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Autore: Shaara_2    29/12/2020    3 recensioni
Clementina è cresciuta con un lontano parente in un piccolo paese della Sardegna. A ventidue anni, finiti gli studi, sogna di rendersi indipendente e trovare finalmente la sua strada, ma la cattiva sorte che ha rovinato e ucciso sua madre e suo nonno sembra perseguitarla e lei sa di non potersi lasciare andare liberamente ai suoi sogni...
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Capitolo 3

 

 

“Zio, sono arrivata! Sì, certo, il volo è andato bene. No, non ho sofferto durante il viaggio. Come? Chi c’era seduto accanto a me in aereo?” Vidi due donne un po’ baffute fissarmi in modo truce e abbassai la voce. 

“Tutto a posto, zio, erano due signore di Orgosolo che andavano a trovare i parenti. Ora, però, sono arrivata all’uscita e ho visto il taxi. Ti faccio sapere come finisco il colloquio, ok?”

Quando presi quel taxi mi sentii un po’ come Colombo nel momento in cui toccò terra dopo anni di navigazione. E quell’euforia non era dovuta solo al viaggio o alla considerazione che per la prima volta fossi sbarcata in continente, ma soprattutto al fatto che sarei stata indipendente, senza più persone addosso per controllarmi o proteggermi. 

“Mi scusi, l’aereo ha fatto un po’ di ritardo.”

“Nun c'è problema!”

Gli sorrisi, non curandomi del sudore che gli scendeva sul viso. Era una giornata caldissima e io mi sentivo così carica di energia che, se avessi potuto, mi sarei messa ad urlare dal finestrino. 

“Dove la porto, signorì?”

“Roma centro, per favore, via di Corso Italia.”

Probabilmente anche il tassista percepiva il mio entusiasmo perché continuava a fissarmi dallo specchietto retrovisore.

“Da dove viene, signorì?” Mi disse con un simpatico accento romano. E se non fosse che quel taxi avesse un certo odore di formaggio e vino andato a male, forse, sarei stata più cortese.

Ma lui non si curò della mia indifferenza e, sempre guardandomi dallo specchietto, continuò a parlare.

“Ha 'n bellissimo accento inglese. Viene da Londra? C'ho portato tantissime modelle inglesi in 'sta machena!”

“Londra? Vengo da Muravera, la conosce?”

“Muravera? Mai sentita. Dove sta, in scozia?”

“Scozia? Risi sotto i baffi, quest’uomo sembrava più ignorante di Gavino, il garzone di zio Antonio, che a malapena sapeva contare le galline.  “Muravera sta in Sardegna, è un paese non troppo lontano da Costa Rey. Conosce Costa Rey?”

“Gajarde le vacanze in Sardegna, signorì? Ma, adesso, scommetto che è qui pe' 'na sfilata… 'na fregna come lei…”

Dopo tutte le cose assurde che mi aveva detto Antonio, iniziavo a guardare tutti gli uomini con un certo sospetto. E il modo di fare di quel tassista, mi sembrava decisamente sospetto. Di colpo mi tornarono in mente tutti gli avvisi che zio mi aveva propinato in quei tre giorni prima di partire. Oh! Era stato veramente esagerato. Aveva parlato senza sosta per ore e ore. Mi aveva talmente angosciato che in quel momento mi sembrò di sentirlo sussurrare: “Non stare mai sola con uno sconosciuto, non fidarti di nessuno e, soprattutto, diffida di chi fa il gentile, vuole offrirti da bere, mangiare, fumare e mai, mai odorare polveri bianche.” Come se Roma potesse essere piena di uomini pronti ad offrire droghe e bevande pericolose alle passanti. Ridendo mi immaginai quella scena: “Ehi, tu, femmina senza protezione, vuoi sniffare la mia polvere?” 

Ridacchiando ripresi a fissare la strada, ma quando passammo vicino alla Bocca della Verità saltai sul sedile cominciando ad agitarmi nel riconoscere monumenti ed edifici che, fino a quel momento, avevo visto solo in televisione.

“Nun è mai stata a Roma, signorì? Daje. Guardi che sole! A Roma è così tutto l’anno. E poi, nun je l’avete mica er Colosseo a Londra...”

“Le ho detto che sono Sarda...”

“Veramente, signorì? Er suo accento sembra più inglese de quello de ‘a regina Elisabetta” 

“Mio Dio, il Colosseo!”

Il tassista si girò ad osservarmi con un ghigno divertito. “Gajardo, e? Qui dietro c’è ‘a Fontana de Trevi, signorì, ‘a vuole vedè?”

“Vedere? La voglio proprio toccare con mano. Tanto, ho tempo.”

“Se 'o dice lei, signorì...”

Mi dimenticai immediatamente di tutte le raccomandazioni di Antonio e feci correre il taxi fino alla Fontana di Trevi dove lui, gentilmente, mi aspettò parcheggiato dietro ad un palazzo. 

Risalita in macchina, dopo aver lanciato una monetina, il tassista mi sorrise. 

“Ha visto che fontana, signorì? Nun c’avete fontane così a Londra...”

“Oh! È tutto così magnifico!” Ormai non badavo più al fatto che il tassista avesse scambiato il mio accento per quello di un’inglese.

Ero talmente entusiasta da quello che vedevo che lui subito mi propose di vedere altri monumenti.

“Qua c’è Piazza Navona, signorì. Che faccio, me fermo e fa 'na foto co' er cellulare?”

“Sì, sì!” Ero talmente felice da sentirmi confusa. “Certo!”

Così, mi portò in giro per la città per circa due ore e solo quando arrivammo in prossimità del palazzo dove avrei dovuto fare il colloquio di lavoro capii quanto fossi stata ingenua e quanto, invece, Antonio avesse ragione riguardo alla razza maschile…

“Sono 250 euri, signorì”

“Cosa?” Sbiancai, perdendo la voce. “Ma-ma, come è possibile?”

“Signorì, da voi in Inghilterra nun 'o guardate er tassametro? 'Sto mica s'è fermato quanno ha chiesto de vedè er Pantheon o Villa Borghese”

“Lei è un truffatore! Riuscii a dire, mentre avvampavo per la rabbia!”

Uscii dal taxi senza curarmi del via vai di macchine e persone che andavano e venivano in quella strada tanto larga quanto affollata. In poco tempo intorno a noi di formò un capannello di gente incuriosita dalle mie urla.

“Ma quale truffatore, signorì, ha chiesto lei de vedé tutti quei monumenti, tanto nun c’era fretta…”

Il tassista si grattò l’addome prominente e prese una bottiglia di vino rosso dal cruscotto.

Ecco da dove veniva quel fetore, pensai. Poi, furiosa, tolsi i soldi dal borsellino per pagarlo, solo che mentre lo aprivo mi cadde l’ombrello e quando mi chinai per raccoglierlo non mi accorsi di averlo preso a mezzo manico, come se volessi usarlo per dare legnate al tassista.

“Signorì, che sta a fa’?”

“Ora chiamo la polizia, brutto ladro che non è altro.” 

La folla intorno a noi aumentò, ma il tassista, non curante della confusione, mi strappò il cellulare dalle mani.

“Chi ti curra sa cugurra! (1) Sussurrai a denti stretti. Chissà perché quando uno perde la pazienza la prima cosa gli viene in mente è sempre un’imprecazione nel proprio dialetto.

Una risata si sollevò nel silenzio sceso intorno a noi.

E proprio mentre stavo per avventarmi su di lui, la folla si aprì e un uomo in abito scuro mi sorpassò, mettendosi tra me e quel brigante.

“Che cosa sta succedendo?” Chiese il nuovo arrivato.

“Questo signore sta tentando di fregarmi!” Farfugliai, agitando le mani.

“A signorì, ha chiesto lei de fa’ quer giretto.”

Quando la folla divenne enorme, Una vigilessa si avvicinò, guardando di traverso il tassista sudato.

“Chi ha fregato oggi Er Cicorietta?” Dopo quell’affermazione si girò verso di me, guardandomi come se fossi colpevole.

“L’hai già pagato?” 

“No, non ancora.” Quasi balbettai e l’uomo con l’abito scuro, dopo avermi squadrata da capo a piedi, si avvicinò al tassista con aria minacciosa.

“Ci divertiamo a raggirare le bambine, non si vergogna?”

Per qualche ragione imprecisa notai due iniziali nel taschino dell’abito scuro del mio salvatore: “D.A.”

L’uomo segui il mio sguardo fino alle mie mani tremanti mentre, ancora terrorizzata e nervosa, cercavo di chiudere il borsellino. Ma tremavo troppo per riuscirci.

“Quanto le deve la ragazza?”

“Lasci stare…” disse la vigilessa al galantuomo incravattato. “Questo omuncolo è noto per truffare le ragazzine straniere. Non è così Er Cicorietta?”

La vigilessa fece una smorfia verso il tassista, il quale sputò per terra con aria contrariata.

“Allora, come la mettiamo?” Aggiunse la donna, facendomi l’occhiolino.

“Ho capito!” disse il tassista, sbuffando e imprecando in romanesco. “Damme 50 euri e semo apposto.”

“Bene. Ora, ragazzina, cerca di stare più attenta perché Roma non è Londra, ci siamo capite?”

“Londra? Io-io, non so come ringraziarla, signora vigilessa!”

Mi girai per cercare l’uomo con l’abito scuro che per primo mi aveva difeso, ma sembrava scomparso e anche la folla, ormai, si diradava. Restavo solo io, la vigilessa e il tassista che puzzava di vino.

Ringraziai per l’ultima volta la donna che mi aveva aiutata senza riuscire a distogliere i pensieri dal mio ignoto salvatore. Forse gli uomini non erano tutti come diceva zio Antonio. Poi, un po’ turbata ed esitante, andai verso la sede dove avrei fatto mio colloquio di lavoro. La mia disavventura era alle spalle e ora mi sentivo pronta per conquistare il mondo. Chiusi gli occhi, ascoltando i battiti del mio cuore. Ero viva, ero sola ed ero sempre io. Non c’era il vento della Sardegna a riportarmi i suoni e i profumi della mia terra. Ma la mia vita era giunta ad una svolta. Me lo sentivo!

 


Note:

 (1) Chi ti curra sa cugurra! - È un detto in sardo quasi intraducibile. Le cugurre sono insetti conosciuti come forbicine. In genere si trovano nei vecchi libri. In Sardegna si dice che portino sfortuna. La frase si potrebbe tradurre come: “che ti rincorrano gli insetti che portano sfortuna…”



Angolo dell'autrice:

Grazie a tutti coloro che stanno leggendo, commentando o solo osservando questa storia. È la prima volta che provo a scrivere una storia originale e ancora non so se sarò all'altezza. Non ho ancora chiesto al mio carissimo Beta un supporto per riverdere questa storia visto che, come detto sopra, ancora non ho capito se sarò in grado di scriverla degnamente. Un commento aiuterebbe la sottoscritta a capire se è il caso di continuare...
Grazie a tutti coloro che leggeranno questa storia.
Vi sono riconoscente.
Un abbraccio virtuale a tutti.

 Shaara 

 
   
 
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