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Autore: Kim WinterNight    28/12/2020    5 recensioni
Becky entrò in ufficio e si diresse senza esitazioni verso il distributore automatico: una bella barretta ai cereali era il modo migliore per cominciare la giornata lavorativa.
Tuttavia fu costretta a fermarsi a metà strada quando una chioma di capelli rosso fuoco attirò la sua attenzione; si voltò verso sinistra e tentò di mettere a fuoco un collega in uniforme blu che se ne stava stravaccato dietro una scrivania con i piedi appoggiati sul piano in legno e una tazza di caffè tra le dita. [...]
Lei sospirò e si sbatté una mano sulla fronte: sarebbe stata proprio una lunga e difficoltosa giornata insieme a quel tizio.

[Scritta per il compleanno di Sakkaku ♥ - alcuni dei personaggi presenti in questa storia appartengono a lei.]
- Partecipa alla challenge "Seasons Die One After Another" organizzata da Laila_Dahl sul forum di EFP.
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Sakkaku,
un’amica che ormai da anni
condivide con me la passione
per la scrittura, per la lettura, per
i gatti e che spero di riabbracciare
al più presto nella real life!
Buon compleanno, tesoro
 
 
 
 
 
 
Il borseggiatore

 
 
 
 
 
 
Becky entrò in ufficio e si diresse senza esitazioni verso il distributore automatico: una bella barretta ai cereali era il modo migliore per cominciare la giornata lavorativa.
Tuttavia fu costretta a fermarsi a metà strada quando una chioma di capelli rosso fuoco attirò la sua attenzione; si voltò verso sinistra e tentò di mettere a fuoco un collega in uniforme blu che se ne stava stravaccato dietro una scrivania con i piedi appoggiati sul piano in legno e una tazza di caffè tra le dita.
Gli lanciò un’occhiataccia e si puntò le mani sui fianchi, avvicinandosi in fretta allo sconosciuto. «Ehi, tu! Giù le zampe dalla scrivania!» esclamò.
Il rosso – i capelli legati in un codino e due occhi verdi e scintillanti – non si scompose minimamente e le indirizzò un sorriso sagace. «Buongiorno, io sono Ben. Oggi sostituisco l’agente Kinder, il tuo partner. Sta facendo un corso o qualcosa del genere.»
«E come fai a sapere che Kinder è il mio partner?»
Ben, sempre con il solito sorriso, indicò il cartellino appuntato all’uniforme della donna. «C’è scritto che sei l’agente Carter. Ci sono arrivato per logica, non ci vuole mica una laurea!»
Becky sbuffò irritata: quel tizio l’aveva già squadrata da capo a piedi e aveva perfino indugiato sul suo tesserino, quindi arrivò alla conclusione che non avesse perso l’occasione di immaginare le rotondità che nascondeva sotto la rigida divisa.
«Sei sempre così scontrosa?» proseguì il rosso, mettendo giù le gambe e finendo di bere il suo caffè.
«No, solo con gli idioti dai capelli rossi» gracchiò Becky.
Il nuovo arrivato si alzò e lei si rese conto che era piuttosto alto e dinoccolato, aveva un corpo magro e sembrava un folletto infilato in una divisa da poliziotto con quella pelle chiara punteggiata di lentiggini e le orecchie leggermente a sventola.
Lo guardò dal basso in alto e incrociò le braccia al petto. «Qual è il tuo cognome?»
«Baker. Agente Bernard Baker.» Poi si lasciò sfuggire un sorrisetto e le strizzò l’occhio. «Becky e Baker: proprio una bella squadra!» esclamò.
Lei sospirò e si sbatté una mano sulla fronte: sarebbe stata proprio una lunga e difficoltosa giornata insieme a quel tizio.
 
La primavera regalava ai due agenti in borghese un tiepido sole, mentre una lieve brezza pungente costringeva Becky a tenere addosso il foulard con i gatti che le aveva regalato Timothy.
Ora che ci pensava, le mancava trascorrere un po’ di tempo con il suo migliore amico. Appuntò mentalmente di chiamarlo e organizzare una cena a base di cibo spazzatura e alcolici. Erano i momenti in cui entrambi riuscivano a svagarsi e aprirsi, raccontandosi qualsiasi cosa e ridendo fino alle lacrime.
In quel momento, però, mentre i colori sgargianti di fiori che sbocciavano le riempivano gli occhi, era costretta a passeggiare discretamente accanto al centro commerciale in compagnia di uno sconosciuto dagli irritanti capelli troppo rossi.
Si trovavano in quel luogo perché in centrale erano giunte diverse segnalazioni a proposito di un ladro di cani che aveva già fatto sparire tre cuccioli nel giro di due settimane.
«No, ma dico io… chi cazzo è che ruba dei cani? E perché poi?» sbottò Baker a un certo punto, sollevando una mano per sfiorare una farfalla colorata che gli volava accanto.
«E io che ne so?»
«Ma poi come si fa a rubare un cane senza che i padroni se ne accorgano? Roba da matti!» continuò il collega momentaneo, ignorando la replica dell’altra.
Becky pensò che quel tipo fosse bizzarro e che parlasse un po’ troppo per i suoi gusti; non che lei fosse una donna silenziosa, però Baker aveva un modo di porsi che in certi momenti le faceva desiderare che perdesse la voce.
«E comunque ho dato appuntamento a mia sorella qui. Ci aiuterà» disse il rosso all’improvviso.
Becky si fermò di botto e lo incenerì con lo sguardo. «Sei scemo?! Ti sembra questo il modo di lavorare? Guarda che per colpa sua potrebbe saltare la copertura!»
«Non conosci mia sorella, come fai a saperlo?»
«Se hai i capelli come i tuoi, sicuramente attira troppo l’attenzione» rispose Becky scettica.
«Ma lei sarà la nostra esca.»
La donna non fece in tempo a ribattere che una giovane ragazza dai capelli rossi e lunghi comparve sul marciapiede dopo aver girato l’angolo. Teneva al guinzaglio un cagnolino dall’aspetto malaticcio e stanco e camminava come se non le importasse granché del suo amico a quattro zampe.
«Quella sarebbe tua sorella?»
Ben annuì. «Lei è Beth. Ma ignorala, fa’ come se non ci fosse.»
«Perché?» chiese Becky sempre più confusa.
«Fidati di me.»
«Ma se nemmeno ti conosco! E poi la vita mi ha insegnato a non fidarmi mai di chi ha i capelli rossi!»
L’altro sorrise e inspirò, beandosi del profumo di fiori appena sbocciati. «La primavera mi piace un sacco!»
«Ah, interessante…» farfugliò Becky.
Proprio in quel momento passarono accanto alla sorella di Ben e notò che lui le rivolse una breve occhiata. Probabilmente erano riusciti a comunicare mentalmente, dovevano avere proprio un legame molto stretto.
«E adesso che facciamo? Andiamo avanti e indietro e incrociamo tua sorella finché non le ruberanno il cane?» sibilò la poliziotta, dando leggermente di gomito al collega.
«Mi sono fatto un’idea: se questo tizio ruba i cani, probabilmente lo fa per un motivo. Magari vede che i cuccioli hanno dei padroni che li fanno soffrire e vuole liberarli» spiegò pazientemente il rosso.
«Come fai a sapere che è proprio così?»
Ben si strinse nelle spalle e le sorrise. «Non lo so, lo suppongo.»
Quando si voltarono per tornare indietro, notarono che Beth aveva legato il cane a un palo senza prestargli troppa attenzione; la videro afferrare il cellulare e usarlo, mentre si guardava intorno come se aspettasse che qualcuno la raggiungesse.
Sembrava a tutti gli effetti una ragazza qualsiasi in attesa di qualcuno, come se avesse un appuntamento e fosse un po’ contrariata all’idea di doversi addirittura trascinare dietro un cane.
«Ma il sacco di pulci è vostro? No, perché un aspetto orribile! Portatelo da un veterinario, santo cielo!» commentò Becky.
«Non è nostro, è di un mio amico. Non se ne prende particolarmente cura perché non ha tanti soldi per portarlo regolarmente a visita, ma ci è molto affezionato. Fa quello che può, insomma» spiegò il rosso, seguendo con gli occhi lo svolazzare di un’altra farfalla.
«Questa faccenda mi piace sempre meno.»
«Donna di poca fede! Aspetta e vedrai: se ho ragione, il ladro si farà presto vedere!»
 
Trascorsero quasi venti minuti prima che accadesse qualcosa, a Becky facevano male i piedi e aveva fame.
Tuttavia, proprio quando stava per protestare, un uomo cominciò ad aggirarsi furtivamente nei pressi del palo a cui era legato il povero cane.
Intanto, la sorella di Ben parlava in maniera concitata al telefono e la sua voce squillante e irritata risuonava fino a raggiungere anche i due agenti in borghese.
«Cosa mi interessa? Avevamo appuntamento al centro commerciale venti minuti fa e tu ti sei svegliata adesso?!» strillava, stringendo nervosamente la tracolla della borsa gialla che indossava. Era decisamente una tipa appariscente, una di quelle che era difficile non notare, nonostante di fatto fosse una ragazza piuttosto semplice e senza fronzoli. «Raggiungimi subito, altrimenti me ne vado! Mi sono pure dovuta portare dietro questo dannato cane, ti rendi conto? Altrimenti mia madre non mi lasciava uscire!»
«Guarda quel tizio» sussurrò Ben.
Becky aggrottò la fronte. «Quale tizio?»
«Il rossiccio con le mani in tasca, alla sinistra del palo. Cerca di non darlo a vedere, ma sta ascoltando ciò che Beth dice al telefono. E ogni tanto lancia occhiate al cane, come se provasse pena per lui.»
La donna sgranò gli occhi. «Pensi che sia lui?»
«Vediamo che fa.»
«Che ne so? Questo coso pulcioso non ha fatto che pisciare per tutto il tragitto, pensavo pure di essere in ritardo! Invece come al solito mi stai facendo aspettare!» continuò Beth, voltando completamente le spalle all’animale che, buono e tranquillo, se ne stava zitto in un angolo con un’espressione triste e sconsolata.
Fu in quel momento che il ladro agì: si accovacciò rapidamente accanto al cucciolo e, dopo essersi guardato intorno per assicurarsi che nessuno lo vedesse, estrasse un coltellino svizzero dalla tasca della giacca e tranciò di netto il guinzaglio.
Prese l’animale tra le braccia e fece per alzarsi, ma subito Beth compì un giro di centottanta gradi e lo inchiodò con lo sguardo.
Nel frattempo, Becky e Ben la raggiunsero a grandi falcate e il tipo rimase talmente sconvolto da non riuscire a muoversi.
Beth ripose il cellulare all’interno della borsa gialla e si fece da parte, mentre Ben si accovacciava e richiamava il cane con dolcezza. «Billy, vieni qui» disse.
La bestiola, riconoscendo la sua voce, sgusciò via dalle grinfie del ladro e gli saltò in braccio; tremava impaurito e uggiolava piano, così il rosso prese ad accarezzarlo per tentare di tranquillizzarlo.
Il ladro balzò in piedi e fece per darsela a gambe, ma Becky non glielo permise. «Fermo lì! Mani bene in vista, amico. Dove credi di andare?»
«Io… io… posso spiegare, non…»
«Vuoi forse farmi credere che non sei un borseggiatore di cani?» proseguì la poliziotta con autorevolezza. «Voltati, mani dietro la schiena! Facciamo un giretto in centrale, così ci spieghi tutto quello che vuoi.»
L’uomo obbedì e si lasciò ammanettare senza opporre resistenza. «Io… mi scusi, agente, non volevo… è solo che… che…»
«Senti, amico… com’è che ti chiami?» lo apostrofò Becky, strattonandolo appena per le manette e parlandogli dritto nell’orecchio.
«Dwight. Dwight Richardson! La prego, non mi faccia del male, volevo solo salvare dei poveri cuccioli indifesi e maltrattati!» piagnucolò l’uomo.
Ben, intanto, lasciò il cucciolo alle cure della sorella e si piazzò di fronte al ladro. «Non è questo il modo per salvare degli animali maltrattati! Puoi aprire un’associazione, puoi fare campagne di sensibilizzazione… ma se finirai in galera, non avrai più niente da dare agli animali che hanno bisogno di te. Non credi?»
Becky era senza parole e allentò perfino la stretta sui polsi di Richardson: non poteva credere che quel poliziotto dai capelli irritanti potesse essere tanto sensibile – e tanto idiota – da rivolgersi a un criminale in quel modo.
«Non siamo qui per dargli consigli, ma per sbatterlo in una sala per gli interrogatori per almeno mezza giornata» intervenne.
«Ma io… lei ha ragione, agente, mi dispiace. Però è più forte di me: vedo queste povere creature stare male e devo salvarle!» continuò a giustificarsi il ladro, la voce sempre più incrinata dal pianto. «Non voglio finire in prigione, giuro che non lo farò mai più! Non avevo pensato alle conseguenze!»
Becky alzò gli occhi al cielo e decise di essere magnanima e di togliergli le manette. In fondo non aveva voglia di perdere tempo dietro a un ladruncolo qualunque, c’erano criminali ben peggiori da catturare.
L’agente Baker le sorrise e annuì. «Grazie, agente Carter, lascialo pure andare. Credo che abbia capito la lezione.»
Becky circumnavigò il borseggiatore di cani e lo inchiodò con lo sguardo. «Per stavolta sei libero, ma se mi capita di ricevere altre segnalazioni del genere, verrò a cercarti. Hai capito, Dwight Richardson?»
«Sì, signora. Cioè, certo, agente Carter.»
Fece per mettersi sull’attenti, ma la donna gli voltò le spalle e lo liquidò con un breve gesto della mano.
Il tizio scomparve in pochi istanti e i due agenti si ritrovarono sul marciapiede insieme a Beth e il povero Billy.
«Beh, muoio di fame. Facciamo così: andiamo a mangiare qualcosa di sostanzioso, poi passiamo dal veterinario e facciamo visitare il sacco di pulci che ne ha bisogno. Pago io per ringraziarvi: mi avete aiutato a risolvere questa faccenda che andava avanti da due settimane e già non ne potevo più» affermò Becky, lasciandosi sfuggire un piccolo sorriso in direzione dei due fratelli.
Ben e Beth si scambiarono un’occhiata complice, poi scoppiarono a ridere.
Billy, intuendo che l’atmosfera si era fatta festosa, abbaiò gioioso e prese a scodinzolare stancamente.
«Che avete da ridere?» chiese Becky stranita.
«Vedi, Ben? Avevo ragione: da quando ho visto la tua collega ho capito che non è poi così burbera come vuole apparire» commentò Beth.
«Si può sapere perché parlate di me alle mie spalle?» si inalberò la poliziotta.
«Ma no, ho solo mandato un messaggio a mia sorella in preda alla disperazione quando ci siamo conosciuti. Avevo paura che mi mangiassi, e visto che lei è un’aspirante psichiatra, ho pensato di chiederle un parere su di te con la scusa del cane» raccontò Ben come se niente fosse, facendo l’occhiolino alla collega.
Becky divenne paonazza e sollevò un pugno, ma subito dopo venne contagiata dalle risate degli altri due e in breve si tranquillizzò.
«Siete terribili» disse infine, mentre si dirigevano verso l’auto di pattuglia.
«E tu sei simpatica, anche se fai vedere tutto il contrario» concluse Beth.
Ben annuì e, giunto accanto alla macchina, aprì lo sportello del passeggero ed eseguì un leggero inchino. «Pergo, agente Carter, si accomodi e si goda la gita!»
Becky ridacchiò e si ritrovò a pensare che forse il sostituto di Kinder non era poi così male.
Era una bella giornata di primavera, l’aria era sempre più tiepida e in poco tempo aveva già risolto uno dei casi che si trascinava appresso da settimane.
Non vedeva l’ora di raccontare tutto a Timothy, ma soprattutto di scoprire quali altre risorse potessero nascondersi in quel folletto dai capelli irritanti infilato in un’uniforme da sbirro.
 
 
 
 
 
 
😊 😊 😊
 
Prompt per la challenge di Laila: [Primavera] Appuntamento – Commedia / Borseggio
 
 
AUGURI SAKKAKU *________*
Oddio, ma quanto è stata demenziale questa storia???
Ho riso un sacco mentre la scrivevo, sia per la presenza dei miei Ben&Beth, sia perché mi è piaciuto moltissimo scrivere di Becky e far ricoprire a Dwight il ruolo di “borseggiatore di cani”, vista la sua innata passione per gli animali e il suo voler sempre essere una sorta di paladino della giustizia!
Carissima, spero di aver reso giustizia ai tuoi adorabili personaggi, perché giuro che ho fatto del mio meglio e mi sono fatta guidare dall’ispirazione e dalla voglia di scrivere qualcosa che potesse in qualche modo essere decente!
Lettori, come avrete capito, i personaggi di Becky Carter e Dwight Richardson non sono miei, ma appartengono a Sakkaku e sono parte della long Day and Night e della raccolta Momenti spensierati! Anche il migliore amico di Becky – Timothy – e il suo collega Kinder appartengono all’autrice e alle storie sopracitate :)
Ho fatto in modo che Ben e Becky fossero colleghi perché il mio Ben è un poliziotto e anche la Becky di Sakkaku, anche se ovviamente in universi diversi, ma vabbè, dettagli che ora possiamo anche ignorare ahahahahahah :P
Beth invece diventa davvero una psichiatra, ma qui è ancora in fase di studio ^^
Spero che questa storiella sia piaciuta – soprattutto alla festeggiata XD – e ringrazio chiunque l’abbia letta :3
Alla prossima ♥
  
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