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Autore: alessandroago_94    26/12/2020    8 recensioni
Alex è un giovane uomo pieno di dubbi e di voglia di mettere in carreggiata la propria vita, che spesso gli appare senza senso. È infatti vittima di un’ossessione, quella riguardante una persona idealizzata, o forse un suo stesso personaggio inventato; il fantomatico G.
Alla ricerca costante di questa persona si aggiunge una ricerca interiore, quella riguardante sé stesso.
Nel frattempo, dall’altra parte del mondo, l’agente James Barley, prossimo al pensionamento, si ritrova immischiato in una vicenda quasi assurda. Immerso in una società dell’orrore dove regnano bugie e disonestà, e dove sono solo i soldi a fare la differenza tra gli esseri umani, indagherà a riguardo di una clinica privata in cui si effettuano strani e proibiti esperimenti.
Le due vicende si intrecciano, anche se non si incontrano mai definitivamente. Possibile che anche questo racconto sia tutta una grande bugia? Un Limbo, appunto. Un Limbo dei Bugiardi. Un luogo immaginario in cui regnano solo le maschere.
Genere: Azione, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo diciotto

CAPITOLO DICIOTTO

 

 

 

 

 

 

 

 

“Il tempo mette ognuno al proprio posto.

Ogni re sul suo trono…

e ogni pagliaccio nel suo circo”.

Aninimo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Sono resi forte dalla protezione ottenuta da un paio di senatori dell’Oregon, a loro volta a capo di diverse case farmaceutiche che producono farmaci d’importanza mondiale. Questa è gente ricca sfonda, molto più della Stradford, e sa che in America il silenzio, la corruzione e l’impunità si ottengono pagando a dovere e chi di dovere” continua a raccontarmi il detective.

Per quanto mi riguarda, mi sento abbastanza arrabbiato nei confronti di quella clinica; non riesco a dimenticare l’aggressione di Morrow contro lo spaventato e fragile Brown. Quella è gente abituata alle percosse e alle violenze, altroché dei professionisti.

O, quanto meno, professionisti nel sottoporre delle persone in difficoltà a delle angherie inimmaginabili.

“Comunque” provo a dire la mia, “per quanto tutto questo non mi vada giù, credo di essere alquanto inutile”.

“Questo di sicuro, dato che non hai nemmeno avuto il coraggio di ispezionare gli ambienti dei pazienti e quanto meno provare a entrare nei laboratori adiacenti. Ti sei fermato a quello che ti volevano far vedere, e sei stato fortunato che quel paziente ti abbia aiutato a squarciare il velo di menzogne che hanno calato sulla faccenda, altrimenti adesso saresti qui a dirmi ancora poverini, innocenti…” mi canzona, imitando la mia voce.

“Non li ho mai definiti così!”

“Ma non hai nemmeno mai avuto le palle di remargli contro. Lo stai facendo perché te la stai passando male a causa nostra”.

“Mi state obbligando, sì”.

Torna a ridere.

“Questo non ha importanza in fin dei conti. La tua codardia e la tua incapacità, buon vecchio agente speciale, non contribuiranno alla disfatta. D’ora in poi cambieremo strategia; per prima cosa li abbiamo spaventati con la defezione dell’infermiera, la scomparsa di prove chiare e anche il tentativo di perquisizione in resistenza ai loro ordini dati alla polizia locale. Adesso credo proprio che la mia datrice di lavoro abbia un’altra idea, curiosa e facile da applicare…”.

 

Sono in ansia. Non ho mai parlato al cospetto di un discreto pubblico di giornalisti. Alcuni di essi appartengono alle più prestigiose testate statunitensi, sono conosciuti e spesso i loro articoli sono apparsi sulle prime pagine.

Sono quindici in tutto, ma i loro sguardi sono come la pressione di una folla intera. So che devo parlare, la Stradford li ha pagati appositamente per venire qui, ascoltarmi e scrivere.

Cosa devo fare? Semplice; denunciare ciò che accade presso il Mary’s House e il fatto che si temano soprusi ben più gravi contro l’essere umano.

Uno choc, un testo dalla violenza indescrivibile, d’impatto sui lettori… è tutto quello che lei vuole. La signorina mi ha preparato un foglio scritto in cui si elencano i punti da affrontare, uno a uno, che sono i principali e gli strumenti che desidera schierare pubblicamente contro la clinica e chi la sostiene.

Parlo e avverto il mio volto che arrossisce, preso dall’imbarazzo, e faccio fatica a ricordarmi ciò che dico. A un certo punto sono costretto ad affidarmi alla lettura di ciò che mi è stato imposto e perdo la memoria di ciò che sto facendo.

Quando tutto finisce, sono bordò in volto, senza voce e immerso in un bagno di gelido sudore.

È il detective che si cura di offrire alcune prove ai giornalisti, spargendo testimonianze di diverse indagini precedenti e poi insabbiate e tanto altro.

Da domani mattina, la guerra sarà aperta e dichiarata.

Ma adesso?

Mi sono guadagnato il ritorno a casa, da mia moglie e dai miei figli, che mi mancano molto.

Mentre me ne resto seduto nel vasto salone di villa Stradford, impotente, mentre gli altri se ne vanno, aspetto di avere novità su di me. E’ Angelina in persona a venirmi incontro, raggiante.

“Pronto per la guerra, agente speciale?”

“Chi le dice che la crederanno? E che le informazioni non saranno censurate?”

Sorride.

“I soldi che ho sganciato. Sono sicura che faremo scalpore, e tutto questo grazie a lei, che ci sta mettendo la faccia”.

Il mio è un sorriso mesto e amaro.

“Ho altre opzioni?”

“Temo di no”.

“Come ho detto al suo scagnozzo, questa mattina, penso che non sia opportuno sequestrare un agente” le faccio di nuovo notare, ma ormai anche io mi sono stancato di ripetere le stesse frasi.

“Nessuno l’ha sequestrata; ufficialmente sta portando avanti il suo lavoro in modo indipendente. Non utilizzi parole troppo pesanti”.

“Se non sono sotto sequestro, quindi, potrò tornare dalla mia famiglia?”

La mia è una domanda quasi supplichevole. Questa situazione mi sta piegando, ormai sono in balìa di quello che mi sta accadendo e non sono più padrone del mio destino.

“Ma certamente” afferma la signorina, quasi indignata, “ma prima, per favore, si gusti una buona tazza di tè caldo. La voce le sta andando via e non vorrei mai che sua moglie debba accusarmi di qualcosa”.

Un inserviente si avvicina subito a me porgendomi una tazza fumante.

“No, vorrei prima rivedere i miei…” tento di dire, avendo una brutta sensazione.

“Non se ne discute, proprio no” replica Angelina. So che non mi lascerà andare se prima non l’accontento, quindi socchiudo gli occhi e affronto il rischio, portando la tazza alle labbra.

Sorseggio pian piano, e solo dopo qualche secondo le mie papille gustative avvertono uno strano senso di amarognolo.

Salto in piedi, capendo che ancora una volta la stronza mi ha fregato; quasi mi avvento verso di lei, ma dopo un paio di passi mi sento senza forze e svengo, lentamente, scivolando sul pavimento.

L’inserviente si premura di evitare di farmi sbattere la testa, nessuno però fa molto altro.

Mentre svengo, la Stradford troneggia su di me e sorride con disinteresse.

 

Mi sveglio di soprassalto. Quanto tempo è passato?

Quella troia mi ha fregato ancora, penso subito.

Deve avere tanti farmaci per indurre il sonno e dev’essere anche brava a somministrarli un po’ in tutti i modi possibili. Maledetta.

Mi alzo dal letto su cui sono disteso, incazzato al massimo; credo di essere a casa mia e a tentoni mi allungo sul letto alla ricerca di mia moglie. Mi avvolgono un silenzio e un buio assoluti, sarà di certo piena notte.

Trovo un corpo caldo, lo tasto per svegliarlo. È femminile, ma subito mi accorgo che è più esile di quello della mia consorte. Inoltre, i miei sensi si risvegliano lentamente e avverto l’odore che mi circonda, che non è di certo quello di casa mia.

Cazzo.

Cazzo…

Il panico prende possesso di me, mentre mi ritraggo dal corpo disteso e inizio a muovermi nella stanza buia, andando a sbattere un po’ dappertutto.

Con il casino che faccio, chi dormiva assieme a me si risveglia e accende un’abatjour a fianco del letto. Non stento a riconoscere Angelina.

“Lei è pazza” sussurro, “completamente pazza”.

“E perché mai?” mi rivolge uno sguardo innocente. È pazza, sì, assolutamente.

“Non vede quel che sta facendo? Non se ne rende proprio conto?” grido. Voglio scappare da questo luogo degli orrori.

Mi dirigo prontamente verso la porta, ma è chiusa a chiave. Solo ora mi accorgo del mio corpo nudo…

“Mi liberi” quasi strillo, “mi ridia i vestiti. Mi liberi subito”.

“E perché mai?” ripete.

Si alza dal letto e con sensualità scosta le coperte, mostrando il corpo a sua volta nudo.

“Dio mio… cosa è successo…” sussurro, avendo un brutto presentimento.

“Non è successo niente, ho solo tolto i vestiti sudati del lavoro. Il mio letto è pulito, sa…” afferma lei, poi si avvicina in punta di piedi.

“Io sono sposato. Ho una moglie che mi aspetta a casa…”. Mi interrompe.

“Aspetterà, allora”.

“No, io vado subito da lei…” mi avvento contro la finestra limitrofa e poco importa che sia a un terzo piano. Mi butto e basta, così finisce questo incubo.

Invece non solo non si spalanca, ma nemmeno i vetri si infrangono.

“E’ tutto inutile, dalla mia camera da letto non si esce né si entra” afferma lei, calmissima, mentre continua ad avvicinarsi con lentezza.

“E c’è un motivo se lei è qui, agente speciale. Sono pochissimi gli uomini che possono vantarsi di essere stati sotto le mie coperte; questo è un suo grande traguardo”.

“Voglio andarmene da qui” sono confuso e intorpidito, non so cosa fare. Lei a questo punto compie altri due passi e mi è subito addosso.

“Potrei non rispondere di me” l’avviso con disperazione, ma la donna mi sfida con uno sguardo che, vista la situazione, pare da psicopatica. Inarca anche le sopracciglia.

“Non risponderebbe di sé alla vista di queste bocce” strofina i seni contro il mio villoso petto.

Faccio per scansarla ma alla fine mi cadono gli occhi su quei seni nudi e dai capezzoli inturgiditi. Sono grossi, prosperosi; sembrano rifatti, dal tanto che sono sodi e rigonfi.

“Le accarezzi, suvvia” mi invita. Resto immobile a fissare.

“Presto vincerò ogni reticenza, ci scommette?”

Smette di strofinarsi e si china, stringendo i seni sodi nelle mani e iniziando a darsi da fare nella mia intimità con la bocca.

Al primo contatto mi verrebbe da darle un sonoro schiaffone, poi mi rendo conto di quanto sia brava; in pochi istanti, passo dal panico cieco alla curiosità. Il pene risponde alla stimolazione solo dopo un poco, ma risponde eccome.

“Non va bene, signorina” la riprendo, ma questa volta con maggiore dolcezza.

“Smettila di darmi del Lei. Sono Angelina, per te” risponde in modo confidenziale, riprendendo poi con decisione il lavoretto di bocca.

Non so che sia colpa del torpore che ancora mi avvolge o di quello che mi ha somministrato la matta, però adesso sono succube di quel corpo giovane, tonico, florido. Angelina si rialza e mi spinge piano verso il letto, pronta ad accogliermi dentro di lei.

“Da quanto tempo non hai fatto l’amore, eh?” chiede, afferrando il pene e stringendolo tra le sue mani. La mia reazione corporea tradisce quello che vorrei dire a voce. In verità è vero, è da tanto tempo che io e mia moglie non lo facciamo più, poi non abbiamo nemmeno il corpo di una volta e certe passioni poi si deteriorano, a volte. Io amo mia moglie, ma è un amore non solo carnale; la carne che ora mi sta venendo offerta in modo così sensuale è tuttavia un’attrazione ancestrale che non mi permette più di ragionare.

Ci sdraiamo sul letto, nudi, lei sopra e io sotto.

“James” sussurra il mio nome, “adesso sei il mio uomo…”.

Ma io non voglio esserlo! Oppure sì? Oppure mi sono così abituato al mio recente ruolo da marionetta che non ho più forza di volontà?

La penetrazione avviene e presto ci troviamo a vivere un piacere carnale intenso e condiviso.

 

Alla fine, anche l’ultimo personaggio rivelazione della mia vita mi lascia. Come avevo previsto da alcuni dettagli che ho avuto modo di notare nel tempo, Mario si è messo stabilmente non la moglie, o quanto meno mi ha raccontato così in un primo momento.

L’obiettivo? Quello di avere più serenità tra le mura domestiche e di mettersi in pace con i figli. Così non si poteva andare avanti. Ha ragione.

Solo che me lo dice tramite un semplice messaggio telefonico, che non ci rivedremo mai più e che farei meglio a non cercarlo. Cercarlo? È sempre stato lui ad adescarmi, altrimenti tutto ciò non sarebbe nemmeno mai iniziato.

Ma va be’, dai, sono abituato ormai agli addii repentini. Mi fa male, ma in futuro mi farà più male quando lo vedrò frequentare un’altra casa, e passare ore e ore ad attendere quel ragazzo mio coetaneo che lì ci vive.

Il lupo perde il pelo ma non il vizio, poi ha sempre bisogno di prede nuove.

 

Morale della favola? Di nuovo solo, ma questa volta più che mai. Non bisogna illudersi di avere amici o di stare a cuore a qualcuno, perché quel qualcuno prima o poi se ne andrà. Ci lascerà soli, in qualche modo.

Forse sono io eh a non meritare niente se non di essere usato e scopato, per poi essere buttato nel bidone.

Mi manca G ormai anche se la figura dell’ultima volta ancora mi brucia alquanto. E, unica sicurezza che mi consola, è che presto lo rivedrò… rivedrò il suo sorriso, sentirò le sue parole, e accoglierò anche parolacce o figuracce, tutto pur di tornargli vicino qualche attimo. Che mi chieda pure della gnocca, quello che vuole.

L’importante è questa sicurezza di rivederlo, a un tale appuntamento mensile non manca mai, poiché ci lavora.

Ma… sicurezza? Che grande parola, nella mia vita.

 

Scoppia il coronavirus. Sì, quella che in poche settimane diverrà pandemia. Ai primi casi ecco che l’evento salta e anche il rivedere G in tempi stretti.

Nei giorni successivi il contagio si espande, e… saltano anche i successivi, tutti annullati.

   
 
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