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Autore: nicailuig    29/12/2020    1 recensioni
Mentre prendevo in mano il telefono e digitavo "Let’s be friends" sapevo benissimo cosa avrei dovuto fare – cancellare tutto – ma invece ho impulsivamente premuto invio. Ero perfettamente consapevole dell’espressione da schiaffi che in quel momento avevo dipinta in faccia e se al mio posto ci fosse stata una mia amica le avrei dato della testa di cazzo. Peccato essere stata sola. La mia era una proposta del tutto maliziosa e nella mia testa aveva senso proprio perché ero sicura avresti rifiutato. E invece – Sounds lovely – hai detto.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Let me down easy

 

Give me a good reason to be heartsick again
To be here, to be strong, to be oddly and boldly estranged
From a loss of better years
I found myself descending into tedium and fear

You want someone who wants you for who you are
I want someone to try and let me down easy, easy tonight
Easy, easy tonigh

You wanted to fight for a cause?
Then go out and fall in love
Don't stop, don't stop believing
In truth, grace, and the grieving

 

 

La prima volta che ci siamo visti era tardi e mentre ti aspettavo mi sono chiesta che stessi facendo. Io sola, su un ponte desolato, in una zona della città poco frequentata a quell’ora della notte, a cercare con lo sguardo una persona che neanche avevo mai visto. Lo pensavo, che fosse una cazzata, accettare il tuo invito, ma mi sentivo elettrica dopo anni di grigiore e così, mentre premevo invio – see you tonight – mi sono detta ma sì, ma che te ne frega.

Sei arrivato con una bici a noleggio arancione. Ti ho guardato parcheggiarla e avvicinarti nella mia direzione, la mascherina a coprirti gran parte del viso e i ricci biondi che ribalzavano a ogni tuo passo. Di primo acchito non mi sei piaciuto, forse perché sembravi troppo sicuro di te, forse perché mi hai salutato con due baci sulla guancia, canonici per noi italiani, ma decisamente poco appropriati in questo periodo. Hai iniziato una conversazione che ora non ricordo e ho pensato che la tua voce non si addiceva al tuo aspetto fisico, ma che era bella, profonda e rassicurante.  Ci siamo seduti sul porticciolo di legno che sta proprio sopra il fiume e abbiamo stappato le birre che ti avevo promesso avrei portato.  Mi hai raccontato delle tue origini ebraiche, dei parenti che vivono in Svizzera – è per questo che stai studiando il tedesco – e della tua passione per la storia italiana. – L’Impero Romano, intendi? –. – O no – hai detto, – il Rinascimento, la Venezia del Cinquecento. Io ti ho ascoltato, curiosa, come se venissi da un altro pianeta, stregata dal tuo accento inglese.

Finita la birra hai chiesto se ci fosse qualche posto aperto dove comprarne un’altra ma sapevi benissimo che ormai era troppo tardi. Io ho proposto di controllare se ai distributori automatici vicino a casa mia vendessero alcolici – cosa di cui dubitavo – e una volta appurato che non era così hai suggerito maliziosamente di andare da me, che lì saremmo potuti stare al caldo. Io ho acconsentito, non perché mi andasse davvero ma perché volevo sembrare disinvolta.

Ci ha aperto Andrea, in silenzio, e per qualche secondo mi sono sentita il suo sguardo incerto addosso, a voler verificare che andasse tutto bene. Credo di avergli sorriso. Ci siamo seduti in cucina e io ti offerto un bicchiere d’acqua. Tra un sorso e l’altro ho cercato di inghiottire anche l’imbarazzo: sentivo che tu volevi andare in camera mia ma non sapevo se io, invece, volessi invitarti a salire.

Alla fine in camera mia ci siamo andati e dopo due banali chiacchere di circostanza mi hai baciata. Credo di aver pensato a quanto quell’interazione fosse prevedibile – cos’altro potevo aspettarmi? – ma che il modo in cui era scaturita fosse troppo macchinoso, innaturale. Sapevo dove volevi arrivare e ti ho subito avvisato che quella sera non sarebbe successo. Con voce tenue, mentre ancora mi baciavi, hai affermato che andava bene comunque. Ho dovuto ristabilire i miei limiti un paio di volte – You’re not a good listener – ti ho rimproverato, ma non hai forzato la mano.

Per ricomporti ti sei seduto, e mentre lo facevi hai tirato indietro i capelli in un modo tutto tuo, inconfondibile. Avrei voluto scattarti una foto. Ti sei sdraiato su un fianco e mi hai avvicinato a te.  Ho poggiato la testa sul tuo braccio e tu hai preso ad accarezzarmi i capelli; per un momento mi sono dimenticata di averti incontrato solo qualche ora prima. Mi guardavi negli occhi, e io ti ho sfidato a mantenere lo sguardo, che hai più volte distolto, imbarazzato. Mi hai chiesto e richiesto a cosa pensassi, e io davvero non pensavo a niente, ma non mi hai creduto. Volevo che restassi e che te ne andassi al tempo stesso. Nel primo caso sapevo che sarebbe bastato baciarti, intrecciare le mani tra i tuoi ricci, dietro la nuca, infilare le mani sotto maglione, accarezzarti la schiena. Nel secondo ero impreparata. Ricordo di averti preso il braccio per controllare l’ora dall’orologio che avevi al polso, con una sfacciataggine che con mi appartiene. Tu mi hai guardato in silenzio, e io mi sono giustificata dicendo che il giorno dopo mi sarei dovuta svegliare presto, che avevo lezione. Mi hai chiesto se volevo che te ne andassi e ho detto sì. Ti sei alzato senza esitazione e senza tracce di delusione in faccia. Ti ho seguito per le scale e mentre aprivi la porta ho pensato che non ci saremmo rivisti più.

 

***

 

Il giorno dopo stavo raccontando ad un’amica della serata trascorsa con te quando mi è arrivato un tuo messaggio – Let me know when you want to do something again – hai detto.

Il giorno dopo ancora ci siamo rivisti, questa volta all’aperto, questa volta con del vino bianco. Tu sei abituato a bere a un ritmo molto più veloce del mio, e così è finita che io ero particolarmente brilla e tu no. Abbiamo parlato di salute mentale, di come sia un argomento ormai sdoganato in Inghilterra, del fatto che tu stesso sei stato in terapia. La tranquillità che emanavi nel trattare temi così delicati mi ha portato ad accennare alla mia depressione. Sono rimasta vaga ma l’alcol bevuto mi confondeva le idee e davvero non ricordo se ho parlato troppo. Ci siamo anche divertiti tanto e tra una battuta maliziosa e l’altra mi sono fatta distrarre dalle pieghe che ti si formano a lato della bocca quando ridi. Avrei voluto baciarti ma non l’ho fatto.

Quel pomeriggio ti avevo avvisato che non avrei fatto tardi e a mezzanotte precisa ci siamo alzati per tornare ognuno nelle rispettive case. Mi hai salutato con un bacio molto lungo e dolce e per la prima volta ho pensato che forse non eri una testa di cazzo. Ti ho scritto io la notte stessa, accusandoti scherzosamente di avermi fatta ubriacare. Tu hai fatto il brillante come tuo solito, mandandomi dei messaggi pieni di lusinghe e pieni di bugie. Volevi rivedermi e volevi che succedesse presto.

Era la mattina successiva quando ti ho risposto che sarei tornata a casa dai miei quel pomeriggio stesso, e che quindi per rivedermi avresti dovuto aspettare la settimana successiva. Dopo aver saputo che il treno ce lo avevo solo alle quattro, hai proposto di berci un morning coffee, che non avevi ancora fatto colazione, e ancora una volta la soddisfazione di essere stata invitata di nuovo si è mescolata alla frustrazione quando hai specificato che il caffè lo avremmo preso non al bar ma da te.

Dopo aver soppesato pro e contro ho acconsentito, dicendo a me stessa che forse ti avevo giudicato troppo velocemente. Sono scesa dalla bici che avevo il fiato corto, il sudore appiccicato ai vestiti e gli occhiali appannati dall’umidità di quel giorno. Ho lasciato passare qualche minuto prima di scriverti che ero arrivata e una volta saliti da te mi sono messa a studiare il tuo bilocale per prendere tempo e calmare l’imbarazzo. Stavo guardando qualcosa poggiato sulla tua scrivania disordinata quando mi hai preso la vita e iniziato a baciarmi il collo. In poco tempo eravamo seduti sul letto, le tue mani sotto il mio maglione e le mie gambe avvinghiate al tuo torace. Quello che volevi era evidente, ma prima che andassi troppo oltre ti ho illustrato la mia politica – hai riso sentendo questa parola –, mettendo bene in chiaro che non mi va di fare sesso con persone che non tengono a me e di cui a me non importa nulla. Tu hai risposto che capivi, ma non cerchi una relazione, che hai passato gli ultimi 5 anni da fidanzato e che ora non è il momento. Ti ho chiesto se eri deluso e mi hai risposto di no, ma che mi desideravi davvero. Ti ho confessato che anche io avrei fatto sesso con te, ma che non sarebbe successo. Le mie parole devono avere risvegliato qualcosa in te, perché hai ripreso a baciarmi con più ardore di prima. Poi mi hai chiesto se io fossi delusa: ti ho risposto di no, che tendo a non farmi aspettative e che è impossibile ferirmi, che come ti avevo già detto non sono in grado di provare sentimenti. – Non mi cercherai più, immagino – hai chiesto – e io ti ho detto che no, probabilmente non ci saremmo rivisti più.

A quel punto mi sono sentita del tutto fuori posto, sdraiata a letto con il reggiseno slacciato, al mio fianco un ragazzo mezzo nudo ma con cui non avrei fatto sesso. Ho tirato fuori la più banale delle scuse per andarmene – non avevo nemmeno voglia di sforzarmi di essere credibile – e tu probabilmente l’hai capito, ma grazie al cielo non mi hai complicato la vita e hai retto il gioco alla perfezione. Ho indossato il cappotto e ti ho guardato rivestirti, ma ti ho fermato quando ho capito che ti stavi preparando per uscire pure tu. Ti ho preso d’anticipo dicendoti che mi ricordavo la strada, che davvero non serviva che mi riaccompagnassi.  Mi hai guardato dubbioso e hai chiesto se fossi sicura, e io mi sono morsa la lingua per obbligarmi a stare zitta e annuire anziché dire qualcosa, qualsiasi cosa, che sarebbe stata di sicuro fuori luogo. Non volevo trapelasse nulla. Ho richiuso la porta del tuo appartamento dietro di me e sono salita sull’ascensore con una ragazza che mi ha sorriso. Ho pensato che sarebbe andato tutto bene.

 

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Questa storia è frutto della mia immaginazione. L'uso della prima e della seconda persona singolare è una scelta stilistica. 

   
 
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