Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: Cida    29/12/2020    16 recensioni
[Modern!AU - No Powers]
Quando camminiamo da soli nel viale dei sogni spezzati, a volte, abbiamo bisogno di una cosa soltanto: che qualcuno ci trovi.
[Jelsa]
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Elsa
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Kintsugi'
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Broken Ice


 

Era passato esattamente un anno dall’ultima volta che aveva avuto davanti agli occhi la pista ghiacciata del palazzetto. Elsa serrò i denti mentre le nocche della mano, che stringeva i lacci dei pattini, si facevano bianche. Dopo averli appoggiati su una panca lì a fianco, si era tolta la giacca, rivelando ciò che indossava sotto: una tuta intera aderente completamente nera, come il suo cuore in lutto per quel sogno che non avrebbe mai più potuto realizzare. Li indossò con calma, senza fretta, e si avviò sulla pista. Quando le lame fendettero la superficie gelida, chiuse gli occhi e si sentì di nuovo a casa e improvvisamente libera ma durò solo per un piccolo istante, quando li riaprì la sua espressione era furiosa: cominciò a scivolare.
Aveva sacrificato tutto della sua adolescenza per quello sport che amava maledettamente, così tanto che non le importava se la teneva lontana dalle amicizie o da quelle piccole e grandi scoperte a cui una ragazza andava incontro a quell’età. Per lei il pattinaggio era tutto, considerata una stella nascente, sulla bocca di alcuni già si parlava di Olimpiadi e, invece, in un lampo – a soli sedici anni - quella realtà le era stata portata via.
D’accordo, avrebbe potuto continuare a mettere i pattini e osare qualcosa di più della classica scivolata natalizia ma gli allenamenti serrati e le gare, beh, poteva scordarseli. Nonostante i muscoli fossero perfettamente tornati in forma, grazie ad una fisioterapia accurata e alla sua determinazione, le ossa della tibia e del perone non l’avrebbero retta mai più come prima. Stizzita, fece la prima rotazione verticale sulla gamba sinistra, quella sana, e aumentò il ritmo.
Non ce l’aveva con sua sorella, l’incidente che le aveva coinvolte non era stata davvero colpa sua: i cavalli erano parte integrante della loro famiglia e se il destriero di Anna si era improvvisamente imbizzarrito durante quelle attività, che facevano assieme ogni santissimo giorno, da biasimare c’era solo quello stolto cacciatore che, incurante delle leggi, si era avvicinato troppo alla loro tenuta e aveva sparato. In un attimo era montata su Snowball, il suo adorato andaluso grigio, e si era messa all’inseguimento di Chinna, l’indomito baio purosangue inglese della sorella. Era stato tutto veloce, troppo, erano inesorabilmente cadute e la sua gamba destra aveva fortemente sbattuto su una pietra del terreno, schiacciata dal peso di Anna. Neanche aveva urlato, il cervello aveva semplicemente tagliato fuori il dolore. Quando i suoi occhi, però, si erano posati sull’arto e avevano effettivamente compreso che fosse spezzato, un reflusso acido le era salito alla gola e aveva perso i sensi. Si era risvegliata in ospedale, intontita dagli antidolorifici e in preda ad uno strano senso d’angoscia perché, sebbene nessun medico le avesse ancora rivolto parola, dentro di sé già sapeva.
Ricacciò  indietro le lacrime che - come sempre, quando ripensava a quel giorno - le erano salite agli occhi e finì per tirare poco finemente su col naso. Al diavolo, non c’era nessuno a vederla, ormai c’era solo il custode che di certo non avrebbe abbandonato il caldo della sua stanzetta per stare lì a guardare lei. Eseguì, leggiadra, un giro del cammello e continuò a scivolare a ritmo di una musica che suonava solo nella sua testa, quella testa dura come il ghiaccio che amava a dismisura. Arrabbiata - con se stessa, con il mondo - eseguì una perfetta spirale Biellmann che, ancora una volta, caricava tutto lo sforzo sulla gamba sana e, poi, si azzardò a lanciarsi in un Axel… una rotazione sola: non due, non tre, una sola maledetta rotazione ma quando, dopo aver staccato con la sinistra, atterrò sulla gamba destra, per forza di cose, quella cedette e cadde.

 

La verità era che qualcuno a vederla c’era eccome. Dopo gli allenamenti di hockey, Jackson si era attardato a sistemare lo spogliatoio per via di una stupida scommessa persa con il resto della squadra. Con il suo borsone in spalla, cappello in mano e giubbotto semiaperto si stava dirigendo all’uscita, quando l’occhio gli era caduto su quel piccolo puntino nero che si muoveva sulla pista. Si era affacciato alla balconata e l’aveva riconosciuta subito, per via di tutte le volte che si erano incrociati durante i rispettivi allenamenti. Quando erano solo delle matricole avevano anche litigato in qualche occasione, in particolare in quei giorni in cui la squadra di hockey si allenava prima di quella di pattinaggio e rendeva la pista pressoché impraticabile, così tanto che il custode era costretto a livellarla nuovamente con il macchinario apposito, rubando loro tempo prezioso.
Aveva saputo del suo incidente e, sebbene la incrociasse per i corridoi e in qualche saltuaria lezione in comune, era passato praticamente un anno da che l’aveva vista su quella pista, perciò trovarla di nuovo a volteggiare con quella grazia lo aveva stupito, talmente tanto che non era più riuscito a staccarle gli occhi di dosso.  Che fosse una bellissima ragazza e che, nonostante quella tuta aderente nera, riuscisse ad essere praticamente più nuda che vestita erano dettagli prettamente secondari, forse. Se solo non fosse stata così altezzosa.
D’improvviso lei cadde, trattenne il fiato per il timore ma lo rilasciò quasi subito non appena la vide portarsi a sedere. Quando i minuti cominciarono a passare e la ragazza sembrava intenzionata a non rialzarsi più, aprì il fondo del borsone, recuperò i propri pattini e sparì giù per le scale.

 

Elsa riprese il contatto con la realtà solo quando avvertì il sibilo sul ghiaccio di qualcuno che si stava avvicinando, rapida portò una mano ad asciugarsi le lacrime e si pulì, con ben poca grazia, il naso sulla manica della tuta. Quando le lame si fermarono a pochi centimetri da lei, si accorse che erano attaccate ad un paio di pattini da giocatore di hockey. Alzò lo sguardo e lo riconobbe immediatamente, Jackson Overland il portiere della squadra della scuola. Da quanto era lì? Che cosa aveva visto? 
Dalle sue compagne era ritenuto un tipo carino ma un po’ sfigatello e, praticamente tutte, gli preferivano Hans Westergaard, il capitano e figlio di una delle più altolocate famiglie della città. Non si era mai trovata d’accordo, ma questa considerazione l’aveva sempre tenuta per sé. Se solo non avesse avuto un carattere così tremendamente irritante.

«Fa freddino, eh?» le disse, con un’occhiata eloquente come a volerle dire che sì, si era palesemente accorto che aveva il viso arrossato dal pianto ma avrebbe fatto finta di niente per non metterla a disagio. Gliene fu immensamente grata e annuì in risposta. 
«Hai bisogno di una mano?»
L’aveva vista cadere. Strinse i denti, stizzita, non voleva compassione. Si rivestì di ghiaccio «No, grazie» e, piano, si alzò. Quando cercò di appoggiare il peso sulla gamba destra, però, il dolore la colpì come una stilettata e con una smorfia, impossibile da trattenere, perse nuovamente l’equilibrio.
Una mano si strinse rapida nella sua e un’altra ne cercò la schiena per sostenerla: il movimento brusco, però, fece sì che quella si pos
asse decisamente più in basso. Quel contatto rischiò di farla avvampare, incredibilmente si ritrovò a ringraziare le sue gote già arrossate.
«Sei gelida… e fradicia» lo sentì dire, con voce leggermente incerta. Non appena fu di nuovo in una posizione stabile, sentì un fruscio e si ritrovò avvolta dal suo giaccone, pieno del suo calore e di un buon profumo di docciaschiuma. Davvero era rimasto così impassibile a quel che era appena successo?
Se solo lei avesse trovato il coraggio di alzare lo sguardo su di lui, si sarebbe accorta che il volto di Jackson stava quasi per prendere fuoco poiché il ragazzo, in realtà, aveva dovuto usare tutta la sua concentrazione per evitare di stringere quella mano e saggiare meglio la morbidezza su cui si era appena posata. Doveva anche smettere di pensarci prima di subito, se non voleva rischiare l’insorgere di altri imbarazzanti segni rivelatori.

«Ce la fai a pattinare?» cercò di cambiare argomento.
Di nuovo la preoccupazione che avvertì nella voce dell’altro la pungolò nell’orgoglio, spazzando via con una folata gelida ogni imbarazzo
«Perché mi stai aiutando?» gli chiese, portando improvvisamente lo sguardo tagliente nel suo.
Jackson non si lasciò investire da quella coltre di gelo
«Mi sembra il minimo, visto che è anche colpa mia se sei caduta» ghignò.
Elsa inarcò le sopracciglia, non capendo.

«Sono un giocatore di hockey, ho delle vanghe al posto dei pattini, no?» le spiegò, con un’espressione di sfida. Grattò un paio di volte la lama sulla superficie gelida «Il manto è tutto rovinato»
Eccola, la faccia da schiaffi ma, inaspettatamente, ne sorrise. Se n’era ricordato. Decise di mettere da parte l’orgoglio «No»
«
Ah, no?» si stupì l’altro «Vuoi forse dirmi che non calco la pista come un tagliatore di ghiaccio?»
«
No» ripeté, mentre anche il suo sguardo si accendeva dalla voglia di vincere quel confronto verbale «Voglio dire che non riesco a pattinare»
Nonostante avesse ammesso la sua difficoltà, l’espressione di lui fu talmente trasparente che comprese di aver segnato il primo punto.
Jackson sbuffò e ricacciò indietro quell’improvviso istinto che aveva avuto di prenderla fra le braccia e portarla, come un principe, in salvo sul bordo della pista. Era tremendamente sicuro che non avrebbe gradito. Così si mise di fronte a lei e le porse entrambe le mani
«Non caricare il peso sulla gamba, ti trascino io»
Annuì, improvvisamente povera di parole quando, accettando il suo aiuto, la pelle calda di lui tornò a contatto con la sua. Forse, non era poi così irritante.
Quando, finalmente, entrambi si erano tolti i pattini, Elsa gli aveva riconsegnato il giubbotto e si era messa il suo.

«Hai un cambio?» si informò lui, sinceramente preoccupato per la sua salute.
«Sì... »
«
Hai bisogno di aiuto?»
Si stava davvero offrendo di aiutarla a spogliarsi? Avvampò.
Notata la sua reazione, lampante su una carnagione così pallida, Jackson la seguì a ruota
«Ehi, aspetta… io non mi stavo offrendo di… sì, insomma, volevo sapere se avevi bisogno che chiamassi qualcuno»
Era davvero carino quando era in imbarazzo «Ce la faccio» lo rassicurò.
«Posso aspettarti?» le chiese di colpo, forse ancora prima di aver effettivamente compreso quel che aveva appena detto.
«E’ una scusa per cercare di sbirciare?» celiò, divertita.
La regina dei ghiacci gli aveva appena rivolto una battuta maliziosa, sul serio? Forse, non era poi così altezzosa.

«Non voglio rischiare di essere decapitato da una lama di un pattino volante» le rispose, sarcastico.
Elsa s
ghignazzò appena, portando una mano semichiusa a coprire la bocca e lui non poté fare a meno di pensare, nuovamente, che fosse bellissima ma, questa volta, l’aspetto fisico era l’ultimo dei suoi pensieri.
«Allora ti aspetto qui» affermò risoluto, prendendo posto su una delle panche «Ci prendiamo una cioccolata calda?»
Lei amava la cioccolata e, forse, non solo quella «»
Si avviò, zoppicando 
leggermente, verso lo spogliatoio ma, arrivata davanti alla porta, si bloccò e riportò l’attenzione sul ragazzo seduto ad aspettarla «Grazie, Jackson»
Le labbra di lui si distesero in un tenero sorriso «Chiamami Jack»

 


Grazie per aver letto questa nuova shot.
Per la storia in corso, purtroppo, è stato un Dicembre di delirio per cui non sono ancora riuscita a completare la review del prossimo capitolo (vediamo se queste ferie verranno in mio soccorso), tuttavia ci tenevo a lasciarvi qualcosa prima della fine dell'anno perciò ecco questa shot che, in realtà, è pronta praticamente da un mesetto a questa parte ma non ho avuto neanche il tempo per pensare ad un riassunto per lo specchietto fortuntamente, però, sono arrivati i santi Green Day in mio soccorso.

Ma com'è nato questo mini-racconto? 
Ebbene, come se non ci pensassi da sola, ci si è messa anche MusicDanceRomance a fomentare la mia fissa su questi due che, con una favolosa fan art di Elsa pattinatrice in piena spirale Biellman - figura che non poteva non essere presente in questa shot - ha gentilmente dato il "la" per questo nuovo trip e ha avuto il piacere - spero - di leggerla in anteprima. Per cui, this is for you <3
Non sono davvero un'esperta di pattinaggio, spero di non aver fatto troppi casini in merito.
E' anche la prima volta che scrivo di Elsa e Jack adolescenti e strettamente coetanei, quindi, un sacco di novità ^^
Ho voluto, inoltre, inserire un'altra mia grande passione: i cavalli, li amo immensamente da quando ho scoperto cosa fossero e, nel mio cuore, il sogno nel cassetto di averne uno un domani non si è ancora spento.
La scelta delle razze non è un caso. L'andaluso è un cavallo intelligente e fiero, con un andamento nobile ma - allo stesso tempo - è affettuoso, mi sembrava adatto per Elsa. Il Purosangue Inglese, invece, è un po' nervosetto ma coraggioso e affidabile e mi sembrava adatto per Anna che - se vogliamo rimanere in tema - sa spesso essere matta come un cavallo.
Se volete vederli, qui un'immagine di entrambi: Snowball, Chinna.
Al solito, spero che vi sia piaciuta e se vorrete farmi sapere cosa ne pensate mi farete davvero felice.

Vi auguro una buon proseguimento di queste Feste (anche se ben strane).
Alla prossima

Cida



  
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