sasuke si slacciò la cintura e confermò: “Ti raggiungerò dopo allora – sembrò tentato di chiedergli qualcosa, lo guardò, poi ci ripensò – grazie ancora per oggi. So che se ci fosse stato qualcun altro al posto tuo con ogni probabilità non mi avrebbe aspettato. Ti devo molto più di un caffè.”

Aprì lo sportello prima che Naruto potesse dire qualcosa. Questi recepì nuovamente quella sfumatura di carattere schivo che si apriva di rado, ma quando lo faceva intendeva ogni singola parola pronunciata. Sorrise, per poi sospirare dopo che si salutarono.

Se, chiedendo a Naruto Uzumaki di parlare di sé, questi avesse detto di trovare straordinaria la propria modesta esistenza, avrebbe detto il vero.

Se a Sasuke Uchiha avessero chiesto la stessa cosa, nell’affermare di essere una persona modesta con una vita semplice… beh, Sasuke Uchiha avrebbe mentito.

Ma d’altronde va così: non sempre si rivela tutto quello che si pensa. Soprattutto, a volte nemmeno la scienza postulava teorie corrette, per questo a volte occorreva rivederle sulla base di casuali, complicate e imprevedibili eccezioni. Naruto e Sasuke, infatti, sarebbero stati una di quelle.

Sproloqui di una zucca

Questa fanfiction, che sarà di quattro capitoli piuttosto lunghetti, è per Angelica che mi ha ispirato tantissimo e, inconsapevolmente, spronata a tornare a scrivere, soprattutto di personaggi di cui ogni volta credo di averne abbastanza e che invece finiscono per non stancarmi mai. Tanti auguri di Buon Natale, Angelica, spero davvero che questa storia ti piaccia e possa trasmetterti qualcosa.
Grazie a tutti per aver letto <3

   
 
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