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Autore: time_wings    27/12/2020    2 recensioni
Scritta per Juriaka
Cinque volte in cui Atsumu e Hinata si sfiorano e una in cui si toccano.
Dal testo:
La prima volta che si sfiorarono la sagoma di un fulmine squarciò i cieli. Il tuono la seguì fedele, brontolando alto e sfidando la popolarità del compagno che l’aveva preceduto. Atsumu aggrottò la fronte e abbassò lo sguardo di scatto verso la fonte di un’altra scarica elettrica vertiginosa, il respiro che accelerava senza che potesse governarlo. Il tocco effervescente di una mano sconosciuta che sfiorava la sua, nocche contro nocche, e la necessità assoluta di darle un volto.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Atsumu Miya, Osamu Miya, Shouyou Hinata
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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A Juriaka
 

Sei brevi colpi di fulmine

o

Cinque volte in cui Atsumu e Hinata si sfiorano
e una in cui si toccano



 



La prima volta che si sfiorarono la sagoma di un fulmine squarciò i cieli. Il tuono la seguì fedele, brontolando alto e sfidando la popolarità del compagno che l’aveva preceduto. Atsumu aggrottò la fronte e abbassò lo sguardo di scatto verso la fonte di un’altra scarica elettrica vertiginosa, il respiro che accelerava senza che potesse governarlo. Il tocco effervescente di una mano sconosciuta che sfiorava la sua, nocche contro nocche, e la necessità assoluta di darle un volto.
“Hai una paresi?”
La possibilità che la domanda fosse intrisa di ironia non lo sfiorò per un secondo. Senza mollare il cipiglio concentrato si voltò rapido verso suo fratello, mise i pezzi insieme e realizzò lo sfottò.
“Cercavo di capire come ci si sentisse ad avere la tua faccia” mormorò, la sua voce si sciolse ai margini e perse di arguzia. Tornò a cercare con lo sguardo la fonte magnetica di quel tocco. “Uno schifo, se vuoi saperlo.” La consapevolezza che l’avesse persa nella fiumana di persone attorno a lui iniziò lentamente ad attecchire, mentre scandagliava veloce come un cecchino le nuche anonime di chi camminava nella direzione opposta.
“Mi spiace ricordarti che noi due…”
“Oh, lo sanno tutti che sono il fratello più bello.” Atsumu tornò a guardare dritto davanti a sé, la fronte nuovamente distesa, la sicurezza dipinta sui lineamenti anche più sottili.
“Magari il più idiota…” mormorò atono Osamu, mentre si aprivano insieme una strada nella folla stretta fin quasi a diventare compatta.
Grosse nuvole scure torreggiavano su una città che si apprestava a salutare il giorno con uno sbadiglio. Incombevano tenaci a rendere la sera scura quasi quanto la notte.
Nel fiume di persone che finalmente rincasava e nell’urgenza che sussurrava nei suoi passi liquidi, prima che un acquazzone si rovesciasse sui tetti della città, un ragazzo alzò la testa e si fissò confuso la mano sinistra. Arricciò le labbra e aggrottò le sopracciglia, poi inclinò il viso su un lato e scandagliò la folla che ora gli era alle spalle. Si alzò in punta di piedi e schiuse la bocca alla ricerca di qualcosa, una preda di cui non c’era traccia.
Non so dirvi se distinse un profilo che si voltava appena in tempo per perdere il suo sguardo, ma se lo fece non lo ritenne importante.

 
La seconda volta che si sfiorarono non si sfiorarono affatto.
Hinata si trascinò al ristorante come se nella vita non avesse fatto altro che aprire doppie porte con la testa. Se fosse stato possibile comunicare attraverso grossi cartelli appiccicati alla schiena, sul suo avrebbe scritto ‘sono stremato’. Era stata una giornata estenuante e, quando era sceso per una corsetta rilassante con Kageyama, aveva finito per fare a gara ed esaurire la sua scorta infinita di energie. Se c’era ancora qualche muscolo nel suo corpo ancora disposto a reagire, si sarebbe attivato unicamente per sorridere del fatto che avesse vinto lui. Kageyama continuava a sostenere di aver tagliato il traguardo per primo.
Niente di più falso.
“Ramen” articolò, accasciandosi su uno sgabello al bancone. Gli occhi semichiusi e lo stomaco che rischiava di brontolare fragorosamente dalla fame. “Per piacere” sussurrò in aggiunta, senza alzare lo sguardo dal ripiano in legno e le stoviglie apparecchiate.
“Arriva” replicò in risposta un ragazzo.
Qualche minuto dopo – o forse qualche ora – una grossa ciotola fumante gli fu piazzata davanti. Hinata non la guardò neanche, affondò le bacchette nel suo ramen e se le ficcò in bocca come se la sua intera vita fosse dipesa da quel morso. Sentì gli occhi roteare dietro la testa, mentre mugugnava attorno a un boccone di pasta.
Il paradiso non doveva essere un luogo, assolutamente no. Se non era un sapore era evidente che non meritasse la sua fama.
“Ti senti bene?”
Fempf?” farfugliò Hinata, alzando lo sguardo alla sua sinistra, gli spaghetti che pendevano innocenti ai lati della sua bocca. Incontrò gli occhi annoiati di un ragazzo che doveva avere più o meno la sua età, molta meno fame e tanta più voglia di darsi arie. Era seduto sullo sgabello accanto al suo, ma al rovescio, i gomiti appoggiati sul bancone alle sue spalle. Il ragazzo alzò un sopracciglio, l’accenno di un sorriso di scherno poggiato già sulle labbra. Hinata deglutì forte e ripeté la domanda: “Perché?”
“Ne vuoi un’altra?” lo ignorò il ragazzo, rispondendo invece con un’altra domanda. “Tranquillo, offre la casa” e sorrise come un matto, scoccando un’occhiata divertita al ragazzo dietro il bancone.
Quando Hinata seguì il suo sguardo, per poco non si strozzò con il suo ramen. “Ce ne sono due!” esclamò sconcertato, gli occhi che si ingrandivano dallo stupore e alcuni spaghetti che crollavano schizzando nella sua ciotola.
Il ragazzo seduto accanto a lui aggrottò la fronte e si succhiò il labbro inferiore, perplesso. “Sai che ti dico? No,” decretò scuotendo il capo, “no, non offre la casa.”
“Perché non vai a lavorare, ‘Tsumu?”
“E lasciare vacante il posto di promemoria per la tua miseria e inferiorità? Mai.”
Hinata osservò lo scambio distrattamente, con un nuovo assalto al suo ramen. 
“‘Samu,” ritentò quello dei due che Hinata aveva capito essere ‘Tsumu, con un po’ di confusione, “posso avere del ramen anch’io? Lui mi ha fatto venire fame.”
‘Samu ci pensò su qualche secondo, l’espressione indecifrabile rimasta immutata da quando Hinata aveva alzato lo sguardo su di lui la prima volta. “No.”
‘Tsumu strinse le labbra e annuì, mentre suo fratello si allontanava dal bancone. “Non lo volevo, tanto.”
“Invece lo volevi proprio” si intromise Hinata, parlando attraverso un altro boccone di ramen.
Il ragazzo lo guardò, le sopracciglia aggrottate e un’accusa sulla punta della lingua; ma qualcosa, nella sfrontatezza incastrata tra le ciglia, vacillò per cedere il posto all’incertezza. Una scintilla che gli passò negli occhi e gli corse fino alle labbra e lo fece smettere di sorridere. Passò un’eternità in un soffio, poi lui fece stridere lo sgabello sul pavimento e si alzò.
“Ma chi diavolo sei tu?” borbottò, scuotendo la testa. Afferrò un grosso borsone da terra e se lo legò a tracolla. Un attimo dopo, spingeva le doppie porte del ristorante e si infilava tra le viuzze di un inverno troppo rigido.
“L’ho offeso?” domandò Hinata, quando ‘Samu gli sottrasse la scodella in cui c’era stato il ramen che aveva spazzolato via con un sorso.
“No, è solo un idiota.”

 
La terza volta che si sfiorarono fu un altro sfregamento di mani leggero, che si ritrovarono entrambi a confessare.
Tra i corridoi luminosi dell’università, Atsumu percepì la corrente solleticargli la punta delle dita, risalire sulle nocche e irradiarsi liquida e bollente nel resto del corpo. Soffiò una risata scettica dalle labbra appena schiuse e si voltò, un sorriso che iniziava a sfumare e una furia quiescente che si era accesa nello stesso istante e forse a causa di quella scossa.
Quella cosa non aveva un dannato senso!
Incontrò un paio d’occhi ambrati e arzilli, che lo scrutavano a qualche metro di distanza come intontiti o preda di un enigma, Atsumu non riusciva a decidersi.
“Sei il tizio che si è offeso al ristorante” parlò il ragazzo, un cenno del capo nella sua direzione. Reggeva un libro di cui Atsumu non distinse il titolo. Lui non distolse lo sguardo con l’ostinazione di un guerriero.
“Non mi sono offeso” si lamentò Atsumu, alzando entrambe le sopracciglia. L’irritazione che sbocciava graffiante sotto un sorriso ironico.
Il ragazzo rise – di lui, notò con crescente fastidio – e scrollò le spalle. “Posso rimediare offrendoti il pranzo?” Aveva l’aria di uno che non sapesse neanche dove mettere i piedi, ma la domanda che gli rivolse costrinse Atsumu a chiedersi se non fosse molto più sveglio di quanto dava a vedere o al contrario addirittura più ingenuo.
Ma Atsumu era una volpe e, in ogni caso, non si sarebbe lasciato fregare. “E che ci guadagno, io?”
Lui alzò lo sguardo al soffitto, una mano sul mento che fece pensare ad Atsumu che fosse super carino e che lo costrinse a darsi dell’idiota da solo un attimo dopo. Poi il ragazzo lo guardò di nuovo negli occhi, le tracce di quella corrente inspiegabile che si riaccendevano per un breve promemoria. “Un pranzo gratis non è abbastanza?”
“Be’, è vero” considerò Atsumu, la furbizia su cui aveva fatto affidamento prima sfumata in maniera vagamente imbarazzante. Non gli restò altro da fare che raggiungere lo sconosciuto elettrico e resistere all’urgenza di toccarlo.
“Piuttosto, che ci guadagno io?”
Atsumu rise, un sopracciglio alzato e la battuta pronta, con suo sommo orgoglio: “Vai a pranzo con uno come me.

 
La quarta volta che si sfiorarono nessuno dei due spese due secondi a farci caso. Gli avambracci strofinarono piano mentre Hinata addentava l’onigiri appiccicoso della mensa dell’università. 
Fu una conversazione tranquilla durante la quale Shouyou non fece niente per mettere Atsumu in posizione di aggrottare la fronte e ribattere con sorrisi affilati e durante la quale Atsumu aggrottò comunque la fronte e ribatté con sorrisi affilati. Hinata, ogni volta, gli sorrideva come se nella vita non avesse fatto altro che leggere attraverso la sua sfrontatezza di vetro.
Quando Shouyou si alzò con un sospiro e raccolse la sua cartella dall’ombra ai piedi del tavolo, l’altro lo imitò con uno sbadiglio e sgranchendosi le gambe con studiata rilassatezza.
“Devo correre a lezione,” si congedò Hinata, stringendosi nelle spalle e dando un’occhiata pigra all’orologio alla parete. Sgranò gli occhi un attimo dopo. “Devo proprio correre a lezione!”
“Il mio magnetismo ha rallentato il tempo?”
Poi si sfiorarono per la quinta volta. E questa, Atsumu se la sarebbe ricordata per il resto della settimana e oltre.
Hinata si sporse in avanti e gli posò un bacio all’angolo della bocca talmente leggero da risultargli screpolato. Durò il tempo di una brezza, intensa quanto un uragano, poi lui si allontanò e gli sorrise come se fosse stato beccato con le mani nel sacco.
“Se adesso non scappo Kageyama mi occupa il posto solo per dispetto!” gridò.
E Atsumu si accorse che aveva gridato perché era già lontano almeno cinque metri da lui. “Aspe…” aggrottò la fronte, lo sguardo furbo che tornava alla stessa velocità con cui realizzava che doveva essere parso un completo idiota per almeno un minuto. “Chi è Kageyama?”
Hinata gli sorrise, poi sparì dietro le porte della mensa.

 
La sesta volta che si sfiorarono
si toccarono.

Un fulmine tagliò il cielo a metà, poi trattenne il respiro e, per un attimo, il futuro restò sospeso in quegli attimi ripidi che precedevano il tuono. Una pioggia torrenziale si riversò violentemente sul campus e, sfortunatamente, sulle loro teste. Era passata una settimana dal pranzo in mensa. Una settimana in cui avevano cercato l’uno lo sguardo dell’altro nei corridoi strapieni e qualche volta l’avevano incontrato con un sorriso spacca-guance di Hinata e un cenno del capo di Atsumu, che lui avrebbe voluto definire disinvolto e che una voce nella sua testa – una voce troppo simile a quella di Osamu – definiva invece ridicolo.
Hinata alzò lo sguardo di scatto verso l’alto. Atsumu temette che potesse mettersi a discutere col cielo o per lo meno fermarsi a farci quattro risate, invece lo sguardo del ragazzo tornò su di lui e, prima che potessero mettersi d’accordo sul da farsi, un’altra secchiata d’acqua piovve a infradiciarli. Con un cenno del capo comune, si sfilarono zaini e cartelle dalle spalle e iniziarono a correre verso il primo cornicione dell’edificio che potesse proteggerli da quel pianto.
“La mia bici non è lontana!”
Hinata rabbrividì, i capelli bagnati che si alzavano ad angoli improbabili e si appiccicavano alla faccia dove non dovevano. Alcune gocce d’acqua ancora integre gli strisciavano sulle guance.
Non so dirvi se Atsumu riuscì a preoccuparsi a lungo di quanto dovesse sembrare ridicolo lui, tutto bagnato com’era, né se fosse stato abbastanza reattivo per mettersi a sfottere Hinata e paragonarlo a qualche pietanza spiaccicata, perché fu troppo impegnato a darsi dello sfigato.
Durò un attimo, poi smise di darsi dello sfigato, perché si rese conto che Hinata si era sporto in avanti, di nuovo, e lo stava baciando.
Atsumu inspirò forte e ricambiò il contatto. Uno strofinio leggero che si sciolse in un tocco completo, labbra contro labbra, una bolla della più autentica e reale felicità che scoppiava fra le loro bocche a metà tra un respiro e un’apnea.
“Pensavo che la tua mira facesse schifo.”
Hinata sorrise, più furbo di quanto Atsumu sarebbe mai sembrato. “Io pensavo che non l’avresti mai fatto.”
Wow, in effetti era stato proprio uno sfigato per essere stato così lento e aver costretto lui a fare la prima mossa! Nel retro della sua testa, si appuntò che la guerra non era finita e che la volta successiva l’avrebbe sicuramente battuto sul tempo. Poi lo baciò di nuovo, con bisogno, un settimo, ottavo e nono tocco che perse di consistenza e unicità.
Hinata, mentre lo baciava, pensò al ramen di Osamu e a quando l’aveva erroneamente catalogato come la cosa più squisita che avesse mai assaggiato.
Aveva avuto assolutamente ragione su un punto, però: il paradiso non doveva essere un luogo, assolutamente no. Se non era un sapore era evidente che non meritasse la sua fama.
Atsumu allungò una mano a sfiorare la sua.
Una scintilla si accese tra le loro dita. La potenza di miliardi di watt che scorreva feroce sui polpastrelli, tra le nocche, risalendo lungo le braccia, baciando le loro bocche e scivolando infine in cielo.
Un fulmine si svegliò brillante a squarciare le nubi.




 
NoteQuesto è un regalo di Natale in ritardo e un regalo di nuovo anno in anticipo per Juriaka (ho fatto solo tardi, alas), che mi ha fatto scoprire questa coppia e che ne scrive così bene, ma così bene che mi ha fatta proprio CADERE per loro mentre Atsumu lo conoscevo a stento. Di nome. Di fama.
Allora ho letto il manga in rush perché sono indietro, l'ho inquadrato un po' e BABOOOM.
Le fanfiction come regalo mi mettono sempre pressione. E se non piace? Perché come regalo a un'altra persona dovrei scrivere un fatto e dedicarglielo? Ma non è egocentrico più che altruista? BUT la verità è che sono solo un po' cagasotto ma non abbastanza da non scriverle una 5+1 Atsuhina. Spero che sia un po' pan°ramica, che ti piaccia, altrimenti puoi usarla per sfottermi, quindi vedi? Non ti può andare male.
Me. Ne. Vado.
Ho fatto del mio meglio perché fosse IC, nel caso in cui non lo fosse STO QUA PRONTA A CAMBIARE GLI AVVERTIMENTI!
OK. Buon nataleee in ritardo a Juriaka e a tutti in generale, cioè ovviamente, mica solo a una persona però capi era un regalo vabbè!!

El 

 
   
 
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