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Autore: Carmaux_95    25/12/2020    15 recensioni
«Mamma? Perché a Natale si addobba l'albero?»
«Perché è un modello di riferimento: ci avviciniamo alla fine del mese e dovremmo ricordarci, già dall'inizio dell'anno nuovo, di essere più simili ad un albero di Natale.»
«Perché?»
«Perché gli alberi di Natale hanno un sacco di qualità! Sono sempreverdi e portano gioia alle persone, tanto per cominciare. Inoltre ci insegnano che ogni tanto può capitare di cadere e di farsi male, ma che non per questo ci si debba arrendere! Oppure ancora che non c'è niente di male ad essere un po' sopra le righe.»
[Quinta classificata (35.1/38) al contest “A Christmas Novel” indetto da Pampa313 sul forum di EFP]
[Storia partecipante alla Seasons Die One After Another Challenge Edition! di Laila_Dahl sul forum di Efp]
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Milano quotidiana'
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FAMILY IS FAMILY



Family is family.

Whether it's the one you start with,

the one you end up with,

or the family you gain along the way.

 

25 Dicembre 1996

La cucina di casa Arcieri, durante il periodo natalizio, era zona di guerra.

Lo era sempre stata, per quel che Emilio, con i suoi cinque anni, riusciva a ricordare: nuvoli di farina che annebbiavano la vista, frammenti di gusci d'uovo che schizzavano in ogni direzione come schegge, macchie di latte o di burro che sporcavano la tovaglia e il piano cottura...
Mai, durante i restanti mesi dell'anno, nella cucina regnava un tale caos come dal primo all'ultimo giorno di Dicembre.

Emilio poteva solo osservare, impotente, la disfatta della madre che, nonostante tutto, non accennava a perdersi d'animo nemmeno dopo l'ennesimo panettone che si rivelava un fallimento.
Non potendo aiutare in alcun modo, andava in salotto e, pur lanciando sguardi incuriositi – e a volte preoccupati – in direzione della cucina, curiosava tra gli scatoloni degli addobbi scegliendo quelli che più gli piacevano, disponendoli ordinatamente sul divano in attesa che la mamma venisse ad aiutarlo ad attorcigliarlo sull'albero.
Agli occhi di un bambino quel pino di plastica non poteva che sembrare monumentale ed Emilio, con la sua corporatura minuta, si sentiva ancora più piccolo di quanto non fosse quando si avvicinava ai rami più bassi. Un occhio più critico si sarebbe accorto di quanto striminziti fossero quei ramoscelli, di quanto traballanti fossero i ganci metallici che si aprivano a raggiera intorno al tronco, ma specchiato negli smeraldi di Emilio appariva ben più che dignitoso. Anzi, il bambino sembrava provare una sorta di timore reverenziale di fronte a quell'immenso abete che sembrava giudicarlo silenziosamente quando si chinava per curiosare fra i regali impacchettati o per rubare uno dei biscotti appesi come fossero palline.

I biscotti della mamma... quelli sì che erano sempre un successo! Soprattutto quelli alle mandorle o alla frutta secca: l'albero arrivava alla mattina di Natale sempre spoglio della metà delle sue dolci decorazioni.
L'anno prima, per ovviare a queste scomparse che Emilio, con le briciole ancora sui vestiti, proprio non sapeva giustificare, la donna si era rimboccata le maniche e aveva tentato una nuova ricetta: la prima volta che il bambino, silenzioso come un gatto, aveva rubato uno di quei dolcetti, il sapore di pepe nero lo aveva tradito, facendogli scuotere la testa emettendo versi disgustati. Emilio avrebbe potuto giurare che quel vecchio albero avesse sorriso compiaciuto nel vederlo vittima di quella trappola così ben riuscita.
Insomma, l'albero del 1995 era passato alla storia come l'unico giunto al 25 Dicembre con ancora tutte le sue decorazioni intatte, eccetto una, appena sbocconcellata.

Emilio si concesse di lanciare solo uno sguardo goloso prima di ravvedersi e tornare a frugare fra le decorazioni. L'albero era crollato in terra proprio la sera del 24: forse troppo appesantito dalle palline, aveva trovato il modo di disfarsene facendo sì che si rompessero. Quella mattina dunque, come prima cosa, la mamma di Emilio era tornata in cantina a cercare gli scatoloni delle decorazioni e aveva permesso al bambino di rimpiazzare le vittime di quella notte con gli addobbi che preferiva mentre lei si occupava degli ultimi preparativi culinari.
Studiando le scatole, Emilio corrugò la fronte e, dopo qualche istante di incertezza, si recò in cucina prendendo posto al tavolo, occupato dal tappetino di silicone, ancora ricolmo di farina, dove era stata impastata la frolla degli ultimi biscotti.

«Mamma, come si chiama il nostro albero?»

«Cosa intendi? Vuoi dargli un nome?»

«No, ma ho letto una parola strana su una delle scatole di là.»

La donna sorrise: «“Abete”?»

«Sì, quella!»

«L'abete è un tipo di albero: è l'albero di Natale per eccellenza perché è di forma conica.»

«Cosa vuol dire “conica”?»

La mamma si chinò a sua volta sul tavolo e, con un dito, disegnò un triangolo nella farina che era avanzata sulla stuoia.

«Significa che ha una estremità stretta e la base larga.» Mentre il bambino ripercorreva a sua volta con le dita i tre lati di quel disegno, riprese: «Sai, alcuni abeti raggiungono anche i trenta metri d'altezza!» e così dicendo accompagnò quelle parole con un altro piccolo triangolo, decisamente più grande del primo.

Emilio sgranò gli occhi: «Come si fa ad addobbare un albero così grosso?!»

«Sicuramente ci vorrebbero tanta pazienza e tante decorazioni!», dichiarò la mamma con semplicità, tornando ad armeggiare sul piano di cottura.

Non passò molto tempo che Emilio diede voce ad un altro dubbio: «Mamma? Perché a Natale si addobba l'albero?»

La donna si morse le labbra, pensierosa: «Perché...» Forse era troppo difficile spiegare ad un bimbo il vero significato dell'albero, della rinascita, della religione e della fede. «Perché è un modello di riferimento: ci avviciniamo alla fine del mese e dovremmo ricordarci, già dall'inizio dell'anno nuovo, di essere più simili ad un albero di Natale.»

«Perché?»

«Perché gli alberi di Natale hanno un sacco di qualità! Sono sempreverdi e portano gioia alle persone, tanto per cominciare. Inoltre ci insegnano che ogni tanto può capitare di cadere e di farsi male, ma che non per questo ci si debba arrendere! Oppure ancora che non c'è niente di male ad essere un po' sopra le righe.» Così dicendo sfilò un festone argentato dalle mani del bambino e lo usò per solleticargli il viso, coinvolgendolo in una risata.

In quel momento, Emilio si scordò persino dei regali e si lasciò abbracciare e sporcare appena di farina.


 

***


 

25 Dicembre 2011

Il Natale a Stoccolma sembrava sospeso tra l'incanto di una favola e la suggestione delle classiche tradizioni.
Emilio non amava aggirarsi fra la folla dei mercatini ma, guardandoli dalla finestra di casa, non poteva negare il magnetismo suscitato da tutte quelle casette in legno che, costeggiando i percorsi ciottolati, andavano a riempire i parchi illuminandoli anche di notte.

Percepiva Stoccolma come una metropoli molto più a misura d'uomo di quanto non fosse la sua Milano ma, sebbene ogni tanto i suoi pensieri tornassero a Piazza Duomo e al calendario dell'avvento che animava le finestre del palazzo del Comune, non poteva dire di sentirne davvero la mancanza: Filip, il suo migliore amico nonché coinquilino da quando la mamma non c'era più, si impegnava sempre per mescolare un po' delle tradizioni milanesi alle proprie nordiche.
Festeggiare il Natale a Stoccolma significava, dunque, tanto julbord – il tradizionale buffet natalizio svedese, con aringhe affumicate, paté, prosciutto al forno e salsiccia di renna – quanto tortellini in brodo, per poi concludere sulle note dolci dei pepparkakor allo zenzero e del panettone, sebbene nella variante nordica con i frutti di bosco e la cannella.
Emilio era sempre stato un fedele sostenitore della ricetta originale e questo era l'unico compromesso che accettava in proposito per rispetto nei confronti di Filip, senza contare che non avrebbe mai avuto il coraggio di spiegare ai genitori di quest'ultimo che la loro ricetta era “sbagliata”.
Un piatto che quell'anno aveva deciso, invece, di accogliere nel proprio ricettario erano i pancakes con salmone affumicato, crème fraîche e aneto che preparava Britt, la compagna di Filip.

Dopotutto, Natale significava anche ampliare i propri orizzonti e accogliere nuove tradizioni.

Quell'anno in particolare, purtroppo, significava anche indossare quegli orrendi golfini natalizi “da coppia” che i genitori di Filip – con una punta di scherno – avevano deciso di regalare al figlio e ad Emilio.

«Perché devo indossarlo io il culo della renna? Indossalo tu!», esclamò sotto voce quest'ultimo allungando una mano per rubare il golfino in mano a Filip, sul quale era stata ricamata la silhouette della testa e delle zampe anteriori dell'animale in questione.

«Non è della mia taglia!», rispose il maggiore prontamente: non aveva controllato se le taglie fossero effettivamente diverse, ma non voleva che le foto del suo primo Natale con Britt lo ritraessero con il posteriore di Rudolph stampato sul petto. «Dai, non ti sta poi così male...»

«A Natale non si dovrebbero dire le bugie.»

«Aspetta: forse ho qualcosa per migliorare la situazione.»

Prima che Emilio potesse obbiettare, lo svedese gli calò sulla testa un cappello a strisce bianche e rosse, con tanto di orecchie larghe e appuntite che sporgevano ai lati. Come se Emilio non fosse stato geneticamente dotato di un paio di orecchie che, da sole, assolvevano già l'incarico di farlo sembrare un elfo: fossero state a punta, oltre che sporgenti, sarebbero state davvero perfette.
Il ragazzo rise – dopotutto, non c'era niente di male ad essere un po' stravaganti – e sollevò il cappello, che Filip gli aveva fatto calzare fin sul naso, appena in tempo per farsi accecare dal flash di una foto che veniva scattata a tradimento. La sghignazzata di Hanna, cugina di Britt, riempì il salotto mentre si compiaceva di quello scatto e lanciava ad Emilio occhiate divertite.

Ecco, adesso che ci pensava, quell'anno Natale significava anche scappare da Hanna.
Gli occhi da cerbiatta e un sorriso quasi stucchevole sempre stampato sul viso, sembrava divertirsi nel metterlo a disagio girando per casa con addosso un cerchietto con un tubicino di metallo proteso in avanti a cui era attaccato, all'estremità, un rametto di vischio con tanto di targhetta che recitava “kiss me”.
Quella mattina lo aveva colto di sorpresa: quando era andato ad aprire la porta di casa per accoglierla, lei gli aveva stampato un bacio veloce sulle labbra prima ancora di salutarlo e fargli gli auguri.
Nel corso della giornata era stato vittima di quel cerchietto più e più volte e non era mai riuscito a fare niente per impedirlo: aveva provato a chiedere ad Hanna di smettere di baciargli ogni volta un punto diverso del viso, ma sentendosi morire dall'imbarazzo aveva fallito miseramente. Ora come ora, le sue guance si erano ormai imporporate non più tanto per la soggezione che così facilmente lo attanagliava, quanto per il rossetto della ragazza.
Di conseguenza, aveva deciso di mettere in atto una strategia semplice quanto efficace: scappare non appena la vedeva avvicinarsi.
Sapeva di apparire antipatico agli occhi dei presenti ma se c'era una cosa che non sapeva gestire era proprio questo tipo di situazione, soprattutto se chi si rapportava con lui non gli concedeva i suoi tempi e spazi.

«Coprimi, fratello», biascicò tentando di defilarsi non appena vide la ragazza venirgli incontro.

Filip, distratto, non capì a cosa il ragazzo facesse riferimento: «Con cosa?»

Nell'indietreggiare Emilio sbatté contro l'albero addobbato, rischiando di farlo cadere. Gli aghi gli punzecchiarono il palmo delle mani e lo distrassero il tempo necessario perché Hanna riuscisse a stampargli l'ennesimo bacio, questa volta all'altezza del mento.

Maledetto albero!
Fosse stato un albero normale come quello che avevano sempre usato lui e la mamma a Milano non si sarebbe distratto!

Da quando si era trasferito a Stoccolma con Filip, invece, aveva scoperto l'agrodolce caducità di una vera punta di abete: non aveva mai nemmeno pensato di addobbare un albero vero e, a distanza di un anno, ancora si trovava ad accarezzarne gli aghi palpandone la consistenza o a soppesare i rami che, per non rovinarsi, potevano sopportare il peso di molte meno decorazioni rispetto a quelle a cui Emilio era abituato.
Non c'erano festoni attorcigliati su quella fronda che cominciava già a mostrare i primi segni di cedimento, solo lucine colorate che si riflettevano in poche palline di vetro e creavano espressioni ombrose sul viso dei biscotti a forma di omino che Emilio aveva voluto appendere.

Ne staccò e assaggiò uno: li aveva cucinati lui stesso seguendo la ricetta della mamma e li aveva appesi proprio in sua memoria, per ricordare quei Natali passati solo in compagnia l'uno dell'altra e per tenerla a sé vicino anche adesso.

Nonostante si trovasse a migliaia di chilometri da Milano, masticando quei biscotti e guardando Filip tentare in tutti i modi di sfilarsi quel brutto maglione si sentì a casa.

 

***


 

25 Dicembre 2018

Quel Natale sarebbe passato alla storia come il peggiore di sempre.

Quando delicati fiocchi di neve avevano cominciato a scendere spruzzando le strade milanesi di bianco, il bambino che c'era ancora in Emilio aveva esultato: dopotutto, lui era nato proprio in un giorno di neve. Nel momento in cui, tuttavia, una notifica sul cellulare lo aveva informato del fatto che il suo volo era stato cancellato per via del maltempo il sorriso era scomparso dal suo viso.

Da quando, per lavoro, si era trasferito nuovamente nella sua città natale, le occasioni per vedere Filip erano ben limitate. Certo, non mancavano mai di scriversi, telefonarsi accampando qualunque scusa venisse loro in mente, e preoccuparsi l'uno per l'altro come fratelli, ma vedersi di persona prevedeva un viaggio non indifferente, programma che raramente riusciva ad incastrarsi con i rispettivi impegni lavorativi.

Quell'anno Emilio era finalmente riuscito a mescolare ferie e qualche giorno di permessi e aveva deciso di trascorrere due settimane dall'amico, a Stoccolma, per trascorrere le feste in compagnia come avevano sempre fatto.

E poi aveva cominciato a nevicare.

Non avrebbe mai creduto di poter odiare la neve!

Come se non bastasse, a pochi giorni dal Natale, l'impianto di riscaldamento di casa si era guastato e una conseguente perdita aveva allagato la cucina, rendendola inutilizzabile. I manutentori della compagnia idraulica, per quanto affermassero di lavorare anche in quel periodo festivo, avevano casualmente dichiarato la loro impossibilità di venire a sistemare il problema proprio per colpa della neve che bloccava le strade.

Per concludere in bellezza, il suo albero di Natale aveva deciso che era giunta l'ora di esalare l'ultimo respiro.
Se doveva essere del tutto onesto, Emilio si stupiva di come avesse fatto a campare tanti anni – dopotutto aveva la sua età – ma allo stesso tempo, in cuor suo, ogni anno si trovava a sperare ingenuamente che potesse continuare a reggere a oltranza. In fondo, i rami striminziti e rovinati che ormai perdevano finti aghi al minimo spostamento d'aria non lo infastidivano e il fatto che il “tronco” si fosse stortato facendo pendere tutto l'albero leggermente verso destra lo faceva sorridere.
Era ancora l'albero della mamma e, nonostante fossero ormai passati anni, non se la sentiva ancora di buttarlo.

Quando, proprio la mattina di Natale, anche la base metallica cedette facendolo rovinare a terra, Emilio capì che, per quanto a tutti capitasse di cadere, era proprio giunto il momento di mandarlo in pensione.

Con un sospiro lo raccolse e appoggiò contro la parete perché non scivolasse di nuovo.

Stava ancora raccogliendo gli aghi che, staccandosi, avevano creato un piccolo tappeto verde che gli ricordò quelli lasciati durante i primi giorni di gennaio dalle vere punte di abete che decorava con Filip, che il suo cellulare squillò.

Non si stupì nel momento in cui riconobbe il numero: «Maia: sono le quattro del mattino.»

«Ti ho svegliato?»

«No...»

«Ti disturbo?»

«No!»

«E allora dov'è il problema?»

Emilio alzò gli occhi al cielo, sorridendo: «Mi domandavo semplicemente come mai fossi sveglia a quest'ora.»

«Stavo lavorando a letto – sai quel progetto di cui ti ho parlato qualche giorno fa? Devo ancora finire di renderizzarlo! Dovevano proprio creare un modellino 3D di un maledetto dinosauro? Ma perché, poi? Vanno ancora così a ruba i videogiochi con i dinosauri? – e mi sono addormentata che erano più o meno le dieci di sera: mi sono appena svegliata. Mi sono persa lo scoccare della mezzanotte!»

«Non è mica Capodanno.»

«A questo proposito, stavo pensando di organizzare qualcosina qui a casa il 31 sera: ti va di partecipare?»

Si trattenne appena dal dare voce alle solite domande imbarazzanti che, in situazioni come quella, gli saltavano subito alla mente: adorava passare il tempo con Maia, ma sapeva anche che una festa organizzata da una ragazza estroversa e iperattiva come lei significava che ci sarebbe stata tanta gente - “quanta?” – forse troppa per la batteria sociale di Emilio che già cominciava a scaricarsi quando si trovava a parlare con solo due persone contemporaneamente.
Tuttavia era Maia e non sapeva dirle di no: «Grazie, volentieri.»

«Tu che ci fai sveglio?»

«Do l'estrema unzione al mio albero di Natale.»

«Oh, mi dispiace. Almeno ti hanno sistemato la cucina?»

«No...»

«Ma come! Sei senza pranzo di Natale e anche senza albero? Vieni da noi!»

«Oh, ma...»

Non fece in tempo a dare voce al proprio imbarazzo che Maia prese di nuovo la parola: «Non era un suggerimento. Inoltre ci saranno anche i miei! Vengono apposta da Lecco: saranno felici di conoscerti.»

«Ma non voglio disturbare. Sarei di troppo: il Natale si passa in famiglia.»

Una piccola risata echeggiò nell'apparecchio: «Perché, tu cosa pensi di essere scusa? Per Diego sei come una sottospecie di figlio. Cioè, non “sottospecie”... dire “sottospecie” sembra indicare qualcosa di brutto, invece mio zio ti adora. Non te lo dirà mai, ma si vede: gli piace averti intorno. Credi che inviti a casa per pranzi o cene tutti gli agenti con cui lavora? Dai su, ti aspettiamo qui per pranzo!»

Leggermente frastornato da tutto quel fiume di parole, non poté che annuire.

L'ultima cosa che si sarebbe mai aspettato di trovare, entrando in polizia, era una famiglia. Diego, con i suoi modi bruschi, lo aveva tirato fuori dall'archivio e si era occupato del suo addestramento ed Emilio avrebbe mentito negando di vedere in lui una figura di riferimento, forse addirittura quella che, in famiglia, non aveva mai avuto.
Sua moglie, quando si trovava ospite a casa loro, non faceva che viziarlo, anche se Emilio aveva sempre creduto che lo facesse solo per gentilezza.
E Maia, beh, era Maia: un tornado che, nella sua intraprendenza, sapeva avere un occhio di riguardo e di rispetto per lui, la persona caratterialmente più diversa che potesse esistere. Emilio, nel suo piccolo, doveva ancora trovare il coraggio di ammettere con sé stesso cosa Maia significasse per lui.

Quando si mise in macchina per raggiungere la casa di Diego, dove Maia si era trasferita qualche tempo prima per concludere gli studi a Milano, pensò di nuovo che sarebbe stato di troppo e che, forse, non tutti avrebbero gradito la sua presenza durante un periodo così importante, ma il sorriso con cui venne accolto, fra decorazioni e alberi ancora tutti interi, gli scaldò il cuore.

«Ho qualcosa per te», disse Maia, prendendolo da parte per qualche istante. «Ieri sera ho trovato una pigna nel giardino di casa. Secondo me ce l'hanno lanciata i vicini... non sanno cosa si sono persi!» e, sorridendo, rivelò quanto teneva in mano, nascosto dietro la schiena.

A vederla, non sembrava più nemmeno una pigna: la ragazza aveva dato libero sfogo alla sua creatività ed erano bastati un po' di colore, alcuni rametti ancora verdi raccolti dal giardino e qualche rimasuglio di nastri e fiocchetti per trasformarla in un minuscolo albero di Natale alternativo.

«So che non può sostituire il tuo, ma tutti dovremmo avere un piccolo albero di Natale.»

Emilio si trovò a corto di parole ma, accettando quel piccolo dono che gli veniva posto fra le mani, si commosse.
Come una volta aveva letto in un libro: “Getta un seme e la terra ti restituirà un fiore”... o, in questo caso, un abete.


 

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*citazione di Khalil Gibran


 


 

Angolino autrice:

Buona sera! ^^

Prima di ogni altra cosa BUON NATALE A TUTTI!

Tanti tanti auguri a tutti quanti!

Che dire di questa piccola storiella? In realtà non molto se non che purtroppo l'ho scritta molto di fretta perché la sessione di gennaio si avvicina e sono stata molto assorbita dallo studio persino in questi giorni. Così ho dovuto cercare di condensare il tutto proprio oggi, a Natale.

Un paio di notine:

A Milano fanno davvero (ammetto che, essendo rimasta sempre chiusa a casa, non so se l'abbiano fatto anche quest'anno) un vero calendario dell'avvento: ogni giorno da una delle finestre del palazzo del comune si affaccia un musicista che suona per un paio di minuti e poi si ritira ^^

La citazione ad inizio storia è presa da una puntata di Modern family e niente, mi piaceva troppo e calzava troppo bene per non sfruttarla e riportarla qui ^^

Per concludere, beh, chi mi conosce da un po' e che ha letto altre mie storie conoscerà già anche questi personaggi (spero, comunque, di averli resi accessibili anche a chi dovesse leggere qualcosa di mio per la prima volta – tra cui anche la giudicia del contest a cui questa storia partecipa XD).

Spero che questi scorci, piccoli e senza troppe pretese, nella vita di Emilio e della sua famiglia vi abbiano strappato un sorriso.

Detto questo, vi faccio ancora una volta gli auguri di Buon Natale! ^^

A presto! :-*

Un bacione a tutti!

Carmaux


 

  
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