Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: _aivy_demi_    27/12/2020    21 recensioni
Gli individui sudcoreani di sesso maschile sono tenuti a prestare un totale di due anni di servizio militare, che può essere effettuato tra i 18 e i 28 anni di età.
Jin, 2020, anni 28.
_
Sarà doloroso separarsi dalla sua seconda famiglia, tanto quanto decidere se aprire o meno il proprio cuore al collega più giovane, prima di partire.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Seokjin/ Jin, Kim Taehyung/ V, Min Yoongi/ Suga, Park Jimin
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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When the time will come
Why you? Why not him?!




«Traditore.» Jimin chiuse la telefonata inveendo mentalmente contro Taehyung: prima aveva promesso di non parlarne con nessuno, poi aveva ritrattato con una confessione all’ultimo. Non contento, l’aveva chiamato per avvertirlo, il senso di colpa a logorargli la coscienza macchiata.
«Stupido di un traditore.» Rincarò la dose assottigliando lo sguardo al buio di quella notte tetra, ricercando un segno in un luogo che a quell’ora era tutt’altro che familiare; un movimento tra le tenebre, una voce amica.
Nulla.
Provò a chiamare Jungkook con un sussurro. Perché poi? Chi avrebbe potuto disturbare in un parco di notte? Nessuno, proprio nessuno. Ritentò con voce più alta, fino a che notò la debole luce accesa dello schermo di un cellulare. L’aveva trovato. Lo raggiunse accelerando il passo guardandosi continuamente a destra e a sinistra, senza mai voltarsi: quel posto gli metteva i brividi.
«Jungkook?» Non un’affermazione, ma una domanda dubbiosa: certo che era lui, chi altri sarebbe potuto essere?
Un tossico.
Uno stupratore.
Un malintenzionato.
Un ladro.
Ecco perché aveva esitato fino all’ultimo, prima di raggiungerlo. Lo richiamò quando ormai distava ad un metro da lui.
«Ehi, sei arrivato…» La voce era roca, spezzata da un improvviso colpo di tosse. «Allora, che volevi dirmi a quest’ora? Non ti sembra un po’ tardi?»
«Senti chi parla, quello che decide di andarsene a zonzo in piena notte. Ehi, almeno sei vestito abbastanza? Non vorrai mica ammalarti proprio adesso.»
Risero sereni appianando parte della tensione. Sapevano di dover affrontare un argomento importante, un tasto dolente, un nervo scoperto che pulsava giusto sottopelle. Non era affatto tipico di Jimin infatti zittirsi improvvisamente, di solito era difficile fermarlo.
Non quella sera però, sembrava non volesse neppure riprendere a parlare.
«Possiamo anche tornare a casa, se vuoi. Starsene qui a fare scena muta mi sembra così stupido.» Jungkook aveva appoggiato lo smartphone con lo schermo rivolto verso la superficie di legno consunto della panchina, ignorando di fatto un messaggio appena ricevuto. Jimin si massaggiò la nuca scompigliando i capelli chiari in modo tutt’altro che disinvolto: improvvisamente la tensione che era calata poco prima s’era impossessata nuovamente di lui, instillandovi un dubbio prepotente. Sentiva formicolare le dita delle mani.
Decise di sedersi di fianco all’amico.
Andava detto.
Sarebbe stato per il loro bene, giusto? Questo continuava a chiedersi cercando nell’altro una conferma di cui aveva bisogno.
«Senti, non sono un idiota. Parla. Deve essere importante davvero, se non riesci nemmeno a cominciare.» Voleva sorridere Jungkook, cercando di fare una delle sue solite battute, ma non riusciva neppure ad entrare nel giusto mood.
«Ok. Jin partirà tra due mesi.»
L’aveva detto, ci era riuscito. Aveva trattenuto il fiato ed aveva buttato fuori quell’informazione come si fosse trattato di un delicato segreto di stato, protetto da pochi eletti – scelti da Jin stesso, una pessima idea. Era riuscito a palesarlo con una difficoltà tale da fargli fisicamente male. Jin si sarebbe sicuramente infuriato con lui, avrebbe potuto accanirsi, anche prenderlo a pugni.
Andava detto.
Jungkook doveva sapere, nonostante l’insistenza contrariata del diretto interessato. Jimin sbuffò spaesato, osservando un punto a caso davanti a sé, pensando al colpo basso rappresentato dal tener nascosta una notizia tanto importante: avrebbe aspettato il giorno prima, durante la preparazione delle valigie? No, Jimin non ci stava: come amico di entrambi s’era fatto carico del dovere di intervenire, dovere non riconosciuto dal membro più anziano del gruppo.
Si era perso in congetture, spinto dal silenzio assordante, quasi un ronzio profondo a occupargli completamente la mente. Stava attendendo una risposta, una qualsiasi. Cosa aspettava a parlare il ragazzo?
«Ehi, mi hai sentito?»
Era difficile notare l’espressione sul suo volto, l’illuminazione quasi assente non giocava certo a suo favore. Eppure Jimin giurò a se stesso d’aver intravisto delle lacrime fermarsi a stento in quegli occhi lucidi. Poteva essere, la situazione era quel che era, e Jungkook s’era mostrato particolarmente emotivo nell’ultimo periodo; qualsiasi cosa presente in quelle iridi scure sparì, prima di spezzarne la voce.
«Quindi è così.»
Atono.
«Sì.»
«Ho dovuto saperlo da qualcun altro. Ti ha mandato lui? È stato quello stronzo a chiederti di dirmelo?»
«No, no aspetta… in realtà…» Jimin si fermò calciando con la punta della scarpa parte della ghiaia che aveva smosso qualche minuto prima.
«Continua.»
Non aveva mai avvertito tanto astio in lui. Ingoiò palesemente a disagio: tutta la buona volontà con cui aveva esordito era andata a farsi fottere.
«Jimin, cazzo, rispondi!»
Quest’ultimo aveva chiaramente udito i suoi denti digrignare. Si sentiva colpevole ora, si stava pentendo d’essersi intromesso.
«Ho detto di rispondermi.»
La rabbia aumentava con il passare dei secondi: ribolliva prepotentemente nel sangue, percorrendo le vertebre salendo la spina dorsale fino alla nuca. No, non era solo quello stato d’animo a scuoterlo: mancava una sessantina di giorni.
Otto settimane per poter riflettere sul da farsi, otto, per trovare una soluzione.

Era stata coinvolta una terza persona però. Un estraneo alla faccenda. Perché? Jungkook si chiese più volte il motivo, infuriato, deluso, consapevole. Perché un altro?
«Non mi ha mandato lui. Sono venuto io, però Taehyung è andato a spifferargli tutto.»
Non uno, ben due a saperlo prima di lui. Quanto contava come costante nella vita di Jin, se il ragazzo s’era premurato di avvertire soltanto gli altri, ed escluderlo?
«Vuoi dire che non ti ha nemmeno chiesto di parlarmene?» Jungkook sentiva le gambe tremare, lo stomaco vuoto contrarsi bruciando, come bruciava il liquido che stava risalendo velocemente nell’esofago. La situazione era ancora peggiore se possibile. Si sentiva cadere, le forze venir meno. Tossì ancora una volta, un’altra e una di nuovo; i sudori cominciarono a scendere gelidi dalla nuca alla base della schiena. Avvertiva chiaramente ogni singola goccia lasciare scie liquide sotto la maglia troppo leggera. Si sentì chiamare più volte, ovattato, sempre più lontano.
«Jungkook? Ehi, non fare scherzi. Cazzo, mi stai facendo preoccupare… rispondi, rispondimi porca puttana!»
Vide una luce abbagliante annullargli il campo visivo: Jimin gli stava puntando addosso la torcia del cellulare. La preoccupazione dell’altro lo stava avvolgendo completamente, imprimendosi nella sua testa.
Qualcosa non andava.
Si accoccolò sulla superficie rigida della panchina, tremando convulsamente. Era stanco, enormemente stanco. Prima di chiudere gli occhi gemendo qualcosa di incomprensibile, udì l’amico parlare al telefono con una certa fretta.
«Pronto, Jin? Ti prego, dimmi che sei fuori casa… Cosa? No, cioè, sì… fai presto per favore! Non sta bene…» Fece una breve pausa, «sta tremando, e scotta terribilmente… è vestito troppo leggero, ed è tutto sudato. Fa presto, corri!»

   
 
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